Consultazione
pubblica indetta dalla Commissione Europea:
LIBRO
VERDE
RELATIVO
AI METODI ALTERNATIVI
DI
RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
IN
MATERIA CIVILE E COMMERCIALE
COM
(2002) 196 def.
A cura di:
Centro Studi
Europeo di Conciliazione e Risoluzione dei Conflitti - Ce.S.E.C.
Responsabile del Coordinamento:
Amelia Monesi (Responsabile del Comitato Regionale
dell’Unione Nazionale Consumatori – Onlus – della regione Emilia-Romagna)
Gruppo di ricerca:
Manuela Amorosi, Alessandra Delli Ponti, Alessandro Drei,
Barbara Laziosi, Cecilia Odone
Bologna, 14 Ottobre 2002
presentazione
IL
CESEC (Centro Studi Europeo di Conciliazione e risoluzione dei conflitti), ha
sede a Bologna (Italia), P.zza S. Francesco 10, tel. 051 230252; fax 051 227573;
http://www.conciliazione.org; e-mail: ce.sec@tiscalinet.it
Costituito
nel 1999, il CESEC svolge attività di conciliazione avvalendosi della
collaborazione professionale di avvocati conciliatori e realizza attività
formative per conciliatori, ed informative per gli utenti.
osservazioni generali
Come
é noto, nel panorama europeo la giustizia ordinaria si caratterizza per le
seguenti patologie:
ð
la lentezza dei
procedimenti;
ð
l’esorbitante
numero di cause pendenti dinanzi ai Tribunali;
ð
i costi
eccessivi.
In
Italia, sia a livello politico che istituzionale, molti sono stati gli
interventi proposti ed attuati.
Da
una parte si è cercato di porre rimedio accelerando il procedimento ordinario,
dall’altra parte si sono istituite procedure alternative al medesimo.
In
questo senso, si sono susseguiti diversi interventi legislativi istitutivi di
procedure alternative. A titolo esemplificativo:
ð
Legge 29
dicembre 1993, n. 580
ð
Legge 14
novembre 1995, n. 481
ð
Legge 31 luglio
1997, n. 249
ð
Legge 18 giugno
1998, n. 192
ð
Legge 30 luglio
1998, n. 281
ð
Legge 29 marzo
2001, n. 235
ð
Legge 18
novembre 1998, n. 415
ð
Regolamento
attuativo della legge “Merloni ter” del Consiglio dei Ministri del 10
dicembre 1999.
Diverse
sono le problematiche legate agli interventi legislativi italiani.
Prima
fra tutte la carenza di una disciplina generale dei metodi di ADR.
Infatti,
i provvedimenti adottati disciplinano settori specifici (subfornitura,
comunicazioni, servizi di pubblica utilità etc.) in cui la soluzione di
eventuali controversie avviene attraverso il ricorso a procedimenti di ADR
variamente disciplinati (obbligatorietà o meno delle procedure, validità
ed efficacia dell’atto conclusivo, effetti nei confronti dei termini del
procedimento ordinario, etc).
Per
questi motivi, sino ad oggi, sono stati presentati diversi progetti di legge,
l'ultimo dei quali - PDL n. 2463 presentato alla Camera dei Deputati il 3 marzo
2002 - è all'esame parlamentare proprio in questi mesi. Nessuno di questi,
peraltro, si è concluso con l’approvazione della tanto auspicata disciplina
generale.
Si
ritiene che un intervento legislativo comunitario in materia potrebbe, tra
l'altro, costituire un valido impulso alle incertezze del legislatore italiano,
allineando gli ordinamenti nazionali in modo tale da garantire un eguale ed
effettivo diritto di accesso alla giustizia per tutti i cittadini.
Un
altro problema registrato nella pratica consiste nella carenza della
“cultura” della conciliazione (più in generale dei metodi di ADR),
ovvero la scarsa familiarità con detti metodi alternativi riscontrabile
a vari livelli: professionisti del diritto, utenti, imprese etc.
Anche
in questo senso, l’intervento del legislatore comunitario favorirebbe la
rimozione di un ostacolo determinante, per il quale si ritiene fondamentale
anche l’introduzione di un'incisiva azione di carattere formativo ed
informativo, supportata da piani di azione coordinati in ambito nazionale e
comunitario.
Evidenziata
l’imprescindibile esigenza di un intervento da parte della Comunità, si
ritiene opportuno che detto intervento avvenga nell’ambito della realizzazione
e rafforzamento del mercato unico.
L’intervento
normativo auspicabile, nella forma della direttiva - quadro, dovrebbe limitarsi
a dettare le linee direttrici fondamentali dei metodi di ADR, lasciando agli
Stati Membri ampio margine d'azione nella predisposizione della disciplina di
dettaglio, nel rispetto dei principi di proporzionalità e sussidiarietà.
A
parere di chi scrive, l’armonizzazione delle legislazioni consentirà alla
lunga distanza un progressivo ravvicinamento delle "culture" nazionali
in materia di ADR - così come è accaduto in altri settori di intervento
comunitario - e costituirà, altresì, un impulso importante per gli scambi
transnazionali nell'ambito del mercato unico.
domanda
n.1
Esistono
problemi tali da giustificare un'azione comunitaria nel campo dell'ADR? Se sì,
quali sono questi problemi? Qual’è il vostro parere sull'approccio generale
che le istituzioni dell'Unione europea dovrebbero seguire nel trattamento
dell'ADR e quale potrebbe essere la portata delle iniziative in proposito?
ð
problemi
tali da giustificare un'azione comunitaria nel campo dell'ADR
La
“crisi” della giustizia in Italia già da tempo ha evidenziato la necessità
di istituire metodi alternativi di risoluzione delle controversie quale
possibile mezzo per alleggerire il carico di lavoro delle aule giudiziarie. La
stessa necessità è stata rilevata negli altri Stati Membri. Ciò ha portato
ciascuno Stato Membro a introdurre nei propri ordinamenti metodi di ADR, così
che oggi esiste una notevole disuguaglianza di procedure e discipline
all’interno della stessa UE che, di fatto, si traduce in diversità di diritti
e garanzie per i cittadini.
Inoltre,
in Italia, le leggi emanate in diversi settori di attività hanno adottato
modelli di conciliazione (o più in generale di metodi alternatividi
rirsoluzione delle controversie) non omogenei, sia per quanto riguarda la
fattispecie, sia per ciò che concerne le procedure ed il valore attribuito
all’atto che conclude il procedimento.
Detta
non omogeneità e mancanza di coordinamento tra le discipline settoriali
adottate in Italia, insieme alla diversità tra le procedure di ADR introdotte
negli Stati Membri, rischiano di rendere non effettivo il diritto di accedere
alla giustizia (cfr. art.6 Convenzione Europea sulla salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e art. 47 Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea) di cui tutti cittadini comunitari devono
godere indiscriminatamente.
Per tale
ragione si riconosce la necessità di un “regista” che individui i
“requisiti minimi” dei metodi di ADR, uniformi per tutti gli Stati Membri
(quali sono le garanzie da salvaguardare, i limiti di azione dell’ADR, etc.).
Si
ritiene, inoltre, che la disuguaglianza dei metodi di ADR tra i diversi Stati
Membri possa divenire motivo di diffidenza nei rapporti civili e commerciali
transnazionali, i quali, viceversa, godono oggi di molteplici vantaggi: moneta
unica, instaurazione del Mercato Unico e realizzazione delle quattro libertà
fondamentali, sviluppo della Società dell’Informazione e riduzione della
distanza fisica tra gli operatori commerciali, etc.
ð
parere
sull'approccio generale che le istituzioni dell'Unione europea dovrebbero
seguire nel trattamento dell'ADR e possibile portata delle iniziative in
proposito
Si
ritiene che potenziare i metodi di ADR sia oggi indispensabile al fine di
salvaguardare il diritto di accesso alla giustizia generalmente riconosciuto.
Si sono
evidenziate alcune iniziative che l’UE potrebbe adottare per rafforzare tali
metodi:
A
livello legislativo
Sarebbe
necessaria una direttiva - quadro contenente la disciplina generale applicabile
a tutte le forme di ADR, con l’intento di armonizzare le discipline nazionali,
nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, così da
consentire a ciascuno Stato di dettare norme più particolareggiate conformi
alle esigenze specifiche della propria tradizione culturale, rispondenti a
principi e garanzie comuni.
A
livello politico
Sarebbero necessari
interventi volti a:
ð
incentivare
la diffusione dei metodi di ADR all’interno degli Stati;
ð
adottare
iniziative di informazione a vari livelli (consumatori, PMI,
operatori del diritto, studenti);
ð
adottare
iniziative di formazione per operatori del diritto (avvocati,
consulenti, etc.);
ð
promuovere
studi quantitativi e qualitativi sulle procedure di ADR all'interno degli Stati
UE, con analisi e diffusione dei dati a livello comunitario (dati quantitativi
per tipologia di ADR; dati qualitativi sull'andamento della procedura,
suddividendo per stadi le procedure stesse e rilevando lo stadio a cui queste
giungono, distinguendo i dati per tipologia di ADR; costi e tempi delle
procedure di ADR).
domanda
n.2
Le iniziative da prendere si
devono limitare a definire i principi applicabili ad un determinato settore
(quale ad esempio il diritto commerciale o il diritto di famiglia), settore
per settore, ed in tal modo considerare questi diversi settori in modo
differenziato, oppure al contrario devono, per quanto possibile, estendersi a
tutti i settori del diritto civile e commerciale?
E'
indispensabile, attesa la delicatezza della materia, nonché le implicazioni di
natura psicologica e personale che la caratterizzano, affrontare i principi
separatamente, differenziando la definizione delle controversie in materia del
diritto di famiglia dal diritto civile e commerciale generali.
Pertanto,
sarà necessario, unicamente nel campo della mediazione familiare, che negli
interventi volti a promuovere gli accordi tra le parti in conflitto, siano messe
in gioco competenze psicologico-relazionali e sociali incarnate in figure
specialistiche da affiancare agli operatori del diritto.
A
parere di chi scrive, pertanto, le competenze richieste per risolvere conflitti
in una materia come quella familiare non possono essere validamente incorporate
nella figura di un unico professionista.
Domanda
n. 3
Le iniziative da prendere devono trattare in modo
differenziato i metodi di risoluzione dei conflitti on line (ODR) - un settore
emergente caratterizzato dall'innovazione e dall'evoluzione rapida delle nuove
tecnologie e che comporta alcune particolarità - rispetto a quelli
tradizionali, oppure devono riguardare senza distinzioni tutti i metodi di ADR?
Si
ritiene che, nelle controversie on line, il livello di tutela degli interessi
generali debba essere mantenuto maggiormente elevato rispetto alle ordinarie
forme di ADR.
Pur
ritenendo che esistano dei diritti primari (es. diritto alla privacy) di
carattere fondamentale, che debbano essere garantiti e applicati in maniera
indistinta tanto ai metodi di ADR quanto a quelli di ODR, le peculiarità dei
conflitti on line richiedono una disciplina specifica dei metodi di risoluzione
delle controversie.
In
altre parole, le controversie on line dovrebbero godere di un metodo di
risoluzione delle controversie autonomo rispetto ai tradizionali metodi di
ADR, armonizzato in ambito comunitario, nel rispetto dei principi di
sussidiarietà e proporzionalità.
Più
precisamente la disciplina delle ODR, rispetto a quella delle ADR in generale,
dovrebbe tenere conto delle seguenti peculiarità:
ð
tempo:
è necessario pensare ad un metodo di ODR che sia di facile e rapido accesso,
che tenga cioè conto della estrema “velocità” che caratterizza il
commercio elettronico, che si deve tradurre in un metodo veloce per risolvere
una eventuale controversia.
ð
non – territorialità: occorre istituire metodi di risoluzione delle
controversie che superino in maniera rapida i problemi della non-territorialità
e della delocalizzazione delle controversie on line.
ð
costi:
le procedure di ODR devono essere “economiche”, poiché:
1.
generalmente le controversie che possono essere originate da e-commerce hanno scarso valore (specialmente b2c)
2.
un eccessivo costo dell’eventuale metodo di ODR si tradurrebbe in un
disincentivo all’utilizzo dell’e-commerce.
Si
ritiene doveroso sottolineare, infatti, che un efficace metodo di risoluzione
delle controversie on line costituirebbe un concreto incentivo alla diffusione
dell’utilizzo dell’e-commerce.
Infine,
anche per le ODR sarebbe auspicabile un sistema di certificazione per gli organi
extragiudiziali preposti all’attività (cfr. la risposta alla domanda n. 18 in
riferimento, più in generale, alle esigenze di certificazione degli organismi
di ADR).
domanda
n. 4
Come si potrebbe sviluppare
il ricorso alle pratiche di ADR nell'ambito del diritto di famiglia?
Il
ricorso alle pratiche di ADR in questo particolare settore da intendersi sotto
ogni profilo "dissociato", per caratteri suoi tipici e connaturati
alla materia, dal diritto civile e commerciale, dovrebbe trovare ingresso
unicamente laddove situazioni di conflitto tra le parti non siano estreme e
dovrebbe inerire, com'è ovvio, ai soli diritti di natura disponibile che sono
reperibili nella materia.
Il
ruolo dell'ADR, pertanto, dovrebbe essere diretto alla risoluzione dei conflitti
familiari che riguardano l'affidamento dei figli minori e il relativo diritto di
visita spettante al genitore non affidatario, la determinazione dell'obbligo
alimentare, ovvero la suddivisione del patrimonio della famiglia.
In questi
particolari contrasti familiari, il ricorso all'ADR potrà sortire l'effetto
sperato, ossia: la soluzione, attraverso un modello non giudiziario, del
particolare conflitto che è originato dalla famiglia.
Domanda
n. 5
Le legislazioni degli Stati membri devono essere
ravvicinate affinché in ogni Stato membro le clausole di ricorso all'ADR
abbiano un valore giuridico simile?
Considerato
il sempre più frequente ricorso alle procedure di ADR, per gli indubbi vantaggi
che queste comportano, una simile proposta non può che trovare un forte
incoraggiamento da parte del CESEC.
Partendo
dal presupposto che nelle legislazioni di tutti gli Stati membri, il consenso
espresso sulle clausole del contratto ha efficacia vincolante per le parti,
sembra più che mai opportuno ravvicinare la disciplina degli Stati membri anche
sulle clausole di ricorso all’ADR. Su questo tema, potremmo suggerire quanto
segue.
Clausole di ricorso contenute nei
contratti
Prima di tutto, le parti che approvano una clausola di
ricorso all’ADR dovranno farlo per iscritto.
Nel contratto, le parti possono stabilire se intendono
rinunciare all’accesso alla giustizia, ricorrendo immediatamente all’ADR,
oppure se intendono lasciare aperte entrambe le possibilità, e concordare
successivamente la procedura da seguire.
Nel primo caso, la parte che viola la clausola ed accede
alla giustizia, è inadempiente, e deve incorrere in sanzioni di natura
contrattuale, meglio se previste nello stesso contratto.
Nel secondo caso, le parti potranno stabilire in ogni
momento se ricorrere all’ADR oppure alle vie tradizionali.
Preme precisare che la clausola contrattuale che consente
l’accesso immediato alle procedure di ADR, essendo una manifestazione della
volontà delle parti, non può in alcun modo configurare una violazione del
diritto di accesso alla giustizia.
Assenza di una clausola di ricorso
all’ADR
Nei casi in cui il contratto non contenga alcuna specifica
clausola di ricorso, oppure l’obbligazione abbia fonte diversa dal contratto,
il ricorso alle procedure di ADR dovrà essere concordato dopo l’insorgenza
della lite. Anche in questi casi,
é sempre preferibile la sottoscrizione di una clausola scritta, il cui
inadempimento resterà di natura contrattuale.
Costituirebbe invece una violazione del principio del
diritto di accesso alla giustizia una norma che stabilisca un generale obbligo
di ricorso all’ADR prima di adire gli organi giurisdizionali. In questo modo
si finirebbe per trascurare completamente la volontà delle parti.
Il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri su
questo tema porterebbe enormi vantaggi, soprattutto per le obbligazioni con
carattere di internazionalità.
Domanda
n. 6
Se
sì, si deve ammettere in maniera generale la validità di tali clausole
oppure se ne deve limitare la validità quando tali clausole figurino in
contratti per adesione in generale, oppure quando figurino, in particolare, in
contratti stipulati con i consumatori?
In effetti si pone il problema della possibile abusività,
o vessatorietà di tali clausole nei contratti “per adesione” o stipulati
con i consumatori.
In primo luogo, va detto che le norme, nazionali e
comunitarie, a tutela del consumatore o della parte “debole” del contratto,
sanciscono l’inefficacia delle clausole che generano un “significativo
squilibrio”, limitando le azioni del consumatore, o derogando alla competenza
dell’autorità giudiziaria.
Tuttavia, la clausola contrattuale che preveda
l’immediato ricorso alla procedura di ADR non provoca quel significativo
squilibrio tanto temuto dal legislatore, ma semmai porta un vantaggio alle
parti, che hanno la possibilità di definire la lite in modo più celere ed
economico.
Allo stesso modo, non si potrà censurare la clausola
contenuta in un contratto di adesione, o in un contratto tra consumatore e
professionista, che preveda la facoltà delle parti di decidere concordemente,
dopo la firma del contratto, se procedere tramite le vie giudiziarie o tramite
quelle alternative.
Naturalmente, a corollario di una tale clausola, dovranno
esserci determinate garanzie per la parte “debole”, quali ad esempio lo
svolgimento della procedura nel luogo di residenza del consumatore (almeno per
evitare i costi della trasferta); dovrà inoltre restare impregiudicato il
diritto delle parti di adire le vie giudiziarie in caso di fallimento della
procedura di ADR.
Ad esempio, si potrebbe stabilire che la presentazione
della domanda di ADR provoca la sospensione (o, ancora meglio, l’interruzione)
del termine di prescrizione per l’azione giudiziaria.
Domanda
n. 7
Quale
dovrebbe essere, in ogni caso, la portata di tali clausole?
Si può suggerire di incentivare, a livello comunitario,
l’uso delle clausole di ricorso all’ADR, riconoscendo il principio del
libero utilizzo (volontario) di tali clausole per tutte le obbligazioni,
contrattuali ed extracontrattuali.
Sulla base della risposta fornita alla domanda n. 6, sarà
facoltà delle parti stabilire, nel contratto o in un altro momento, se
ricorrere direttamente alla procedura di ADR, oppure seguire i tradizionali
strumenti di tutela.
Resta però opportuno che ciascuno Stato membro possa
adottare personali accorgimenti sui rapporti di famiglia, lavoro ed in genere
sui rapporti che, come quelli tra consumatore e professionista, contrappongono
soggetti deboli a soggetti forti.
Domanda
n. 8
Si
deve giungere fino a ritenere che la violazione delle clausole stesse comporti
l'incompetenza del giudice a conoscere della controversia, almeno in via
temporanea?
Certamente.
Dal momento che le parti consapevolmente si determinano a
percorrere una procedura alternativa, sono tenute a rispettare gli obblighi che
ne conseguono. Si può inoltre
suggerire di sanzionare la violazione con una penale, oltre che con la pronuncia
di incompetenza del giudice a conoscere la controversia. La previsione di una
sanzione può essere un utile strumento per perseguire quei soggetti che
sottoscrivono l’adesione all’ADR a soli scopi dilatori, ma che intendono
adire le vie giudiziarie, confidando in una pronuncia di competenza da parte del
giudice.
Domanda
n. 9
Le
legislazioni degli Stati membri devono essere ravvicinate affinché in ogni
Stato membro il ricorso ad un meccanismo di ADR comporti la sospensione
dei termini di prescrizione per il ricorso agli organi giurisdizionali?
Sembra una considerazione interessante. La sospensione dei
termini di prescrizione per il ricorso agli organi giurisdizionali conferirebbe
alle procedure di ADR ancora maggiore credibilità.
Non bisogna infatti trascurare la diffidenza che colpisce
molti soggetti (spesso anche avvocati), quando si tratta di affrontare una nuova
procedura. C’è infatti la paura che la decisione di percorrere questa strada
possa compromettere il ricorso alle vie tradizionali di accesso alla giustizia.
Un ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nel
senso di prevedere la sospensione (o ancora meglio l’interruzione) dei termini
di prescrizione sarebbe un ottimo strumento per convincere anche i più
diffidenti a provare nuove strade.
La soluzione migliore sarebbe quella di stabilire che la
presentazione della domanda di ADR provoca l’interruzione del termine di
prescrizione per l’azione giudiziaria. Questo perché formalmente, la
richiesta di procedere in modo “alternativo”, indica sempre una precisa
volontà di affrontare il caso e di “procedere” per la sua risoluzione; in
tal senso, presenta forti similitudini con i ricorsi al giudice.
Non va inoltre dimenticato che a volte, soprattutto quando
i termini sono brevi, chi intende promuovere un giudizio si muove poco prima
della scadenza del termine. Se il termine di prescrizione fosse soltanto
sospeso, ricomincerebbe a decorrere dal giorno del fallimento della procedura di
ADR, con la conseguenza che verrebbe a spirare a breve anche il termine per
proporre un’azione giudiziaria. Ciò, evidentemente, andrebbe a sfavore delle
parti, soprattutto di chi confida nel buon esito della procedura conciliativa.
Domanda
n. 10
Quali
sono state le esperienze del funzionamento delle due raccomandazioni della
Commissione del 1998 e del 2001?
Condivise
ed attuate le garanzie minime dettate dalle Raccomandazioni, con l'istituzione
di organi extragiudiziali che rispondano a tali criteri, l'operatività degli
stessi è in linea di principio suscettibile di offrire al consumatore una
valida alternativa alla risoluzione delle controversie per via giudiziale.
Peraltro,
nella pratica dei tentativi di risoluzione delle controversie, si è potuto
constatare che le garanzie, dettate in linea di principio, perdono spesso di
effettività in assenza di una "cultura" dei metodi di ADR in
generale, e della conciliazione nello specifico, impedendo la conclusione della
procedura già avviata e portando le parti ad accedere alla giustizia ordinaria,
con l'impressione, per le stesse, di non aver ottenuto altro che una dilazione
dei tempi di accesso alla giustizia.
Un
ruolo importante nella creazione di tale "cultura" dei metodi di ADR
è sicuramente da assegnarsi alle azioni di informazione (degli utenti) e di
formazione (dei professionisti) da incentivarsi ad ogni livello, sia nazionale
che comunitario.
Domanda n. 11
Potrebbero
i principi stabiliti in tali raccomandazioni applicarsi in modo
indifferenziato in settori diversi da quello del diritto del consumo e in
particolar modo estendersi a tutta la materia civile e commerciale ?
Si,
soprattutto in considerazione della sempre più frequente possibilità per
differenti categorie di “soggetti deboli” di trovarsi in contrasto con una
"parte forte" che risiede in uno Stato diverso dal proprio.
In
materia commerciale, oltre che nei rapporti b2c, è sempre più frequente che
tale situazione di disparità tra le parti si verifichi in occasione di
controversie b2b (es. piccole imprese che instaurano rapporti commerciali con
grandi imprese che svolgono la propria attività principale in differenti Stati
UE). Inoltre, il rapido sviluppo della Società dell'Informazione, impone
un'attenta considerazione delle innumerevoli opportunità di scambio attraverso
la "rete" e, al contempo, delle altrettanto innumerevoli occasioni di
contrasto tra operatori commerciali. Il ricorso ai metodi di ADR in tali
rapporti deve pertanto presentare garanzie minime e comuni relative agli organi
ed alle procedure.
In
materia civile, un'attenzione particolare va riservata alla materia familiare.
In tale settore può rendersi necessario un livello di garanzia ancora più
elevato rispetto ai criteri minimi dettati dalle due raccomandazioni, pur
mantenendosi ferma l'esigenza di contemperamento di tali garanzie con i
caratteri di flessibilità e convenzionalità dei metodi di ADR.
Domanda
n. 12
Quali,
tra i principi enucleati dalle raccomandazioni, potrebbero essere accolti
nelle legislazioni di tutti gli Stati membri?
I
principi dettati dalle Raccomandazioni sono definiti "criteri minimi",
pertanto possono essere accolti nelle legislazioni di tutti gli Stati membri.
Si
osserva che il livello di qualità dei metodi di ADR è strettamente collegato
alle garanzie offerte dagli organi di ADR quanto a composizione, funzionamento e
procedure. Inoltre, la fiducia dei cittadini nel ricorso a tali metodi, affinché
si realizzi pienamente il diritto di accesso alla giustizia, dipende in
particolar modo dal livello di credibilità degli organi extragiudiziali che,
soltanto in presenza di tali garanzie minime, costituiscono un'alternativa
valida ed effettiva agli organi giudiziari.
domanda
n.13
Secondo
voi sarebbe opportuno ravvicinare le legislazioni esistenti degli Stati membri
nei settori regolamentati, soprattutto in materia familiare, al fine di
fissare principi comuni in materia di garanzie procedurali?
La
scelta diretta ad armonizzare le norme procedurali nel diritto di famiglia
gioverebbe sicuramente, posto che renderebbe più celere ed equo il processo,
soprattutto laddove i rapporti matrimoniali transnazionali e, conseguentemente
la soluzione delle relative patologie incontrano ostacoli che determinano,
inevitabilmente, situazioni dolorose e, allo stato, talvolta ineluttabili.
domanda
n.14
Quale
iniziativa ritenete che le istituzioni europee debbano prendere, in stretta
collaborazione con le parti interessate, in materia di norme deontologiche
alle quali sarebbero sottoposti i terzi?
Le
istituzioni europee devono limitarsi a fissare i principi essenziali e
fondamentali che devono regolare il comportamento dei terzi, ciò anche al fine
di armonizzare ed uniformare i codici deontologici che dovranno regolare nello
specifico i doveri e le norme di comportamento dei terzi.
In
particolare i codici deontologici dovrebbero stabilire i seguenti fondamentali
obblighi a carico del terzo:
1)
autodeterminazione (il terzo deve riconoscere che la conciliazione è basata sul
principio di autodeterminazione delle parti)
2)
imparzialità ed indipendenza del terzo (il terzo deve essere imparziale ed
equilibrato verso le parti, deve mantenere tale condotta durante tutto lo
svolgimento della procedura e deve astenersi dall’iniziare o proseguire la
procedura se la sua imparzialità sia venuta meno o se la sua partecipazione
possa risultare compromessa per qualche conflitto di interesse o altra
circostanza che possa ragionevolmente suscitare dubbi o incertezze sulla sua
attitudine a condurre la procedura in forma equilibrata)
3)
trasparenza della procedura ed obbligo di informazione (il terzo deve informare
le parti sulla natura, sulle caratteristiche e sulle regole della procedura di
ADR e sul suo ruolo, assicurandosi la comprensione dei partecipanti ed il loro
consenso rispetto a tali punti)
4)
riservatezza
5)
obbligo di formazione professionale continua (il terzo ha l’obbligo di
raggiungere e conservare un ottimo livello professionale)
6)
sanzioni (dovranno essere previste sanzioni, come la censura, la sospensione o
l’esclusione del terzo, per rendere effettivo il rispetto delle norme
deontologiche)
domanda
n. 15
E’
opportuno ravvicinare le legislazioni degli Stati membri affinché il rispetto
della riservatezza delle procedure di ADR sia garantito in ciascuno degli
Stati membri?
Sì.
Il rispetto della riservatezza costituisce caratteristica fondamentale ed
essenziale per il successo e l’efficacia delle ADR in quanto la sicurezza che
le notizie rivelate al terzo non potranno essere portate a conoscenza
dell’altra parte né potranno essere utilizzate al di fuori della procedura di
ADR, favorisce la sincerità e la franchezza delle parti che possono così
fornire al terzo tutti gli elementi occorrenti per raggiungere la soluzione del
conflitto con soddisfazione reciproca.
domanda
n. 16
Se
sì, in che modo ed in che misura deve essere garantita tale riservatezza? In
che misura le garanzie di riservatezza dovrebbero estendersi alla
pubblicazione dei risultati del procedimento di ADR?
In
che misura deve essere garantita la riservatezza:
la riservatezza deve essere garantita nella misura massima possibile,
imponendone il rispetto a tutti coloro che prendano parte a qualsiasi titolo
alla procedura conciliativa (conciliatori,
parti, impiegati, segretarie, consulenti ecc.).
In
che modo deve essere garantita la riservatezza:
a)
All’interno della procedura di ADR: mediante reciproco impegno di
riservatezza.
Il
terzo, inoltre, è tenuto a non rivelare ad una parte elementi, circostanze,
fatti ed ogni notizia che gli siano stati rivelati dall’altra nel corso degli
incontri separati, a meno che non sia stato espressamente autorizzato a farlo.
b)
All’esterno della procedura di ADR: salvo diversa ed espressa volontà delle
parti, deve essere vietata la diffusione al pubblico ed in particolare
l’utilizzabilità in giudizio come elemento di prova di qualsiasi elemento
risultante dalla procedura di ADR.
Nel
caso in cui venga raggiunto un accordo scritto questo non sarà riservato a meno
che le parti lo chiedano espressamente.
La
riservatezza, inoltre, deve essere garantita attraverso un impegno espresso
delle parti a non citare come teste, in un eventuale giudizio che segua il
fallimento della ADR, né il terzo né chiunque sia venuto a conoscenza della
procedura per ragioni di ufficio o lavoro.
A
questo proposito, peraltro, la garanzia della riservatezza sarebbe meglio
tutelata attraverso una modifica delle leggi vigenti nei paesi dell’Unione al
fine di riconoscere al terzo ed a coloro che siano venuti a conoscenza degli
elementi della procedura per ragioni di lavoro o ufficio, la facoltà di
astenersi dal deporre in un giudizio, eventualmente avvalendosi del diritto al
segreto professionale.
La
pubblicazione dei risultati del procedimento di ADR deve essere consentita solo
a fini statistici globali, a condizione che non contenga riferimenti che
consentano l’individuazione del terzo e/o delle parti, né di altri
particolari della controversia.
domanda
n. 17
A
vostro giudizio, sarebbe opportuno fissare una norma a livello comunitario
secondo cui, in esito alle procedure di ADR, deve essere osservato un termine
di riflessione prima della firma dell’accordo oppure un termine di recesso
dopo tale firma? Questa questione dovrebbe piuttosto essere trattata
nell’ambito delle norme deontologiche a cui sono sottoposti i terzi?
Fissare
con una norma l’obbligo di rispettare di un termine di riflessione prima della
firma dell’accordo ci sembra contrario alle esigenze di celerità, rapidità e
concentrazione che deve improntare lo svolgimento delle ADR.
Riteniamo
che sia il terzo a dover o poter suggerire l’opportunità di un termine di
riflessione, nei casi in cui ciò appaia opportuno per garantire il
raggiungimento di un consenso convinto e realmente volontario.
Considerate
le caratteristiche dell’ADR ed il fatto che, se ben condotta, la procedura di
ADR dovrebbe portare ad una definizione consensuale e volontaria della
controversia, non dovrebbe neppure essere necessario prevedere un diritto di
recesso da esercitare entro un termine prefissato dopo la firma dell’accordo.
In
genere il diritto di recesso, infatti, è previsto da una norma nei casi in cui
il legislatore vuole garantire la parte di un contratto considerata più debole
e quindi nei casi in cui vi è il timore che la parte possa essere stata indotta
a sottoscrivere un impegno di sorpresa, senza aver avuto il tempo e le capacità
per valutare adeguatamente la portata dell’impegno assunto, oppure sotto la
pressione del soggetto più forte.
Tali
situazioni non possono determinarsi nell’ADR in quanto il terzo deve garantire
l’equilibrio e la correttezza dei rapporti tra le parti.
La
previsione di un diritto di recesso, quindi, potrebbe ipotizzarsi solo come
rimedio ad una possibile patologia dello svolgimento della ADR e dovrebbe,
comunque, essere fissato in termini brevissimi per evitare il perdurare di una
situazione di incertezza nei rapporti che la ADR ha proprio lo scopo di
risolvere rapidamente.
Se
si verifica un pentimento od un ripensamento da parte di una delle parti dopo la
firma dell’accordo, deve ipotizzarsi che la procedura non sia stata condotta
in maniera adeguata e competente e che l’accordo sia stato raggiunto
malamente, senza un reale ed effettivo incontro delle volontà.
E’
il terzo, infatti, che ha la direzione della procedura e che ha il compito di
accertarsi che il consenso prestato dalle parti sia convinto e realmente voluto.
Riteniamo
pertanto preferibile che sotto questo aspetto la questione sia trattata
nell’ambito delle norme deontologiche che devono disciplinare la condotta dei
terzi.
Domanda
n. 18
È
necessario rafforzare l'efficacia degli accordi di ADR negli Stati membri?
Qual è la migliore soluzione al problema del riconoscimento e dell'esecuzione
in un altro Stato membro dell'Unione europea degli accordi di ADR? In
particolare, si devono adottare norme specifiche per conferire carattere
esecutivo agli accordi di ADR? In caso affermativo, con quali garanzie?
Sempre per l’irrinunciabile principio della volontà di
cui si è accennato in precedenza, va sostenuta l’idea di rafforzare
l’efficacia degli accordi di ADR negli Stati membri.
Per comprenderne
appieno le ragioni, basti pensare alla difficoltà con cui in genere le parti
raggiungono un accordo per dirimere una controversia.
Per incentivare il ricorso alle procedure di ADR, è quindi
necessario dare piena ed immediata efficacia agli accordi raggiunti in sede di
conciliazione.
Ai fini dell’esecutività, il procedimento di ADR dovrà
essere svolto presso un Centro di conciliazione certificato dall’Unione
Europea, e l’accordo dovrà avere la forma ed il valore di verbale, e non di
semplice transazione, posto che l’accordo delle parti è la naturale
conclusione di un vero e proprio “procedimento”, al quale il verbale pone
fine.
Il verbale contenente l’accordo avrà valore di titolo
esecutivo.
La più agevole, e forse migliore soluzione per il
riconoscimento e l’esecuzione in un altro Stato membro degli accordi di ADR,
è l’emanazione di una normativa comunitaria in tema di ADR, sotto forma di
Direttiva o di Regolamento, nel cui contesto sia collocata una norma che enunci
il principio di immediato riconoscimento ed immediata esecutività degli accordi
di ADR negli Stati membri coinvolti.
Adottando, come ora suggerito, una norma specifica, si
sgombrerà il campo dalle prevedibili incertezze riguardanti la natura, e
conseguentemente la “procedibilità” di tali accordi, sottraendone il
riconoscimento e l’esecutività all’interpretazione spesso difforme adottata
dai singoli Stati.
In onore al principio di celerità che distingue le
procedure di ADR, confidiamo nell’accoglimento di una normativa che stabilisca
i criteri per conferire una certificazione di qualità ai Centri di
conciliazione. Il requisito della certificazione potrà così automaticamente
conferire valore di titolo esecutivo al verbale di conciliazione, rendendo
l’accordo immediatamente riconosciuto ed esecutivo, senza che le parti debbano
ricorrere a Pubbliche Autorità per ottenere l’attestazione di esecutività,
che aumenterebbe i tempi e i costi della procedura, e scoraggerebbe fortemente
chi intende avvalersi delle procedure di ADR.
domanda
n. 19
Quali
iniziative ritenete che le istituzioni comunitarie dovrebbero adottare per
sostenere la formazione dei terzi?
Le
istituzioni comunitarie dovrebbero promuovere e sostenere l’organizzazione di
corsi teorici e pratici di formazione e di costante aggiornamento professionale
dei terzi per garantire una adeguata conoscenza delle tecniche di conciliazione
ed una formazione costante e continua della loro professionalità.
Siamo
d’accordo anche per la previsione di un sistema di certificazione affidato a
autorità europee e /o nazionali che possa garantire la qualità della
formazione ed un controllo periodico della preparazione, affinché
esistano garanzie minime ed uniformi relativamente alla competenza dei terzi.
domanda
n. 20
Sarebbe
opportuno prevedere criteri minimi di formazione ai fini del riconoscimento
dei terzi?
Riteniamo
indispensabile prevedere criteri minimi di formazione ai fini del riconoscimento
dei terzi.
Questi
potrebbero consistere:
a)
nell’aver frequentato con profitto almeno un corso teorico-pratico di
formazione in tecniche dì conciliazione nella nazione di appartenenza o in un
altro paese dell’Unione della durata minima di 40 ore;
b)
nel superare un colloquio od una prova teorico-pratica di ammissione;
c)
obbligo di partecipare ogni anno a corsi di formazione teorico-pratico della
durata di almeno 18 ore;
d)
di avere una adeguata esperienza nel settore specifico della controversia ovvero
possedere una laurea in campo giuridico o economico;
domanda
n. 21
Si
devono adottare norme speciali relativamente alla responsabilità dei terzi?
In caso affermativo, quali? Che ruolo dovrebbero svolgere in questo campo i
codici di deontologia?
Le
questioni sono molto delicate.
In
primo luogo, riteniamo che le eventuali responsabilità dei terzi debbano essere
correlate al ruolo ed alla posizione che il terzo assume nello svolgimento della
proceduta e nella formazione dell’accordo finale.
Questo
libro verde si occupa esclusivamente delle procedure non giurisdizionali di
risoluzione delle controversie in ambito civile e commerciale condotte da un
terzo neutrale.
In
questo tipo di procedure il terzo svolge un ruolo di mero catalizzatore con il
compito di guidare le parti a raggiungere un accordo, il cui contenuto peraltro,
deve essere determinato e voluto dalle parti stesse.
Il
terzo, quindi, non può avere alcuna responsabilità diretta né nel caso in cui
non venga raggiunto un accordo né nel caso in cui una parte dopo aver
sottoscritto l’accordo non vi dia esecuzione.
Nel
regolamento del nostro Centro, che deve essere accettato dalle parti prima
dell’inizio della procedura, una norma stabilisce che né i conciliatori né
il Centro possono garantire l’effettivo raggiungimento di un accordo, poiché
esso rimane una decisione di competenza delle parti e prevede espressamente
l’esclusione di responsabilità per gli atti e le eventuali omissioni relative
ai servizi prestati dai terzi, salvo i casi di dolo.
Questa limitazione
di responsabilità del terzo è stata prevista in considerazione del ruolo
neutrale che il terzo assume nella procedura e nelle decisioni finali che
rimangono comunque nella piena autodeterminazione delle parti.
Nel
caso in cui il terzo nello svolgimento della procedura si sia reso responsabile
di violazione di regole procedurali o deontologiche (riservatezza, imparzialità,
ecc.) nei codici deontologici devono essere previste sanzioni dirette a
reprimere tali comportamenti a seconda della gravità della violazione commessa
(si può andare dalla semplice censura alla temporanea sospensione del terzo
dall’esercizio dell’attività, fino alla totale esclusione).