L'ANTICOMUNISMO, DI IERI E Di OGGI,
CULLA DI VECCHIA E NUOVA BARBARIE.

Ines Venturi-Michele Capuano
 

Nei primi mesi del duemila, quattrocento anni dopo il mostruoso assassinio di Giordano Bruno, nell'anno del Giubileo che scomunica una libera manifestazione gay,  del trionfo del razzista Haider in Austria, in piena organizzazione mondiale delle disuguaglianze, tra una guerra e l'altra, mentre il pianeta si americanizza, ogni dovere diventa inutile, i valori scompaiono e con essi una dignitosa qualità della vita, i disoccupati aumentano e anche i profitti di una classe dominante (piccolissima minoranza della specie animale) che massacra ogni diritto sociale ed impone un forte processo di finanziarizzazione dell'economia incrementando la schiera dei precari, dei marginali e degli emarginati, di nuovi schiavi massacrati da un'informazione prepotente, oligarchica e bugiarda, ancora, incredibilmente, l'anticomunismo, dopo il dramma storico dell'URSS, acceca (a destra e a sinistra: si, anche a sinistra) le menti meschine dei "padroni" della Terra e dei suoi novelli giullari. Marx morì nel 1883, Engels gli sopravvisse dodici anni, Lenin non ebbe il tempo di completare nella pratica le trasformazioni derivanti dalla grande Rivoluzione d'Ottobre, Luxemburg o Che Guevara furono tranquillamente assassinati, qualcuno si è preso l'ictus e qualcun altro veniva eliminato in prigione per impedirgli di pensare eppure il comunismo sembra turbare i sonni della "nuova borghesia" mondiale e dei rinnegati nostrani ed europei. La cosa più sconvolgente è la stupidità con la quale si ripetono identiche demonizzazioni eppure la strada da fare per il marxismo, dopo Marx, è ancora molta e gli anni (siamo anche in piena crisi del movimento dei lavoratori) in cui il pensiero comunista ha vissuto un periodo intenso, vivace, ricco di analisi e di ricerca da non avere paragoni nella storia, li abbiamo regalati al secolo appena andato. Oppure: le classi dell'oppressione e dello sfruttamento sulle moltitudini ancora sentono l'eco di lotte di liberazione in tutto il cosiddetto "Terzo Mondo" ed i loro riflessi nei paesi a capitalismo avanzato o di un dopoguerra che aveva riportato all'ordine del giorno i grandi problemi delle riforme e della stessa rivoluzione fino a veder sviluppare in maniera interessante l'organizzazione di movimenti femministi, etnici, studenteschi, ambientalisti, pacifisti ecc. ed una complessa  "rivoluzione culturale" che ha contaminato le stesse religioni. Sembra, cioè, che mentre si annuncia ai quattro venti la morte del comunismo fino a "manipolare l'ideologia" si riconosca la sua vitalità, la chiara articolazione delle sue premesse teoriche e dei suoi programmi. In sostanza lor signori si sono accorti che l'economia non esiste ma esiste solo l'economia politica e, quindi, la politica rimane la onnipresente articolazione dei conflitti sociali e, dunque, del conflitto di classe che penetra ogni relazione nonostante faticati processi di "normalizzazione", consociativismo, violazione delle libertà e degli stessi diritti umani. Non esiste nessun rigido e meccanico "determinismo" e il fattore economico non è l'unico fattore determinante. E pensare che, soprattutto in Italia, la sinistra è ingolfata di chiacchieroni della rivoluzione, venditori di libri, meschini capi che mentre aborriscono i privilegi della società borghese non vi rinunciano, esclusivismo politico ed autoreferenzialità: non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo… Lo spontaneismo come direzione consapevole è, poi, un altro grande male del disordine settario della sinistra italiana di questo inizio millennio. Nonostante, quindi, la caduta del muro, la confusione e la frammentazione della sinistra e logiche corporative malate di vecchio sindacalismo di molte organizzazioni dei lavoratori, l'anticomunismo continua imperterrito a preoccupare industriali, banchieri e faccendieri d'ogni risma. Dovremmo essere grati a questi nemici dell'umanità di ricordarci che il comunismo, soprattutto se riusciamo a porre fine ad una assurda ed inutile "guerra di Spagna" nella sinistra critica, antagonista e rivoluzionaria, è non solo attuale ma necessario. L'anticomunismo nasce parallelamente al movimento socialista ed esordisce negando il diritto al lavoro (la beneficenza, al contrario, è stata sempre ammessa), esaltando la "proprietà privata" e la legge del più forte, eludendo le questioni sociali e, in nome di una presunta libertà, renderlo responsabile di disastri economici in quanto parla di orari di lavoro, di giusti salari e per assurdo di funzione storica della classe operaia e vorrebbe imporre di non sfruttare donne e bambini (oggi di ogni colore) indispensabili all'industria. I comunisti, si afferma, vogliono rovinare l'economia, distruggere il valore delle monete, disorganizzare la vita pubblica, aprire la strada a feroci dittatori che tra i loro primi obiettivi hanno quello di assassinare preti e monache, realizzare il finimondo e ammazzare anche quei loro compagni un po’ più critici e democratici. La realtà è che l'anticomunismo è, da sempre, stato il cemento che ha unificato nazisti e fascisti ad ogni servo del sistema capitalistico: un torbido fiume avvelenato dove da sempre navigano orripilanti mostri che si chiamano schiavismo, oppressione, razzismo, xenofobia, omofobia, clericalismo becero, massacro sociale, discriminazioni, emarginazione… Dopo la prima guerra mondiale, dopo la Rivoluzione d'Ottobre, l'anticomunismo, non casualmente, diventa un movimento reale che tende ad orientare tutto il mondo capitalista fino a determinare la nascita e l'affermarsi di grandi correnti politiche riconducibili al fascismo, all'hitlerismo e all'imperialismo americano: il presente ancora si sta misurando con tali nefandezze. Il tutto è ben condito da un "nuovo liberalismo" in cui la conflittualità stessa è ridotta ad una serie di problemi ai quali si può trovare una soluzione dentro un processo della contrattazione continuo e accomodamenti tra le parti che, comunque, devono accettare le regole del gioco e coesistere in armonia: perché stupirsi allora se i DS dichiarano che il comunismo è inconciliabile con la democrazia (mentre sembra esserlo stato il tribunale d'inquisizione che uccide Bruno, chi ha sterminato gli indiani d'America, chi continua a sterminare intere etnie ed indios, chi, in Argentina o in Cile, ha sparato sulla stessa idea di civiltà, chi condanna un figlio del vento a morire di stenti e fame in una baracca invasa da topi e dalle nostre stesse miserie) e se, mentre ti invitano a votarli per battere le destre riconosciute anche eversive, corrono in soccorso di Bontempo, Fini o Storace quando, non improvvisando, un tedesco ne riconosce l'inaffidabilità democratica? I DS dimenticano che la società non è costituita da individui ma esprime invece la somma delle relazioni, dei rapporti in cui questi individui stanno gli uni con gli altri: ecco perché per il marxismo il nodo centrale rimane comunque l'antagonismo e la lotta di classe pur riconoscendo contrasti di altra natura. Il tipo nuovo dell'anticomunista è, immaginiamo involontariamente, meglio rappresentato da un diessino che da un fascista di alleanza nazionale: quest'ultimo continua a rappresentare il vecchio tipo di nemico del progresso ovvero: odio razziale o contro l'immigrato, potere del più potente, odio delle diversità, detenzione dura ecc. che pur essendo cose diverse dai campi di sterminio, il rogo di libri, l'olio di ricino, leggi razziali e contro la libertà di stampa ecc. appartengono, nella loro abusata "modernità", allo stesso letamoso e fertile terreno sul quale quelle erbacce crebbero. Gli anticomunisti "vecchi ed attuali" hanno compreso, cioè, che il comunismo (dovremmo dire socialismo) non è solo una dottrina ideale ma un movimento economico e politico che va combattuto con la menzogna, le falsità, le infamità, mantenendolo quando è inevitabile, dentro l'ordine borghese con le azioni della polizia o con lo stesso aiuto dei traditori pseudoriformisti, i provocatori, gli infiltrati ecc. Il dominio di classe è ad un tempo economico, politico e culturale e presenta aspetti differenti e interdipendenti pertanto chi si propone di far diventare superfluo il ruolo stesso dello Stato e di estinguerlo non può non prevedere un progetto ed un programma altrettanto vario e complesso che, in primis, deve sbugiardare ogni "invenzione" anticomunista e rilanciare, attraverso anche tappe intermedie, una rivoluzione democratica ed antifascista come condizione per il successo della stessa rivoluzione socialista riaffermando il principio per cui una classe non è propriamente classe, ma semplicemente massa, se non acquista la capacità di organizzarsi politicamente e prendere coscienza estendendo (comprensione dell'esistenza di una "nuova classe operaia" e di una politica delle alleanze dal basso tra diversi soggetti sociali) la nozione di lavoratore ben al di là dei salariati industriali ed agricoli. Oltre, anche, il "lavoratore immediatamente produttivo". All'interno del "lavoratore complessivo", va comunque precisato, vi è chi è propriamente lavoratore e chi non lo è e la classe operaia è, oggi, caratterizzata da una complessa rete di differenziazioni (incluso uno smembramento nei nuovi insediamenti produttivi) che determinano l'esistenza di diversi strati sociali e, nel cedimento o scomparsa del sindacalismo di classe, il dirompere furioso di lotte meramente rivendicative, corporative, egoistiche. Del resto anche la classe capitalista si estende fino a comprendere coloro che, per reddito, collocazione, opportunità ecc., sono a essa associati. La stratificazione delle classi non appare mai in una forma pura e non prevede la sola esistenza di una borghesia e di un proletariato. Gli anticomunisti lo hanno inteso bene ed è per questo, ad esempio, che durante il ventennio fascista trovarono alleati convinti oltre i capitalisti ed il parassitismo nostrano e attaccarono non solo i comunisti ma, nella loro follia, altre organizzazioni politiche, i sindacati, le cooperative, non risparmiando neppure gli "amici"  liberali e praticando arresti di massa anche per reati d'opinione: Mussolini ebbe a dire: "dobbiamo spezzare per sempre la schiena ai comunisti" e mentre lo affermava sapeva che doveva avvelenare l' opinione pubblica per ostacolare l'unità delle forze antifasciste e per presentarsi come salvatore della società borghese. Churchill, documenta la rivista "Rinascita" nell'agosto del 1954, nel 1933 dichiarava: "soltanto il fascismo può salvare il mondo dal pericolo comunista, le leggi del duce e dei suoi fedeli sono una pietra miliare nell'evoluzione mondiale" mentre la signora Anna Mac Cormick, nel 1934, scriveva sul New York Times: "Mussolini è oggi non solo il creatore di una filosofia di governo che si spande universalmente, ma anche il leader dell'Europa continentale: solo Mussolini pensa europeisticamente e, mentre gli altri pensano, egli agisce". La signora ebbe, successivamente, un ruolo non indifferente nella "caccia ai comunisti" negli Stati Unti d'America. La stessa enciclopedia Treccani alla voce fascismo spiegava: "il fascismo è una concezione spiritualistica sorta dalla generale reazione contro il fiacco e materialistico positivismo dell'Ottocento, come concezione religiosa in cui l'uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore… una siffatta concezione della vita porta il fascismo a essere la negazione recisa di quella dottrina che costituì la base del socialismo scientifico o marxiano… è negata la lotta di classe e si nega l'equazione benessere-felicità che convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa". Nella più bella Bibbia, a cura di monsignor Salvatore Garofalo, nel glossario, non si sa in virtù di quale riferimento alle Sacre Scritture, compare la voce comunismo per addossargli tutti i mali possibili dell'umanità: altre voci ideologiche o rapportabili alla politica e agli schieramenti politici non vi compaiono. Il passaggio dall'anticomunismo al razzismo, all'antisemitismo e alla superiorità di alcune razze o nazioni su tutte le altre fu breve per Hitler e lo è ancora, con alcuni varianti ed evitando di parlare di ebrei, per tante "democrazie occidentali". Scriveva ancora la Treccani: "Hitler insegnò che la lotta contro il marxismo internazionalista e la lotta contro il capitalismo borsistico erano due aspetti d'una medesima difesa dell'integrità nazionale… il concetto della razza, fin dall'origine argomento polemico contro la democrazia egualitaria, s'identifica con Hitler col ripudio dell'idea della massa a vantaggio dell'élite, con la lotta contro il marxismo livellatore…". Gli italiani del ventennio (pur definiti dal nazismo negroidi, mezzi semiti ecc) non tardarono a far proprie tali farneticazioni tra cui l'idea che Marx l'ebreo era il teorico dell'eliminazione in tutti i campi della vita umana per sostituirle il numero della massa ed era il "capo" di una ideologia per annientare in fretta l'esistenza indipendente di libere nazioni sulla terra. L'anticomunismo americano, tuttora praticato, perfeziona e "democratizza" quanto fascismo e nazismo già dichiaravano e novelli anticomunisti quali Bossi, Berlusconi e Fini in Italia sono paladini convinti di tali aberrazioni. Berlusconi sa esattamente che i DS non sono comunisti ma ha necessità di dichiararlo e, al tempo stesso, di affermare la loro complicità con chi ancora si identifica con il marxismo, in realtà, le sue affermazioni riproducono, nel contenuto e nella forma, una delirante rivalutazione del fascismo della repubblica di Salò che, in nome della democrazia (novità furbesca), tende ad eliminare dalla vita pubblica le forze antifasciste e costituzionali. Una buona scuola è fornita anche dall'imperialismo americano, dalla Democrazia Cristiana, in particolare, di Scelba e De Gasperi, dallo stesso tentativo di "svuotamento" attraverso il "neoliberalismo" che mentre difende le classi sociali privilegiate non disdegna il mostrarsi preoccupato dinanzi al disastro nel mondo del lavoro, la carestia e la fame, concede qualche riformetta, realizza una strumentale beneficenza ecc. Il tutto agli ordini dell'imperialismo americano e delle sue guerre "umanitarie". Tra il 1948 ed il 1950 in Italia furono assassinati 48 comunisti, 2400 circa furono i feriti, 73.000 gli arrestati, 16.000 i condannati e circa 7.500 gli anni di prigione loro assegnati. Ora leggiamo meglio la criminalizzazione attuale di alcune realtà della sinistra antagonista, le stragi di Stato, le aggressioni ingiustificate nei cortei dei disoccupati o contro i campi-lager di via Corelli o Ponte Galeria, l'acuirsi di una repressione legislativa che in realtà non intende combattere la vera criminalità ma dribblarla ed altre miserie che ci invitano a comprendere come lo Stato sia ancora uno strumento di persecuzione (polizia, carabinieri, casta militare, magistratuta, burocrazia) che non deve farci dimenticare i delitti e le repressioni sanguinarie di decenni interi di Repubblica a democrazia limitata. La Democrazia Cristiana ebbe anche la capacità, dopo la rottura dell'unità popolare ordinata dagli USA, di usare una tattica cauta, quasi di comprensione dei principi di cui erano portatori i comunisti (come più recentemente nell'anniversario della caduta del muro di Berlino ha fatto Berlusconi ad una platea di scimmie plaudenti) ma, sempre, con l'intento di assorbirne aderenti e simpatizzanti, di convincerli di un benessere conquistato e da tutelare e di escluderli, oggettivamente, dal potere o, meglio, da una trasformazione concreta della società. La Chiesa in questa operazione ha fatto la parte del leone anche per determinare la creazione di un regime totalmente funzionale al suo stesso potere: il comunismo, definito "flagello di satana" e scomunicabile, veniva attaccato per portare acqua al mulino dei democristiani ovvero per tutelare i forti gruppi capitalistici nonostante il già palese connubio tra mafia e Stato (non furono risparmiati, ancora negli anni settanta, vescovi o preti che parlavano di diritti universali ed umani). Alcuni esempi: nel 1873 Leone XIII dichiara che "il comunismo è una peste mortale che s'attacca alle midolla della società umana fino ad annientarla", gli fa eco con l'enciclica Qui Pluribus, molti anni dopo, Pio IX dichiarando che "questa dottrina che si chiama comunismo è radicalmente contraria al diritto naturale stesso", fino ad arrivare alle farneticazioni del "microfono di Dio", il gesuita padre Lombardi, allievo nei contenuti e nell'enfasi di Hitler che, agli albori della Repubblica antifascista e costituzionale, si scatenò contro i partigiani, avallò la menzogna di 300.000 cittadini inermi assassinati nell'aprile del 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale ed arrivò ad affermare che "i comunisti non possono vivere ed essere trattati come persone uguali alle altre anche perché per loro colpa le madri perderanno i loro figli per la strada e sui campi… le terre verranno nuovamente invase da torme straniere e torme inermi saranno vittime di violenza e di saccheggio e poi i comunisti sono mostri di bruttezza…". L'onorevole Dossetti in un discorso a Reggio Emilia, forse per non apparire settario, aveva invece dichiarato: "se votate comunista sarete costretti a sposare le donne dell'UDI". Neppure i sindacati furono risparmiati dal delirio di grotteschi nosferatu: la Civiltà Cattolica dichiara nel 1947: "il sindacalismo odierno è in buona parte aggiogato all'ideologia senza scrupoli del comunismo, oblia facilmente e calpesta assai spesso la norma suprema dell'ordine sociale". Chissà se queste cose le ricordano tutti quei democristiani attualmente "sparsi" tra destra e sinistra in attesa di ricomporre energicamente un grande nostalgico "centro" grazie anche all'imbecillità di chi lo sta consentendo. Ma qual è la sostanza dell'anticomunismo? Confindustria e monopolisti trovarono nel fascismo lo strumento per l'attuazione della loro dittatura di classe per questo finanziarono la "marcia su Roma" e firmarono, dopo la presa del potere di Mussolini, uno scellerato patto con le corporazioni fasciste riconoscendole come uniche rappresentanti delle masse operaie. Dopo il crollo del fascismo, sotto le ali degli americani, la Confindustria si pose l'obiettivo di dirigere la politica economica e attuare nella pratica una guerra senza esclusione di colpi al comunismo ritenendo, come oggi del resto, che la libertà è la possibilità di realizzare il massimo profitto,  fallire e quindi  licenziare,  trasferirsi dove meglio conviene anche a costo di condannare i lavoratori alla miseria e il Paese alla rovina e via liberalizzando e "normalizzando". La Confindustria, anche per questi motivi, ha aderito a tutte le istituzioni sorte in Europa sotto l'egida americana nel quadro del fronte dell'imperialismo e inseguito il miraggio delle "commesse" atlantiche fino a farsi assorbire, tra privatizzazioni e mediocrità, da potentati economici europei e d'oltreoceano più spietati, spregiudicati ed organizzati. Certo: non siamo più al tempo in cui essere iscritti al Partito Comunista comportava motivo di licenziamento o di trasferimento in reparti punitivi ma è inconcepibile solo ipotizzare che gli industriali non mantengano rapporti strettissimi con il fronte anticomunista: è da idioti credere che siano cambiati mentre in realtà gli unici ad aver subito una trasformazione sono non pochi tra coloro che dovevano contrastarli. La violazione dei diritti (compreso quelli personali) nella FIAT del dopoguerra è stata sistematica con l'appoggio delle cosiddette forze dell'ordine e della grande stampa, compreso attentati anticostituzionali alle libertà politiche e sindacali, montature costruite ad arte per trasformare le avanguardie operaie in delinquenti, costituzione di sindacati padronali, intimidazioni alle famiglie, multe e vigilantes. Non meno infame fu l'anticomunismo nelle campagne tra clientele e influenze clericali, campagne moralistiche, ricatti dei "caporali" (una vera e propria mafia del collocamento) e violenza. Gli eredi dell'O.V.R.A. (braccio armato del terrorismo agli ordini del duce) infatti, trovarono nuovo ruolo ed incarichi nell'Italia democratica post-fascista. L'anticomunismo non risparmiò neppure il cinema ed il teatro prima, la radio e la televisione poi ed ogni forma d'arte. Si afferma, in piena offensiva del maccartismo, che alcune pellicole "sono strumento di propaganda comunista e fonte di finanziamento del PCI", si vieta a De Santis di girare il film "noi che facciamo crescere il grano", si censura "Totò e Carolina", si blocca il seguito del capolavoro di Visconti "la terra trema", si costringono gli sceneggiatori a rifare interi copioni come nella "romana" tratto dal romanzo di Moravia o "la lupa" di Lattuada, si proibisce, a teatro, "la mandragola" di Machiavelli mentre sono privi di visto della censura Goldoni e Cechov, Moliere e Shakespeare, fino ad impedire al Berliner Ensemble di Bertold Brecht di recitare in Italia, al Festival veneziano della prosa. Oggi non possiamo abbassare la guardia: in forme diverse prosegue un attacco meschino ai protagonisti del progresso e del rinnovamento, alla cultura in genere. Nei paesi del cosiddetto "terzo mondo" l'anticomunismo invece, grazie anche all'inesistenza di una forte classe autoctona di grandi capitalisti e all'esistenza di una classe operaia relativamente ristretta rispetto alla popolazione delle campagne ecc., è d'importazione imperialistica ed utilizza facilmente "fantocci" sanguinari e "mercenari senza scrupoli". In sostanza si vuole affermare che le classi privilegiate sono sempre coscienti dei propri interessi anche se mutano i modi attraverso i quali tali interessi possono essere tutelati e, sempre, la loro prosperità dipende dall'oppressione e dallo sfruttamento di altre classi. Ecco perché temono i protagonisti della radicale rottura con i rapporti tradizionali di proprietà e dedicano parte enorme del loro impegno alla pratica dell' anticomunismo fino a concepire dittature, fascismo, razzismo, malate democrazie borghesi, compiacenti socialdemocrazie e via elencando…(per semplificare possiamo introdurre il termine "capitalismocrazia"). Sanno che per il marxismo l'emancipazione e la liberazione della società richiede il rovesciamento del capitalismo pur comprendendo errori, incertezze, contraddizioni. Ecco perché chi si richiama alla lotta di classe non può valorizzare ingiustizie personali né inseguire uno scopo finale rifiutando lotte anche parziali all'interno della logica capitalistica come, ad esempio, la battaglia per lavorare meno e tutti con un giusto "profitto" per le maestranze o lottare per riforme necessarie. Il capitalismo ha una grande capacità di perpetuare se stesso (pur non essendo riformabile) mentre ancora si fatica a comprendere l'importanza che va attribuita, in una battaglia per l'egemonia, alla sovrastruttura e quanto le divisioni all'interno della sinistra di classe ed il muoversi su mille questioni disarticolate tra di loro erodono qualsiasi possibilità di trasformazione. Quindi non possiamo accontentarci di attendere il socialismo ma dobbiamo inserire nella società elementi dello stesso ora e non possiamo solo proclamarlo ma dobbiamo specificare che cosa intendiamo per socialismo e come sarà possibile realizzarlo senza dimenticare che il potere della classe borghese e dei suoi "associati" viene esercitato attraverso numerose organizzazioni ed istituzioni, gruppi d'interesse e di pressione, scuole, chiese, famiglie, apparati vari avendo a disposizione, diversamente dalle classi subordinate, risorse enormi ed ampie e un grande potere nell'informazione ed un'imponente industria della comunicazione. Ecco perchè va condotta, senza confusione, una lotta ad un estremismo di natura piccolo-borghese, al rivoluzionarismo confusionario e parolaio, al rifiuto di partecipare alle elezioni e al lavoro parlamentare o, in periodi di crisi acuta, di proporre rivendicazioni economiche e politiche parziali liberando il "conflitto" dagli impedimenti del dottrinarismo e dallo spontaneismo. Con Lenin dobbiamo ribadire che "il piccolo-borghese" inferocito per gli orrori del capitalismo è più che altro un fenomeno sociale caratteristico delle società capitalistiche e l'inconsistenza di tale rivoluzionarismo, la sua sterilità, la sua proprietà di trasformarsi presto in sottomissione, apatia, fantasticheria e persino in "folle" passione per le varie correnti borghesi "di moda" è universalmente nota" (la televisione di Stato e quella privata del viscido biscione è stracolma di ex rivoluzionari pentiti convertitisi sulla "via dell'anticomunismo in dolce stil novo"). Identica riflessione va indirizzata ad alcuni partiti e riviste o quotidiani, spesso settari, che pure si richiamano al comunismo o meglio alla massa operaia: non c'è dubbio che essi saranno i primi ad oscurare o, addirittura, perseguitare coerenti organizzazioni di classe mentre non disdegneranno sedersi allo stesso tavolo di chi a parole combattono per spartirsi un mediocro e buio angolo di potere e, anche per questo, la critica non va condotta contro il parlamentarismo o l'attività parlamentare ma contro quei capi che non sanno utilizzare le elezioni e le tribune parlamentari per la presa di coscienza delle masse, per un'alternativa di società. Molti dirigenti di partiti che amano definirsi comunisti non trovano dunque disdicevole  oscillare tra riformismo del cedimento e spirito rivoluzionario, tra esaltazione dei lavoratori e loro messa in discussione, senza nessun criterio scientifico (e aumentando i loro privilegi sociali) giustificandosi con le difficoltà del presente come se, proprio quando le condizioni migliori non ci sono, non bisogna efettivamente prodigarsi (con lo studio, la propaganda, l'organizzazione) per indicare una via di cambiamento e la sua concretezza. A volte una scissione è preferibile alla confusione, ai sacrifici inutili, a dibattiti senza fine, alla mortificazione dello stesso sviluppo ideologico per riconquistare un lavoro teorico e pratico essenziali, collettivo, realmente organizzato, per isolare chi ripudia il crudele carrierismo borghese mentre, nei fatti, attraverso giornali, editori, show televisivi, elezioni insegue un modello simile, identiche abitudini ed agi. Non meno pericolosi sono coloro che rifiutando un "intellettuale collettivo", l'organizzazione, negano il momento fondamentale del fondere in una comune ricerca la classe operaia, i suoi intellettuali ed alleati organici o conquistati. Né è possibile una trasformazione durevole senza organizzazione né è possibile, anche se di massa, con il solo partito: l'organizzazione, dunque, è semplicemente uno strumento, un suscitatore, un persuasore continuo… rifiutando la concentrazione del potere nelle mani di alcuni leader, rifiutando, come ebbe a dire Rosa Luxemburg allo stesso Lenin "l'obbedienza cieca, la subordinazione dei militanti all'autorità centrale". In Italia alcuni partiti o movimenti che si richiamano al comunismo appaiono più simili a dei veri e propri condomini, a dei circoli culturali o a delle aziende (disoccupati, migranti ed emarginati per molti sono occasione di ottimi "investimenti"), tra autocoscienza ed esibizioni personali e non raramente polemiche, che a salde "realtà" rivoluzionarie nelle quali possano identificarsi tutti coloro che intendono battersi per una radicale riorganizzazione dell'ordine sociale. I Democratici di Sinistra, almeno in questo, sono effettivamente palesi e chiari. La costituzione di un nuovo movimento di classe in Italia è un'esigenza storica al pari della costruzione di cellule e consigli, case dei popoli e movimenti che sappiano cogliere ed unificare l'antagonismo che ancora resiste e propone. Questo, tra l'altro, non è il tempo delle discussioni interminabili tra ex ed attuali capo-classe ma quello di redifinire i caratteri essenziali del poprio pensare ed agire per non ricominiciare la propria storia daccapo, per raggiungere un'unità di comprensione e di azione attraverso un vero centralismo contaminato da un sano decentramento organico. Bisogna battersi per un "movimento" moderno ed utile, all'interno, e a tutti i livelli, del sistema statale coscienti che l'esito di questa lotta dipende principalmente da ciò che accade all'esterno e dalla intelligenza di aver "rifondato" un "partito" dal basso, che prepara le masse, le rende criticamente dirigenti, sviluppando un'iniziativa in ogni settore e direzione, avanzando e difendendosi: il compito dei rivoluzionari è quello di difendere giuste libertà e sacrosanti diritti e renderne possibile l'estensione e l'ampliamento: queste sono condizioni importanti per trasformare l'anticomunismo in un fenomeno idiota da baraccone ma lo è, ancor di più, il possedere un piano possibile, leggibile, chiaro e praticabile. Per questo ricominciare o ripetersi non è un errore. La "nuova borghesia operaia", gli alchimisti della rivoluzione, ne siamo certi, i loro organi di stampa e i loro "circoli" non ci aiuteranno (come è naturale per gli "avversari") a sviluppare più scientificamente e approfonditamente quanto andiamo affermando: fortunatamente i tanti e le tante che hanno scelto Democrazia Popolare (Sinistra Unita) rifiutano sia un infantile vittimismo sia il non insistere in un progetto che rilanciando la lotta di classe ricerca continuamente, nel rispetto di autonomie e diversità, un'unità programmatica nel, e oltre, il nostro cortile di casa.  Si è oggettivamente sconfitti solo quando si rinuncia a lottare.