RCS on Line - Corriere della Sera

Venerdì, 16 aprile 1999


Astenersi? Lecito ma autolesionista
LA POSTA IN GIOCO CON IL REFERENDUM
di ANGELO PANEBIANCO

Con una campagna referendaria trascurata (comprensibilmente) dai mass media a causa del prevalere delle notizie sulla guerra, è già molto se solo una minoranza di italiani ha davvero capito per che cosa è richiesto il suo voto nel referendum di domenica. Una parte non piccola dei nostri connazionali, un po' perché distratta dal conflitto, un po' perché, come ha rilevato ieri sul Corriere Mannheimer, stanca della politica (in generale), sembra non avere chiari i termini della questione in gioco, e si appresterebbe a disertare le urne. Cominciamo col dire che chi si astiene fa una scelta lecita. Nei Paesi realmente liberi, votare è un diritto, non un dovere (ancorché «civico», come dice, ambiguamente, la nostra Costituzione), e si vota solo se si ha voglia di farlo. Ma se l'astensione è una scelta legittima, va subito osservato che molti di coloro che pensano di astenersi - magari per fare un «dispetto» ai politici - stanno per commettere (dal loro punto di vista) un grave errore. Infatti, solo gli elettori che si riconoscono nei piccoli partiti - per principio contrari al maggioritario, e magari favorevoli al ripristino integrale della proporzionale -, faranno una scelta razionale (ossia un mezzo congruente allo scopo) astenendosi nella speranza di impedire il raggiungimento del quorum.

L'astensione sarà invece una scelta irrazionale (e autolesionista) se fatta da quegli elettori che, non essendo votanti dei suddetti partitini, lamentano la confusione indotta da un eccesso di partiti, dal trasformismo, dai ribaltoni, eccetera.

Se il quorum non verrà raggiunto avrà di fatto vinto il «no» alla abolizione della quota proporzionale, e la vittoria andrà precisamente a quelle forze che non vogliono una competizione democratica centrata su una chiara divisione fra (due) coalizioni contrapposte. Verrà premiato il trasformismo, verrà premiata l'idea che la democrazia non deve fondarsi su patti chiari ed espliciti fra partiti ed elettori («ci presentiamo con questi alleati, con questo candidato premier, con questo programma, eccetera, e ci impegniamo a non cambiare le carte in tavola dopo il voto») ma su alchimie parlamentari di cui i capi-partito non devono rendere conto a nessuno. Se domenica, per mancanza del quorum, non vincerà il «sì», anche i timidi passi verso la democrazia maggioritaria iniziati dopo il '93 verranno di colpo cancellati. Una classe politica che, per tradizioni e storia, è di per sé già propensa ad andare in quella direzione, si sentirà legittimata a tornare alle abitudini della Prima Repubblica.

Se vincerà il «sì», al contrario, i nemici della democrazia maggioritaria riceveranno un colpo assai duro. La proporzionale non potrà più essere riproposta in nessuna salsa. Delle due l'una: o verrà fatta una nuova legge che recepirà in toto il principio maggioritario (a turno unico o a doppio turno) oppure si andrà a votare con la legge uscita dal referendum. Che non è affatto il pasticcio di cui parlano i sostenitori del «no». Per inciso, è buffo, e anche un po' impudente, che parlino di «pasticcio» (penso, per esempio, ai popolari) proprio quelli che, dopo il referendum del '93, ci imposero il Mattarellum, anziché una seria legge maggioritaria. Ancorché non perfetta, la legge che uscirebbe dal referendum in caso di vittoria dei «sì» sarebbe comunque un grande passo avanti rispetto al Mattarellum (via la doppia scheda, via i simboli dei partiti, via il famigerato scorporo). Semplicemente, voteremmo con un sistema composto per tre quarti da collegi uninominali all'inglese (si elegge solo chi ottiene più voti) e per un quarto (155 collegi) da collegi binominali (si eleggono i primi due). Rispetto al Mattarellum si rafforzerebbe la configurazione bipolare (due, e solo due, coalizioni) del sistema dei partiti, e verrebbero penalizzati i partiti che non accettano di coalizzarsi. Le spinte centrifughe che il Mattarellum ha favorito, verosimilmente, si affievolirebbero. Ottime ragioni, mi sembra, per votare, e votare «sì».

 

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