Autun, Cattedrale di San Lazzaro, L'adorazione dei Magi (dettaglio), Gisleberto (1125-1145)

I Magi, guidati, come pellegrini, da una stella, vengono dall'Oriente (Mt. 2,1) e portano corone con una simbologia cosmica, i simboli di Dio, il cerchio, il centro, la rotazione creativa e ricordano che l'uomo è un microcosmo, raccoglie in sé il mondo, i diversi ordini della natura: homo quodammodo omnia (Gregorio Magno). Non cercano una verità astratta, una "sapienza" derivata da una elaborazione mentale, né da un'astrazione logica o concettuale. Vogliono esplorare e comprendere dalle "cose", dalle esperienze della vita quotidiana, anche dalla storia di un bambino. E', il capitello di Autun, uno dei rari casi in cui il bambino Gesù somiglia ad un bambino e non ad un piccolo uomo già formato. Uno dei Magi è anziano, uno è giovane e si appresta a regalare la corona al bambino, uno è di mezza età: sono le tre età dell'uomo, ma sono anche le tre età di una storia concreta dei mondo che si articola con ciascun uomo. E proprio Gregorio Magno ricorda che i tempi della profezia sono tre: passato, presente e futuro. Nessuno può profetare il futuro se non conosce il passato e non vive il presente.

 

Lettera di Natale agli amici ~ 1998

Il tempo non si ferma per nessuno. Corre veloce, inesorabile. Così son giunto alla bella, e non invidiabile, età di ottant'anni. Ho messo trepidante il piede su questa soglia, che è anche la soglia del grande Giubileo. Duemila anni fa nasceva in un oscuro villaggio il salvatore del mondo, colui che introdusse l'eternità nel tempo. Egli non arrestò il flusso del tempo, ma ne segnò la pienezza. E dalla sua pienezza noi tutti attingiamo.

La liturgia natalizia canta Hodie Christus natus est! Non ieri, ma "oggi" è nato Cristo. Un "oggi" inserito nel tempo che passa, come tenero germoglio in un vecchio tronco che rinverdisce e rifiorisce. Celebrando il Natale della vita, la liturgia aggiunge: Puer natus est nobis! Egli è nato per noi, e nasce ogni volta che uno lo accoglie. Egli appartiene a noi: Omnia nobis Christus est, esclama Ambrogio; "Tutto in tutti", dichiara Paolo.

Nella sua carne abita la pienezza della divinità. Ma la sua carne è la nostra carne, fragile come fiore del campo. In lui tutto è nostro. Egli è nudo come ogni bimbo che nasce. Stupefacente mistero della sua nudità! Egli è nudo perché "spogliò se stesso". Solo per amore. Si spogliò della sua gloria divina per rivestire l'umile condizione umana. Si è rivestito di tutti noi. Tanto che può dire con Terenzio, e con più verità: "Sono uomo e niente di ciò che è umano mi è estraneo".

Egli appartiene a noi, e noi, a nostra volta, ci apparteniamo a vicenda, se ci accogliamo a vicenda come egli accolse noi. Il "noi" non sottrae nulla all'"io", a patto che il "noi" non sia anonimo, ma formato di persone autentiche. Dante ci assicura che in quel regno - che solo amore e luce ha per confine - quanti più sono a dire "nostro", tanto possiede più di ben ciascuno.

Egli ha dato se stesso quando noi eravamo ancora suoi nemici, per guadagnarci alla sua amicizia e alla causa della sua pace. Ora noi siamo suoi amici; e dalla sua amicizia scaturisce la nostra come da purissima sorgente. Egli non ci chiama più servi, legati per paura al dovere e all'osservanza, ma ci chiama amici, che condividono con lui la pace in cui è racchiuso ogni bene. "Vi do la mia pace". Non una pace qualsiasi egli ci dà, ma la sua pace.

Noi la riceviamo come dono natalizio e gustiamo il privilegio, immeritato, di poterla trasmettere, convinti che solo comunicandola ne possiamo godere. E' bello essere strumenti della sua pace, ma lo siamo in quanto egli ci ha riconciliati nel suo sangue. "La Chiesa - dice il papa - è consapevole che la gioia di un Giubileo è soprattutto una gioia fondata sul perdono e sulla riconciliazione con Dio e con i fratelli".

Per mia buona sorte recito ogni giorno i salmi. Anche quando li recito da solo mi sento parte di un immenso coro che incessantemente sale dalla terra al cielo come una sola voce. E' la voce dei poveri che ripongono ogni loro speranza nel Signore; è la voce dell'uomo che soffre e spera, che gioisce e ama; i salmi sono i canti del nostro pellegrinaggio verso la patria eterna. Non sempre riconosco in essi la mia voce, ma sempre vi riconosco la voce di colui nel quale si ricapitola tutta la storia dell'uomo in cammino.

Anch'io sono andato a Torino a rivedere la Sindone, a contemplare il volto dell'Uomo dei dolori, l'Uomo in cui l'invisibile si rende visibile, l'Eterno si rende presente. Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. Così ha pagato il prezzo di quella pace annunziata dagli angeli a Betlemme: "Pace sulla terra tra gli uomini che Dio ama".

Non spetta forse a noi diffondere tra gli uomini troppo spesso stanchi e sfiduciati la certezza che sono amati da Dio; amati per amare, per manifestare la sua gloria, che altro non è se non l'amore per tutti gli uomini, e che solo a questa condizione essi possono essere in pace tra loro? Il Natale ci fa rinascere, ci fa riscoprire lo spirito e lo stupore dell'infanzia, così evidente sul volto dei Magi di Autun. Il Natale è come un nuovo battesimo, una nuova immersione in Cristo, che ci fa rinascere a vita nuova. Tanto che ciascuno può dire col poeta purificato:

Io tornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle

(Purg XXXIII, 142-145)

 

Roma, Natale 1998

 

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