Il pricing di opzioni soggette a rischio di credito

Premessa

Affrontando il problema del pricing degli strumenti finanziari derivati soggetti a rischio di credito notiamo subito la presenza di diverse teorie, tra cui, quella del Prof. Peter Klein dell’Università di Toronto (Canada) che si presenta come un miglioramento della formula di Black-Sholes e che è per di più utilizzabile in un numero maggiore di situazioni reali. Successivamente si potrà notare come la formula di Klein tiene conto:

Il modello di Klein si può considerare migliorativo anche rispetto a quelli di:

Altro punto importante del modello di Klein è il considerare come variabile endogena il claim dovuto all’option holder in caso di default della controparte. In particolare tale valore verrà a basarsi:


1. Introduzione

Le opzioni OTC (over the counter) stanno assumendo una sempre maggiore diffusione. Ne consegue che per i relativi possessori, nonché per tutti gli attori del mercato, esiste la necessità di determinare (anche per le minori garanzie offerte dai mercati OTC) il relativo grado di rischio di credito: ovvero quale è la probabilità di subire della perdite (credit loss) a causa dell’impossibilità dell’option writer di adempiere ai propri impegni al momento della scadenza dell'opzione.


2. Revisione dei modelli di rischio di credito esistenti

Per affrontare il problema dell’effetto del rischio di credito dell’option writer sul prezzo delle relative opzioni vendute, bisogna prima accennare all’effetto del rischio di credito dell’emittente un bond sul prezzo del bond stesso. I due problemi, infatti, presentano diversi punti in comune.

Per quanto il problema in questione sia stato notevolmente analizzato da Altman sin dal 1983, vede ancora la letteratura divisa tra due scuole di pensiero:

Le due teorie discusse rappresentano il punto di partenza per i recenti studi effettuati sul tema del pricing delle opzioni soggette a rischio di credito. In particolare, tre sono stati i modelli presi in maggiore considerazione:

1. Modello di Johnson&Stulz (1987):

tali autori facendo riferimento alla prima della due teorie viste sul pricing di bond soggetti a rischio di credito, studiano il problema con la limitazione di considerare l’opzione venduta come l’unica obbligazione dell’option writer. Il suo default, allora, si verificherà solo se alla data di esercizio della opzione il valore di quest’ultima è superiore al valore dei suoi asset. Il rischio di credito e il suo effetto sull’opzione dipenderanno quindi:

  1. dal peggioramento/miglioramento del valore degli asset dell’option writer;
  2. dalla diminuzione/aumento del valore della opzione stessa.

Tale modello ha quindi delle ipotesi che non possono considerarsi sempre appropriate:

  • sia perché le posizioni in opzioni degli operatori, in generale, non sono mai rilevanti rispetto a tutti i loro asset;

  • sia perché, ancora più raramente, l’opzione venduta è l’unica obbligazione pendente in capo all’option writer.
  • Un’altra considerazione che può farsi sull’approccio di Johnson&Stulz é che non considera la possibilità che l’option writer copra il proprio rischio di fallimento e quindi impedisca al valore dei suoi asset di scendere ad un livello inferiore a quello della opzione venduta.

    2. Modello di Hull&White (1987):

    Hull&White, in contrasto con Johnson&Stulz, assumono la presenza di altre possibili obbligazioni pendenti sull’option writer oltre quella derivante dalla vendita dell’opzione. Hull&White allora, per valutare l’effetto del rischio di credito dell’option writer sul prezzo della relativa opzione seguono il secondo dei s.v. approcci per i bond. Il default è quindi un evento che si ritiene possa avvenire in ogni momento prima dell’esercizio della opzione se il valore degli asset dell’option writer scende ad un livello inferiore rispetto ad un determinato default boundary. Il payoff ratio (che è una parte del valore nominale del claim) si ritiene quindi essere funzione di diverse variabili non direttamente correlate al valore degli asset dell’option writer. Hull&White, infatti, considerano il payoff ratio come una variabile esogena al modello e quindi la loro soluzione si ritiene valida solo se l’andamento dell’asset sottostante l’opzione è indipendente dal rischio di credito dell’option writer.

    3. Modello di Jarrow&Turnbull (1995):

    Jarrow&Turnbull, come Hull&White, seguono il secondo dei s.v. approcci per i bond per studiare l’effetto del rischio di credito di un option writer sul valore della relativa opzione. In particolare tengono conto: a) non solo dell’effetto del rischio di credito dell’option writer, b) ma anche dell’effetto del rischio di credito dell’asset sottostante l’opzione, e di come queste due situazioni possano influenzare il prezzo dell’opzione. Tale approccio poi, sempre in linea con Hull&White, assume che il payoff ratio sia una variabile esogena al modello (ipotesi semplificatrice) Ciò implicherà che: a) sia il valore degli asset dell’option writer, b) che l’ammontare nominale dei claim a cui è soggetto l’option writer, sono due valori fissi al momento del default.

    Quest’ultima situazione però, secondo Klein non può accettarsi a causa del tempo, solitamente lungo, necessario per risolvere situazioni di default (1,5/2 anni secondo Wruck). Durante tale lasso di tempo infatti, il valore degli asset dell’option writer potrebbe migliorare fino a consentire il recupero delle conseguenze del default. Inoltre, considerando che la data di esercizio delle opzioni è tale da cadere proprio durante il s.d. lasso di tempo ipotizzato da Wruck, avremo che al momento del default il possessore dell’opzione non la eserciterà e ne aspetterà chiaramente la scadenza.

    Assumere il payoff ratio come variabile endogena al modello, il più delle volte, può quindi significare correre il rischio di considerare oltre modo l’effetto del rischio di credito dell’option writer sul valore della relativa opzione.

    Del resto come osservato dagli stessi Hull&White, il loro modello può probabilmente ritenersi utile solo quando l’option writer è una grossa istituzione finanziaria con un patrimonio ben diversificato, e dove di conseguenza il peso dell’obbligazione della opzione venduta non è molto rilevate.


    3. Un modello di credit loss attese

    Il modello di Klein, in contrasto con quelli di Hull&White e Jarrow&Turnbull, per valutare l’effetto del rischio di credito di un option writer sul prezzo della relativa opzione segue il modello di Johnson&Stultz. Le ipotesi sottostanti il modello di Klein sono:

    1. la possibile esistenza di altre obbligazioni in capo all’option writer oltre quella derivante dalla vendita della opzione stessa;
    2. l’ammontare nominale dei claim proporzionale al valore degli asset dell’option writer in default;
    3. l’esplicito collegamento tra il payoff ratio e il valore degli asset dell’option writer;
    4. la correlazione tra gli asset dell’option writer e l’asset sottostante l’opzione.

    Sulla base di queste assunzioni è possibile considerare il modello di Klein un miglioramento di quello di Black&Sholes, per di più applicabile ad un numero maggiore di situazioni concrete.

    Vediamo allora in concreto come funziona il modello di Klein: assumiamo V come il valore di mercato degli asset dell’option writer, nettamente superiore al payoff atteso sulla opzione (tale payoff è la somma attesa da pagare all’option holder al momento dell’eventuale esercizio dell’opzione).

    Non viene poi direttamente considerato l’evento del default in se stesso. E’ invece considerata (per la sua maggiore rilevanza per l’option holder), la credit loss attesa (ovvero la perdita che l’option holder può subire in caso di default dell’option writer) alla data di scadenza dell’opzione: T. In particolare, in tale data, si avrà una credit loss se VT<D*.

    Klein allora, in contrasto anche con Johnson&Stulz, ritiene che tale perdita non dipenda dal valore della opzione, ma corrisponda "rudemente" all’ammontare del claim D al tempo T.

    D* può dunque anche essere inferiore a D per la possibilità che la controparte porti avanti l’operazione anche quando VT<D (e cioè quando il valore degli asset della controparte è inferiore alla somma reclamata , claim, dal possessore della opzione).

    Nel caso di credit loss allora, sarà pagata solo la porzione (1-a )VT/D del claim nominale (quindi il valore pagato in caso di default dipende dall’ammontare nominale del claim: D), dove a sono i costi addizionali associati al default (espressi in percentuale del valore degli asset della controparte), detti anche deadweight costs.

    Se invece VT>D* non ci sarà alcuna credit loss e in T l’option holder vedrà soddisfatte tutte le sue pretese.

    In questo modello si ritiene possibile che il default possa avvenire non solo in T ma anche prima. In quest’ultimo caso i s.d. costi associati al default (a ) vengono subiti solo se al tempo T gli asset della controparte non recuperano un determinato default boundary. La quantità (1- a )VT/D sta quindi a rappresentare il valore degli asset della controparte disponibili per i creditori e quindi non dipenderà dal momento in cui il default avviene.

    Il modello di Klein poi assume che:

    1) V segua un moto Browniano geometrico con volatilità istantanea s V;

    2) V sia un insieme di traded security (sebbene V non sia molto probabilmente un patrimonio direttamente scambiabile, si ritiene per semplicità che lo sia).

    Queste ultime due assunzioni possono facilmente essere dimostrate usando l’approccio risk neutrality (assenza di possibilità di arbitraggi) di Cox&Ross (1976) e Harrison&Pliska (1981) secondo il quale nel prezzare derivati dipendenti da V, il processo più appropriato risulta essere:

    dV/V = r*dt + s V*dw

    dove r è il tasso di interesse riskfree (privo di rischio) e w segue un processo di Weiner standard. Ciò va poi ad implicare che LnVT si distribuisce secondo una v.a. normale con media (r-s V2)*(T-t) e devianza standard s V (T–t)1/2.

    Il payout attuale atteso B*, corrispondente al claim nominale di B, può allora essere scritto come:

    B*=E*[Bç VT³ D*]+E*[B(1-a )VT/Dç VT< D*] (1)

    E* = risk neutral expectations

    Questa formula ci permette di vedere come il futuro payout atteso sul claim nominale di B comprenda due quantità entrambe "condizionate" dal valore finale degli asset dell’option writer (o una o l'altra a seconda se c'è o meno riscjio di default).

    Il claim è liquidato per intero se gli asset della controparte sono "sopra" il default boundary. Se invece sono "sotto", il payout è solo una porzione (proporzione) del claim nominale e dipenderà dal valore degli asset dell’option writer, come pure dalle altre obbligazioni di quest’ultimo.

    Col s.d. approccio di Cox&Ross e Harrison&Pliska si può poi anche dimostrare che se B è un valore nominale fisso, allora:

    B*=B[N1(b2) + er (T– t)*N1(d2)*(1-a )*(Vt/D)] (2)

    dove:

    b2=[Ln(Vt/D*)+(r-1/2s V2)*(T–t)]/s V(T–t)1/2

    d2=-[b2+s V(T–t)1/2]

    N1=distribuzione cumulata della curva normale univariabile.


    4. Opzioni soggette a rischio di credito

    Il modello pricing del precedente paragrafo è simile a diversi altri facenti capo a quello di Merton (1974). Il principale contributo di Klein a tale modello è la sua estensione a claim con ammontare nominale uguale al payoff delle opzioni valutate con la formula Black&Sholes. Tali opzioni possono essere valutate in tale maniera quando si include un’altra variabile, S: valore (inteso come prezzo) dell’asset sottostante l’opzione.

    Si assume allora che S e V seguano i seguenti processi di diffusione:

    dS/S=m S*dt+s S*dz

    dV/V=m V*dt+s V*dw

    dove z e w seguono processi di Wiener con correlazione istantanea r . Si assume che S e V siano traded.

    In base a queste ipotesi si può così dimostrare che al fine di prezzare derivati dipendenti da S e V, gli appropriati processi risk neutral sono:

    dS/S=r*dt+s S*dz (4)

    dV/V=r*dt+s V*dw (5)

    da cui applicando il lemma di Ito per LnS e LnV (per ottenere i differenziali):

    dLnS=(r–1/2s S2)*dt+s S*dz (6)

    dLnV=(r–1/2s V2)*dt+s V*dw. (7)

    E' chiaro che LnST e LnVT sono variabili distribuite normalmente:

    n2(LnSt+(r-1/2s S2)(T–t); LnVt+(r-1/2s V2)(T–t); s S(T–t)1/2; s V(T–t)1/2; r ) (8)

    dove n2=funzione di densità della curva normale standard bivariabile

    Questo collegamento tra LnST e LnVT implica che ST e VT sono distribuite lognormalmente:

    ST , VT ~ ^2

    dove la distribuzione lognormale bivariabile ^2 corrisponde ai processi risk neutral delle s.v. equazioni (4) e (5).

    Il valore di una call vulnerable C* è allora uguale al valore atteso dei flussi finanziari di una call non vulnerable C, più il valore del claim su una controparte soggetta a rischio di credito (così come visto nella precendente equazione (1)):

    C*=e –r (T– t)E*[max(ST-K; 0)*([1ç VT³ D*]+[(1-a )VT/Dç VT<D*] )] (9)

    dove E* denota l'aspettativa di assenza di arbitraggi su ST e VT, e K è il prezzo di esercizio della call. Chiaramente se non c’è rischio di credito, D*=0 e la (9) comprenderà solo il primo dei due addendi del secondo membro tra le parentesi quadre piccole.

    La (9) può allora anche essere riscritta come segue:

    C*=e–r (T–t)(E*[STç ST³ K; VT³ D*]-E*[Kç ST³ K; VT³ D*]+E*[ST(1-a )*(VT/D)ç ST³ K; VT<D*]-E*[K(1-a )*(VT/D)ç ST³ K; VT<D*] (10)

    In questo modo la (10) mostra che il valore di una call europea vulnerable comprende quattro termini condizionati da ST (maggiore o minore del prezzo di esercizio K) e da VT (maggiore o minore del default boundary D*). Si può poi ancora dimostrare che la (10) può essere anche espressa con la seguente formula di pricing per le call europee vulnerable:

    C*=St[N2(a1,a2,r )+e(r+r *s S*s V)(T-t)*(1-a )*(Vt/D)*N2(c1,c2,-r )]-

    +e-r(T-t)*K*[N2(b1,b2,r )+er(T-t)*(1-a )*(Vt/D)*N2(d1,d2,-r )]

    =St*N2(a1,a2,r )-e-r(T-t)*K*N2(b1,b2,r )+(1-a )*(Vt/D)*[St*e(r+r *s S*s V)(T-t)*N2(c1,c2,-r )-+K*N2(d1,d2,-r )] (11)

    dove gli argomenti di N2 (la funzione di distribuzione cumulata normale bivariabile) sono:

    a1=[Ln(St/K)+(r+1/2s 2S)(T-t)]/s S(T-t)1/2 = b1+ s S*(T-t)1/2

    a2=[Ln(Vt/D*)+(r-1/2s 2V+r *s S*s V)*(T-t)]/s V(T-t)1/2 = b2+r *s S*(T-t)1/2

    b1=[Ln(St/K)+(r-1/2s 2S)*(T-t)]/s S(T-t)1/2

    b2=[Ln(Vt/D*)+(r-1/2s 2V)*(T-t)]/s V(T-t)1/2

    c1=[Ln(St/K)+(r-1/2s 2S+r *s S*s V)*(T-t)]/s S(T-t)1/2 = b1+(s S+r *s V)*(T-t)1/2

    c2=[Ln(Vt/D*)+(r+1/2s 2V+r *s S*s V)*(T-t)]/s S(T-t)1/2 = -[b2+(s S+r *s S)*(T-t)1/2]

    d1=[Ln(St/K)+(r-1/2s 2S+r *s S*s V)*(T-t)]/s S(T-t)1/2 = b1+r *s S*(T-t)1/2

    d2=[Ln(Vt/D*)+(r+1/2s 2S)*(T-t)]/s V(T-t)1/2 = -[b2+s V*(T-t)1/2]

    In ugual modo la formula di pricing per una put con uguali caratteristiche:

    P*=K*e-r(T-t)*[N2(-b1,b2,r )+(1-a )*(Vt/D)*er(T-t)*N2(-d1,d2,-r )]-St[N2(-a1,a2,r )+

    +e(r+r *s S*s V)(T-t)*(1-a )*(Vt/D)*N2(-c1,c2,-r )] (12)

    Si può ancora dimostrare anche che le opzioni europee su uno stock pagante un dividendo continuo q possono essere valutate usando le s.v. formule dove però r è rimpiazzata da (r–q) nel primo insieme di parametri della distribuzione normale bivariabile (a1,b1,c1,d1), e St è scontata da e-q(T-t).

    Con questi aggiustamenti, le equazioni (11) e (12) possono essere usate anche per altri prodotti come per esempio currency option e future option.


    5. Casi specifici della formula di pricing

  • Opzioni non vulnerable
  • Dall’equazione (9) si è facilmente visto che se non c’è rischio di default, D*=0 e quindi il prezzo di una call vulnerable è uguale al prezzo calcolato con l’apposita formula di Black&Sholes. Ciò può essere verificato valutando il limite della (8) con D*® 0, nonché l’effetto sui parametri della funzione di distribuzione normale bivariabile:

    D*® 0LIM a2 = LIM b2 =

    D*® 0LIM c2 = LIM d2 = -

    Riconoscendo N2(x,,r ) come la distribuzione marginale di x che è distribuito per N1(x) e notando che N2(x,-,r ) = 0, allora la (11) può essere così riscritta:

    C*=C=St*N1(a1) - e-r(T-t)*K*N1(b1)

    che è il risultato della formula di Black&Sholes standard.

     

  • Indipendenza
  • Quando il rischio di credito dell’option writer di un’opzione è indipendente dall’asset sottostante l’opzione, r = 0 e la (11):

    C*=St*N1(a1)*(N1(a2)+er(T-t)*N1(c2)(1-a )*(Vt/D)

    =-e-r(T-t)*K*N1(b1)*N1(b1)+er(T-t)*N1(d2)*(1-a )*(Vt/D)

    =(St*N1(a1)-e-r(T-t)*K*N1(b1))*(N1(b2)+er(T-t)*N1(d2)*(1-a )*(Vt/D)

    poiché: c1=a1, b1=d1, d2=c2 e a2=b2.

    Si noti che tale espressione corrisponde al valore atteso non scontato del claim dell’ammontare nominale fisso nella equazione (2). Questo risultato è uguale a quello ottenibile col modello di Hull&White sotto l’assunzione di indipendenza ma collegato espressamente al valore atteso non scontato del claim nominale fisso degli asset della controparte.

     

  • Esempi numerici
  • I modelli di Johnson&Stulz, Hull&White e Jarrow&Turnball, come già visto in precedenza, possono "sovraconsiderare" l’impatto del livello del rischio di credito dell’option writer sul valore delle relative opzioni vendute rispetto a quanto invece calcolato con l’apposita formula di Black&Sholes. Ciò è chiaramente dovuto alle diverse assunzioni che i s.d. modelli fanno sul default e sull’ammontare recuperato in tal caso dall’option holder.

    Sebbene la comparazione diretta tra i s.d. modelli non sia possibile (proprio per le loro diverse assunzioni), appositi esempi numerici (cfr. Journal of Banking&Finance 20 – 1996 – pagg. 1129-1211) mettono in evidenza alcuni punti:

    1) l’effetto del credit risk sul prezzo di opzioni vulnerable è generalmente inferiore rispetto a quello riportato da Jarrow&Stulz eccetto quando i deadweight costs (a ) del fallimento sono molto elevati. Ciò è dovuto alla minore enfasi del modello di Klein sulla capacità degli asset dell’option writer di "andare" di pari passo con il valore dell’opzione. Come prima discusso, tale minore enfasi è appropriata quando ci sono altre obbligazioni che pendono sull’option writer e che possono portarlo al default;

    2) il modello di Klein (al contrario della formula di Black&Sholes e in contrasto con Johnson&Stulz) calcola l’effetto del rischio di credito sulle opzioni vulnerable considerando come di molto minore la correlazione fra gli asset dell’option writer e l’asse sottostante l'opzione, così come paragonato a quando questa correlazione sia negativa.

    Questo risultato è coerente con la realtà del mercato e migliora la qualità della formula di pricing di Black&Sholes per le opzioni soggette a rischio di credito.

    3) dall'analisi delle riduzioni che i prezzi delle opzioni subiscono per effetto del rischio di credito con i modelli di Klein e di Hull&White emerge che, in generale, tale effetto usando il modello di Klein è minore rispetto a quanto riportato da Hull&White per le opzioni europee, ed invece simile per ciò che riguarda le opzioni americane.

    Questa differenza è dovuta principalmente al relativo minore payoff ratio assunto essere del 50% in tutti i casi dal Hull&White e basato sul valore degli asset dell’option writer che possono recuperarsi in caso di default, secondo Klein.

     

  • Stima dei parametri
  • Sebbene s V e r non possono essere direttamente misurati usando i dati di mercato, possono essere comunque stimati proprio dai prezzi passati del mercato stesso. Notando ora come Vt (il valore di mercato degli asset dell'option writer) sia uguale al valore di mercato di tutti i suoi securities, è possibile che Et (il valore del capitale) sia scritto come:

    Et = Vt – B*t

    dove B*t (il valore di mercato dei debiti rischiosi) dipende da Vt come nella equazione (2).

    Applicando ora il lemma di Ito a Gt = LnEt = Ln(Vt–B*T), è possibile scrivere s E (la volatilità di Et) come:

    s E = s V*(Vt/Et)*[(1 - a )*N1(d2)+a /(s V((T-t)1/2)*(n1(d2))]

    da cui:

    s S = (Et/Vt)*[(1-a )*N1(d2)+a /(s V((T-t)1/2)*(n1(d2))]-1*s E = (Et/Vt)*N1(d2)-1*s E (14)

    dove a = 0.

    In base a questo collegamento tra s V e s E, la correlazione istantanea tra gli asset totale dell’azienda e l’asse sottostante l’opzione sarà uguale alla correlazione tra il patrimonio dell’azienda e l’asset sottostante.