OTTOBRE 2000

VENEZIA Museo S.Apollonia

 
 

Quando, nel 1947, il Consiglio Comunale conferiva a Giuseppe Cherubini, anconetano di nascita e veneziano d'elezione, la cittadinanza onoraria "a riconoscimento della sua nobile attività ispirata all'amore di Venezia", interpretava, con un atto formale ma carico di significato, un più diffuso sentimento popolare.
Cherubini amava Venezia e ne era ricambiato: i veneziani si soffermavano volentieri ad osservarlo lavorare ed a scambiare quattro chiacchere con lui. Apprezzavano l'abilità del pittore e il carattere dell'uomo, semplice, schivo e riservato, ed il suo discorrere sbrigativo ma sempre pieno di temperamento e di sapore.
Fedele ad un suo mondo particolare in bilico tra ottocento e novecento, aveva attraversato un'epoca densa di avvenimenti sociali, politici, culturali e di variazioni di valori etici ed estetici. Probabilmente non ne era stato protagonista ma neppure generica comparsa.
Aveva goduto anche di momenti di celebrità: ad una delle prime biennali, per esempio, quando un suo acquerello fu acquistato da Vittorio Emanuele III°, Re d'Italia oppure quando vinse il concorso per affrescare il soffitto della chiesa dell'Ospedaletto. D'Annunzio stesso apprezzava la sua pittura tanto da ravvisarne, in una dedica, "il presagio d'un nuovo meriggio della pittura veneta". Si lasciò tentare dalla storica avventura di Ca' Pesaro, affascinato da quell'atmosfera carica di tensione creativa erivoluzionaria ricerca formale.
Poi era tornato al suo mondo.
Agli affreschi dagli ampi cieli aperti popolati di voli leggeri di angeli a volte tiepoleschi a volte severamente ieratici. Alle fiabesche decorazioni di Caffè e Teatri pervase di un raffinato sapore oscillante tra grande tradizione settecentesca e belle epoque. Alle scenografie delle "cavalchine", illusorie ricostruzioni pensate per bruciare, in un ultimo ballo di carnevale, un attimo di felicità. Ma soprattutto era tornato al suo atelier preferito: Piazza San Marco.
Qui, lontano dalla mondanità, spesse volte vacua, delle Biennali e dai clamori di Ca' Pesaro, si trovava a suo agio.
In piedi alla prime luci dell'alba, come un vero operaio della pittura, piantava il cavalletto tutti i giorni. Al levar del sole i raggi radenti risvegliano la lucentezza degli ori bizantini evidenziando le varietà cromatiche dei marmi e il chiaroscuro dei ghirigori gotici. Il gioco di luci ed ombre, con impressioni rapide e leggere, viene trasfuso nelle trasparenze dell'acquerello o in piccoli bozzetti a tempera o in grandi tele ad olio. Giorno dopo giorno, con partecipazione e piglio documentaristico, testimoniava emozioni gioiose e tristi di epoche alternative spensierate e tragiche. "La ricostruzione del campanile", la severità di un "Alzabandiera", la compunta religiosità di una "Processione del Corpus Diomini" e poi ll'incubo di una nuova guerra con la "Piazzetta in veste di guerra" e con i "Cavalli della Basilica messi al riparo nel cortile di Palazzo Ducale" e finalmente la liberazione con la gioiosa "Sfilata della banda scozzese".
Quando il 31 gennaio 1960, all'età di 93 anni, Cherubini moriva, un pezzetto di storia se ne andava con lui. Lasciava un vuoto in Piazza San Marco ma anche nel cuore dei veneziani, sentimentalmente legati a quella poetica esile figura, severamente vestita di nero, con il cappellaccio sempre calcato sulla testa e dalla lunga barba fluente, bianca come quella di un antico profeta.