SCHEDE DI DOCUMENTAZIONE 2

Appunti sparsi per una ripresa del conflitto di classe… (provocazioni necessarie).

Relazione di Michele Capuano per l'avvio di un dibattito dentro ed oltre DP (SU).

Compagni e compagne, intanto mi sembra utile puntualizzare che lo scopo di queste note è essenzialmente quello di comprendere, nel linguaggio e nei contenuti, a chi vogliamo parlare. Si tratta, forse, di avviare un dibattito tra "esperti"? Tra compagni e compagne di lunga e provata esperienza? Non di certo. Abbiamo l'esigenza di rendere le nostre idee comprensibili ai più. Potremmo limitarci a dire "lo stato borghese si abbatte e non si cambia" oppure ad incontrarci tra di noi per mettere ordine al conflitto ideologico che pure esiste e, spesso, ci divide, ci contrappone e ci vincola a lunghe discussioni senza fine. Abbiamo bisogno di avere una linea ed un organizzazione adeguate agli accadimenti del presente ma, soprattutto, di esprimere capacità unitarie a sinistra (quella di classe e alla base quella "smarrita" e, consapevolmente o inconsapevolmente, "asservita al grande Capitale economico e finanziario") e, quindi, una non presunzione per non isolarci (per questo già bastano le classi dominanti), per entrare nel cuore e nel cervello di masse ampie. Il fondamento teorico, e non solo, dei massimalisti è sempre stato nella capacità di propagandare il socialismo ma di non individuare il modo concreto per edificarlo. I riformisti, invece, hanno sempre concepito il passaggio dal capitalismo ad una socialdemocrazia compiuta come risultato di un processo evolutivo naturale da cui emergono, come fatto reso necessario dallo sviluppo delle forze produttive (post-fordismo, mondializzazione attuale, nuovo ruolo dei mercati finanziari ecc.), determinate riforme che accompagnano, appunto,  senza dolore il passaggio da un potere ad un altro. Nell'un caso e nell'altro la lotta politica, la lotta sociale per il potere statale e l'iniziativa dei soggetti rivoluzionari, la stessa funzione del movimento e dell'organizzazione, rimangono nell'ombra. In realtà, e bisogna prenderne atto, il "socialismo realizzato" non ha fatto la "rivoluzione dell'uomo" ma quella dei bisogni immediati ovvero si è lottato più per la fame, la terra ed il lavoro che per la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza ed il protagonismo delle masse. L'emancipazione di una società è assurda senza quella dell'umanità ed, in primis, dei lavoratori, delle donne. Spesso, ancora, (nel cosiddetto terzo mondo e qui da noi) molte lotte sono state meramente economiche e per la sopravvivenza o migliori condizioni di vita che "percorsi" per una mutazione radicale e una volta per tutte. Abbiamo dimenticato in fretta la lezione della fallita e comunque importante "rivoluzione culturale cinese", lo sforzo gramsciano di valutare in un processo rivoluzionario il significato e l'essenzialità di una battaglia per l'egemonia e la costruzione di un nuovo tipo di intellettuale e le stesse analisi di un Mariateguei, Ho Chi Min, Guevara mentre, conosciuta in ritardo, poco abbiamo valorizzato le teorie di Rosa Luxemburg. Il soggetto della storia è l'uomo: la politica, l'economia, la stessa religione ecc., sono forme della realtà umana: se non cambia l'uomo non cambia la storia. C'è, dunque, un nesso insostituibile tra cambiamento economico e "riforma intellettuale e morale". Penetrare la realtà per modificarla, conoscere l'avversario concretamente (non il tuo ma quello del progresso e della civiltà stessa e, quindi, il tuo), conservare criticamente la memoria per vivere nel presente la costruzione di una alternativa possibile, riprendersi il linguaggio dalla sua espropriazione dei contenuti, rendere utopistica non la necessità del socialismo ma il permanere del capitalismo , dunque, contrastare l'egemonia delle classi dominanti con un "nuovo conformismo" sono priorità che gli eventi ci impongono. Spiegare tutto meccanicamente con i rapporti economici riduce la storia ad una indagine della formazione economico-sociale. Marx seppe collegare Il Capitale ad un'analisi di avanguardia per possedere una dottrina di avanguardia e conseguenti processi organizzativi indispensabili, dopo aver analizzato la realtà, alla costruzione di una società inedita. Se gli elementi non economici che compongono la storia, la lotta politica che pure deriva dai rapporti di produzione, la lotta ideologica che pure ha la base nei rapporti economici, vengono ridotti, in modo meccanico, alla sola struttura abbiamo, appunto, la riduzione della storia alla sociologia. Lenin seppe, come qui da noi Gramsci, comprenderlo rendendo "viva"e praticabile la possibilità di iniziare a costruire una società socialista. Si tratta, cioè, di far saltare la schematica simmetria che il capitalismo corrisponde alla rivoluzione borghese tanto quanto la crisi dello stesso corrisponde alla rivoluzione proletaria. In una determinata condizione storica la classe operaia, i lavoratori in genere, il blocco storico che si è concretizzato, possono essere "egemoni" anche di una rivoluzione democratico-borghese: in questa "condizione" possono recuperare il concetto marxiano di formazione economico-sociale e sviluppare l'avanzata completa al socialismo verso la stessa estinzione delle classi oppure essere inglobati in una  "normalizzazione" e, quindi, in un annullamento del conflitto e in una convivenza con il sistema capitalistico. Non sono allora le tappe o l'inserire "elementi di socialismo" nella società borghese il danno ma il non viverle come strumenti utili allo scopo finale. L'anello essenziale per un progetto ed un programma trasformatori è e rimane l'organizzazione rivoluzionaria intesa come persuasore permanente e sintesi di un ampio antagonismo sociale. I soggetti antagonisti, e la stessa classe operaia, lasciati alla propria spontaneità prendono sì coscienza dei propri interessi economici, non solo immediati, ma non vanno oltre il livello della coscienza puramente sindacale come accade, del resto, agli attuali partiti di sinistra in Italia. Ciò che diviene insostituibile è l'organizzare, l'emancipare e il dirigere, per poi esserne diretti, le masse elaborando una tattica ed una strategia adeguate, attivandosi in tutta la realtà sociale come se fosse una sola "unità organica". Il mondo va interpretato… ma si tratta di cambiarlo! L'attuale mondializzazione capitalistica, punta avanzata di un nuovo imperialismo impietoso ed aggressivo, implica non il superamento dei limiti degli Stati nazionali ma l'estensione e l'aggravamento dell'oppressione nazionale su una nuova base storica ed economica: l'internazionalizzazione del capitale rende più grave il dominio di classe in ogni singolo Stato: anche se più generalmente "Il capitale reclama sempre maggiori profitti con la scusa dell'accresciuta competitività internazionale e della globalizzazione.Il pensiero unico neoliberista, attraverso i modelli comunicazionali della fabbrica sociale generalizzata e le funzioni del profit state, trasmette nell'intera società la sua cultura di darwinismo economico e sociale, in nome del mercato e degli esclusivi interessi di impresa.Sono gli aspetti finanziari a prevalere su tutto il sistema .A essere nel mirino sono i salari, i contributi sociali, l'occupazione, il sistema sociale nel suo insieme; da parte del capitale viene disdetto lo stato sociale come compromesso di classe; prevale una politica neoliberista, cioè una politica di puro mercato ad alti contenuti di flessibilità e precarizzazione dell'intero vivere sociale. Si deve ormai porre all'ordine del giorno la capacità di sostenere un diverso modello di sviluppo che punti alla distribuzione del lavoro, del reddito e dell'accumulazione del capitale; una modalità di sviluppo quindi ecocompatibile e solidale incentrata da subito su forme di socializzazione dell'accumulazione".

E' interessante valorizzare il libro di Luciano Vasapollo e Rita Tartufi che affronta in maniera puntigliosa e dinamica l'analisi sul Profit-State, redistribuzione dell'accumulazione e reddito sociale minimo.

Quello che si dovrebbe possedere è precisamente il senso e le dinamiche di ogni processo, non solo economico, assumendosi la responsabilità di un'azione rivoluzionaria libera dal dilettantismo e da un estremismo parolaio. Il paradosso storico, in Italia ad esempio, è rappresentato da iniziative di lotta (disoccupati, ambientalisti, pacifisti, quotidiani e riviste che si richiamano al comunismo) sollecitate spontaneamente da alcuni e non determinate da organizzazioni rivoluzionarie che dovrebbero prevedere gli avvenimenti, guidare il popolo, sollecitarne la militanza ed il protagonismo, favorirne la crescita anziché limitarsi alla registrazione dell'esistente e alla ribellione spontanea. Una battaglia per l'egemonia delle "classi subalterne" impone l'individuazione dei tratti specifici di una condizione storica, di un processo in atto ed il "diventare protagonisti" di rivendicazioni che sono anche di più strati sociali al fine di isolare il capitalismo e la sua capacità di mortificazione delle menti anche perché, nell'Occidente e nell'Oriente capitalistico la distinzione tra "guerra di movimento" e "guerra di posizione" va chiarita soprattutto perché non è vero che l'una è difensiva e l'altra offensiva: non basta in una società a capitalismo avanzato conquistare lo Stato bisogna, infatti, conquistare trincee, bisogna valutare come si specifica il potere economico in un rapporto con la sovrastruttura in un determinato Paese e in un determinato momento, bisogna condurre un'analisi sulla stratificazione sociale (inclusi nuovi emarginati ed esclusi) che non si riduce al solo rapporto e al solo conflitto tra borghesia e proletariato, si devono, anche, esaminare i movimenti ed i partiti nella loro specificità e concretezza, l'influenza degli stessi sulle ideologie, il ruolo degli intellettuali, le stesse singole personalità (i Cossiga da una parte che pretendono decidere chi deve governare o i Pintor ed i Bertinotti dall'altra che ti fanno "La Rivista" per dirti come e con chi fare la rivoluzione: al tempo dei Giolitti o dei Nitti questa pratica era consolidata…). Marx aveva un motto: "dubita di tutto": è essenziale riprenderselo e non fidarsi delle pure declamazioni e degli intenti ma pretendere fatti che dimostrino non solo la validità di una idea ma il volerla realizzare seriamente. Senza una teoria e senza un programma (anche minimo) la classe lavoratrice, le sue stesse rappresentanze avanzano alla cieca, confusamente , spesso, dentro inutili sacrifici (parte della litigiosità di alcuni partiti di sinistra è, anche, oltre ambiguità e settarismi, dovuta a questo). Nell'ottica liberale il conflitto è ridotto alla ricerca di soluzioni per risolvere problemi contingenti ed immediati (è il trionfo delle finanziarie e delle finanziarie bis e tris e di continui compromessi privi di aggettivi  qualificativi). Il conflitto è, in sintesi, una semplice contrattazione, accomodamenti tra le parti che, di fatto, hanno accettato le regole del gioco e intendono convivere più o meno in armonia. Un conflitto di questo tipo non è contrastato dalle classi dominanti ma, al contrario, è auspicato al fine, anche, di evitare un conflitto che riconoscendo una realtà di dominio ed oppressione intende superarla attraverso un mutamento dei rapporti dai quali è scaturita. Ne ricaviamo che la società non è un insieme di individui ma la somma di relazioni e dei rapporti in cui questi individui stanno gli uni con gli altri. Non esiste una classe se chi ne fa parte non acquista la capacità di organizzarsi: diversamente si è semplicemente massa. Chi è il proletario? Chiunque produca plusvalore è un "lavoratore produttivo"! Dunque, pur sapendo di dire una cosa impopolare e che scatenerà l'insorgere di grandi "docenti" di sinistra, affermiamo che la classe lavoratrice si estende ben oltre i lavoratori industriali o manuali. D'altra parte la classe capitalista si estende ben oltre chi controlla e possiede i mezzi di produzione pertanto diviene utile non parlare unicamente di lotta tra borghesia e proletariato ma tra classe dominante e dominati, tra sfruttatori e sfruttati, oppressori ed oppressi. Ciò che emerge è la eterogeneità delle classi tra loro antagoniste: un indio può essere un alleato della classe operaia, possono esserlo un giovane ed una donna oltre la loro appartenenza di classe o un artista sfruttato ed emarginato dall'industria corrispondente… La stratificazione delle classi non appare mai in una forma pura e va, inoltre, analizzata dove inizi o dove termini la condizione (la mentalità e lo stesso comportamento)della piccola borghesia o cosa si intenda per sottoproletariato (urbano, rurale, dell'esclusione o dell'emarginazione…). Nuovamente va compreso e studiato non solo il "ruolo del..." ma chi è oggi l'intellettuale, il possessore di capacità o strumenti nell'informatica o nell'informazione in generale, l'insegnante, il volontario, "l'impegnato" in una cooperativa o nel terzo settore. Particolari analisi vanno fatte se, poi, ci si riferisce ai popoli del sud del pianeta ad esempio… Bisogna riflettere sulle nuove forme di colonialismo ed il dominio del capitale straniero su intere nazioni, bisogna ragionare sullo sviluppo distorto ed ineguale, sull'inesistenza di una consolidata classe autoctona di grandi capitalisti, su poteri locali spesso condizionati anche da piccole lobbies, sull'esiguità dell'organizzazione operaia rispetto l'esercito di riserva, degli inoccupati, dei lavoratori agricoli e dei "migranti" e sulla dispersione, in una moltitudine di imprese, della forza-lavoro e, quindi, sulle forme diverse di una stessa conflittualità. Una teoria marxista ha senso se implica la coscienza di classe ma, diversamente da coloro che devono difendere i propri privilegi ed il proprio profitto realizzato "rubando lavoro altrui", far prendere coscienza alle "classi subalterne" è più complesso anche perché la loro prosperità non dipende da alcun sfruttamento: quindi non può esservi coscienza di classe senza un moto emancipatore e una liberazione, intanto, da persistenti contraddizioni e nuovo corporativismo. Il ceto medio è, da sempre, più reazionario della stessa borghesia: esso tende alla conservazione e, quindi, ad un conflitto con la presa di coscienza dei lavoratori. Quest'ultimi devono avere la capacità di ingabbiarlo in una direzione che, valorizzando e non massacrando le ideologie, gli faccia individuare nel programma dei soggetti rivoluzionari non solo un futuro possibile e concreto ma uno sviluppo nuovo e dignitoso per l'umanità intera. Il capitalismo per sopravvivere non può fare a meno della disumanizzazione e dello sfruttamento degli esseri umani e delle risorse naturali: la classe dei dominati non può , comunque, affidarsi agli slogan e all'attesa di una ora X e, cioè, non può rinunciare ad un programma minimo semmai deve chiedersi: "cosa ci si aspetta da un programma minimo?" Oppure: "come utilizzare un programma minimo per dare ali ad un progetto e ad un sogno di liberazione ambizioso? Come collegare e, anche, distinguere tattica da strategia? Come non smarrire il nesso dialettico che deve collegare le lotte quotidiane, anche modeste, ad un fine?" La capacità del capitalismo è quella di perpetuare se stesso, anche perché non può oggettivamente vivere una sua "riforma": Gramsci fu insuperabile nel comprendere che la lotta per l'egemonia di un nuovo blocco storico va impostata includendo ogni singolo "momento" della sovrastruttura, dando importanza a qualsiasi prodotto culturale anche se all'apparenza banale. Gramsci aiutò, come già precedentemente fece Lenin, come tentò di indicare Rosa Luxemburg e, più recentemente, un'intera generazione a partire dal 1968 (in Italia con fermenti innovatori e propositivi già con la gioventù delle "magliette a strisce"), che non si può delegare agli intellettuali o solo ad un partito o sindacato, pur riconoscendogli ruoli validi, la totale articolazione di una battaglia che va condotta giorno per giorno: "tutti gli uomini sono intellettuali ma non tutti hanno la funzione di intellettuali"; un intellettuale collettivo si costruisce oltre le corporazioni, le provenienze, le condizioni sociali, l'essere occupati o meno e via elencando. La classe dei lavoratori deve produrre i propri intellettuali ed essa stessa deve esserlo nella comprensione che uno degli elementi di erosione della solidarietà di classe in seno agli stessi operai è rappresentato dalle diversità di trattamento o di paga, dallo status sociale, dalle specializzazioni, dai privilegi, dalle funzioni, dalla possessione di beni ereditati o acquistati ecc.. Le classi dominanti dispongono di una incredibile serie di strumenti per mantenere il proprio dominio ciò obbliga ad un potenziamento degli strumenti da possedere per chi intende contrapporvisi. Gli alchimisti della rivoluzione non raramente rendono i propri "militanti" dei subordinati all'autorità centrale fino a prevedere fazioni, arrivismo e, ingannandoli con un fraseologia che suscita passione, impegnandoli inutilmente. Non è l'organizzazione che ha fatto il suo tempo e che si decompone sullo stesso terreno che lo ha generato. L'organizzazione necessita ai lavoratori mentre il dominante può tranquillamente farne a meno. Ai lavoratori necessita non più il "moderno principe" ma un "principe anticipatore, utile, rinnovabile, democratico". Un "principe" è necessario se la sua visione di un programma minimo non si confonde con il "gradualismo", se una lotta anche per riforme essenziali è in realtà una lotta su molteplici e differenti fronti e ai vari livelli, se sa essere costruttore di movimenti diversi e plurali, se, evitando il "cretinismo parlamentare" sa limitare quello fuori le istituzioni. Una politica dell'alternanza (fra rappresentanti di una stessa classe) può, comunque, essere un terreno favorevole, consolidata una vittoria dei rappresentanti più illuminati della borghesia (a meno che non hai le condizioni per una "rivoluzione esterna ad una via democratica"), per far esplodere contraddizioni e proporre con vigore un'alternativa di società. Chi vuole il fine, però, deve volere i mezzi e può anche accettare un'avanzata attraverso successi elettorali, processi di aggregazione sociale, unità con forze affini, salvaguardia di leggi costituzionali ecc. ma non può non operare per lotte concrete, anche aspre, allargamento di consensi consapevoli, radicamento sociale, iniziative pur definite "illegali", trasformazione di vecchi ordinamenti, conquista di spazi e potere per i lavoratori, rifiuto di ruoli secondari, avanzamento della legislazione sul lavoro, l'ambiente ed i diritti e via dicendo. Ciò implica battersi anche dentro le istituzioni con la consapevolezza che l'esito di quella battaglia dipende quasi totalmente da ciò che sei riuscito a realizzare nella società: avanzare e difendersi, in questo caso, sono tutt'uno. Il carattere dello stato democratico-borghese subisce un "colpo non indifferente" se, intanto, sei riuscito ad estendere la partecipazione del popolo ad ogni scelta. Compito dei rivoluzionari è difendere le libertà (che essi stessi hanno conquistato) per renderne possibile l'estensione. Ci sono alcuni bravi compagni, spesso tra i giovani, che ritengono ogni mediazione, qualunque mediazione (magari te lo dicono mentre bevono tranquillamente un prodotto delle grandi multinazionali ed interrotti dal telefonino che squilla) o un programma minimo un cedimento, una resa o, peggio, una gran perdita di tempo. Per certi versi hanno ragione: il puro elettoralismo, ad esempio, o parlamentarismo può certo far aumentare quantitativamente la forza di una organizzazione ma ne affievolisce e svilisce il piano qualitativo e lo spirito rivoluzionario. Dai leaders di sinistra, ormai ben integrati nei regimi politici borghesi (non citiamo nessuno perché l'elenco è enormemente ampio e comprende anche una lista lunghissima di insospettabili), non ci si può certo aspettare granché ed, infatti, un partito comunista al potere in un patto (nazionale o locale) in cui è minoritario e non forza egemone alla prima occasione può esserne cacciato e lasciare intatto il vecchio ordinamento…  Rivalutare il programma ma anche le idee dei rivoluzionari, ovvero possedere alcune basi della conoscenza teorica, deve appartenere ad un moderno movimento antagonista: non è puro accademismo possedere l'abc del socialismo scientifico. Fino a quando la conoscenza teorica resta privilegio di un manipolo di uomini o donne il rischio di andare "fuori strada" è costante e la situazione peggiora se quel manipolo si impossessa anche della direzione dell'organizzazione e della rappresentanza nelle varie sedi della vita civile e sociale. Le velleità piccolo-borghesi, lo stesso arrivismo ed opportunismo possono esseri ostacolati solo con la diffusione della filosofia della prassi tra le masse. Se il DS è un partito confusamente "liberale" non pochi tra i dirigenti di italici partiti comunisti sono seguaci di Bernstein.Quando non si ragiona sugli obiettivi a cui mirare, quali strumenti impiegare, sulle forme di lotta, sulla stessa natura di eventuali alleanze significa che alcuni vogliono avere mani libere per ingannare le masse e renderle utili esclusivamente per appagare esigenze e bisogni individuali e particolari. Prima di Marx esistevano forme infantili di lotta di classe. Esse continuano a vivere nel presente valorizzate da una furbizia diversa e da un'esperienza incredibile. Chi partecipa ad un movimento rivoluzionario deve essere messo in condizione di non essere un esecutore ma un iniziatore, una guida, un'intelligenza. Alcuni indios entrando a far parte di una comunità sentono, intanto, di essere uguali, di essere fratelli: si tratta di capire se, entrando in una comunità politica si collabora alla costruzione di un "microcosmo" o "macrocosmo" dove si pensa, si prevede, ci si organizza collettivamente. Spesso non è così mentre lo deve essere per un'organizzazione anticapitalista! I partiti, in genere, sono composti da personaggi imposti dalle banche, dall'industria, dal potere delle telecomunicazioni, dalla giurisprudenza, dal parassitismo, dal mondo dello spettacolo, da cricche varie e difficilmente emergono, in una libera concorrenza, gli uomini e le donne, oggettivamente migliori o più capaci. Spesso i partiti sono guidati da leader che sono "capi" non per quello che fanno ma per quello che dicono, librescamente eruditi, non politici pratici ma semplici teorici. Bisogna restituire al marxismo il suo carattere creativo, liberarlo dalla pedanteria, da interpretazioni positivistische e, quindi, renderlo oggettivamente ideologia per un rivolgimento dei rapporti di produzione, la trasformazione della coscienza e l'arricchimento della personalità. Un movimento di classe deve spogliarsi di ogni residuo corporativo, di ogni incrostazione sindacale, deve strappare altri strati sociali alla borghesia, deve inventare "agenti" per dare personalità ad un popolo, a popoli interi, deve rappresentare non una comunità in astratto e deve lottare contro la degenerazione rappresentata dallo spirito di "consorteria" classico di certi gruppi che identificano i propri interessi di parte con quelli generali. Siamo nella situazione in cui vaste masse piccolo-borghesi (in particolare a sinistra) uscite dalla passività hanno preso il sopravvento su partiti e sindacati che dovevano richiamarsi agli interessi di classe confermando una debolezza ed una crisi che ha coinvolto l'insieme dei lavoratori ed ha determinato uno spirito di consuetudine, un particolare anacronismo, una "mummificazione" ed un nuovo burocratismo che ha allontanato sempre di più le masse dalla politica e dalle stesse istituzioni. Lo sforzo delle classi dominanti in Italia è principalmente quello di evitare il formarsi di una "volontà collettiva" esaltando diplomazia e consociativismo fino a far dichiarare a molti, con sarcastica soddisfazione, che sono dei fieri "apolitici" ovvero un esercito di opportunisti e qualunquisti gestibili, di volta in volta,  da questo o quell'apparato dello Stato, dell'industria, del potere… Ciò accade anche per l'assenza di un ruolo chiaro e determinato delle organizzazioni dei lavoratori, per il loro indebolimento o asservimento e, spesso, il sopravvento è preso da un mezzo di comunicazione di massa (non raramente portatore di falsa coscienza sociale) o da poteri occulti o palesemente "coercitivi"… Un'organizzazione rivoluzionaria vivrà sempre di imperfezioni e di un particolare "spirito critico" anche perché la sua perfezione dovrebbe consistere nella sua stessa scomparsa unita a quella delle classi e, nella condizione attuale, errori permettendo, ciò che deve essere messo nel conto sono non solo l'esistenza di un'organizzazione anticapitalistica ma lotte che prevedono tempi lunghi, programmi minimi, probabili sconfitte, mutamenti continui, preparazione di nuove leve, l'adesione più intima alla vita di ognuno ed ognuna, un particolare equilibrio tra il programma e l'azione, la possessione dei mezzi e del sapere, l'annullamento di una partecipazione all'attività politica di tipo "militare" che favorisce visioni messianiche di floridi futuri senza piani organicamente predisposti i soli, cioè, che possano garantire che una massa da caos diventi un "esercito politico" la cui storia sarà significativa solo se avrà inciso in quella di un Paese, di un continente, del pianeta. Il nostro problema non è capire Marx per capire la realtà ma applicare il marxismo, i più marxismi, alla realtà per comprenderla e modificarla. Crescere, cioè, attraverso la straordinaria scuola dell'esperienza fino a capire che puoi e devi utilizzare anche le "armi" di chi ti opprime per puntargliele contro ovvero contro l'oppressione. Nei fatti sono moderati coloro che hanno rinunciato, che non credono negli ideali, che intendono unicamente rappresentare il popolo e più il popolo è rappresentato più sono moderati. Il moderato è, per semplificare, un prigioniero del potere anche quando non lo condivide. I partiti, oggi, sono, oltre la miseria di tangentopoli, macchine di potere e di clientela: sono, tra boss e portaborse, giullari divenuti re e burocrati una sommatoria di correnti che hanno il solo obiettivo di occupare lo Stato, le banche, le aziende, TV e giornali ecc. per gli interessi di un clan che gli appartiene o che devono sostenere. Le vecchie lottizzazioni sono una stupidaggine al confronto dell'attuale mercimonio. Del resto l'uomo è ridotto al ruolo di consumatore (di qualsiasi cosa anche quando non può permettersela o è, oggettivamente, inutile). Il consumismo individuale esasperato produce non solo storture produttive ma aggravamento del divario tra occupati e disoccupati, pensionati e giovani in cerca di lavoro, tra popoli e continenti, tra privilegi intollerabili e povertà inaudite mentre in nome della lotta all'inflazione si paga il prezzo di una "recessione" di fatto e una disoccupazione dalle proporzioni catastrofiche accompagnata dal totale smantellamento di diritti e stato sociale. Insomma: o si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società  o assisteremo alla rovina comune delle classi in lotta: per questo la frammentazione della sinistra di classe ed antagonista e la stessa pretesa di un primato di alcuni su altri insieme a dibattiti "ideologici" spesso inconcludenti ed interminabili è un danno innegabile. Anche l'atteggiamento verso la "rivoluzione tecnologica" o il nuovo potere dell'informazione e dell'informatica deve essere non di contrapposizione o esorcizzato ma deve impegnarci per controllarle e condizionarle imponendoci una riattualizzazione del pensiero di Marx ed Engels proprio perché il carattere sociale della produzione (e anche dell'informazione) è sempre ancora in contrasto con il carattere ristretto della conduzione economica… La possibilità di mantenere una funzione storica è data dalla nostra capacità di rinnovarci continuamente dentro la visione del possibile e la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti. Essenziale è parlare più compiutamente possibile delle giovani generazioni (oltre le statistiche ed i sondaggi), delle donne, dei "nuovi emarginati", delle comunità le più varie. Le norme dell'agire politico non possono essere dedotte "arbitrariamente" anche perché non esiste un'astratta "natura umana" fissa ed immutabile ma un insieme di rapporti sociali storicamente determinati: la società moderna vive e si sviluppa aderendo ad un preciso sistema economico che prevede principalmente due classi antagonistiche con interessi opposti e l'impossibilità a conciliarli fra di loro pur nella peculiarità dei diversi Stati o continenti: di tutti questi fattori interni ed internazionali un'organizzazione rivoluzionaria deve tenerne conto e muoversi nel quadro di una capacità di "previsione" e di una prospettiva che siano chiare e realistiche. Per questo una riforma intellettuale e morale è legata ad un programma di riforma economica, all'evitare di limitarsi solo alle affermazioni di principio e alla polemica all'interno della stessa sinistra e nei confronti delle classi dominanti.

Per altri riferimenti ed analisi si rimanda ad un primo documento, poi diventato libro, redatto nel 1994 a cura di Ines Venturi e Michele Capuano dal titolo "il partito necessario: noterelle provocatorie per un dibattito sul Partito della Rifondazione Comunista" prodotto dalle "Edizioni Solaria/Politica" e diffuso in migliaia di copie ed alle dispense su "Gramsci e il partito" prodotte nell'occasione del seminario internazionale organizzato dall'AIASP (Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli) sul grande politico sardo.