INTERVISTA
A GAE AULENTI
Francesco Galdieri
A circa un mese dall'inaugurazione
della stazione della metropolitana di piazza Dante, Gae
Aulenti è tornata in gran segreto a Napoli. Ad attenderla
nel cantiere, domenica mattina, c'era solo una ristretta
rappresentanza dello staff dirigenziale e tecnico della
Metropolitana di Napoli. Accompagnata dal presidente,
l'ingegnere Giannegidio Silva, a mezzogiorno l'architetto
milanese ha effettuato un sopralluogo nella seconda
stazione da lei progettata per quello che è stato già
ribattezzato come il «Metrò della cultura»: il primo in
Italia ad essere stato pensato anche come contenitore per
l'arte contemporanea.
L'abbiamo incontrata nella zona
della piazza che presto sarà pedonalizzata e che,
nonostante le impalcature e le lamiere, mostra già i segni
di un rigoroso restyling, a cominciare dalla pavimentazione
in pietra vesuviana.
Ci riassume i punti salienti sui
quali ha lavorato per la riqualificazione di piazza Dante?
È stato un progetto molto delicato da realizzare,
perché con la presenza di Vanvitelli non è che si passi
impunemente in questo spazio. Ho cercato di lasciare la
piazza così com'era, rivedendola in funzione della
geometria dello spazio ed anche dei servizi che ci sono
attorno, e soprattutto relazionandola al carattere forte di
Port'Alba; dunque ho lasciato il più possibile le strutture
com'erano, riordinandole perché la vita continui come
prima. Per la pavimentazione ho optato per un disegno
secondo la tradizione napoletana; i due elementi che
fuoriescono sono stati disegnati apposta in vetro, con
strutture molto sottili, nella speranza che possano
costituire due componenti che si relazioneranno bene nel
contesto.
Quali sono i punti di contatto e le
differenze rispetto alla stazione del Museo
Nazionale?
A piazza Cavour l'insieme era più complesso:
l'area verde, la connessione con il museo, il dover
costruire qualche cosa per supportare le differenze dei
livelli. In quel caso il contesto era più difficile dal
punto di vista della geometria ma anche più libero, mentre
qui il luogo era, come dire, già fatto, bisognava
rimetterlo a posto.
Nel sottosuolo architettura ed arte
s'integrano nel rispetto delle diversità dei linguaggi di
Alfano, De Maria, Kosuth, Kounellis e Pistoletto...
La
tradizione già aperta a Napoli degli artisti che lavorano
negli spazi pubblici ha reso possibile operare delle scelte
in base alla sensibilità degli artisti ed in funzione ai
luoghi nei quali devono andare ad operare. La mia non è una
scelta che tende ad avere una visione critica, ma piuttosto
una corrispondenza tra pittura, scultura, interventi
artistici e gli spazi della stazione.
In questa
esperienza napoletana come giudica i rapporti instaurati
con gli artisti e con gli enti locali?
Molto buoni fin
dall'inizio: rapporti non solo burocratici, ma anche di
discussione e confronto, e questo è un gran merito di
questa città.
Luoghi della mobilità e dell'arte: le
stazioni di un metrò possono supplire all'assenza di una
galleria o di un museo per l’arte
contemporanea?
Assolutamente no, ma possono dare il
loro contributo perché la gente in modo graduale comprenda
e si abitui anche al contemporaneo. Un contributo insomma
molto positivo.