Testimonianza scritta: Vai a Testimonianza con percorso fotografico
Sono
Gianluca, ho 23 anni, studio ingegneria elettronica al politecnico di Bari. IL
27 dicembre del 99' entrai in servizio presso la caritas diocesana di Foggia e
fui assegnato subito al campo di accoglienza per minori L'ULIVO di Arpinova
(FG), dove in precedenza avevo già fatto esperienze di volontariato personale e nel dicembre 98 avevo fatto tirocinio
propedeutico alla chiamata al servizio civile. Dunque, quel posto il 27
dicembre non mi era affatto estraneo.Ero arrivato con mille propositi di fare
bene, e vi confesso convinto di saper fare tutto io. Sono un pò le convinzioni
che ha ogni volontario navigato, giovane e ambizioso. Invece, mi sono bastati
pochi giorni per capire che c'è differenza dal volontario che impegna con
entusiasmo parte del suo tempo libero al servizio degli altri, e chi, invece è
"costretto" a fare ogni giorno inesorabilmente con orari fissi e
prestabiliti, vissuti come precetto, il
volontario a tempo pieno. IL mio turno al campo era il 3° (dalle 16.00 alle
22.30) e dovevo andare sia che il tempo fosse bello sia che fosse brutto,sia
che fossi motivato, entusiasta sia che lo fossi meno,anche i giorni festivi
perchè il campo ovviamente non poteva essere abbandonato. E' proprio in queste
condizioni che esce fuori tutta la propria personalità, con l’amara
constatazione di non poter celare tutti quei sentimenti e atteggiamenti più
istintivi che normalmente controlliamo e nascondiamo di fronte alla gente. Se
in qualche momento mi sentivo poco sociale, o intollerante non potevo
sicuramente dire : "ragazzi ci vediamo domani, perchè oggi non me la
sento". Infatti, il rischio più grande era quello di scaricare le proprie
stanchezze e frustrazioni sui ragazzi
ospiti del campo, che più di una volta hanno contribuito a far saltare i nervi.
Tuttavia, devo riconoscere che per me è stata un'occasione unica ed eccezionale
per conoscermi e per maturare tutti quegli insegnamenti sulla carità e sulla tolleranza. Insomma, è
stato un momento per sperimentare con mano il volto pratico, e per molti
oscuro, della carità.Dopo qualche mese presi, forse troppo facilmente e
gratuitamente, l'appellativo di “missionario” lanciato probabilmente da qualche
mio amico obiettore e che poi ha fatto eco fra gli stessi ragazzi del campo,
che continuavano a chiamarmi con una
pronuncia divertentissima
,
appunto “missionario”. Se qualcuno mi riconosce ancora questo nobile soprannome è soprattutto merito di chi mi ha
affiancato in tutti quei mesi di servizio; mi riferisco ai miei amici obiettori
che mi hanno amichevolmente sopportato e sostenuto: Piero R., Gianluca
Cap.,Angelo R., Luigi D., Lello D., Salvatore N. e l'animatrice del campo
Rossella R. Tutte persone senza delle
quali non avrei potuto fare niente! Con
tutti questi miei amici ho trascorso momenti belli e brutti della vita al
campo. Abbiamo realizzato efficienti laboratori come quelli di musica, teatro,
artistico e di danza che hanno riscosso successo fra i circa 40 ragazzi del
campo, tenuto conto della loro partecipazione e del loro entusiasmo.
Addirittura siamo riusciti a far recitare una decina di ragazzi in un teatrino
di una parrocchia foggiana con un pubblico numerosissimo di spettatori giovani
foggiani loro coetanei, come si conviene ad uno spettacolo di tutto rispetto. Tuttavia
abbiamo dovuto fronteggiare
situazioni molto spiacevoli a volte
causate da disorganizzazioni di fondo non imputabili nè ai ragazzi e nè agli
operatori diretti. Per qualche mese abbiamo curato i ragazzi dalla scabbia, una
malattia infettiva della pelle fastidiosissima che porta tanto prurito e
deturpazioni. L'ospedale non accettava più di 1 al massimo 2 casi alla volta.
In quel momento ci siamo sentiti soli, ma molto uniti fra di noi
obiettori;nessuno si è tirato indietro e ognuno ha tirato fuori il meglio di
sè, li abbiamo curati, forse meglio di come si faceva all'ospedale, con tanta
professionalità e nello stesso tempo tanta umanità. La malattia poteva
trasmettersi anche con un semplice contatto, ma molti fra gli obiettori non
esitavano neppure ad abbracciarli o stringerli la mano, affinchè non si
sentissero emarginati ancor di più. Sono rimasto molto stupito dal fatto che
molte volte è stato più facile trovare comprensione, solidarietà, infinita
sensibilità fra persone che non avevano molta confidenza nè con il Vangelo nè
con la chiesa che, invece fra persone che si proclamavano fervidi religiosi.
Concludo (vorrei parlare all'infinito di questa esperienza) la mia
testimonianza ringraziando in modo particolare i ragazzi che sono stati ospiti
del campo per avermi dato tanto, soprattutto la loro fiducia e la loro preziosissima
stima e per avermi fatto crescere e conoscermi ancora di più. Alcuni di questi
ragazzi sono ormai maggiorenni e sono
in giro per l'Italia, mentre gli
altri ancora minorenni sono stati da poco trasferiti alla casa famiglia
di Manfredonia(FG) Genoveffa De Troia, con i quali tutt'ora sono in contatto.
Non c'è soddisfazione più grande
di aver trovato molti veri amici da questa indimenticabile esperienza.
Non mi resta che esortarvi a fare,
se non l'avete già fatto, esperienze simili a queste,invece che svolgere il
servizio militare indossando una divisa ed imbracciare un fucile !!