Memoria difensiva del referendum elettorale maggioritario

 

1. Sull'ammissibilità dei referendum elettorali

2. Il contenuto della richiesta referendaria

3. La normativa di risulta e la sua immediata applicabilità, al fine di garantire la rinnovazione dell'organo elettivo

4. Chiarezza ed omogeneità del quesito

5. Sul presunto carattere manipolativo del quesito e la presunta inammissibilità di referendum manipolativi

6. Circa l'inesistenza di impedimenti e inconvenienti derivanti dalla applicazione della normativa di risulta

7. Circa altre critiche, obiezioni e contestazioni

8. Di alcune residue incongruenze grammaticali

Note

 

ECC.MA
CORTE COSTITUZIONALE
Camera di consiglio del 18.1.1999

Atto di costituzione e memoria illustrativa

per i signori prof. Augusto Barbera, ing. Giuseppe Calderisi, prof. Mariotto Segni, promotori e presentatori del referendum abrogativo di alcuni articoli del D.P.R. n. 361 del 1957, testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei Deputati, dichiarato legittimo con ordinanza dell'Ufficio centrale per il referendum del 1° dicembre 1998, rappresentati e difesi, come da delega in calce al presente atto, dagli Avv.ti Prof. Paolo Barile, Prof. Federico Sorrentino, Prof. Giovanni Motzo e Prof. Beniamino Caravita di Toritto, e presso gli ultimi due effettivamente domiciliati in Roma,

nel giudizio di ammissibilità

del referendum abrogativo di alcuni articoli del D.P.R. n. 361 del 1957, testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei Deputati, nel testo risultante dalle modificazioni ed integrazioni ad esso successivamente apportate, in particolare dalla legge 4 agosto 1993, n. 277 e dal d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 534, pubblicato in G.U n. 54 del 6 marzo 1998

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1. Sull'ammissibilità dei referendum elettorali

1.1. La sent. n. 47 del 1991 e l’esclusione di cause generali di inammissibilità.

L’ammissibilità in via di principio dei referendum in materia elettorale costituisce ormai un dato consolidato nell’opinione pubblica italiana e in quella sfera particolare di essa formata dagli studiosi di diritto costituzionale e della giurisprudenza costituzionale. La Corte costituzionale, infatti, già con la sentenza n. 47 del 1991, ha ammesso l’esperibilità di referendum in materia elettorale non solo sulla legislazione elettorale cd. "di contorno", bensì anche sul nucleo essenziale della legislazione stessa, vale a dire sulle clausole di trasformazione dei voti in seggi; sulla scorta di tale prima acquisizione la Corte ha poi successivamente ammesso il referendum abrogativo sul sistema elettorale del Senato e dei Consigli comunali rispettivamente con le sentenze nn. 32 e 33 del 1993; un nuovo referendum sul sistema elettorale dei Consigli comunali di Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (e conseguente applicazione del sistema elettorale previsto per i Comuni con meno di 15.000 abitanti) è stato infine dichiarato ammissibile con la sentenza n. 10 del 1995.

Per giungere alla conclusione positiva appena ricordata, la sentenza n. 47 del 1991 aveva utilizzato diversi ordini di argomenti, poi mai più contestati nella successiva giurisprudenza e da ritenersi ormai acquisiti e irretrattabili.

In primo luogo, la Corte costituzionale affermò di non poter "riscrivere alcun punto della Carta costituzionale, quale sancito nella votazione finale del 22 dicembre 1947. La Costituzione vale per ciò che risulta scritto in quel testo, promulgato dal Capo provvisorio dello Stato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale" e di dover far riferimento al testo vigente dell’art. 75.

In secondo luogo, la Corte sottolineò che l’esclusione delle leggi elettorali dalla procedura in Commissione, prevista dall'art. 72, u.c., Cost., non è argomento per sostenere la sottrazione di quelle stesse leggi al referendum di cui all’art. 75, comma 2, anche se talune di esse sono sottratte sia alla procedura in commissione, sia al referendum abrogativo.

In terzo luogo, non vi è nell’ordinamento un principio generale di esclusione dal referendum delle leggi elettorali, essendo tali leggi solo "costituzionalmente necessarie", e non anche "a contenuto costituzionalmente vincolato".

Vennero così respinti tutti quegli argomenti che tendevano a fare delle leggi elettorali una categoria di leggi particolari, non assoggettabili a referendum, in ragione della loro natura.

1.2. Le condizioni per l'ammissibilità dei referendum elettorali, dalla sent. n. 29 del 1987 sino alla sent. n. 26 del 1997.

Così posto un generale principio di ammissibilità, la giurisprudenza della Corte costituzionale pare ormai consolidata - dopo ben dodici referendum in materia elettorale e otto diverse sentenze - nel senso che "sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi elettorali relative ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice condizione che i quesiti siano omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell'organo" (sent. n. 32 del 1993): sin dalla sentenza n. 29 del 1987, relativa alla legge elettorale per il Consiglio Superiore della Magistratura, furono infatti affermati i principi della necessità di "una evidente finalità intrinseca del quesito abrogativo" e della "indefettibilità della dotazione di norme elettorali per gli organi la cui posizione elettiva è espressamente prevista dalla Costituzione".

Siffatti principi sono stati poi confermati nel 1995, con la sentenza n. 5, e nel 1997, con la sentenza n. 26, quando sono venuti in discussione referendum che chiedevano l'abrogazione della quota proporzionale delle leggi elettorali per la Camera e il Senato, senza lasciare però una normativa residua immediatamente applicabile e in grado di permettere l’elezione della Camera e del Senato, anche in assenza di intervento legislativo.

Nella sentenza n. 26 del 1997 codesta Ecc.ma Corte costituzionale, pur di fronte al tentativo teorico di distinguere tra pars destruens e pars construens nella disciplina del referendum abrogativo in materia elettorale, ha ancora esplicitamente ricordato "che i referendum abrogativi delle leggi elettorali degli organi costituzionali non devono paralizzare i meccanismi di rinnovazione, che sono strumento essenziale della loro necessaria, costante operatività. Sono invero ammissibili referendum abrogativi parziali di tali leggi, purché la normativa risultante dall'abrogazione, che si suole definire residua, sia immediatamente applicabile, consentendo la rinnovazione, in qualsiasi momento, dell'organo rappresentativo".

1.3. La dottrina e il principio del precedente nella giurisprudenza costituzionale in tema di referendum.

La dottrina ha ormai tratto da questa giurisprudenza la convinzione "che il giudice di costituzionalità tende a riportare anche le nuove questioni nell’alveo dei suoi precedenti orientamenti giurisprudenziali, evitando di battere strade affatto nuove e suscettibili di portarlo all'enunciazione di principi che possono troppo rigidamente vincolarne la libertà di manovra nel futuro ... Così facendo si può dire che essa abbia operato con saggezza, ragionando sulla base dei suoi precedenti..." (S. Bartole, Coerenza dei quesiti referendari e univocità della normativa di risulta, in "Giur.cost.", 1991, pp. 331 s.).

Sempre richiamando i precedenti, si è potuto dire della ricordata sentenza n. 5 del 1995 (relativa ai quesiti elettorali sulla Camera e sul Senato) che "la decisione ... era giuridicamente prevedibile" e che "se la Corte avesse deciso altrimenti... avrebbe negato i propri precedenti, dando così l'impressione - estremamente pericolosa per il proprio prestigio e la propria credibilità - di essere stata risucchiata nel gorgo della politica..."; e, ancora, che la decisione era "coerente con i precedenti giurisprudenziali, e dunque conforme alla natura più profonda della giustizia costituzionale" (A. Giorgis, Referendum elettorali: la Corte costituzionale ribadisce la propria giurisprudenza, in "Foro it.", 1995, 2075 ss.).

E, ancora più recentemente, si è potuto notare che "durante gli ultimi venti anni (o quasi), troppe volte è accaduto che l’organo della giustizia costituzionale abbia mutato i propri criteri di giudizio, finanche all'interno di ciascuna tornata referendaria; ed in varie occasioni si è verificato che i revirements giurisprudenziali non siano stati sorretti da robuste argomentazioni, per di più concentrate sulle peculiarità del solo caso da risolvere" (L. Paladin, Profili problematici della giurisprudenza costituzionale sull'ammissibilità dei referendum, negli Atti del Seminario organizzato dalla Corte costituzionale nei giorni 5 e 6 luglio 1996 su "Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo", Milano, Giuffré, 1998, p. 24).

I precedenti non costituiscono certo l’unico strumento con cui una Corte Suprema, giudice della costituzionalità, è chiamata ad operare; ma in un settore di quasi esclusiva formazione giurisprudenziale, quale è il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, non si intravedono ragioni per distaccarsi da una così corposa e significativa massa di precedenti, specie se la direzione volesse essere quella di un ulteriore allontanamento dal testo dell’art. 75 Cost. e di una limitazione dei diritti politici dei cittadini-promotori.

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Indice

2. Il contenuto della richiesta referendaria

Così definiti i principi dell’ammissibilità dei referendum in materia elettorale, è opportuno descrivere l’operazione referendaria oggi al giudizio della Corte, individuando il nucleo essenziale dell'abrogazione, definendo le abrogazioni consequenziali e quelle semplicemente finalizzate ad un’opera di pulizia del testo ed infine esaminando la normativa di risulta.

2.1. Le disposizioni generali della legge elettorale della Camera e la definizione del sistema elettorale adottato.

Il titolo I del testo unico contiene le "disposizioni generali". In particolare, l’art. 1 definisce la natura del sistema elettorale adottato per la Camera dei Deputati, quale sistema prevalentemente maggioritario in cui il settantacinque per cento dei seggi assegnati ad ogni circoscrizione è attribuito in altrettanti collegi uninominali al candidato che abbia ottenuto nel collegio il maggior numero di voti; il residuo quarto dei seggi, sempre su base circoscrizionale, "è attribuito in ragione proporzionale mediante riparto tra liste concorrenti" (art. 1, comma 4) e, in via alternativa, nel caso in cui ad una lista spettino più seggi di quanti siano i suoi candidati, tramite recupero dei candidati nei collegi uninominali, collegati alla lista, che abbiano ottenuto le migliori cifre individuali nei rispettivi collegi all’interno della circoscrizione (come prevede l’art. 84, comma 1, terzo periodo).

Sempre nel titolo 1, all’art. 4 si prevede che, all’uopo, l’elettore disponga di due voti.

Il primo voto serve "per l'elezione del candidato nel collegio uninominale" e viene espresso "su apposita scheda recante il cognome e il nome di ciascun candidato, accompagnati da uno o più contrassegni ai sensi dell'art. 18, comma I" (art. 4, comma 2, n. 1). Il secondo voto serve "per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale", venendo espresso "su di una diversa scheda recante il contrassegno e l'elenco dei candidati di ciascuna lista" (art. 4, comma 2, n. 2).

2.2. Le abrogazioni richieste nel titolo sulle "disposizioni generali".

Nel titolo I viene specificamente ed integralmente richiesta l’abrogazione proprio dell'art. 4, comma 2, numero 2), ai sensi del quale - come si è visto - ogni elettore dispone di "un voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su una diversa scheda recante il contrassegno e l’elenco dei candidati di ciascuna lista. Il numero dei candidati di ciascuna lista non può essere superiore ad un terzo dei seggi attribuiti in ragione proporzionale alla circoscrizione con arrotondamento alla unità superiore".

Sempre nel titolo I è altresì richiesta l’abrogazione delle altre disposizioni relative a quella distribuzione proporzionale del 25 % dei seggi effettuata con il secondo voto, di cui si è chiesta l’abrogazione. Sono così colpiti dalla richiesta il secondo periodo dell’art. 1, comma 2 ("La ripartizione dei seggi attribuiti secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84. si effettua in sede di Ufficio centrale nazionale") e un inciso nel comma 4 dello stesso articolo 1 (quello che prevede l’attribuzione "in ragione proporzionale mediante riparto tra liste concorrenti" del 25% dei seggi), nonché un altro inciso nell'art. 4, comma 2, numero 1), quello cioè che definisce il primo voto attribuito agli elettore quale voto "per l’elezione del candidato nel collegio uninominale", e ciò perché il voto dell'elettore (che rimarrebbe unico dopo l’abrogazione del secondo voto, attribuito ai sensi dell'art. 4, comma 2, n. 2) servirà sia ad eleggere il candidato nel collegio uninominale, sia a permettere l’individuazione degli eletti per l’altro venticinque per cento dei seggi (secondo un meccanismo che si illustrerà più avanti e che deriva dagli articoli 77 e 84).

2.3. Le abrogazioni consequenziali.

Il quesito propone poi ulteriori abrogazioni che hanno natura strettamente consequenziale rispetto a quelle operate nel titolo I della legge. Tanto vale in primo luogo per le richieste abrogative relative agli articoli 77, comma 1, n. 2, n. 4 e n. 5, 83, 84, comma 1.

Il numero 2 dell’art. 77 è relativo alla determinazione delle cifre elettorali di ogni lista (pari alla somma dei voti ottenuti dalla lista nella circoscrizione, detratto un numero di voti pari a quelli del candidato immediatamente successivo a quello eletto, collegato alla lista: cd. scorporo); il numero 4 del medesimo articolo è abrogato parzialmente. L'art. 83 sovrintende invece alla distribuzione tra le liste del 25 % dei seggi; mentre l’art. 84, comma 1, di cui si è chiesta l’abrogazione parziale, attiene all’individuazione dei candidati eletti sulla quota proporzionale.

All’abrogazione del voto di lista per il riparto proporzionale tra le liste concorrenti, non può non seguire l’abrogazione delle disposizioni relative al modo con cui i seggi sono distribuiti fra le liste, non più esistenti, in ragione del voto di lista, anch’esso non più esistente.

Chiaramente consequenziali sono poi le richieste abrogative degli articoli 18, commi 1 e 2; 18-bis; 19; 20, comma 5; 45, comma 8; 58, commi 1 e 2; 59; 68, commi 3, 3-bis e 7; 72, comma 2, 85 e 86, commi 4 e 5. Le abrogazioni richieste in tali previsioni sono tutte relative alle operazioni necessarie al collegamento dei candidati dei collegi uninominali con le liste concorrenti per il riparto proporzionale (espunte dall’art. 1, comma 4) ovvero necessarie per le candidature nella lista proporzionale o ancora relative alle modalità di voto o di computo dei voti in relazione al voto di lista ovvero alle opzioni o alla surroga.

Si tratta, secondo la formulazione utilizzata dalla sentenza n. 26 del 1997, di "disposizioni consequenziali, incluse a fini di completezza nella richiesta referendaria".

2.4. Le operazioni di cd. "cosmesi normativa".

Vi sono poi altri ritagli, che rappresentano una semplice "operazione di cosmesi normativa per ripulire il testo" (così si era espressa sempre la sentenza n. 26 del 1997, a proposito dei ritagli compiuti nei referendum sulle leggi elettorali della Camera e del Senato). Nel referendum in oggetto, ciò vale per tutti i casi in cui sono ritagliate le parole "lista" o "liste", da sole ovvero congiuntamente ad altre parole (1): così i frammenti abrogati negli artt. 14, comma I (in cui, per esemplificare, è chiesta l’abrogazione delle parole "o liste di candidati" e "o le liste medesime nelle singole circoscrizioni"), 14, comma 2 ("le loro liste con"), 14, comma 3 ("sia che si riferiscano a candidature nei collegi uninominali sia che si riferiscono a liste"); 16, comma 4 ("e delle liste"); 17, comma 1 ("e della lista dei candidati"); 20, commi 1, 2, 3, 5, 6, 7 e 8; 21, comma 2; 22, commi 1, 2 e 3. Ancora in questo senso vanno i frammenti abrogati (di cui si omette l’ulteriore citazione per esigenze di brevità) negli articoli 23, commi 1 e 2; 24, comma l; 25, commi 1 e 3; 26, comma l; 30, comma l; 31, commi 1 e 2; 40, comma 3; 41, commi 1 e 2; 42, commi 4 e 7; 48, comma l; 53, comma l; 67, comma l; 71, comma l; 72, comma 3; 73, comma 3; 74, commi 1 e 2; 75, comma l; 79, commi 5 e 6; 81, comma l; 84, comma 1; 86, comma 4 (2).

Proprio queste abrogazioni sono quelle che contribuiscono a rendere "più lungo" il quesito: ma non appaiono, allo stato della giurisprudenza, altrimenti evitabili.

2.5. La normativa di risulta, immediatamente applicabile, risultante dalle operazioni abrogative compiute dal quesito.

Oltre la già richiamata abrogazione dell'art. 83 e di parte dell'art. 77, si sono ricordate tra le abrogazioni consequenziali le abrogazioni parziali degli articoli 77, comma 4, 84, comma 1, e 86, comma 4.

Queste ultime operazioni abrogative sono strutturate in modo da rispettare l’esigenza, tradizionalmente posta dalla giurisprudenza costituzionale, che, in materia elettorale, il risultato del ritaglio referendario (oltre a possedere una "matrice razionalmente unitaria") lasci in piedi una normativa immediatamente applicabile, al fine di assicurare la "indefettibilità della dotazione di norme elettorali" e di non esporre l'organo, la cui composizione elettiva è imposta dalla Costituzione, "all’eventualità, anche solo teorica, di paralisi di funzionamento" (sent. 47 del 1991).

Da questi ultimi interventi abrogativi consegue, come si vedrà più compiutamente nel paragrafo seguente, un sistema immediatamente operativo, che permette l’elezione in ognuna delle circoscrizioni elettorali in cui è suddiviso il territorio nazionale (art. 1, comma 2), e sino a concorrenza dei seggi (vale a dire, alla differenza tra i seggi complessivamente attribuiti alla circoscrizione e quelli attribuiti, all’interno della medesima circoscrizione, nei collegi uninominali) (secondo la versione dell’art. 1, comma 4, come risultante dal ritaglio referendario), dei candidati che abbiano ottenuto nei collegi uninominali le migliori cifre elettorali individuali (ai sensi dall'art. 77, comma 1, numero 3, che non viene colpito, la cifra elettorale "viene determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti e dividendo il prodotto per il numero complessivo dei votanti nel collegio uninominale").

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3. La normativa di risulta e la sua immediata applicabilità,
al fine di garantire la rinnovazione dell'organo elettivo

Attualmente, la vigente legge elettorale della Camera attribuisce il 75 % dei seggi in altrettanti collegi uninominali, sulla base di un primo voto assegnato agli elettori. Nel collegio uninominale vince il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei voti (si tratta del cd. plurality system), senza che vi sia alcuna forma di recupero (tranne il meccanismo dello "scorporo" previsto dall’art. 77, comma 1, n. 2) dell’espressione di voto andata verso i candidati non risultati vincitori (come invece avviene nella legge elettorale del Senato).

Il residuo 25 % dei seggi viene attribuito attraverso un primo meccanismo di generale applicazione, un secondo meccanismo alternativo al primo e comunque integrativo e un terzo meccanismo di applicazione residuale e di chiusura.

Il primo meccanismo è quello basato sull'art. 4, comma 2, n. 2), e sull'art. 84, comma 1, primo e secondo periodo. Sono dunque eletti, nei limiti dei seggi spettanti ciascuna lista e secondo l’ordine progressivo di presentazione nella lista stessa, i candidati facenti parte di liste votate con il secondo voto di cui al n. 2 dell'art. 4. Il numero di seggi spettanti a ciascuna lista è determinato attraverso le operazioni di cui all'art. 83, vale a dire: calcolo della cifra nazionale di ciascuna lista; individuazione delle liste che abbiano conseguito almeno il 4% dei voti a livello nazionale; riparto dei seggi sulla base delle cifre nazionali di ciascuna lista; distribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi assegnati alle liste.

Il secondo meccanismo è previsto dal secondo periodo del comma 1 dell'art. 84, che prende le mosse dal fatto che ad una lista possono spettare più posti di quanti siano i candidati disponibili. Ciò non solo è ben possibile ed è frequentemente avvenuto (in 14 casi su 155 seggi nel 1994 e in 16 nel 1996), ma è previsto e voluto dalla stessa legge. Infatti, a differenza di quanto ordinariamente succede nelle elezioni basate su liste proporzionali, in cui le liste contengono tanti candidati quanti sono i posti disponibili, le liste "proporzionali" per la Camera sono "corte", non possono cioè contenere un numero di candidati superiore ad un terzo dei seggi "proporzionali" attribuiti a ciascuna circoscrizione (ma, al limite, possono essere formate da un solo candidato); ad una lista, tuttavia, potrebbe spettare più di un terzo di quei seggi (e, comunque, potendo un candidato essere presente sia in un collegio che in tre liste per il riparto proporzionale, i candidati delle liste possono essere già stati eletti in un collegio uninominale ovvero optare per un altra lista proporzionale).

Questa costruzione legislativa deriva dalla precisa volontà di permettere un recupero di candidati che si erano "scontrati" nei collegi, impedendo di creare una troppo forte rendita di posizione per i candidati nelle liste proporzionali (rimaste "bloccate" e senza voto di preferenza): liste "corte" nel proporzionale e recupero nella graduatoria delle migliori cifre individuali nei collegi erano sembrati un buon compromesso tra la posizione di chi voleva evitare lo scontro - attraverso il voto di preferenza - tra i candidati delle liste proporzionali e chi voleva impedire una eccessiva sclerotizzazione delle liste proporzionali stesse (3).

Ai sensi del secondo periodo del comma 1 dell’art. 84, il Presidente dell'Ufficio centrale circoscrizionale proclama eletti, "sino a concorrenza del numero dei seggi spettanti alla lista e seguendo l'ordine delle rispettive cifre individuali", i candidati contenuti nella graduatoria dei candidati nei collegi uninominali non proclamati eletti (4), disposti nell'ordine delle rispettive cifre individuali.

Qualora, infine, anche l'individuazione delle migliori cifre individuali nella graduatoria di lista interna ad una circoscrizione non abbia permesso di individuare tutti gli eletti di una data lista, entra in funzione la norma residuale e si procede "spostando" il seggio o i seggi di quella lista alle circoscrizioni dove essa abbia avuto i maggiori resti (secondo quanto prevede l’art. 83, comma 1, n. 4, ultimo periodo).

Ora, con l’auspicata abrogazione dell’art. 4, comma 2, n. 2), e dell’intero art. 83, relativo al calcolo delle cifre delle liste ed alla distribuzione tra esse liste dei seggi, la attribuzione del residuo venticinque per cento dei seggi sarà governata dai "nuovi" articoli 77 e 84, ai sensi dei quali:

Art. 77

"1. L’Ufficio centrale circoscrizionale, compiute le operazioni di cui all’art. 76, facendosi assistere, ove lo ritenga opportuno, da uno o più esperti scelti dal Presidente:

1) proclama eletto, in ciascun collegio uninominale, in conformità ai risultati accertati, il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi;

[...]

3) determina, ai fini di cui all’art. 84, la cifra individuale di ciascun candidato presentatosi in uno dei collegi uninominali della circoscrizione e non proclamato eletto ai sensi del numero 1) del presente comma. Tale cifra viene determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti e dividendo il prodotto per il numero complessivo dei votanti nel collegio uninominale;

4) determina la graduatoria dei candidati nei collegi non proclamati eletti [...], disponendoli nell’ordine delle rispettive cifre individuali. A parità di cifre individuali prevale il più anziano di età. [...]

[...]

Art. 84

"1. [...] Il Presidente dell’Ufficio centrale circoscrizionale proclama eletti, sino a concorrenza del numero dei seggi [...] e seguendo l’ordine delle rispettive cifre individuali, i candidati della graduatoria di cui all’art. 77, comma 1, numero 4) [...]

2. Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’Ufficio centrale circoscrizionale invia attestato ai deputati proclamati e ne dà immediata notizia alla Segreteria generale della Camera dei deputati nonché alle singole prefetture, che la portano a conoscenza del pubblico".

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La concatenazione grammaticale e logica delle disposizioni risultanti dal ritaglio impedisce ogni e qualsiasi dubbio interpretativo: ne risulta così un sistema perfettamente ed immediatamente applicabile.

Concretamente, se ad una circoscrizione sono attribuiti sedici seggi, da assegnarsi sulla base di dodici collegi uninominali, dodici seggi (pari al 75%) saranno assegnati ai vincitori nei collegi uninominali, mentre i residui quattro seggi (pari al 25%) saranno assegnati ai quattro candidati che nei medesimi collegi uninominali della circoscrizione avranno ottenuto le quattro migliori cifre individuali, calcolate ai sensi dell'art. 77, comma 1, numero 3).

Come si può notare, l’assegnazione dei seggi avviene su base circoscrizionale: cadono così tutte quelle censure, giornalistiche e politiche, basate sull’erroneo convincimento che, avvenendo la distribuzione dei seggi su base nazionale, la circoscrizione sarebbe diventata un inutile orpello.

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4. Chiarezza ed omogeneità del quesito

4.1. Chiarezza ed omogeneità nella giurisprudenza della Corte.

Sin dalla sentenza n.16 del 1978, con cui codesta Corte ha considerato inammissibili quelle richieste formulate in modo da sottoporre al corpo votante "una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria" da non essere riconducibili alla logica dell'art.75 Cost., è apparso chiaro che le disposizioni sulle quali il referendum è richiesto devono essere ispirate ad un "principio comune" che conferisca alla materia un connotato di sostanziale unitarietà (si vedano, pur con diverse sfumature, le sentt. 22, 24, 25 e 26 del 1981).

Subito dopo, già con la sent. n. 27 del 1981, al requisito dell’omogeneità si è aggiunto quello della "semplicità, chiarezza, non contraddittorietà", nel senso della complessiva "coerenza" che deve guidare i promotori nella individuazione dell’ "insieme delle mutilazioni" richieste.

L’ "imprescindibile esigenza di chiarezza" (v. sent. n.47 del 1991), collegata alla necessità di evitare gravi irresolutezze nel corpo votante a causa della disomogenea formulazione del quesito (così sent. n. 16 del 1978), richiede che la domanda posta sia "inconfondibile" (sent. n. 28 del 1981), che debba "incorporare l'evidenza del fine intrinseco dell'atto abrogativo" e quindi la puntuale ratio che lo ispira (sent. n. 29 del 1987), facendo sì che le norme sulle quali si richieda l'abrogazione siano caratterizzate da "una matrice razionalmente unitaria" (sent. n.25 del 1981), da "un comune principio la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla richiesta del corpo elettorale" (sent. n. 28 del 1981, confermata dalle più recenti sentt. n. 64 e 65 del 1990).

"Il quesito referendario - ha affermato la Corte nella sent. n. 47 del 1991 - deve ‘incorporare l'evidenza del fine intrinseco all'atto abrogativo’, cioè la puntuale ratio che lo ispira (sentenza n. 29 del 1987), nel senso che dalle norme proposte per l’abrogazione sia dato trarre con evidenza una ‘matrice razionalmente unitaria’ (sentenze n. 16 del 1978; n. 25 del 1981), ‘un criterio ispiratore fondamentale comune’ o ‘un comune principio, la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale’ (sentenze n. 22, n. 26, n. 28 del 1981; n. 63, n. 64, n. 65 del 1990)". E ancora "univocità ed omogeneità del quesito si presentano come funzioni alla imprescindibile chiarezza dell'operazione referendaria, venendole a conferire, rispettivamente, chiarezza nella finalità unidirezionale e chiarezza nella struttura del quesito".

La Corte costituzionale ha così utilizzato il criterio della "trasparenza" o "chiarezza dell'intera operazione referendaria": tale chiarezza complessiva deve essere valutata, non già sulla base di eventuali "mancate inclusioni di porzioni normative anche brevissime", bensì con riferimento all’obiettivo che i promotori si prefiggono, come contenuto nel"le disposizioni oggetto del referendum, obiettivamente considerate nella loro struttura e finalità" (così sent. n. 30 del 1993).

La Corte, infine, ha fissato le caratteristiche di questi principi nella sentenza n. 16 del 1997. Infatti, "quando il quesito prende in considerazione... una pluralità di disposizioni, occorre ricercare se le norme medesime, obiettivamente considerate nella loro struttura e nelle loro finalità, presentino un comune principio, la cui eliminazione dall’ordinamento attraverso l’abrogazione referendaria, o la cui permanenza in alternativa, verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al quesito medesimo. ... nelle consultazioni referendarie, in cui non è concepibile una risposta articolata, la nettezza della scelta postula la nettezza del quesito, così da presupporre, in ipotesi di una pluralità di disposizioni attinte, l’esistenza di un inscindibile nesso di interrelazioni logiche tra le norme coinvolte, di spessore tale da rendere il quesito unico nella sua evidenza e nella correlativa ragion d’essere e quindi strutturalmente idoneo a consentire al corpo elettorale di esprimere una risposta unica."

Nello stesso senso si muove anche la sent. n. 31 del 1997, punto 4 "in diritto", in cui si afferma l’esistenza - nel quesito esaminato - di un "omogeneo principio abrogando", attraverso il quale si delinea, pur negli articolati interventi abrogativi richiesti, la "completezza del quesito referendario".

La chiarezza e l’omogeneità del quesito non dipendono dunque - nonostante qualche polemica giornalistica di questi ultimi giorni - dalla lunghezza del quesito e dalla sua immediata apprensibilità alla lettura delle operazioni abrogative.

Se proprio dovesse tenersi conto, al fine dell’ammissibilità, anche della intellegibilità del quesito, questa comunque andrebbe valutata non già leggendo le richieste abrogative, bensì esaminando il testo della legge, come risultante dalle incisioni referendarie.

In ogni caso, il fine della immediata apprensione del contenuto è garantito dalla previsione dell'ultimo comma dell'art. 32 della legge n. 352 del 1970, come introdotto dall'art. 1 della legge 17 maggio 1995, secondo cui l’Ufficio centrale per il referendum stabilisce, "sentiti i promotori", la denominazione del quesito referendario.

All’uopo l’Ufficio centrale ha già provveduto stabilendo come titolo del referendum: "Elezione della Camera dei deputati: Abolizione del voto di lista per l'attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi".

4.2. La ratio unitaria del quesito abrogativo sottoposto al giudizio di ammissibilità.

Così definito l’oggetto e verificata l’esistenza di una normativa applicabile, ricordati i principi posti dalla Corte sulla chiarezza ed omogeneità del quesito, appare evidente che il "nucleo essenziale" (così si esprime la sentenza n. 26 del 1997), il "cuore" per così dire, del quesito abrogativo ovvero la domanda inconfondibile (sent. 47 del 1991) o la domanda alternativa (sent. n. 40 del 1997), di fronte alla quale sono posti gli elettori, consiste proprio nella eliminazione dalla legge del voto di lista per l’attribuzione dei seggi alle liste di partito in ragione proporzionale e degli istituti ad esso inscindibilmente collegati e preordinati (collegamento, scorporo, meccanismi di calcolo dei voti di lista e di assegnazione dei seggi alle liste).

Come già nel caso delle sentenze nn. 26 del 1997 e 5 del 1995, il quesito è dotato delle necessarie qualità della chiarezza, univocità ed omogeneità, in quanto risponde ad una matrice razionalmente unitaria.

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5. Sul presunto carattere manipolativo del quesito
e la presunta inammissibilità dei referendum manipolativi

5. 1. Sulle presunte conseguenze di una recente sentenza della Corte.

Si è talvolta affacciata - invero, più in sede giornalistica e politica, che da parte della dottrina, che anzi ha nella sua quasi totalità rigettato il presunto argomento di inammissibilità che verrà qui di seguito confutato - una ragione di inammissibilità del quesito in oggetto basata sulla sua presunta manipolatività e l’inaccettabilità costituzionale di referendum così concepiti.

A tale conclusione si dovrebbe giungere, sempre secondo il citato orientamento, non tanto e non solo sulla base di una generale inammissibilità dei referendum cd. manipolativi, pacificamente ammessi dalla costante giurisprudenza della Corte (v. da ultimo sent. 31 del 1997) ed anzi prescritti in materia elettorale, quanto a seguito di una recente decisione della Corte che avrebbe posto alcuni limiti all’uso della manipolazione abrogativa referendaria.

E, infatti, nella sentenza n. 36 del 1997 la Corte ritenne l’inammissibilità di un quesito in ragione del fatto che "nella struttura del quesito" si poteva individuare, "accanto al profilo di soppressione di mere locuzioni verbali, peraltro inespressivo di qualsiasi significato normativa", il "profilo di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa, non derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative, ma costruita attraverso la saldatura di frammenti lessicali eterogenei" : si fuoriesce, così, "dallo schema tipo dell'abrogazione parziale, ... perché non si propone tanto al corpo elettorale una sottrazione di contenuto normativo, ma si propone piuttosto una nuova norma direttamente costruita".

Questa obiezione merita un duplice livello di risposta.

5.2. Circa il modo di formulazione dei quesiti in materia elettorale.

Con grande precisione e nitidezza, da cui sembra assai difficile potersi oggi distaccare, la Corte espresse nel 1993 (sent. n. 32) il principio secondo cui, quando siano rispettate le condizioni della matrice razionalmente unitaria e della normativa residua applicabile, "è di per sé irrilevante il modo di formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della legge prive di autonomo significato normativo, se l’uso di questa tecnica è imposto dall'esigenza di ‘chiarezza, univocità e omogeneità del quesito’ e di ‘una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative’, sì da consentire agli elettori l’espressione di un voto consapevole".

Il principio è stato confermato dalla sentenza n. 5 del 1995, secondo cui "l’esigenza di adoperare una tecnica di particolare puntualità e precisione nella formulazione del quesito, oltre a rispondere ... al fine - comune ad ogni tipo di richiesta referendaria - di assicurare la consapevolezza del voto, assume poi, per i referendum concernenti le leggi elettorali degli organi costituzionali (o di rilevanza costituzionale), un ulteriore e specifico rilievo, in quanto, in questo caso, sussiste la necessità di soddisfare la seconda, autonoma ed indispensabile condizione [della coerente normativa residua, immediatamente applicabile]...".

Egualmente, nella sentenza n. 10 del 1995, l’ammissibilità del referendum parziale sulla legge elettorale comunale si basò su di un ritaglio che determinava "l'unificazione nella disciplina delle modalità elettorali comunali, con l'estensione a tutti i comuni del sistema attualmente previsto per i comuni sino a 15.000 abitanti".

Non è necessario in questa sede affrontare il delicato problema teorico se lo statuto "manipolatività-autoapplicatività" riguardi tutte le leggi costituzionalmente obbligatorie ovvero le sole leggi elettorali; fatto sta che "se bisogna arrivare ad una legislazione di risulta immediatamente applicabile e se bisogna partire da una legislazione vigente che può avere la più diversa e complicata struttura, è chiaro che un minimo di elaboratezza è dato per scontato, come è data per scontata la manipolatività dell’intervento" (S. Bartole, Atti del Seminario di Ferrara su "Elettori legislatori? Il problema dell’ammissibilità del quesito referendario elettorale", a cura di R. Bin, dattiloscritto, p. 10).

Insomma, se mai si dovesse parlare di "statuto speciale" dei referendum in materia elettorale, questo allora si limiterebbe a consistere nel fatto che per tali referendum è necessario il ricorso ad "una attenta opera di ritaglio del testo normativo" (sent. n. 5 del 1995), ovvero al "bisturi del chirurgo", "il referendum non potendo non essere che parzialmente ablativo" (S.Bartole, Coerenza, cit., 334).

5.3. Circa la natura del quesito referendario in oggetto quale quesito che permette l’estensione di norme preesistenti.

La sentenza n. 36 del 1997 ha dichiarato inammissibile un quesito che mirava alla "sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa, non derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative, ma costruita attraverso la saldatura di frammenti lessicali eterogenei"; in particolare, ha ritenuto che si fuoriesca "dallo schema tipo dell’abrogazione parziale" quando "non si propone ... al corpo elettorale una sottrazione di contenuto normativo"

Questo criterio non appare invero saldamente consolidato nella giurisprudenza, né generalmente accettato in dottrina.

In ogni caso, proprio alla luce del criterio accolto dalla sentenza n. 36 del 1997 non è possibile dubitare dell'ammissibilità del quesito in oggetto che, come si è visto, si limita a sottrarre dalla legge elettorale della Camera un contenuto normativo in essa esistente, abrogando voto di lista e conseguente riparto proporzionale - quale primo criterio di attribuzione del 25% dei seggi non assegnati direttamente nei collegi uninominali, e a permettere così l’espansione del criterio alternativo, basato sul recupero dei candidati nei collegi uninominali, collegati alle liste, che abbiano le migliori cifre elettorali individuali.

Con l’ablazione referendaria non si fa altro che abrogare il primo meccanismo, lasciando in piedi il secondo, che pertanto diviene norma generale per la copertura del 25% dei seggi: la norma relativa al secondo meccanismo si espande così fisiologicamente per colmare il vuoto lasciato da quella relativa al primo. Il fatto poi che dopo l’ablazione referendaria si recuperino i candidati che abbiano la migliore cifra elettorale individuale nella circoscrizione, e non più quelli - sempre in ragione della migliore cifra elettorale - collegati alle liste nella circoscrizione, non può far sollevare dubbi sul quesito. La caduta del criterio di copertura del 25 % di seggi basato sul collegamento con le liste deriva necessariamente dall’abrogazione del voto di lista e, conseguentemente, delle liste che si presentano per il riparto dei seggi. Non vi è dunque produzione di nuove norme mediante operazioni di ritaglio o di "saldatura tra due elementi lessicali appartenenti a due norme completamente diverse", ma espansione - a seguito di sottrazione di contenuto normativo presente nella legge - di una norma già esistente, volta a consentire - prima come dopo l'abrogazione - l’attribuzione del 25 % dei seggi non assegnato direttamente nei collegi uninominali.

In altre parole l’operazione abrogativa qui richiesta, pur elaborata, si colloca ben a valle del limite di ammissibilità individuato dalla Corte nella sentenza n. 36 del 1997, non trattandosi di costruire artificiosamente disposizioni nuove attraverso "elementi lessicali" arbitrariamente ricavati da disposizioni eterogenee, ma di consentire, attraverso il prescritto ‘ritaglio’, l’espansione di un principio normativo già presente nella legge.

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Si noti infine che l’effetto espansivo è, nel quesito che ci occupa, molto più limitato di quanto avvenne con il quesito dichiarato ammissibile con la sentenza n. 32 del 1993. Lì, infatti, con l’abrogazione del tetto del 65 % dei voti nel collegio si elevava a criterio generale un caso affatto eccezionale, intervenendo sulla struttura di tutto il sistema elettorale, trasformato da proporzionale (salvo una o due eccezioni) in prevalentemente maggioritario; qui l’intervento riguarda solo il 25 % dei seggi, estendendo un criterio di attribuzione dei seggi già presente nella legge, senza nemmeno modificare la natura complessiva della legge elettorale, che rimane maggioritaria pura solo per il 75 % dei seggi, consistendo l'intervento in una diversa modalità di attribuzione del 25% dei seggi, che da una distribuzione proporzionale basata sul voto di lista diviene basata sul recupero dei candidati presentatisi nei collegi uninominali e non vincitori, secondo le migliori cifre individuali ottenute.

5.4. Circa l'ammissibilità in via generale dei referendum manipolativi.

Le considerazioni che precedono rendono quindi in questa sede superflua la discussione del più ampio problema, che ha diviso recentemente la dottrina, circa l’ammissibilità dei referendum cd. manipolativi: riconosciuta, come si è detto, ripetutamente dalla Corte costituzionale (v. da ultimo le sentt. nn. 22, 25, 31 e 41 del 1997, in cui sono stati dichiarati ammissibili quesiti palesemente manipolativi) ed anzi prescritta in materia elettorale, sempre che, come si è chiarito, l’intervento abrogativo si collochi al di sotto dei limiti estremi stigmatizzati nella sent. n. 36 del 1997.

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6. Circa l'inesistenza di impedimenti e inconvenienti
derivanti dalla applicazione della normativa di risulta

6.1. La giurisprudenza del 1993 sugli "inconvenienti" della normativa di risulta.

Nel 1993, con la sentenza n. 32, la Corte affermò di non nascondersi "che la normativa di risulta può dar luogo ad inconvenienti, ad esempio per ciò che riguarda, da un lato, la diseguale proporzione in cui l’uno e l’altro sistema di elezione sarebbero destinati ad operare nelle singole regioni, dall'altro - fermi restando gli articoli 9, comma 2, e 28, 1. n. 29 del 1948 - gli effetti che il passaggio al sistema maggioritario semplice determina in caso di ricorso alle elezioni suppletive, secondo la legge 14 febbraio 1987, n. 31, al fine di ricoprire i seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, e in particolare per effetto di eventuali opzioni effettuate da candidati eletti in più collegi o eletti contemporaneamente al Senato e alla Camera dei deputati. Ma questi aspetti non incidono sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell'organo, e pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta di referendum. Nei limiti del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare (sent. 468 del 1990), il legislatore potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua".

Nella coeva sentenza n. 33, relativa al sistema elettorale comunale, la Corte ugualmente ricordò che "le difficoltà, peraltro di natura meramente operativa, che dovessero delinearsi in sede di applicazione della disciplina di risulta - non venendo ad incidere su aspetti essenziali del sistema elettorale - potrebbero, in ogni caso, essere ovviate mediante interventi successivi del legislatore ordinario, che, pur dopo l'accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata".

Come la stessa Corte ebbe a rilevare, nel caso del referendum sulla legge elettorale del Senato del 1993, gli "inconvenienti" che derivavano dalla soppressione della quota del 65% per l'elezione nei collegi uninominali del Senato erano rilevanti, tali in realtà da obbligare il legislatore ad intervenire, al fine di evitare possibili conseguenze incostituzionali (basti ricordare che sarebbero risultati collegi di circa 700.000 abitanti e collegi di 60-70.000 abitanti, con un clamoroso effetto di gerrymandering ed una palese violazione del principio di eguaglianza; ovvero che sarebbe stata assolutamente sproporzionata la distribuzione, Regione per Regione, dei seggi proporzionali e di quelli uninominali, per cui alcune Regioni non avrebbero avuto seggi proporzionali, mentre altre avrebbero avuto una distribuzione quasi paritaria tra seggi proporzionali e seggi maggioritari; incongrua diventava la disciplina delle elezioni suppletive, mancando strumenti per la surroga degli eletti nei collegi, dimissionari o deceduti). Ciò nonostante la Corte si limitò a parlare di "inconvenienti", invitando il legislatore all'intervento correttivo e non ritenne che siffatti problemi assumessero il rango di "impedimenti".

6.2. Circa l’inesistenza di impedimenti e inconvenienti nel quesito de quo.

Ebbene, alla luce di questa giurisprudenza e dell’analisi sin qui condotta del quesito referendario è giocoforza concludere che nella normativa di risulta non vi sono né impedimenti, né inconvenienti del tipo di quelli ricordati nella sent. n. 32 del 1993.

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7. Circa altre critiche, obiezioni e contestazioni

Nella ricerca di un qualche motivo di inammissibilità di un quesito referendario che risponde perfettamente ai requisiti posti dalla giurisprudenza costituzionale in materia, il dibattito politico e giornalistico ha avanzato critiche, obiezioni, contestazioni che si muovono su terreni affatto diversi da quello del giudizio di ammissibilità, scivolando da valutazioni di presunta incostituzionalità fino ad argomenti di indesiderabilità o non condivisibilità delle soluzioni che emergono dal quesito referendario.

Ora, non può non essere ribadita la posizione tradizionalmente assunta dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui non possono entrare in questa fase di giudizio non solo le valutazioni di merito circa le soluzioni risultanti dal referendum, ma nemmeno la valutazione di esiti eventualmente incostituzionali. Su quest’ultimo profilo si tratta di una giurisprudenza assolutamente consolidata (v. sentt. nn. 10 del 1972, 251 del 1975, 16 del 1978, 24 e 26 del 1981, 26 del 1987, 63 del 1990, 5 del 1995), che non è stata scalfita nemmeno dalla tornata della giurisprudenza del 1997.

Cionondimeno, questa difesa si fa carico di rispondere alle obiezioni che sono state avanzate, ritenendo che esse non colgono nel segno, né sotto il profilo costituzionale, né sotto un (se mai potesse ritenersi ammissibile) profilo di merito.

7.1. Circa il presunto carattere "stravagante" della normativa di risulta e la presunta casualità del risultato per quanto attiene l’attribuzione del 25 per cento dei seggi; nonché circa la presunta mancata coerenza con il principio maggioritario.

Si è così detto che sarebbe "strambo" e "stravagante" un sistema che permette l’elezione di due (o più) (5) deputati nel medesimo collegio; che l’elezione dei deputati secondo il criterio del 25% sarebbe casuale; che vi sarebbe una incongruenza tra la volontà di far espandere il principio maggioritario con la conseguenza di eleggere deputati coloro che nei collegi non hanno vinto.

Ora, la normativa di risulta, non essendo oggetto, ma conseguenza del voto popolare, ben può subire interventi riformatori del legislatore parlamentare che pongano rimedio ad eventuali inconvenienti o modifichino altri aspetti (ad esempio, il legislatore ben potrebbe far corrispondere il numero dei collegi al numero dei seggi, ridisegnando i primi; ciò posto, va ribadito che il sistema che consegue alla normativa di risulta non ha in sé nulla di incoerente, stravagante, contraddittorio.

Così, che esistano collegi in cui sono eletti più parlamentari è evenienza che non può né deve stupire né lo storico, né il costituzionalista, né il politico.

Come ricorda Fisichella (Elezioni e democrazia, Bologna, Il Mulino, 1982, pp. 227 ss.), in Inghilterra, "dalle origini del Parlamento fino al 1885 la più gran parte delle circoscrizioni eleggeva due rappresentanti" e ancora nelle elezioni del 1880 si avevano 67 collegi binominali.

Nell’esperienza del Senato italiano, sia prima, sia dopo la riforma maggioritaria, è assolutamente normale l’evenienza di collegi che hanno più di un eletto. In realtà, nel sistema del Senato, in ragione del fatto il recupero del candidato presentatosi nel collegio senatoriale segue un criterio di collegamento di gruppi di candidati, è ben possibile che da un collegio provengano il vincitore di quel collegio, in quanto risultato direttamente eletto, e poi il candidato che, nel collegio, secondo la cifra individuale, risulti quarto o quinto o addirittura sesto; ciò avviene perché la legge elettorale del Senato attribuisce eletti alle liste, traendoli dai candidati nei collegi: così il miglior candidato della lista A nella circoscrizione regionale ben può avere una cifra elettorale individuale che lo colloca al quarto o al quinto o al sesto posto della graduatoria delle cifre elettorali individuali nel collegio di provenienza. Per la stessa ragione - vale a dire, per il meccanismo adottato dalla legge del Senato di assegnazione degli eletti ai diversi raggruppamenti e successiva ricerca delle migliore cifre elettorali, raggruppamento per raggruppamento, all’interno della circoscrizione regionale - qualche collegio senatoriale riesce ad eleggere due, tre o addirittura quattro senatori.

Di converso, non vi è nulla di casuale nell’elezione dei candidati aventi la migliore cifra elettorale individuale della circoscrizione: si ricorre comunque ad un criterio che fa leva sull’espressione del voto, premiando coloro che nei collegi hanno ottenuto i maggiori consensi (l’applicazione simulata del sistema frutto del referendum alle elezioni del 1996 avrebbe condotto all’elezione di candidati che nei collegi avevano riportato cifre individuali molto elevate: su 155 eletti, ben 118 sarebbero stato scelti tra coloro che avevano cifre elettorali superiori al 35% e 61 oltre il 40%).

Né viene in alcun modo intaccato il principio maggioritario: il cittadino esprime un voto e con quel voto elegge il suo rappresentante; poiché è necessario distribuire, circoscrizione per circoscrizione, altri 155 seggi, si utilizza sempre quel voto e il consenso espresso attraverso di esso per individuare gli altri candidati eletti.

La verità è che al temperamento proporzionale del principio maggioritario contenuto nella attuale legge elettorale, e attraverso il quale il maggioritario è corretto, subentra un diverso criterio di temperamento, più rispondente e più congruo alla logica del maggioritario.

Il sistema che emerge dal risultato referendario, per quanto possa essere corretto, perfezionato o, al limite, sostituito dal legislatore, sempre nel rispetto del principio posto dalla sent. n. 32 del 1993, può funzionare assai bene: interviene, infatti, sulla natura ibrida di un sistema in parte maggioritario, in parte proporzionale, eliminando quella duplice competizione tra candidati nei collegi e liste proporzionali delle circoscrizioni, colpevole di una dissociazione della logica di funzionamento della legge elettorale della Camera (6); produce comunque una maggiore bipolarizzazione del sistema; prevedendo la possibilità che vi siano un certo numero di collegi binominali (7), riduce il numero dei collegi uninominali non interessanti, perché "persi in partenza" e aumenta il livello di competizione (e, quindi, di partecipazione!) politica del sistema; infine, pur sempre attraverso una logica di tipo maggioritario, giacché basata sul consenso raccolto dal candidato, tempera quell’aspetto di esclusione delle minoranze tipico dei sistemi basati sul "the first past the post". La logica e la matematica vogliono infatti che, mentre nelle circoscrizioni politicamente equilibrate si avrà una distribuzione dei seggi del 25% tendenzialmente omogenea con la distribuzione dei seggi uninominali, nelle circoscrizioni politicamente monocolore il recupero dei candidati con una migliore cifra elettorale condurrà ad una rappresentanza della minoranza.

Insomma, il legislatore ben potrà modificare la normativa di risulta, nei limiti dalla sent. n. 32 del 1993; in ogni caso, il sistema che ne deriva non solo non ha né impedimenti, né inconvenienti, ma funziona bene.

7.2. Sulla questione della surroga dei seggi vacanti

La perfetta applicabilità della normativa di risulta emerge anche dal fatto che esiste un criterio - a differenza di quanto avveniva nel quesito del 1993 - per attribuire i seggi resisi a qualsiasi titolo vacanti (ai sensi dell’art. 86).

Infatti, nel caso che si sia reso vacante un seggio attribuito direttamente nel collegio uninominale, si procederà all’elezione suppletiva.

Nel caso, invece, che sia vacante un seggio attribuito sulla base del 25% residuo, il seggio è attribuito al candidato che segue immediatamente l’ultimo degli eletti nella graduatoria di cui all’art. 77.

Si è così potuto obiettare che è illogico che possa talvolta accadere che venga recuperato un candidato appartenente ad uno schieramento diverso od opposto a quello del deputato surrogato.

Ricordato ancora una volta che la normativa di risulta ha la funzione di permettere l’elezione dell’organo, così come richiesto dalla giurisprudenza della Corte, rispetto a questa obiezione vale la pena di sottolineare che:

a) l’obiezione attiene a profili di merito e di preferibilità dell’una o dell’altra soluzione, che non possono avere ingresso in questa sede;

b) i criteri di surroga rispettano normalmente i criteri di elezione; in questo caso, la surroga avviene con la stessa logica (ricerca del candidato nei collegi della circoscrizione aventi il maggior consenso elettorale) con cui avviene l’attribuzione del seggio; l’obiezione rispecchia dunque una logica di elezione per liste di partito, non più esistente nella legge dopo il ritaglio referendario;

c) nella legge elettorale del Senato attualmente vigente egualmente può verificarsi il ricorso a candidati di altri gruppi, nel caso di esaurimento dei candidati appartenenti al gruppo del Senatore da surrogare;

d) a voler tutto concedere, si tratta di un inconveniente, sul quale ben potrà intervenire il legislatore, dettando un diverso criterio di surroga; sicuramente non è impedita la funzionalità del sistema elettorale, giacché l’inconveniente derivante dalle modalità di surroga - sempre che si tratti di inconveniente - riguarda non già l’elezione, bensì un momento successivo ad essa.

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8. Di alcune residue incongruenze grammaticali

In alcuni casi, nel testo rimangono alcune formule rivolte al plurale: si parla di schede, di urne o di cassette, quando in realtà si dovrebbe far riferimento a scheda, urna o cassetta.

Così, ad esempio, nel testo dell’art. 58, comma 1, si legge che "il Presidente stacca il tagliando dal certificato elettorale comprovante l'esercizio del diritto di voto, da conservarsi in un apposito plico, estrae dalle [rispettive] cassette o scatole una scheda [per l'elezione del candidato del collegio uninominale e una scheda per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale] e le consegna all'elettore opportunamente piegate insieme alla matita copiativa". Il ritaglio riguarda le parole inserite tra parentesi quadra, cosicché rimane in piedi un inciso in cui si prevede che (il Presidente) "le consegna", inciso che si riferisce non più a due, bensì ad una scheda. Egualmente nel comma 2 del medesimo art. 58 vi è un riferimento al fatto che "l’elettore deve poi piegare le schede......"

A questo proposito, così come relativamente ad altre situazioni in cui fossero eventualmente rimasti nel testo riferimenti al plurale a schede, ovvero urne o cassette, et similia, vale ricordare come la Corte abbia drasticamente escluso l’influenza sull’ammissibilità di siffatte "mere imperfezioni" già nella sentenza n. 47 del 1991, relativa all'abrogazione delle disposizioni relative alla possibilità di esprimere preferenze plurime. Si trattava, in quell’occasione di dubbi interpretativi sicuramente forzati, ma in qualche modo più gravi di quelli qui evidenziati.

A superare ogni dubbio in proposito sull’incidenza di un residuo plurale in luogo del necessario singolare (quando - come nella specie - non ne derivi alcun dubbio interpretativo) vale definitivamente quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 63 del 1990, secondo cui nonostante "la plausibilità di qualche rilievo critico", "alcune imperfezioni risultano inevitabili ... e sono comuni, peraltro, ... agli ordinari procedimenti di normazione".

Si è voluto così vedere un paradossale motivo di inammissibilità nella permanenza, nell’art. 32, n. 8, della indicazione di "due urne" fra il materiale che deve essere consegnato alla sezione elettorale. Si è infatti tentato di ipotizzare che le due urne potrebbero essere usate dal Presidente della sezione elettorale al fine di distribuire le schede tra le due urne in modo di poter riconoscere i voti, violando così la segretezza del voto stesso.

Ora, tenendo fermo l’insegnamento della Corte reso nella sent. n. 47 del 1991, che stigmatizzò "interpretazioni normative troppo sottilmente prospettate, in contrapposto alla più piana interpretazione avanzata dai promotori della richiesta referendaria", è evidente che non sono ammissibili interpretazioni che permettano un uso illegittimo delle due urne. Poiché i principi della libertà e segretezza del voto, della parità di accesso alle cariche pubbliche, del buon andamento della p.a., sono direttamente espressi a livello costituzionale, è di tutta evidenza come la normativa superstite non possa essere interpretata come autorizzante interventi in sede applicativa che attentino alla segretezza del voto e, quindi, alla sua libertà. Onde - se mai possa esservi confusione sull’utilizzo delle due urne (8)- sarebbe sufficiente una circolare ministeriale a segnalare - nel rispetto dei richiamati principi costituzionali - le modalità di uso delle due urne.

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Per la quinta volta in meno di un decennio più di cinquentomila cittadini ed elettori hanno posto, attraverso lo strumento referendario, la questione del superamento delle strutture proporzionalistiche delle leggi elettorali. Al di là di ogni considerazione sulle vicende istituzionali che hanno accompagnato nell’ultimo decennio il tentativo di mettere sull’agenda politica la richiesta del superamento delle leggi elettorali proporzionali, questa difesa ritiene di aver dimostrato come non vi siano ragioni per non permettere che, ai sensi dell’art. 75 Cost., si eserciti il diritto costituzionalmente garantito ai cittadini di esprimere liberamente il loro voto sul quesito referendario.

P.Q.M.

I sottoscritti avv. prof. Paolo Barile, prof. Beniamino Caravita di Toritto, prof. Giovanni Motzo, prof. Federico Sorrentino insistono affinché la richiesta di referendum abrogativo di cui in epigrafe sia dichiarata ammissibile.

Roma-Firenze, 8 gennaio 1999

prof. avv. Paolo Barile

prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto

prof. avv. Giovanni Motzo

prof. avv. Federico Sorrentino

Si allegano stralci dei lavori preparatori della legge 4 agosto 1993, n. 277.

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Note

1) Si noti poi che le richieste abrogative delle parole "lista", "liste", e simili, sottintendono in realtà l’abrogazione della norma che alla lista fa riferimento: così, per esempio, se si chiede l’abrogazione delle parole "e delle liste" nella formulazione normativa "sono presenti alle operazioni i rappresentanti dei candidati e delle liste" non solo si compie una operazione di "pulizia" derivante dalla caduta delle liste, ma si procede anche all’abrogazione della norma relativa alla presenza alle operazioni dei rappresentanti delle liste.

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2) L’operazione di "ripulitura" del testo è stata pressoché completa. Si è notato, tuttavia, da parte di qualche autore che nell’art. 81 sembrerebbe rimanere in vita, pur dopo la richiesta abrogativa, il riferimento nel comma 3 originario, ai "nomi di candidati di ciascuna lista". L’obiezione deriva da una errata ricostruzione del redattore della Raccolta normativa tradizionalmente utilizzata. E, infatti, nell’art. 81, poiché il secondo comma è abrogato dalla legge n. 277 del 1993, quando il D.lgs. n. 534 abroga il secondo e il quarto comma, questi vanno intesi come il secondo e il quarto dopo l’eliminazione dell’originario secondo comma, quindi come gli originari terzo e quinto comma; nell’art. 81 sono pertanto in vigore gli originari primo, quarto e sesto comma, essendo stato abrogato l’originario terzo comma.

A lavorare sulla medesima Raccolta, si rischia di incorrere in un equivoco simile anche nell’art. 16, comma 4. Per tale comma, infatti, la richiesta abrogativa è relativa alle parole "e delle liste" sia nel primo che nel secondo periodo, mentre sul testo del DPR n. 361 la richiesta abrogativa sembrerebbe far riferimento, nel secondo periodo del comma 4, solo alle parole "delle liste". Ciò dipende da una errata interpretazione nuovamente compiuta dal redattore circa l’interpretazione dell’art. 1, comma 1, lett. c), del D.lgs. 20 dicembre 1993, n. 534, recante modificazioni al DPR n. 361. Si legge infatti nella lettera c) che all’art. 16, comma 4, le parole "depositanti delle liste" sono sostituite da "depositanti delle candidature e delle liste". la sostituzione deve qundi intendersi operata sia nel primo che nel secondo periodo del quarto comma, cosicché il secondo periodo suona: "... dopo aver sentito i depositanti delle candidature [e delle liste] che vi abbiano interesse".

Quanto poi alle disposizioni penali contenenti riferimenti alle liste, la scelta - nel quesito de quo, così come in quelli del 1995 e del 1997 - è stata quella di non incidere su disposizioni penali, anche in ragione del rinvio ad esse effettuato da altre legislazioni elettorali.

Quanto infine all’art. 119, comma 1, l’abrogazione del riferimento alle liste ivi contenuto avrebbe comportato una indebita estensione della portata del quesito, giacché quel comma si riferisce a tutte le consultazioni elettorali disciplinate da leggi della Repubblica (quindi anche alle elezioni comunali e provinciali) e a quelle regionali; nel caso di esito positivo del referendum, il riferimento alle liste va quindi interpretato come relativo a tutte le elezioni, tranne che a quelle per la Camera dei deputati.

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3) Illuminante in proposito un lungo passo dell’on. Sergio Mattarella, relatore alla Camera sulla legge n. 277 del 1993 (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XI Legislatura, 23 luglio 1993, p. 5), in sede di ultima approvazione del testo da parte della Camera dei Deputati.

"Per quanto riguarda il primo argomento, in luogo del meccanismo elettivo per lista e con voto di preferenza delineato qui alla Camera (come si ricorderà, la Commissione aveva previsto il meccanismo della lista rigida e l'Assemblea, successivamente, aveva introdotto il voto di preferenza) il Senato, nel testo che ci ha inviato, ha introdotto un meccanismo che prevede grandi collegi subcircoscrizionali di carattere uninominale. Ha previsto cioè che in ciascuna circoscrizione venissero istituiti collegi subcircoscrizionali pari al numero dei seggi da distribuire tra i candidati in ragione proporzionale, i cosiddetti grandi collegi (...). Su questo punto è parso alla I Commissione della Camera che il meccanismo introdotto dal Senato, pur meritevole naturalmente di rispetto, potesse indurre l'elettore a fare confusione (..). Sulla base di questo rilievo e di questa preoccupazione, la Commissione affari costituzionali propone (...) una lista, senza preferenze, flessibile (...) Si tratta di una lista senza preferenze flessibile, nel senso che la lista, che contiene per ciascuna circoscrizione i candidati da eleggere per i seggi della parte proporzionale, può essere composta da un minimo di un nome fino a un massimo di nomi pari alla metà dei seggi da attribuirsi in quella circoscrizione. Se si trattasse cioè di un circoscrizione in cui vanno eletti 8 deputati in ragione proporzionale, la lista di ciascun partito, raggruppamento, movimento o gruppo (come lo si voglia chiamare) potrà contenere da uno a un massimo di quattro nomi, essendo ciascuna lista libera di comportarsi e decidere secondo le proprie valutazioni e preferenze (...) Nel caso in cui, infatti, quale che sia il numero dei candidati ivi inclusi, alla lista in questione competano più seggi di quanti siano i nomi in essa inclusi (uno, due, tre e così via), saranno in aggiunta proclamati eletti i candidati dello stesso partito presenti nei collegi uninominali secondo l'ordine dei quozienti da essi conseguiti. Questo consente (...) da una parte, di mantenere la scelta di non introdurre voti di preferenza in base alla preoccupazione (a mio avviso fondata e assolutamente condivisibile) circa le conseguenze negative che l'uso del voto di preferenza ha prodotto nel nostro ordinamento, nelle nostre modalità e nei nostri costumi elettorali, dall'altra di eliminare il timore della lista bloccata, meccanismo che, a mio avviso impropriamente, durante la prima, lettura da parte della Camera, era stato definito come un metodo che andava a vantaggio delle segreterie di partito, a vantaggio cioè della cosiddetta nomenklatura dei vari partiti.

In realtà ciascun partito potrà presentare anche un solo candidato, facendone eleggere, in aggiunta ad esso, altri che concorrono nei collegi uninominali secondo l'ordine dei quozienti che ciascuno consegue nel proprio collegio, così come oggi avviene per l'elezione del Senato della Repubblica.

(...) Il meccanismo che è stato individuato dalla Commissione su proposta del suo presidente si basa, quindi, sulla previsione che il 25 per cento dei seggi di ciascuna circoscrizione venga attribuito per liste concorrenti con candidati che, come ho detto, corrispondono a non oltre la metà dei seggi da attribuire nel collegio per la parte proporzionale e siano tutti indicati nella scheda in maniera che l'elettore sappia quali sono i nomi verso cui va il beneficio del suo voto. In aggiunta a questi, secondo le scelte che ciascuna forza politica compirà, vengono proclamati eletti i candidati dello stesso raggruppamento o partito dei collegi uninominali".

Si noti che in Aula passò poi un emendamento, proposto dalla Commissione, mirante a ridurre le liste per l’elezione proporzionale ad un terzo dei posti disponibili, rafforzando così l’effetto già descritto nel testo.

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4) Nel comma 1 dell’art. 84 l’abrogazione colpisce anche l’inciso "non proclamati eletti", giacché nella formulazione risultante dal ritaglio referendario la graduatoria di cui all’art. 77, comma 1, n. 4), comprenderà solo candidati "non proclamati eletti" (e non, come avviene attualmente, candidati non eletti nei collegi che possono essere eletti nelle liste).

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5) In via teorica (ma le simulazioni sui risultati del 1996 lo escludono in concreto) è anche possibile che siano eletti in un collegio non solo il secondo, ma anche un terzo candidato; ciò potrebbe avvenire se in un collegio vi è una concentrazione di voti su solo tre candidati, dotati di una forza elettorale quasi eguale (tra il 35 e il 30%), mentre negli altri collegi della circoscrizione vi è una forte dispersione di voti su numerosi candidati, per cui in nessun collegio il secondo raggiunge il 30% come cifra elettorale individuale.

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6) Come nota A. Barbera, in Atti del Seminario di Ferrara, cit., p. 18, "quando il cittadino si reca a votare riceve due schede; una, di colore rosa, per l'elezione dei candidati nel collegio uninominale, l'altra, di colore grigio, per scegliere fra le liste di partito, cui viene assegnato con metodo proporzionale il 25 per cento dei seggi. Ne deriva che mentre i partiti sono incentivati ad allearsi per sostenere il medesimo candidato nel collegio uninominale - e sono quindi incentivati a presentare lo stesso programma e financo lo stesso candidato alla Presidenza del Consiglio - sono invece concorrenti nella quota proporzionale. Come si sa, la concorrenza è tanto più aspra quanto più tende a coincidere il bacino elettorale da cui si attinge il voto . Tale conflittualità non si manifesta solo al momento del voto ma si trascina per un'intera legislatura spingendo i partiti alleati a ricercare "visibilità", vale a dire a alimentare, talvolta artificiosamente, motivi di divisione che influiscono sulla stabilità dei governi. Poiché i risultati bipolarizzanti indotti dal collegio uninominale sono, in breve, inquinati dal voto proporzionale il quesito proposto abroga il voto per la lista di partito, lasciando solo il voto per il candidato nel collegio uninominale".

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7) In 155 collegi su 475 si eleggeranno due deputati; come già ricordato, in teoria, vi potrebbe essere anche qualche collegio trinominale; Va sottolineato che l’attuale legge elettorale del Senato prevede comunque l’elezione di 315 senatori traendoli dai candidati in 232 seggi, con la evidenziata conseguenza che in un terzo dei collegi sono eletti (almeno) due candidati.

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8) In verità, infatti, sia l’art. 58, comma 3, che l’art. 68, comma 1, facendo riferimento rispettivamente al fatto che il Presidente "pone la scheda nell’urna" ovvero all’estrazione di "ciascuna scheda dall’urna", e utilizzando quindi l’articolo determinato, impediscono di per sé che il Presidente della sezione possa scegliere in quale urna inserire la scheda.

 

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