Il poeta e la paura
autore Elías Letelier

 

Che fa il poeta quando lo Stato  entra nelle case dei poveri e si porta via qualcuno che poi non ritornerà mai a casa? Che fa il quando lo Stato mette in carcere  a coloro che sognano di essere liberi? Che fa il poeta quando il razzismo dell’America Latina  giunge ad essere una manifestazione culturale? Che fa il poeta quando lo sperpero delle risorse naturali e lo sfruttamento miserabile distruggono generazioni umane?

 

In America Latina la persecuzione si è trasformata in una pratica quotidiana, grazie alla quale l’individuo che manifesta pubblicamente il proprio disaccordo con lo Stato viene squalificato con estrema rapidità. Questa voce dissenziente non solo è castigata attraverso critiche screditanti, botte e reclusione, ma anche, e soprattutto, con una minaccia costante e repentina  riguardante la sua vita che provoca un alto grado di incertezza e un’ansietà che conduce ad una dissociazione dalla realtà.

 

Il poeta scompare nel suo verso ermetico, cerca lì un cammino di luce e sogna di interpretare l’aurora e cerca di sopravvivere chiuso nella metafora, mentre il suo popolo, cercando si sopravvivere al costante assedio dello Stato, sostenuto dalle prodezze che mette in atto per raggiungere una giustizia sociale, inventa una poesia diversa e canta dentro la propria desolazione.

 

Oggi, sotto le stesse minacce che il poeta ha subito nel XX secolo, si torna al vittorioso passato degli Stati Uniti e si ricostruisce la “Alleanza per il Progresso” e si militarizza radicalmente il trattato “TIAR”, tutto all’interno delle  sigle “ALCA”, e la prima vittima ne è stata Cuba e le prossime vittime saranno il Venezuela e la Colombia:

 

Venezuela, il paese del petrolio del Sud America, si trova sotto l’intervento dell’imperialismo statunitense e contro questa nazione che ha la pretesa di aggiustare la propria infrastruttura sociale secondo le necessità della propria realtà, oggi impongono gli stessi metodi di cui è stato vittima il Cile di Salvador Allende; Cuba, l’eroica isola dei Caraibi continua a patire la persecuzione statunitense per il semplice motivo di aver posto le sue priorità sull’essere umano e non sulle merci, oggi continua a essere sotto embargo; Colombia, la nazione che si batte per un modello di giustizia, in guerra, da molto tempo è mantenuta sotto intervento con mille scuse, perché sotto la savana e le piantagioni di caucciù c’è il petrolio; in Argentina, “il granaio d’America”, oggi si muore di fame; il Perù è stato distrutto e le sue galere continuano ad essere piene di patrioti rivoluzionari; in Centro America, dove sono state portate migliaia di persone a morire e sono stati spesi milioni di dollari per uccidere per il ripristino del capitalismo, la desolazione ha raggiunto altezze da vertigini; il Cile, la mia patria insanguinata che mai ha raggiunto la giustizia e dove la stanchezza ha condotto la sinistra a connivenze opportuniste per scendere a patti con il neoliberismo e trasformarsi in un errore storico che difende le teorie economiche del fascismo cileno.

 

Non è necessaria l’immaginazione perché il poeta scriva e comprenda tanta umana atrocità, è sufficiente vedere i bombardamenti sulla popolazione civile, nell’eroica Palestina, dove persino si sceglie l’individuo e poi lo si uccide seguendo le regole della profilassi della politica ebraica. Lì non consentiranno l’esistenza di uno Stato palestinese, a meno che non sia filocapitalista, neoliberale e adotti il carattere laico delle culture occidentali, ovvero l’esistenza dello Stato palestinese, sotto lo sguardo dell’imperialismo, dovrà essere una negazione della sua stessa esistenza. 

 

L’odio provoca le guerre e le guerre si vincono solo con la violenza. Indubbiamente questa è un’affermazione esatta. Ma quale è stato il senso di tanta infinita barbarie? Ieri, l’Afganistan, nazione in cui si era cercato di stabilire un modello democratico di società, era stata armata sino ai denti dagli Stati Uniti che, con l’aiuto del Pakistan, avevano creato i mostruosi talebani per soffocare a ferro e fuoco questo sogno di democrazia. E’ costato centinaia di migliaia di vite umane e, quando i talebani hanno dichiarato di avere un proprio programma politico, vengono distrutti a causa della loro disobbedienza e perseguitati come topi di fogna, non già per la sofferenza che hanno provocato al loro popolo, e in particolare alle donne, ma per disobbedienza, come il dittatore assassino dell’Iraq che, all’ombra dell’imperialismo, assassinava in massa la popolazione curda ed è stato punito insieme al suo popolo per aver disobbedito e per aver voluto impadronirsi della risorsa strategica del petrolio del mondo.

 

Questi sono esempi di traditori che, per una porzione di potere, si vendono ad altre nazioni e poi cadono in disgrazia come la maggior parte dei militari traditori dell’America Latina. Basta solo ricordare il caso patetico di Noriega, il militare golpista e agente della Cia: dopo aver distrutto la democrazia del suo paese sono andati a cercarlo perché aveva disobbedito e minacciato con un machete gli Stati Uniti, come “Garthieri”, il generale che aveva invaso le Malvine, che continuano a chiamarsi Falklands.

 

Come è possibile scrivere poesie senza conoscere l’universo in cui viviamo?

 

In America è stato istituzionalizzato un modello di punizione comportamentale di massa, che regola lo stato interiore dell’essere umano e che condiziona e limita le reali possibilità per raggiungere la felicità. Il nuovo ordine di Stato corporativo ha fatto uomini e donne profondamente dipendenti, isolandoli dalla natura per trasformarli in merce o bruta forza lavoro. All’indio, al mulatto, al meticcio e al nero li fanno vergognare del colore della loro pelle, dei loro begli occhi neri e dei loro capelli lisci e tesi come spighe o i maestosi campi di granoturco centroamericani o i rami aggrovigliati delle foglie che fermano il vento.

 

La schiavitù ha cambiato nome. I costi per mantenere uno schiavo implicano dargli da mangiare, una casa, medicine, vestirlo. E’ una grande responsabilità, e per questo è stato liberato e ora a questo stesso schiavo viene data una manciata di soldi e sta a lui trovare il modo di sopravvivere sotto la legge della  domanda e dell’offerta. Il nuovo modello di schiavitù ora si chiama neoliberismo, e ci tiene tutti ingabbiati.

 

Di cosa può parlare il poeta se non vuole soffermarsi sulla realtà che l’individuo soffre a causa dello Stato, in cui lo Stato è la minaccia immediata contro l’individuo? Lo spirito creativo potrebbe fuggire nelle praterie disabitate, nei monti o nei campi e lì, insieme ai contadini rachitici che nutrono le grandi città, scrivere idilliache poesie pastorali e sugli ortaggi giungendo alla stessa conclusione: non c’è luogo dove sia possibile fuggire, se non attraverso la negazione e la demenza. Bisogna riconoscere che lo Stato è una identità che impone all’individuo i suoi sogni e questa identità è formata dal capitale, e questo è nelle mani di pochi. Il poeta, insomma, è vittima delle nostre intatte oligarchie creole, quelle che oggi sfacciatamente impiegano il monitoraggio elettronico nelle strade, nei posti di lavoro e apparecchiature come il telefono o i computer non hanno altro obiettivo che quello di garantire  l’esistenza inquisitrice dello Stato e la dipendenza mediante l’usura delle banche.

 

In mezzo a questo costante naufragio la vita continua e l’essere umano sfruttato canta, ride e celebra la propria sovversione imitando la natura, ricreando l’arte, inventando nozioni estetiche adeguate alla sua realtà e con osservazioni che trasgrediscono il carattere  statico del pensiero normativo della cultura ufficiale che, per potersi reggere, deve impiegare un apparato repressivo. La costrizione statale adesso consiste in un apparato militare-poliziesco non convenzionale, che genera infrastrutture destinate al monitoraggio ideologico di coloro che ricreano il sistema e di altri che cercano di modificarlo. A questo si aggiunge l’estorsione esercitata dalla fame. Per gli intellettuali e gli artisti poveri, per coloro che devono mantenere una famiglia, la fame si trasforma in “una chiave che apre mille porte” e che condiziona le norme estetiche, coniugando le teorie della nuova realtà. Tra il  pragmatismo quotidiano e la metafisica dell’essere, all’interno di specifiche coordinate di tempo e spazio, l’artista sopravvive con la sua contraddizione. 

 

Chi mente, l’uomo che si rivela e si trasforma in poeta, o il poeta che in mezzo all’oppressione si lascia irretire nelle corde di un fonema?

 

L’evasione è un confronto diretto, in cui ciascuna opera si compromette con qualche angolo della realtà. Il poeta che canta i fiori mentre carovane di uomini e donne entrano nelle galere e vengono torturati, e i bambini che dormono nelle strade sono eliminati perché abbruttiscono i quartieri, e le esplosioni di violenza di massa si trasformano nell’unica risorsa per lavoratori affamati, coloro che scuotono la meschinità nazionale e sono una ribellione generalizzata, carente di direzione politica; l’oratore lirico o il poeta, qualunque sia la strada che prenda, si trasforma in testimone di questa realtà e opta per un impegno con cui colpisce  o con cui soffre e si difende. Ogni opera, insomma, o è dalla parte del carnefice o da quella della vittima: tutto il resto è pura elucubrazione intellettualoide che distrae, finalizzata a frenare ogni confronto con il vero problema.   

Aereotropismo

 

Adesso,

bisogna abbattere

la statua della libertà

affinché tutti

siano liberi.    

L’urgenza della verità circola a briglia sciolta   tra il prototipo e l’archetipo e dalle torri dell’epistemologia filosofica, protetta nelle nozioni normative della realtà, si trasforma in un’epistemologia psicologica, senza mai giungere alla concretezza: la devastazione è troppo grande e ogni giorno si costruiscono fantastici carceri per punire i poveri.

 

Mentre si continua a morire senza giustizia sociale, puniti dalla differenza, deve prevalere la poesia dell’urgenza, strettamente concreta e in equilibrio tra astratte nozioni di realtà, in armonia con le altre statiche forme estetiche.

 

Quando la segregazione sociale è un’istituzione e il cittadino che nutre i pilastri dello Stato si trasforma in una minaccia per lo Stato, è allora che la poesia diventa uno strumento di lotta e liberazione, dove non è possibile essere poeta in altro modo.