Comitato per la Difesa dei Referendum Elettorali e del Collegio Uninominale

Riforma e Controriforma
Dai Referendum Segni alla congiura di casa Letta

I primi tre referendum elettorali cd. Segni (1990-91)
Interventi di Paolo Barile sui primi tre referendum

I secondi referendum Segni (1991-93)
Interventi di Valerio Zanone sul referendum Senato/93

La legge Mattarella - Il primo tentativo di abrogazione referendaria
Il secondo tentativo di abrogazione referendaria del Mattarellum

I quesiti elettorali opportunisti alla prova della lista Pannella

Prove di restaurazione
La congiura di casa Letta
Rassegna stampa sulla congiura di casa Letta

L'«uovo di Colombo» di Segni, Barbera, Calderisi, Martino e Occhetto... e della lista Bonino

La proposta di referendum Passigli cd. anti-scorporo

 

I primi tre referendum elettorali cd. Segni (1990-91)

Dal 1946 al 1993, con la sola eccezione della cd. legge Truffa del 1953 (che, peraltro, nell'unica occasione in cui ebbe applicazione -le elezioni del 1953-, rimase inefficace per mancato raggiungimento del quorum necessario per il conferimento del premio di maggioranza), l'Italia ha avuto sistemi elettorali proporzionali per l'elezione di tutte le assemblee rappresentative.

Nel 1990, su iniziativa di Mario Segni, Augusto Barbera, Marco Pannella, Antonio Baslini ed altri, fu fondato un comitato promotore di tre referendum in materia elettorale, per: modificare in senso uninominale maggioritario la legge elettorale per il Senato; abolire la possibilità di esprimere piú di una preferenza per i candidati di lista per l'elezione della Camera dei Deputati; estendere a tutti i Comuni il sistema elettorale vigente per quelli minori, dove il sindaco era scelto in modo indiretto dagli elettori.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 47/1991, dichiarò inammissibili i due quesiti su Senato e Comuni, ammettendo soltanto il quesito sulla preferenza unica. Il 9 giugno 1991, il referendum sopravvissuto sulla preferenza unica fu approvato dal 98% dei votanti, con una partecipazione al voto del 62,5% degli aventi diritto, nonostante gli inviti all'astensione lanciati da molti esponenti della classe politica di allora.

 

Interventi di Paolo Barile sui primi tre referendum

La crisi della Repubblica/1
(Paolo Barile, la Repubblica, 18/05/90)

Meglio i referendum
(Paolo Barile, la Repubblica, 30/05/90)

Se la Corte dà il via a quei tre referendum
(Paolo Barile, la Repubblica, 22/11/91)

 

I secondi referendum Segni (1991-93)

Dopo la vittoria clamorosa del referendum sulla preferenza unica, Segni, insieme con esponenti del Pds (come Augusto Barbera e Franco Bassanini), radicali (come Peppino Calderisi, Giovanni Negri e Massimo Teodori), e molti altri, fondarono il CO.R.EL. (Comitato per i Referendum Elettorali) per promuovere nuovamente i referendum sul Senato e i Comuni. Alla campagna referendaria 1991/92 si uní anche il CO.RI.D. di Massimo Severo Giannini, che promoveva quesiti per: 1) togliere al Governo il potere di nomina dei vertici delle Casse di risparmio, per avviare un'effettiva democratizzazione del settore del credito; 2) limitare l'intervento straordinario nel Mezzogiorno solo allo sviluppo produttivo; 3) eliminare il Ministero delle Partecipazioni statali. Il Comitato Radicali per i Referendum raccoglieva firme sui quesiti del CO.R.EL e del CO.RI.D, e su altri tre quesiti, per: 1) abrogare il finanziamento pubblico ai partiti; 2) abolire le sanzioni penali per i meri consumatori di sostanze stupefacenti; 3) la riforma dei controlli sullo stato dell'ambiente (con gli Amici della Terra).

La raccolta delle firme, avviata il 14 ottobre 1991 (il 10 quella radicale) e sostenuta da un ampio movimento d'opinione (in particolare dal Giornale di Montanelli), si concluse vittoriosamente nel gennaio 1992 con la consegna in Cassazione di 1.370.000 firme sui quesiti elettorali: centinaia di migliaia oltre la soglia delle cinquecentomila richieste dalla Costituzione. La Corte costituzionale, all'inizio del 1993, con una serie di sentenze senza precedenti, dichiarò ammissibili tutte le richieste di referendum d'iniziativa popolare sottoposte alla sua attenzione, le più importanti delle quali erano senza dubbio quelle del CO.R.EL.

Il CO.R.EL. aveva in effetti promosso due quesiti referendari sulla legge elettorale per il Senato. La cd. legge Mancino, che riformulava l'art. 17 della legge n. 29/1948 in modo che la corte costituzionale non potesse rigettare il quesito referendario, non aveva avuto vita facile. Osteggiata da molti, fu approvata dal Parlamento e rinviata una prima volta alle Camere dal presidente Cossiga il 16 agosto 1991. Dopo un tormentato iter in Parlamento, grazie all'impegno parlamentare di Mancino, Calderisi, Barbera, Amato, Martinazzoli e di molti altri, la legge Mancino poté finalmente essere promulgata il 23 gennaio 1992, consentendo al comitato promotore di non depositare in Cassazione il secondo quesito sul Senato, quello minimalista, che avrebbe potuto porre delicate questioni giuridiche.

Per evitare il referendum sulla legge elettorale dei comuni, il Parlamento approvò la legge 81/93 sull'elezione diretta del Sindaco. Sergio Mattarella aveva già preparato la Controriforma sul Senato, ma il parlamento non riuscí comunque a impedire lo svolgimento del referendum.

Il 18 aprile 1993, il referendum elettorale sul Senato fu approvato con oltre l'80% dei voti. Tutti i partiti, eccettuati il MSI, Rifondazione comunista, la Rete di Leoluca Orlando Cascio e i Verdi (con diverse eccezioni, come per esempio i Verdi-Viareggio che, in seguito, si sciolsero in segno di protesta) si erano pronunciati a favore del referendum sulla legge elettorale per il Senato della Repubblica.

 

Interventi di Valerio Zanone sul referendum Senato/93

Un maggioritario cosí "corretto" serve ai partiti per non cambiare
(Valerio Zanone, Il Sole 24 Ore, 07/02/93)

Il referendum contro il minotauro
(Valerio Zanone, Il Sole 24 Ore, 23/02/93)

 

La legge Mattarella - Il primo tentativo di abrogazione referendaria

La legge elettorale per il Senato, il referendum essendo autoapplicativo, richiedeva soltanto un adeguamento nella ripartizione dei collegi tra le Regioni. Il presidente della Repubblica Scalfaro disse che il Parlamento avrebbe dovuto riscrivere le leggi elettorali "sotto dettatura del corpo elettorale". Infatti, come ebbe a precisare la Corte costituzionale nella sentenza n° 32/1993, "nei limiti del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare (sent. n. 468 del 1990), il legislatore potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua." E infatti, la struttura dell'attuale d.lgs. 20 dicembre 1993, n° 533, ricalca la struttura della vecchia legge del 1948, cosí come modificata dal referendum.

Per la legge elettorale della Camera, invece, si è assistito a un rigurgito del vecchio regime proporzionalistico consociativo, che ha portato all'approvazione della legge Mattarella (vedi Requiem), nonostante gli interventi di Calderisi ed altri per, almeno, migliorare il testo da un punto di vista linguistico.

Nell'autunno 1993, Marco Pannella promosse, in collaborazione con la Lega Nord, un pacchetto di 13 referendum, due dei quali miravano ad abolire la quota di recupero del 25% contenuta nelle leggi elettorali per la Camera e il Senato. Un altro quesito elettorale mirava invece ad abolire il secondo turno nell'elezione del Sindaco.

Nella primavera del 1994 si svolsero le elezioni politiche con il nuovo sistema elettorale. A causa della soglia di sbarramento del 4% per l'assegnazione dei seggi alla Camera con il metodo proporzionale, i partiti minori delle due principali coalizioni ebbero eletti solo nei collegi uninominali (cfr. anche "Un maggioritario cosí corretto..." di Valerio Zanone.

Alle elezioni, il Polo ottenne complessivamente 366 seggi su 630 alla Camera (il 58,1% del totale), conquistando 302 collegi uninominali su 475 (ovvero, il 63,6%). Al Senato, ottenne 156 seggi su 315 (il 49,5% del totale), avendo invece conquistato 128 collegi su 232 (ossia il 55,2%).

Nel gennaio 1995, la Corte costituzionale dichiarò inammissibili i referendum elettorali incondizionati promossi nel 1993/94, in quanto non immediatamente autoapplicativi: non avrebbero invero consentito l'elezione del 25% di deputati e senatori.
 

Sulla sentenza 5/95 della Consulta e sulle reazioni della lista Pannella
(Emilio Colombo, Agora telematica, 19/01/95)

C'è solo il rispetto della Costituzione
(Ettore Gallo, il Sole 24 Ore, 23/01/95)

 
Sempre nel 1995, in vista delle elezioni regionali, fu approvata la legge Tatarella, che prevede un premio di maggioranza di coalizione. Lungi dal garantire la stabilità delle coalizioni (come hanno dimostrato diverse crisi successive in svariate Regioni), la legge ha invece prodotto la proliferazione delle liste piú anodine che, quali pesci-pilota, contornavano le maggiori, anche in Regioni dove la maggioranza non aveva alcuna difficoltà a vincere (p. es. in Toscana).

Nel giugno 1995 si svolse il referendum sui Sindaci, per l'abolizione del doppio turno (che consente ai partiti risultati minori al primo turno di collegarsi a una delle due coalizioni ammesse al secondo). Gli elettori lo respinsero di misura.

 

Il secondo tentativo di abrogazione referendaria del Mattarellum

Nell'autunno 1995, Marco Pannella promosse altri 20 referendum, riproponendo diversi quesiti già dichiarati inammissibili dalla Corte costituzionale, tra cui i due elettorali incondizionati su Camera e Senato.

Il 21 aprile 1996, si svolsero le elezioni politiche, vinte dalla coalizione dell'Ulivo, che conquistò da solo la maggioranza dei seggi assegnati nei collegi uninominali. A causa del recupero proporzionale, tuttavia, l'Ulivo è maggioranza alla Camera dei Deputati soltanto insieme con Rifondazione comunista.

Nel gennaio 1997, la Corte costituzionale ha nuovamente dichiarato inammissibili i quesiti elettorali incondizionati (sent. 26/97). Nello stesso periodo, in Parlamento si cercò invano di approvare la cd. legge Rebuffa (dal nome di Giorgio Rebuffa, presentatore del pdl), che avrebbe dovuto consentire lo svolgimento dei referendum elettorali.

 

I quesiti elettorali opportunisti alla prova della lista Pannella

All'inizio di febbraio 1997, nelle more delle decisioni della Consulta sui referendum, abbiamo elaborato i due quesiti referendari elettorali non incondizionati (cd. opportunisti), e quindi fondato il Comitato per la difesa dei referendum elettorali e del collegio uninominale (Com.Di.R.El.). Ritenevamo, infatti, demenziale riproporre per la terza volta (come Pannella sembrava voler fare) i quesiti elettorali integralisti.

Dopo tre mesi di nostre insistenze (Pannella, infatti, chiamandoci "piccoli Calderisi", accusava i nostri quesiti di assecondare la giurisprudenza della Corte costituzionale), la lista Pannella depositò in Cassazione i due quesiti referendari elettorali opportunisti, nascondendoli tra altre svariate decine. Il testo del quesito sulla legge elettorale per la Camera, tuttavia, fu funestamente alterato dall'autore di quel quesito terroristico sulla Rai-TV -giustamente rigettato dalla Consulta con sent. 36/97- che, utilizzando il testo della legge come un giacimento lessicale, avrebbe "creato" ex novo norme nuove, con un'inammissibile operazione di ritaglio e successiva ricucitura.

Prima e dopo il deposito del quesito manipolato da parte della lista Pannella, chiedemmo di sapere almeno le ragioni delle modifiche: nessuno si è ancora degnato di farcele conoscere.

 

I referendum elettorali opportunisti e la lista Pannella: dal dileggio allo stupro
(Emilio Colombo, Marco Nardinocchi, Federico Fischer Vs. agenti della lista Pannella)

J'accuse/1 - Cortigiani, vil razza dannata!
(Emilio Colombo agli agenti della lista Pannella, 09/05/97)

J'accuse/2 - Constitutionnellement ridicule!
(Emilio Colombo e Marco Nardinocchi agli agenti della lista Pannella, 13/05/97)

 

Prove di restaurazione

Il sistema elettorale non cambia il Paese
(P. Cirino Pomicino, 16/02/97)

 

La congiura di casa Letta

Nel giugno 1997, a casa Letta è stato deciso di truccare la legge elettorale per la Camera dei deputati, sul modello della legge fascista del 1923 e della legge cd. truffa del 1953, ma con l'aggiunta d'un secondo turno che nulla ha che fare con il turno di ballottaggio alla francese, previa eliminazione (quantomeno di fatto) dei collegi uninominali. In sostanza, con il sistema elettorale di casa Letta, basato su liste di candidati blindate, gli elettori potranno decidere soltanto quanti deputati dovranno essere nominati da ciascun partito.

In base alla crostata di casa Letta, sfornata forse troppo frettolosamente dopo il rigetto dei quesiti referendari elettorali da parte della Consulta, e della legge Rebuffa da parte del Parlamento, il 45% dei deputati sarà nominato direttamente dalle segreterie dei partiti, grazie al sistema delle liste bloccate. Questa crostata indigesta ci priverà del potere di scelta sui singoli candidati e, come contropartita, moltiplicherà i micropartiti e il loro potere di ricatto.

 

Rassegna stampa sulla congiura di casa Letta

Una riforma che non cambia niente
(Enzo Cheli, La Stampa, 19/06/97)

Pasticcio al salmone
(Paolo Franchi, Corriere della Sera, 20/06/97)

Bicamerale, accordo sulla legge elettorale
(Gianna Fregonara, Corriere della Sera, 20/06/97)

Occhetto: hanno "copiato" Craxi
(Felice Saulino, Corriere della Sera, 20/06/97)

 

L'«uovo di Colombo» di Segni, Barbera, Calderisi, Martino e Occhetto... e della lista Bonino

Nel febbraio 1998, Mario Segni, Augusto Barbera, Antonio Martino, Achille Occhetto e altri hanno rilanciato il referendum Colombo-Nardinocchi sulla legge elettorale per la Camera dei deputati (assurto agli onori delle cronache politiche come «uovo di Colombo»).

Al Comitato ha successivamente aderito Antonio Di Pietro, ma non Marco Pannella. La raccolta delle firme è iniziata il 24 aprile 1998. Il 23 luglio 1998, il Comitato ha depositato in Cassazione 687mila firme in appoggio alla richiesta di referendum.

Il 19 gennaio 1999, la Corte costituzionale, con una decisione giuridicamente prevedibile (sent. n° 13/1999), ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum. Marco Pannella, contrariamente a quanto affermava ventitré mesi prima, ha denunciato la decisione della Consulta come "politica".

Il 18 aprile 1999, la maggioranza degli aventi diritto -richiesta dall'art. 75 della Costituzione per la validità della consultazione- ha partecipato al referendum elettorale maggioritario. Per unanime riconoscimento, le liste elettorali sono tuttavia compilate per eccesso: le iscrizioni irregolari sono centinaia di migliaia; secondo alcune fonti, sarebbero addirittura un milione...

Comunque sia, oltre il 90% dei votanti (quasi la metà del corpo elettorale) si sono pronunciati per l'abolizione della quota proporzionale dalla legge elettorale. Nel Centro-Nord, peraltro, il quorum è stato superato abbondantemente, nonostante gli ex elettori ancora iscritti nelle liste elettorali.

Il 20 maggio, la Corte di Cassazione, riconoscendo la fondatezza della memoria depositata dal comitato promotore, ha sospeso la proclamazione del risultato del referendum. Il 26 maggio successivo, l'Ufficio centrale per i referendum ha comunque dichiarato non valida la consultazione referendaria. Secondo l'Ufficio centrale, dei 49.299.149 iscritti nelle liste elettorali, sarebbero andati a votare in 24.452.354, ovvero il 49,6. La notte del 18 aprile, invece, secondo il Ministero degli Interni, gli aventi diritto erano 49.352.528 e i votanti 24.512.312, pari al 49,7 per cento.

Un trucco contabile ha dunque trasformato una maggioranza effettiva di votanti in minoranza virtuale, rendendo dunque non valido il referendum.

Il 7 giugno 1999, Patto Segni e AN hanno avviato la nuova raccolta di firme per il referendum elettorale maggioritario e per un nuovo referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti. Il 1° luglio 1999, la lista Bonino-Pannella ha avviato la raccolta di firme su questi due ed altri 18 referendum.

Sia AN-Patto Segni che la lista Bonino hanno consegnato in Cassazione, prima del 30 settembre 1999, oltre 800mila firme su ogni quesito proposto. Si voterà di nuovo nella primavera del 2000...

 

Referendum anti-scorporo, la vendetta dei proporzionalisti:
gli elettori, comunque votino, si dovrebbero tenere la proporzionale

La crostata di casa Letta (la legge elettorale truffa, tanto maggioritaria da meritare il plauso di tutti i proporzionalisti) è andata a male, ma i commensali non demordono e rilanciano. Nella primavera '98, approfittando dell'attenzione intorno al referendum elettorale maggioritario, il navigato Passigli s'è inventato un referendum cd. antiscorporo: un disperato tentativo di impedire ai cittadini italiani di liberarsi della proporzionale.

Con quel referendum, gli elettori sarebbero stati in trappola, potendo scegliere se mantenere la proporzionale con lo scorporo, o mantenerla senza scorporo; ma, in entrambi i casi, avrebbero dovuto implicitamente confermare la proporzionale e, quindi, fornire un effimero alibi alla restaurazione dei partitocrati. L'iniziativa, comunque s'è sgonfiata da sola, senza spargimento di troppo inchiostro...

 

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Ultimo aggiornamento: 02/10/1999 - 21h00