IL TESTAMENTO DI PINO

LA PARABOLA DEL BICCHIERE

         

           Ho riflettuto spesso sul bicchiere riempito a metà: secondo l’opinione corrente gli ottimisti lo vedono mezzo pieno mentre, per i pessimisti, esso sarebbe mezzo vuoto.

            La cosa non mi convince! Io cerco un’altra verità.

            Per quanto mi riguarda la vera discriminante risiede nel vino, nella qualità, cioè, di quello contenuto nel bicchiere.

            Se il vino è buono l’ottimismo viene comunque.

            E’ vero, infatti, che c’è il rammarico per la sua breve durata, ma il ricordo del suo profumo inebriante e la fragranza perdurante del suo gusto ci riempiono di gioia e ci spingono, fatalmente, a consumarlo tutto, fino in fondo,allegramente.

            Capisci, caro Ciccio, tu che covi ancora rancori giovanili, che se il vino è cattivo la considerazione della “mezza pienezza” del bicchiere ci riempie di giustificata tristezza, non solo per i brutti sentimenti che esso ci ha ispirato, ma anche per il sacrificio che ancora ci riserva.

            Così la vita, cari Vedovi Neri viventi e trapassati.

            E’ il mio bicchiere che adesso è mezzo vuoto: inesorabilmente mezzo vuoto!

            Ma il ricordo di come sinora ho vissuto, la bontà della mia “mezza vita”, il suo profumo intenso, ma non denso, il suo gusto pieno, ma non pastoso, la sua struttura corposa, ma non pesante, mi riempiono di gioia e di allegria, e mi fanno anelare alla sua completa dissipazione, fino in fondo! Come questo fondo lussureggiante di Brunello che avvicino alla mia bocca con gli occhi chiusi.

            Come anche, caro Turi, la sottile soddisfazione che ci procura il gusto agro-dolce delle tante sconfitte che abbiamo subìto.

            Sono quelli che ce le hanno inflitte che ne portano il peso; secondo le ben note regole della nostra filosofia paradossale, possiamo affermare con certezza che essi, ora come allora, si sentono schiacciati dalle loro vittorie: pesante fardello farcito di cambiali, che puntualmente andranno in protesto, e di sentimenti che, miseramente, non possono più cantare a squarciagola.

            Noi, invece, a meno di sciatiche incombenti, camminiamo sempre con la schiena dritta e la testa rivolta in alto, liberi di guardare negli occhi la gente e di grattarci furiosamente i coglioni, oggi come ieri, quando incrociamo lo sguardo obliquo di Cunsolo, o di altri innominabili Ingegneri!

            Per conto mio ho già metabolizzato tutto: i dolori, che pure la vita non mi ha negato; i nemici, due o tre, che continuano ad odiarmi con coerenza e professionalità degna di miglior causa; lo stuolo di stupidi invidiosi, che mi vedrebbero volentieri nella polvere piuttosto che insieme a voi, qui, a festeggiare.

            Sono tutti lì, vino cattivo in quel bicchiere mezzo pieno che non mi appartiene più, o forse in fondo alla mia botte, feccia da buttare via, da disperdere nella terra, non da offrire agli amici come fa qualcuno!

            Per contro penso alla tranquillità della mia sera, alla solidità dei miei ideali, alla sicurezza degli affetti che mi circondano e che si prendono cura di me, agli “amori gratis” che ho ricevuto in dono e che non ho ripagato altro che con un largo sorriso, come si addice a noi, vedovi neri di alto lignaggio e saldi principi; penso a Voi, che professate queste fedi sublimi e che, come un faro nella nebbia, continuate a mostrare la strada.

            Poi mi sorge pulsante un pensiero riverente al nostro Gran Maestro, la cui parola è sempre presa ad esempio di verità.

            A Lui, fratello di stirpe (sono indegnamente Pirri anche io) e di scienza (l’elettronica che ci ha fatto grandi), che ha condiviso con me gli anni polverosi della nostra gioventù ferroviaria, che su quei sedili di legno ha avuto la lungimiranza di pensare in silenzio ai destini del mondo, ma mai ai suoi! A Lui, che rimane se stesso anche quando diventa professore, va il mio pensiero centrale, con l’invito perenne a vegliare severamente sulla nostra purezza.

            Un pensierino anche per gli avventizi, per i deludenti candidati, per quelli che ci frequentano ogni tanto e per gli infami Americani che continuamente ci rinnegano; una mesta preghiera, infine, per le anime dei nostri cari defunti, perché essi possano risorgere nel giorno, fortunatamente lontano, del grande giudizio universale.

            Questa è la nostra prima mezza vita, caro Club, l’occasione merita la festa, poi sarà il turno vostro e noi continueremo a festeggiare allegramente, immersi nell’arte profonda della meditazione, in questo giardino Epicureo che ci vide tante volte insieme, felicemente.

            L’Equilibrio sia con voi.                                                                               L’anziano