IL MESTIERE DI VIVERE

Scritto da Cesare Pavese, è stato composto durante l’arco della vicenda creativa dell’autore e reca come date iniziali e finali, rispettivamente il 15 Ottobre 1935 e il 18 Agosto 1950 e non è altro che un diario. Le note d’apertura comprese fra l’Ottobre ‘35 e il Marzo ‘36, risultano scritte nel confino di Brancaleone e sono intitolate Secretum Professionale. Apparte un paio di brani di autori latini e di sentenze popolari, esse contengono riflessioni e materiali assai eterogenei: di poetica e di ricerca stilistico-espressiva (passaggio in Lavorare stanca dalla poesia-racconto, all’immagine-racconto), o di natura estetico-esistenziale.

Sulle direttrici tracciate dal Secretum, poi si inalveano, ma arricchite di quel ventaglio di variazioni, di situazioni e accadimenti che discendono dall’esperienza della vita, anche le successive note. Vi si infittiscono così, i frammenti e le chiose di numerosi autori, (Bergson, Vico, Dostoevskij, Kierkegaard, Joyce, Freud, Nietzsche), abbozzi di racconti, di lettere e trascrizioni di sogni. Ma vi si infittiscono anche le scritture sul selvaggio e sul primitivo e di speculazione estetico filosofica, tese alla definizione di una poetica personale che costituisca nel contempo, modus vivendi: le indagini sui concetti di simbolo, mito e destino occupano parecchie pagine e, con le altre dedicate alla solitudine e all’infanzia come età che battezza le cose e battezzandole le crea, conferiscono al diario le peculiarità, più che dello zibaldone, del taccuino di viaggio, sul quale riassumere le risultanze dei percorsi di un impervio e disperato percorso artistico, spirituale ed umano.
Vi appaiono inoltre mescolate alle acquisizioni delle speculazioni teoriche, le tracce del fallimento dell’uomo nel rapporto con la donna, con la vita e con il reale e i conseguenti riflessi di ricognizione religiosa e autodistruttivi (“Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”).
Fu pubblicato postumo e con alcune omissioni a Torino nel 1952.