COMITATO FRANCO ITALIANO DEL NOTARIATO LIGURE E PROVENZALE
XXIV CONGRESSO
PATRIMONIO INTERNAZIONALE: COSTITUZIONE, GESTIONE E TRASMISSIONE


ROSARIA BONO, NOTAIO IN GENOVA
TRASMISSIONE EREDITARIA E STRUMENTI ALTERNATIVI AL TESTAMENTO


Il problema della trasmissione ereditaria di patrimoni internazionali è diventato ormai di interesse generale per l'intera classe notarile.
Il diffondersi dell'immigrazione e specialmente l'integrazione degli immigrati che incominciano a diventare detentori di ricchezza, ma ancor più l'estendersi del fenomeno dei matrimoni "misti" portano ogni giorno nei nostri studi problemi successori internazionali, che non riguardano più solo i colleghi d'elite, consulenti delle grandi famiglie, ma anche giovani notai come me che muovono i primi passi professionali in una grande città del mondo industrializzato.
Il giurista italiano che si occupi di problemi di diritto internazionale privato deve prendere le mosse della nuova legge del 1995, che ha profondamente innovato non solo le regole operative pratiche, ma con l'introduzione della professio iuris per certi versi ha mutato proprio la posizione dello Stato Italiano di fronte al diritto internazionale.
L'intento del legislatore è stato duplice: da un lato fornire soluzioni ai diversi problemi interpretativi che si erano posti nell'applicazione del sistema previgente; dall'altro recepire nel diritto internazionale privato italiano i più recenti sviluppi in materia a livello internazionale.
L'articolo 46 della Legge 31 maggio 1995 numero 218 recita: "La successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte". Come si vede la nuova legge ha accolto il principio, già enunciato dall'articolo 23 delle preleggi, dell'unità della successione sotto la legge dello Stato di cui il de cuius era cittadino al momento della morte.
Questo principio di derivazione romanistica però ci pone frequentemente in contrasto con le leggi di quegli Stati, come la Francia o i Paesi di common law, che sposano il principio della pluralità delle successioni, basato, com'è noto, sulla separazione tra proprietà dei beni mobili e proprietà dei beni immobili: ai beni mobili si applica la legge dell'ultimo domicilio o residenza del de cuius, ai beni immobili la lex rei sitae.
Il sistema del morcellement non è privo di inconvenienti.
Se, ad esempio, un soggetto la cui successione si apre in Francia lascia beni mobili ed immobili in diversi Stati,  si avrà una pluralità di quote di riserva e di disponibile rispetto a ciascun bene, o, addirittura, se lascia beni in Gran Bretagna, Stato che non conosce l'Istituto della riserva, si avrà la conseguenza che l'erede del bene sito in Inghilterra potrà chiedere la sua quota di riserva sul bene sito in Francia, mentre l'erede del bene francese non potrà chiedere la riserva sul bene sito in Inghilterra.
D'altra parte anche il nostro sistema dell'unità della successione può scontrarsi con il sistema anglosassone: ad esempio per l'ordinamento italiano il bene del de cuius italiano, anche se situato in Inghilterra, è soggetto alla riserva, ma tale istituto non viene riconosciuto dall'ordinamento inglese, che si ritiene pure competente per il bene in questione.
Come nella vecchia legge, anche nella legge attuale il criterio di collegamento principale è dato dalla nazionalità: la legge regolatrice della successione è la legge nazionale del de cuius al momento della morte. L'applicazione di tale criterio è stata però notevolmente limitata dalle regole introdotte dagli articoli 13, 18 e 19 della nuova legge, nonchè dalla possibilità della "professio iuris".
L'articolo 13 stabilisce che ogni volta che si richiama la legge di un altro Stato, si deve tener conto dell'eventuale rinvio che questa faccia alla legge di un terzo Stato. Il rinvio è però escluso quando la legge straniera non accetti il rinvio ed indichi un altro Stato, per evitare rinvii a catena.
L'articolo 18 risolve i problemi posti dal rinvio ad un ordinamento che comprenda più sistemi normativi, come ad esempio gli Stati Uniti, applicando il criterio del collegamento più stretto con il caso di specie.
L'articolo 19 si occupa invece dei casi di apolidi, rifugiati o soggetti con più cittadinanze: per i primi due casi si fa riferimento al luogo di domicilio o di residenza; nel caso di doppia cittadinanza, se nessuna è italiana (che prevale), si fa riferimento al criterio del collegamento più stretto.
Un'ulteriore eccezione al principio della nazionalità è dato, come si è detto, dalla possibilità della "professio iuris", introdotta dalla nuova legge in analogia a quanto previsto in materia di contratti.
L'articolo 46 recita: Il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria l'intera successione alla legge dello Stato in cui risiede".
Requisiti della professio iuris sono i seguenti:
1) la scelta deve essere espressa in forma testamentaria;
2) la scelta deve essere limitata alla legge dello Stato in cui il testatore risiede;
3) la residenza deve essere effettiva e abituale ed ancora la stessa al momento della morte;
4) la scelta deve riferirsi all'intera successione;
5) non può pregiudicare i diritti dei legittimari residenti in Italia, se il testatore è italiano.
La professio può essere contenuta nel testamento o in una dichiarazione autonoma: in tal caso, in mancanza di testamento, avrà luogo la devoluzione ex lege.
Decidere qual'è la legge applicabile è determinante, ovviamente, per stabilire il luogo ed il tempo di apertura della successione, di quanti beni il testatore poteva disporre per testamento, come si dividono i debiti ereditari, l'ammissibilità o meno dei patti successori, l'ordine dei successibili ex lege.
Il problema più delicato che si pone di fronte alla "professio iuris" di un cittadino italiano è dato dalla tutela dei legittimari.
L'articolo 46 II comma si limita a tutelare i diritti dei legittimari residenti in Italia al momento della morte del testatore e non si preoccupa di tutelare tutti i soggetti anche di fronte a leggi straniere che non prevedano diritti per i legittimari. Le disposizioni lesive, quindi, non cadono ai sensi dell'articolo 16, che stabilisce che la legge straniera non si applica quando i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico, perchè il legislatore ha aderito a quel filone di pensiero, affermato nella giurisprudenza di merito e di Cassazione, che ritiene che le norme sulla riserva non siano norme di ordine pubblico.
L'articolo 46, 3° comma, si occupa della divisione ereditaria: questa è regolata dalla lex successionis, ma i condividendi si possono accordare per designare un'altra legge, che potrà, però, solo essere o la legge del luogo in cui si è aperta la successione, o la legge del luogo in cui si trova almeno un bene ereditario.
L'articolo 47 accoglie anche per quanto riguarda la capacità di testare il principio della cittadinanza: la capacità è regolata dalla legge nazionale del disponente al momento di redazione del testamento, o al momento della sua revoca o modifica. Il testamento sarà quindi valido anche se la capacità di testare è venuta meno dopo la redazione del testamento e se cambiando la cittadinanza dopo tale momento la nuova legge non riconosce più la capacità.
Una norma estremamente liberale regola la forma del testamento. Secondo l'articolo 48, il testamento è valido se è considerato tale:
- dalla legge dello Stato nel quale è stato redatto, o
- dalla legge dello Stato di cui il testatore era cittadino al momento del testamento o della morte, o infine
- dalla legge dello Stato in cui il testatore era residente o domiciliato.
Si può a questo punto fare un breve parallelismo con quanto disposto dalla convenzione di Roma in materia di contratti o dalla legge 218/95 in materia di rappresentanza.
Per i colleghi francesi è forse inconcepibile il nostro atteggiamento di fronte alle procure straniere: il Notaio italiano, in forza dell'articolo 60 2° comma della legge 218, considera valida ed accettabile in quanto alla forma la procura che sia considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza o dalla legge dello Stato in cui è stata posta in essere. Quindi, per fare un esempio, la procura per donare stipulata per scrittura privata in uno Stato che ammetta tale forma (come la Svizzera) potrà essere utilizzata dal Notaio italiano, anche se per la nostra legge nazionale sarebbe necessario l'atto pubblico.
La disciplina dell'articolo 48 sulla forma del testamento si inserisce quindi in una più generale tendenza alla liberalizzazione della forma al fine di facilitare il compimento di atti giuridici all'estero.
La legge 218 risolve un altro problema di diritto internazionale privato che si era posto negli anni passati e cioè la qualificazione giuridica del diritto dello Stato: se lo Stato acquistasse in base ad una vera e propria devoluzione successoria o invece nell'esercizio di una potestà pubblicistica.
Per fare un esempio: con il sistema previgente, nel caso di morte di un cittadino britannico che lasciasse beni mobili in Italia, non acquistava nè lo stato britannico in quanto i beni non si trovavano nel suo territorio, nè lo stato italiano in quanto il de cuius non era di nazionalità italiana. L'articolo 49 stabilisce che quando la legge applicabile alla successione, in mancanza di successibili, non attribuisce la successione allo Stato, i beni posti in Italia si devolvono allo Stato Italiano.
Come si è visto la nuova legge pone al Notaio italiano che si veda richiesto di redarre un testamento o di svolgere pratiche successorie relative a beni posti in Italia, o a stipulare una divisione o la rivendita di un bene ereditario notevoli problemi pratici.
La professio iuris, facendo riferimento al concetto di residenza, ci pone ad esempio il problema, non sempre di facile soluzione, di accertare la residenza in uno Stato straniero.
Gli istituti del rinvio e la possibilità della professio iuris ci obbligano a studiare e ad applicare molteplici ordinamenti stranieri, che talvolta rispondono ad una cultura e una tradizione giuridica profondamente diversa dalla nostra, o di paesi dilaniati da guerre interne e secessioni che impediscono di stabilire esattamente le norme applicabili, con un evidente sforzo per i Notai, ritenuto però necessario per iniziare il cammino verso la libera circolazione giuridica internazionale, ormai indispensabile.
La Convenzione dell'Aja del 1° agosto 1989, che si muove in quest'ottica, ha tenuto conto di questi problemi con un'elencazione a cascata di criteri di collegamento, comunque rispondenti al principio dell'unità delle successioni, che senz'altro ha il pregio della flessibilità.
La devoluzione post mortem del patrimonio familiare è però sempre meno affidata al testamento, che si è rivelato spesso uno strumento insufficiente per rispondere alle diverse esigenze di più complessi assetti di interessi. Il testamento deve essere superato tutte le volte che ci si riferisca a beni la cui natura esige un particolare trasferimento diversificato e tutte le volte che il regolamento di interessi non possa essere affidato alla volontà unilaterale di un soggetto, ma debba coinvolgere il consenso di più persone.
Pertanto il sistema successorio è ormai di fatto integrato dal contratto, come strumento di devoluzione con diverse finalità e in una riflessione circa la trasmissione del patrimonio internazionale non si può prescindere dal parlare dei patti successori, che nella maggior parte dei Paesi a noi vicini sono un valido strumento di devoluzione ereditaria. I contratti sono conosciuti da molti ordinamenti europei e si può dire che siano il modo normale di trasmissione nei Paesi di common law; persino Stati che, come la Francia contemplano il divieto dei patti successori hanno poi validi contratti mortis causa (in diritto tedesco, BGB par. 274 e seg., l'ERBVERTRAG; codice civile generale austriaco art. 602 e legge sulle fondazioni private; codice civile svizzero art. 494).
In Italia la prassi contrattuale ha elaborato numerose figure negoziali tese a proiettare la propria efficacia dopo la morte di una o più parti, ma il testamento, la sostituzione fidecommissaria ed i contratti alternativi al testamento nel nostro ordinamento devono convivere con il divieto ex articolo 458 C.C., che delimita di fatto l'ambito di validità degli strumenti alternativi, divieto che è venuto però via via sbiadendo per opera delle più recenti interpretazioni della dottrina e della giurisprudenza.
All'interno della categoria degli atti post mortem vi sono alcuni negozi che più di altri si prestano a fungere da alternative convenzionali al testamento e che hanno dato vita, come si è detto, ad un orientamento giurisprudenziale teso a disapplicare il divieto dei patti successori.
Uno strumento contrattuale si presenta come valida alternativa al testamento quando determina l'immediato trasferimento del bene, pur subordinandone la definitività alla morte e, contemporaneamente, permette di anticiparne alcuni effetti, senza però pregiudicare per il disponente la possibilità di bloccarne l'effetto finale. Queste esigenze sono particolarmente sentite quando si tratti di successioni relative ad un'attività d'impresa, in cui si evidenzia la necessità di diversificare la devoluzione rispetto agli altri beni ereditari.
Il primo problema che l'interprete si deve porre dinnanzi ad un contratto  con effetti post mortem è di verificare se si tratti o meno di un negozio mortis causa, perchè solo di fronte ad una risposta positiva si pone il problema del divieto del patto successorio istitutivo.
Non è questa la sede per dissertare sulla definizione di atto mortis causa, che è peraltro essenziale per inquadrare come patti istitutivi alcune fattispecie negoziali.
Solo in pillole e con il rischio che la troppa superficialità sia fonte di errori, possiamo dire che alcuni autori definiscono come mortis causa l'atto che, in quanto diretto a regolare i rapporti giuridici di un soggetto per il tempo della sua morte, nessun effetto produce prima di tale evento; altri come l'atto che ha per funzione sua propria di regolare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto.
Altra cosa evidentemente è l'atto inter vivos con effetti post mortem, che produce già un certo tipo di aspettativa dal momento della stipulazione.
Mi limiterò qui ad elencare alcuni casi esaminati dalla giurisprudenza e dalla dottrina e risolti in senso positivo:
1) Donazione connessa con la morte del donante: la dottrina tradizionale tende ad affermare l'inammissibilità della donatio mortis causa  non tanto per la contrarietà al divieto dei patti successori, quanto per il contrasto con il principio dell'irrevocabilità, che le deriva proprio dalla sua natura di contratto.
Secondo parte della dottrina (Giampiccolo) l'irrevocabilità non è però elemento inderogabile e nulla vieta ai contraenti di pattuire espressamente la possibilità di sciogliere il vincolo negoziale: si conclude pertanto per l'ammissibilità di una donazione revocabile con effetti differiti al momento della morte del donante, in cui l'evento condizionante è costituito dalla morte del donante. Cosa succederebbe però se tale donazione avesse come oggetto il quod superest? Bisognerebbe  decidere qual'è la ratio del divieto dei patti successori: se tale ratio è la libertà testamentaria, non ci sarebbero problemi stante la revocabilità; se la ratio fosse invece la centralità della volontà del disponente, vi sarebbe contrarietà alle regole del testamento volte a conferire massimo risalto alla volontà  del disponente;
2) Donazione sotto modalità di morte: si ritiene ammessa in quanto negozio inter vivos e non mortis causa. Anche se l'effetto finale è differito alla morte del donante, gli effetti preliminari si producono subito, sia nel caso di termine che di condizione: infatti sorge subito in capo al donatario un diritto soggettivo che possiamo definire di "aspettativa" che gli attribuisce la facoltà di compiere atti conservativi e di disporre dei beni donati, ovviamente con le stesse modalità (termine o condizione) cui è sottoposta la donazione, mentre il donante perde la possibilità di disporre dei beni donati.
3) Donazione di usufrutto con effetto dalla morte del donante: valgono le considerazioni appena fatte in quanto negozio inter vivos.
4) Contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte del donante: ammessa ex articolo 1412, il quale stabilisce che se la prestazione dev'essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.
La migliore dottrina ha riconosciuto a tale contratto la natura di atto inter vivos, in quanto il diritto alla prestazione sorge immediatamente per effetto della stipulazione e solo l'attribuzione è differita al momento della morte.
5) Contratto a favore di terzo da nominarsi a mezzo di testamento: in questo caso il contratto si trasforma in una vera e propria attribuzione mortis causa e va a scontrarsi con il divieto dell'articolo 458, in quanto limitativo della libertà di disporre del testatore.
6) Assicurazione sulla vita a favore di un terzo: ammessa ex art. 1920 C.C., norma peraltro eccezionale e quindi non suscettibile di estensione.
7) Deposito a favore di terzo: viene costituito un deposito in cui il diritto alla restituzione è attribuito dal depositante ad un terzo, ma con la possibilità di ottenere la restituzione solo dopo la morte del depositante, il quale sino a tale momento conserva la facoltà di disporre dei beni oggetto del deposito.
Il caso è stato protagonista di una famosa pronuncia giurisprudenziale degli anni 50, che ha suscitato molte discussioni in dottrina.
Secondo alcuni autori andrebbe contro il divieto dei patti successori in quanto vera e propria attribuzione mortis causa de residuo. Secondo altri, sarebbe ammissibile in quanto non limiterebbe in alcun modo il potere di disporre del disponente, che è ciò di cui si preoccupa l'articolo 458 c.c.
8) Donazione con onere a favore di un terzo determinato da compiersi dopo la morte del donante: si è ravvisato il rischio di un patto successorio istitutivo. La questione è stata risolta con un giudizio di ammissibilità da coloro che vi hanno ravvisato un contratto a favore di terzo. Sono invece contrari coloro che la ricostruiscono come donazione modale, specialmente se l'oggetto dell'attribuzione a  favore del terzo non coincide con l'oggetto della donazione.
9) Mandato post mortem contrattuale: per la prevalente dottrina e giurisprudenza non è invalido in ogni caso, ma bisogna analizzare la natura dell'attività che il mandatario è chiamato a compiere. Se il mandatario deve compiere un'attività che comporta un'attribuzione patrimoniale a favore di un terzo, si avrà un mandato post mortem nullo ex art. 458 C.C.; se il mandatario dovrà invece compiere attività materiali o meramente esecutive di una attribuzione patrimoniale già effettuata dal mandante in vita, si avrà un mandato inter vivos post mortem exequendum, valido.
Qualche dubbio sussiste in particolare quando il mandato sia oneroso e ne sia pattuita l'irrevocabilità.
10) Clausole societarie: non mi dilungherò ma ricordiamo solo la distinzione tra clausole di continuazione facoltativa, clausole di continuazione obbligatoria, clausole di successione e clausole di concentrazione. Le prime non costituiscono patti successori in quanto hanno natura di atti inter vivos. Solo le ultime, con cui si conviene che i soci superstiti acquistino la quota del socio defunto senza dover corrispondere agli eredi il valore, sono considerate contrastanti con il divieto dei patti successori, in quanto viene attribuito inter vivos ai soci superstiti un diritto successorio.
11) Vendita di cosa altrui: secondo una parte della dottrina si considera nulla solo quando entrambi i contraenti sono addivenuti alla stipulazione della vendita di cosa altrui in considerazione del suo oggetto come cespite di una futura eredità; secondo altri, divieto dei patti successori e vendita di cosa altrui, operando su piani diversi e non intersecandosi, non potrebbero mai dar luogo al alcun contrasto tale da invalidare la fattispecie negoziale posta in essere. La giurisprudenza ha dato risposte diverse, dovute però per lo più alla diversità delle fattispecie in concreto sottopostele, ma non pregiudizialmente negative.
Il divieto dei patti successori, quindi, come abbiamo visto, viene applicato in Italia con una elasticità maggiore di quanto appaia dalla norma. Ciò porta a considerare questi contratti come compatibili con il cosiddetto ordine pubblico internazionale, con la conseguenza della possibilità di far valere in Italia tali pattuizioni stipulate ai sensi di leggi straniere.
Di fronte all'interrogativo se i patti successori violino o meno l'ordine pubblico internazionale, ci si pone innanzi tutto un problema di tipo politico.
L'Unione Europea con la Raccomandazione del 7 Dicembre 1994 sulla successione delle piccole e medie imprese ha preso posizione sulla ammissibilità dei patti successori. La comunicazione emanata dalla Commissione caldeggia la cessione tra coniugi ed auspica l'attenuazione del divieto di patti sulla futura successione e dell'istituto della riserva.
E' difficile inoltre poter sostenere che le regole sui contratti successori degli altri Stati della Comunità possano essere contrari ai fondamenti della nostra civile convivenza.
Si può solo concludere perciò che il divieto ex articolo 458 non esprime un principio di ordine pubblico internazionale.
Alla luce di quanto sopra possiamo risolvere due casi pratici di patti successori stranieri da valere in Italia.
Il primo caso riguarda un contratto di vita comune stipulato in Olanda tra un soggetto che aveva doppia cittadinanza italiana ed olandese ed una cittadina olandese. In questo contratto i conviventi stabilivano che, in caso di morte di uno dei due, tutti i beni comuni (ad eccezione di quelli pervenuti per successione o donazione) sarebbero andati al superstite e che, se alla morte il vincolo di convivenza non fosse ancora venuto meno, il cittadino italiano attribuiva alla convivente tutti i beni o tutti quelli che la stessa avesse scelto.
Nella stessa data del contratto di vita comune il de cuius aveva fatto un testamento con il quale sceglieva come legge regolatrice della sua successione la legge olandese.
Il problema si è posto perchè il cittadino italiano aveva un immobile situato in Italia.
Secondo il diritto olandese che ammette il contratto di vita comune, i beni si trasferiscono immediatamente al convivente superstite, che assume l'onere dei debiti che gravano sui beni. Tale convenzione si chiama "clausola di sopravvivenza" e può prevedere o meno che metà dei beni vadano agli eredi.
Applicando al caso pratico tutte le cose dette in precedenza, dobbiamo concludere nel senso che il patto olandese sia pienamente legittimo. Tale patto ha sicuramente natura successoria e quindi dovrebbe ritenersi invalido se sottoposto alla legge italiana e valido se sottoposto alla legge olandese. Ma il disponente ha compiuto una valida professio iuris ai sensi dell'articolo 46 della nuova legge di diritto privato internazionale, sottoponendo l'intera sua successione alla legge olandese, e pertanto il contratto in oggetto ricade pure sotto questa legge e deve considerarsi quindi pienamente valido.
Analoghe considerazioni debbono farsi rispetto alla "donation entre epoux de biens a venir" prevista dall'articolo 1094 del Codice Civile francese. Tale donazione ha sicuramente natura di negozio mortis causa e ricade sotto la nullità dell'articolo 458 del Codice Civile italiano, ma della sua validità non si può dubitare se il cittadino italiano residente in Francia ha scelto come legge regolatrice della sua successione la legge francese: unico requisito è che la professio iuris sia stata fatta in modo espresso.
Questo modo di ragionare deve guidare il Notaio italiano che si trovi di fronte ad un acquisto in forza di un qualsiasi contratto volto a regolare una futura successione, stipulato secondo una legge straniera.
Infine, è dovuto un breve cenno su quella particolare fattispecie di trasferimento a fine successorio che è costituita dal trust.
L'adesione dell'Italia alla convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985 ha introdotto il trust, muovendo un ulteriore passo verso il contratto successorio. Con la legge 364/89 in Italia si sono riconosciuti i trusts ovunque istituiti e a qualunque legge straniera sottoposti. L'Italia non ha fatto propria alcuna nozione di trust, ma ha aderito a quella di trust amorfo. Requisiti essenziali sono che i beni del trust siano separati del patrimonio del trustee, che il trustee abbia la capacità di agire in giudizio ed essere citato, o di comparire in qualità di trustee davanti al Notaio o alla pubblica autorità. Ne consegue che i creditori personali del trustee non possono aggredire i beni del trust, che gli stessi restano separati dai beni del trustee in caso di sua insolvenza e non fanno parte del regime matrimoniale o della successione del trustee, che si può rivendicare il trust nel caso in cui il trustee abbia confuso i beni.
Il trust evidentemente è uno strumento ottimale per la pianificazione della trasmissione tra familiari e l'individuazione dei beneficiari, ma il Notaio si deve porre il problema dei limiti in cui tale istituto sia applicabile in materia successoria, quando il disponente abbia scelto di costituire un trust secondo la legge di un Paese straniero.
E' da tener presente che anche la Convenzione dell'Aja sul trust, all'art.15, ha fatto espressamente salve le norme sulle successioni.
La prima questione che ci poniamo è quella della compatibilità con l'articolo 458 c.c., cioè con il divieto dei patti successori.
La dottrina ha concluso per l'ammissibilità del trust, le cui caratteristiche strutturali ne escludono la natura di negozio mortis causa e lo sottraggono pertanto all'ambito di applicazione dell'articolo 458.
Le caratteristiche che escludono il divieto dei patti successori in particolare sono:
a) normale struttura di negozio unilaterale e non di "patto";
b) uscita dei beni dal patrimonio del disponente immediata e non successiva alla morte;
c) attribuzione immediata di un'aspettativa ai beneficiari.
Altra questione è la compatibilità del trust con il divieto della sostituzione fidecommissaria, applicato con più severità dalla giurisprudenza. Le considerazioni appena fatte circa la struttura e la natura di negozio inter vivos del trust sono sufficienti ad escluderne l'applicabilità.
Ciò da cui invece il trust non può prescindere è la tutela dei legittimari. E' vero che il trust che vìoli i diritti dei legittimari non è nullo ma impugnabile con l'azione di riduzione, ma ciò ne fa venir meno almeno in parte l'utilità come strumento di pianificazione familiare, e quindi un trust costituito secondo la legge britannica che non conosce la riserva, seppur valido offre il fianco all'azione di riduzione e rischia di vedersi ridistribuire i beni oggetto della pianificazione.
Per finire, solo un brevissimo cenno all'aspetto fiscale.
Se al momento dell'apertura della successione il dante causa risiedeva in Italia, concorrono a  formare la base imponibile sia i beni situati in Italia sia quelli esistenti all'estero, ma se lo Stato estero dove sono situati gli immobili provvede già a tassarli secondo le proprie leggi, gli eredi e i legatari possono detrarre dall'importo dell'imposta liquidata in Italia quanto pagato allo stato estero.
Nel caso di de cuius residente all'estero, l'imposta viene invece liquidata solo sui beni situati in Italia.
Si presumono esistenti in Italia i beni ed i diritti iscritti nei pubblici registri italiani, le azioni delle società costituite in Italia, le quote di partecipazione in enti diversi dalle società che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale, le cambiali e gli assegni di ogni specie emessi dal debitore, se quest'ultimo o il trattario o l'emittente è residente nello Stato italiano, i crediti garantiti su beni esistenti nello Stato fino a concorrenza del valore dei beni medesimi.
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