DENTRO IL CALL CENTER
LA CATENA FORDISTA DELLA
COMUNICAZIONE
Il controllo software del
lavoro obbliga a procedure standard e sequenze
lineari, non modifcabili dal
singolo operatore. Un modulo organizzativo
rigido quanto la catena
"meccanica"
La "qualità" del
prodotto deriva dallo sfruttamento dell'inventiva
personale, oltre che della
generica forza lavoro. Il ruolo inconsapevole del
"cliente" che
telefona
"Attenzione uscita
operai" è ciò che si legge ancora oggi su un cartello
lungo la Tiburtina,
conosciuta fin dagli anni `60 per i suoi insediamenti
industriali. Questi, nei
decenni a seguire, furono rimodellati dalla
ristrutturazione del ciclo
produttivo, che puntava all'erosione delle
conquiste del soggetto
collettivo protagonista del "biennio rosso" `68-'69 e
al recupero di margini di
profitto più consistenti. I mefitici anni `80
videro poi l'obsolescenza di
vecchie fabbriche dismesse accanto al
proliferare dei palazzi tutto
vetro dell'era informatica e, di tanto in
tanto, qualche roulotte
imbandierata di rosso, con gruppi di operai che,
ignari di tutto, si
ostinavano a testimoniare l'esistenza propria e della
condizione dei salariati.
Cedevano il passo al "nuovo" che avanzava, tra cui
c'eravamo anche noi... Noi,
operatori dei call center (operanti 24 ore su 24
per tutto l'anno), che nel
solo gruppo Telecom siamo 17.000. Rispondiamo al
12, 181, 182, 183, 187, 191,
119 dalle sedi Telecom s.p.a., lungo la
Tiburtina o da Napoli (isola
direzionale 2), dalle cui svettanti costruzioni
si osserva l'ormai silenziosa
piana di Bagnoli; o anche dall'Atesia a Roma e
a Caltanissetta, dalla
Saritel a Pomezia, dalla Telecontact a Napoli, dalla
Datel di Crotone...
Oltre a noi - impegnati in
"front-end" - ci sono quelli dei "back-office",
che supportano l'intero corpo
organizzativo dei sistemi informativi e di
rete (e quindi anche noi), la
cui continua frammentazione farebbe
impallidire un caleidoscopio.
Siamo diversificati e divisi
da vari canali d'ingresso delle chiamate,
confluenti in stabilimenti
aziendali (fabbriche?!) che concentrano fino a
5.000 "risorse".
Così come siamo frammentati dai diversi trattamenti
salariali. Siamo però sempre
più omogenei - praticamente indistinguibili
l'uno dall'altro - per quanto
riguarda la sostanza del nostro lavoro.
In realtà, al di là delle
divagazioni di moda sulle fantomatiche
"autovalorizzazioni
post-fordiste" (ben poco supportate da una qualsiasi
inchiesta sul campo, neppure
troppo difficile da fare), ci sembra oggi
imprescindibile esprimerci in
prima persona sulla nostra effettiva
"composizione
tecnica": di fronte della radicalizzazione del conflitto
sociale che, dopo le
"giornate di Genova", ha fatto soffiare il vento di
Seattle anche in Italia,
pensiamo sia essenziale che i lavoratori riprendano
la parola a partire dalla
propria condizione materiale (in tal senso
riteniamo utile richiamare
l'esperienza positiva della prima sfida lanciata
con la lista sindacale
unitaria "Cambia con Cobas Tlc, FLMUniti, Snater"
che, alle ultime elezioni Rsu
in Telecom e Tim, ha raggiunto l'importante
risultato del 14%).
Siamo operai con mani e teste
vincolati a una catena "fordista", anche se
non immediatamente
percepibile nella sua materialità: le nostre mansioni
sono estremamente
parcellizzate, i ritmi intensificati e la giornata
lavorativa allungata. Il
sistema informativo nei call center della Telecom e
della Tim - su cui lavoriamo
tutti ("garantiti" e non) - è costituito su
piattaforme software che
preordinano e comandano ogni nostra operazione nei
minimi dettagli. Tutto viene
minuziosamente tracciato, con buona pace di
quei sindacati che fingono di
non vedere il capillare sistema di controllo
allestito tramite i nuovi
sistemi informativi e avallano in varia misura le
bugie aziendali riguardo al
solo obiettivo dichiarato, il cosiddetto
"miglioramento del
servizio".
Quella su cui lavoriamo è
una catena di sequenze lineari scandite da un
sistema i cui processi
scorrono su binari paralleli, rigidamente
predeterminati e non
modificabili dal singolo operatore.
Ma c'è un altro aspetto,
altrettanto importante, che riguarda il lavoro in
tutti i call center: nel
processo di produzione, l'astratta "merce
forza-lavoro" che
abbiamo venduto, il nostro tempo di vita che l'azienda
mette a valore, torna a
concretizzarsi nella nostra attività, nel nostro
dispendio di energie
bio-psichiche. E in tale momento i sistemi high-tech
che ci usano manifestano la
loro specifica capacità d'intensificare il
nostro sfruttamento,
riuscendo a coinvolgere anche la nostra intenzionalità:
la macchina ci interfaccia
con il cliente, un altro individuo col quale
siamo stimolati, quasi in
modo "subliminale", a mettere in gioco non solo
l'inerzialità esecutiva
degli script (casistiche standard predisposte
dall'azienda e perennemente
aggiornate, tramite la solita vampirizzazione
del "sapere" del
lavoro vivo), ma anche e soprattutto la nostra duttilità,
la nostra inventiva. E' quasi
un riflesso automatico: in qualche modo
l'utente si sostituisce
all'azienda (del cui ruolo oppressivo, invece, non
potremmo rimuovere la
percezione) nel conferire "senso" al nostro lavoro.
Solo per questo
"doniamo" all'azienda, volendolo o no, la famosa "qualità".
La "catena
telematica" non sfugge a logiche tayloristiche, anzi. Rispetto a
quella "meccanica",
ha il vantaggio per il padronato di intensificare lo
sfruttamento, saturando le
porosità del tempo di lavoro operaio, tramite la
messa a valore di quella che
taluni hanno definito "forza-intenzione".
Questo nuovo "valore
aggiunto" che c viene carpito si riverbera sull'intero
processo di valorizzazione,
risolvendo le note aporie tra "quantità" e
"qualità", e fa sì
che le nostre funzioni siano sempre più indirizzate anche
alla vendita: il rapporto col
mercato viene a dipendere dalle qualità
relazionali che sappiamo
mettere in atto con l'utenza.
Qui sta la pesantezza del
nostro lavoro ma anche la vulnerabilità
dell'azienda rispetto a
un'eventuale nostra ritrovata capacità di lotta
collettiva. E tale obiettivo
impone di ripartire dalla nostra condizione
lavorativa materiale:
l'applicazione del contratto collettivo di settore a
tutti, la diminuzione dei
carichi di lavoro e la riduzione dell'orario sono
la piattaforma rivendicativa
che può riunificare la frammentata galassia in
cui siamo attualmente
scompaginati, superando quelle divisioni che non
possono che incrementare la
già insopportabile precarizzazione di noi tutti.
Lavoratori e lavoratrici dei
call center
aderenti al Cobas
telecomunicazioni