LA VIOLENZA INIZIA A CHIAMARE VIOLENZA: FARNETICANTI E DELIRANTI DICHIARAZIONI DELLA BANDA DI BIN LADEN DIMOSTRANO ANCORA DI PIU' LA NECESSITA' DI UNA LOTTA CONCRETA AL TERRORISMO CHE NON SI CONDUCE CERTO ATTRAVERSO LE AZIONI MILITARI.
SONO CENTINAIA LE INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA
CONSULTATE ANCHE
I SITI di: isole nella rete - GSF,
PRC
NO
ALL'OBLIO!!
Noi siamo e vogliamo essere dalla parte di chi, come accadde da noi per
liberarci dal mostro nazi-fascista, lotta per la libertà del proprio
popolo, per la democrazia. Siamo, nel rispetto della nostra Costituzione,
con chi lottò per i valori democratici contro Franco in Spagna e contro la
dittatura in Portogallo, contro i Colonnelli in Grecia e per riformare il
socialismo nell'est europeo. Siamo tra quelli che hanno cercato di capire le
ragioni
nella "rivolta di Praga" e della gioventù in Cina. Siamo tra chi
ha condannato Pol Pot e la follia del terrore. Facciamo parte della grande
schiera dell'umanità che ha detto No (urlandolo) all'aggressione in
Vietnam, che ha pianto la morte di Allende e il massacro di ogni idea di
progresso in Cile e, poi, ancora in Brasile, in Argentina, in Guatemala, in
Uruguay e in Paraguay. Abbiamo sofferto per lo sterminio di uomini e donne
in Indocina e
in Nicaragua ad opera di chi vuole dominare le genti ed ogni risorsa. Siamo
contro il terrorismo: abbiamo riempito le strade e le piazze, incrociato le
braccia in un luogo di lavoro e discusso nell'aula magna di un'Università,
quando a Milano o a Bologna il terrorismo (di Stato o mafioso o,
semplicemente, folle) assassinava la nostra gente semplice. E non
dimentichiamo Portella della Ginestra, Porta San Paolo, i morti di Reggio
Emilia, la violenza e la repressione di questi giorni. E proviamo dolore per
la morte di algerini sgozzati dal fanatismo, per le centinaia di migliaia di
tutsi massacrati dagli hutu, per i morti innocenti sulle sponde dell' adriatico
o del mediterraneo. Piangiamo Lumumba e Sankara, Guevara e Gramsci, le
vittime del'Apharteid e i milioni di indiani nell'America del Nord e di
indios e di africani e di piccoli partigiani di cui non conosciamo neppure
il nome e il cognome. E il cuore è lacerato per la strage di musulmani,
messicani, italiani ed europei e americani coperti dalle macerie nel più
vile attentato terroristico della storia moderna l'11 settembre di questo
nuovo millennio. Ma non possiamo non provare ripugnanza nel leggere le
farneticazioni di dirigenti e "apparati" statunitensi (che
proclamano ai quattro venti, seminando nuove tempeste, una guerra infinita)
e di chi ha
reso fertile il terreno che genera nefandezze, che favorisce
criminalità e nuova barbarie: come si fa a dichiarare impunemente che Fidel
Ruiz Castro e l'intero popolo cubano possano essere coinvolti in
"crimini contro l'umanità"? E chi lo afferma è responsabile di
aggressioni ed embarghi come nuova forma di genocidio e del mancato rispetto
delle stesse deliberazioni dell'Europa tutta e dell'ONU. Come si può (dopo
aver alimentato la feroce dittatura di Fuijmori in Perù e la corruzione dei
suoi ministri fino all'estrema illegalità) non riconoscere in chi gli si
opponeva l'essere parte di una necessaria lotta di liberazione? E come è
possibile (mentre si aprono scambi commerciali e si propongono, Italia in
testa, insediamenti industriali) dichiarare la Corea del Nord "stato
canaglia" e poi giustificare i massacri di Chabra e Chatila e negare ad
un popolo il diritto alla propria terra? E' folle non vedere nelle FARC o
nel MRTA o in Patria Roja o nel PKK (mentre si occidentalizza un feroce
integralismo etnico, dell'Iraq o della Turchia, che intende annientare, dopo
averne derubato la storia, la dignità e la vita, una nazione intera)
l'eroismo di coloro che cercando la pace lottano per i diritti umani e per
il rispetto di esigenze e bisogni calpestati da interessi miopi, esclusivi,
particolari. E' cinismo: l
'oblio: lo stesso di chi sapeva che migliaia di uomini e donne li avremmo
ricordati come "desaparecidos": torturati, violentati, uccisi. E'
un attentato alla nostra libertà: al nostro impegno per esprimere
solidarietà a chi lotta, e non raramente a rischio della vita, per un
avvenire migliore, democratico, giusto. E' mettere "fuorilegge" la
nostra stessa storia e i
valori che ci hanno lasciato in eredità vecchi e nuovi partigiani, i padri
fondatori di una repubblica che doveva poggiare le sue basi sul lavoro e il
pluralismo e non sul profitto e il "pensiero unico", le vittime
della violenza e i combattenti per un nuovo umanesimo: Matteotti e i
fratelli Cervi, Curiel e La Torre, Parri e Terracini, Walter Rossi e Marino
Serri. e poi, oltre il nostro cortile di casa, Palme, Ibarruri, Cienfuegos,
Bolivar,
Mariàtegui, Fonseca, Martì, Luxemburg. Come può chi ha armato
contro l'URSS
la mano di integralisti senza scrupoli, chi si è nascosto dietro stragi e
colpi di stato, chi ha finanziato e preparato "squadroni della
morte", condiviso e "protetto" il grande movimento di denaro
"lordo" dare lezioni di civiltà? Anche per questo siamo contro il
terrorismo e siamo contro la guerra, siamo contro l'egemonia di un
imperialismo senza scrupoli e per la riforma delle strutture internazionali
come luogo d'incontro dei popoli per
decidere (emancipato, cosciente, indipendente) il proprio destino. Siamo per
il disarmo e contro l'organizzazione mondiale delle disuguaglianze, il
monopolio dell'informazione, le devastazioni ambientali, l'assassinio per
fame e mancanza di cura, di lavoro e di servizi. Siamo nemici del permanere
dello schiavismo (anche minorile) e di un colonialismo nuovo che coinvolge
milioni di nostri figli e di nostre figlie, fratelli e sorelle. Lavoriamo,
alla luce del sole (dopo averlo conquistato come atto di civiltà), per
ampliare la democrazia, per rendere protagonisti uomini e donne e, quindi,
per una nuova qualità della vita: il socialismo. Siamo contro le
ingiustizie, lo sfruttamento e l'oppressione di uno sparuto gruppo di
faccendieri ai danni delle moltitudini. E pensiamo e lavoriamo per non
essere contagiati, per non perire con lui, da un sistema corrotto, meschino,
malato, ipocrita, bugiardo e pericoloso che mentre vuole negare la
necessaria "rivoluzione dell'uomo" ambisce imporci odio, razzismo,
prepotenza, falsità, un ritorno ad un primitivismo barbaro che umilia la
nostra stessa intelligenza. Siamo la parte sana del pianeta, i resistenti
della Terra, nonostante le nostre contraddizioni, gli errori e i limiti.
Siamo la gioventù del mondo mentre trascorrono gli anni perché crediamo in
un programma ed un progetto che pretende un futuro e certezze per le
generazioni che verranno. Per permettere alla storia di giudicare non
dobbiamo tacere, dobbiamo resistere ed avanzare, unire quello che "i
padroni" dividono.
NO PASARAN!
GENNARO SCALA
La guerra in atto:
un percorso di lettura
L'immenso apparato produttivo integrato a livello mondiale è una
macchina che per funzionare ha bisogno di energia. Nel 1999 l'energia a
livello mondiale è stata fornita da petrolio (35%), carbone (23.5), gas
(20.7%), combustibile rinnovabile e scarti (11.1%), nucleare (6,8%), energia
idroelettrica (2.3%), energia geotermica, solare, eolica, termica ecc.
(0,5%). Come mostra il grafico, dal 1973 al 1999 il petrolio pur non
perdendo il suo ruolo centrale, ha visto una netta discesa, in favore del
gas e dell'energia nucleare.
Il controllo delle regioni in cui sono localizzate le fonti di
energia e il controllo del percorso principale del loro trasporto
sono decisivi per il dominio globale. Michael T. Klare ha
definito "imperialismo energetico" (The Nation, July 23/30) la
politica prospettata in un recente (maggio 2001) documento del
governo americano, "Reliable, Affordable, and Environmentally Sound
Energy for America' Future. Report of the National Energy Policy Development
Group" (membri: Dick Cheney, Colin L. Powell, Paul O' Neill, Gale
Norton e altri) , in riferimento soprattutto al suo capitolo conclusivo, nel
quale viene delineata una strategia per il controllo delle risorse
energetiche.
Il documento sostiene che il petrolio delle regioni del Golfo
Persico, dove tuttora sono si trovano un quarto delle riserve
mondiali di petrolio, continua ad essere centrale, ma sottolinea
l'importanza delle regione del mar Caspio. "Il Golfo rimarrà il focus
primario della politica energitica internazionale degli Stati Uniti, ma il
nostro impegno dovrà essere globale (will be global),
focalizzando le regioni emergenti e quelle esistenti che avranno un
maggiore impatto nella bilancia energetica globale" L'idea che questa
non sia tanto una guerra contro il terrorismo
quanto una guerra per il controllo delle risorse si sta facendo
sempre più strada ultimamente.
Tuttavia è bene vedere precisamente in che termini,
cominciando con una descrizione delle risorse della regione del mar Caspio
in base alle informazioni fornite dall'Energy Information Administration.
Official Energy Statistics from the U.S.
Government (EIA, http://www.eia.doe.gov):
"La prospettiva di riserve potenzialmente enormi di idrocarburi è
parte del fascino delle regioni del Mar Caspio (incluso Azerbaijan,
Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan, e le regioni dell'Iran e della Russia
che sono vicine al Mar Caspio). Oltre ai 18-34 miliardi di barili
attualmente dimostrati, le riserve possibili di petrolio della regione
possono fornire altri 235 miliardi di barili. Questo è approssimativamente
equivalente ad un quarto ad un quarto delle risorse totali provate
(tuttavia, il Medio Oriente ha anche le proprie vaste possibili riserve). Le
risorse di gas possibili sono ampie quanto le risorse di gas provate, e
potrebbero fornire 328.000 miliardi di piedi cubici."
Le riserve di petrolio sommate a quelle di gas fanno delle regione
del Mar Caspio il secondo deposito energetico mondiale dopo quello del Golfo
Persico, ma vi è un considerevole problema relativo al trasporto di queste
risorse dalle "landlocked" regioni del Mar Caspio. La cartina
mostra le tre vie principali che dovrebbero prendere queste risorse. In
aggiunta vi è anche l'Iran, tra l'altro la soluzione più semplice, che
avrebbe però la stessa destinazione finale della terza: il sud-est
asiatico, ma questo percorso è escluso a causa del conflitto
economico-politico con l'Iran a cui gli Usa hanno imposto delle sanzioni
ormai ventennali. Riguardo alla prima via quella occidentale verso l'Europa,
secondo l'EIA "ci sono alcune questioni riguardo al fatto che l'Europa
sia la giusta destinazione per il petrolio e il gas del Mar Caspio. La
domanda di petrolio nei prossimi è prevista in crescita di poco meno di un
milione di barili al giorno. L'esportazione di petrolio a est, d'altro
canto, potrebbe servire i mercati asiatici, dove la domanda di petrolio è
prevista in crescita di 10 milioni di barili al giorno nei prossimi 10-15
anni.
Per alimentare tale domanda asiatica, però, potrebbero essere
necessario costruire le più lunghe pipeline del mondo. Considerazioni
geografiche potrebbero obbligare queste pipelines a dirigersi a nord delle
intransitabili montagne del Kirgizistan e del Tagikistan attraverso le
vaste, desolate steppe kazache, con ciò aggiungendo ancora più estensione
(e costo) a qualsiasi pipeline diretta ad est." Un altro fattore che
rende questo percorso poco gradito è il fatto
che esso resterebbe comunque o sarebbe potenzialmente sotto
l'influenza della Russia.
Ma se non ad ovest e non ad est, allora verso Sud? Escluso l'Iran,
questa via dovrebbe passare necessariamente per l'Afghanistan
attraverso il quale raggiungere i porti pakistani sul mare Arabico,
da dove petrolio e gas dovrebbero raggiungere via tanker il sud-est
asiatico. Ma su questo percorso ci sono some little problems.
"La guerra civile afghana ha impedito ai progetti in corso di
procedere. Mentre tutte le principali fazioni afghane sono d'accordo
in linea di principio alla costruzione delle pipeline, le pipelines
non hanno probabilità di attrarre i necessari finanziamenti senza una
stabilizzazione pacifica e un riconoscimento internazionale del
governo afghano. Sebbene i talebani controllano il 90% del territorio
afghano, solo Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Arabia Saudita hanno
riconosciuto ufficialmente il governo afghano. In seguito ai
bombardamenti statunitensi delle roccaforti afghane nei raid del 20
agosto del 1998, Unolocal ha annunciato di aver sospeso i lavori
della pipeline per il gas, e nel Dicembre 1998 si è ritirata dal
consorzio Centgas.
Nell'aprile 1999, Pakistan, Turkmenistan and Afghanistan si sono
accordati per riattivare il progetto Centgas, e per chiedere al
consorzio Centgas, ora guidato dalla Delta Oil dell'Arabia Saudita,
di procedere. Sebbene i combattimenti si sono allontanati dagli
itinerari potenziali della pipeline, il rifiuto dei talebani di
consegnare Osama bin Laden, così come la continuazione della guerra
civile, ha ridotto la probabilità di attrarre finanziamenti
internazionali per il progetto Centgas. Gli Stati Uniti hanno imposto
delle sanzioni che vietano il commercio e gli investimenti americani
nel 90% dell'Afghanistan sotto il controllo dei talebani, e nel 14
novembre 1999, anche le Nazioni Unite hanno imposto delle sanzioni
contro l'Afghanistan nel tentativo di fare pressione sui Talebani
perché consegnassero bin Laden."
http://www.eia.doe.gov/cabs/caspconf.html
Ma cosa c'entra con tutto questo Osama bin Laden, dichiaratamente il
primo bersaglio di questa guerra? Cominciamo con l'esaminare come mai
si trova in Afghanistan, ammesso che si trovi ancora da quelle parti.
Il suo rapporto con i talebani nasce al tempo della guerra contro
l'URSS. "Il regno saudita forniva un finanziamento pari a quello
americano, cui si aggiungevano i milioni di dollari provenienti dai
patrimoni arabi privati. Ed in effetti, la combinazione di fondi
sauditi pubblici e privati fu decisiva per il finanziamento della
guerra. I fondi ufficiali del governo saudita diminuirono
gradatamente verso la fine della guerra e furono sostituiti da quelli
privati provenienti da fanatici multimiliardari come Usama bin Laden,
ansioso di assistere al trionfo mondiale dell'islamismo. I
finanziamenti statali furono ben presto superati e quasi dimenticati.
[.] La privatizzazione strisciante della jihad - perché di questo si
è trattato: i responsabili di gran parte del terrorismo politico
postbellico in Occidente non sono tanto i governi criminali quanti i
magnati privati - fu il frutto dell'alleanza tra Arabia Saudita e
Stati Uniti" (John C. Cooley, Una guerra empia, p. 182-83). Bin Laden
è stato uno dei principali organizzatori e collettore di fondi della
jihad afghana, da ciò derivano i suoi rapporti all'epoca della guerra
fra Afghanistan e URSS con la CIA.
Bin Laden è il rampollo di una famiglia che possiede uno dei
principali gruppi economici dell'Arabia Saudita. La sua ideologia
islamista sembra molto distante dal mondo occidentale, tuttavia una
serie di articoli hanno ricordato i legami della sua famiglia con
quella del suo "nemico" George Bush. Bin Laden è un membro dell'élite
borghese mondiale. Ha imbracciato mitra e Corano, ma sotto la tunica
spunta il sofisticato orologio da manager. Per molti aspetti infatti
questo è un conflitto tra l'élite borghesi mondializzate. Tuttavia in
termini strettamente economici l'impero finanziaro della famiglia di
Osama bin laden non è fondato sul petrolio ma sulle costruzioni. Ma è
meglio evitare l'appiattimento sulle questioni economiche che pur
restano decisive: la funzione che bin Laden ha voluto ritagliarsi in
questi anni è stata soprattutto di tipo politico-"militare",
attraverso l'organizzazione del terrorismo e questa funzione va
inquadrata nel contesto dell'Arabia Saudita e questa nel contesto del
mondo arabo.
Dopo aver contribuito a sconfiggere i sovietici, si convinse che il
principale nemico erano gli USA e che la monarchia saudita che aveva
concesso le base agli americani per l'attacco all'Iraq andava
rovesciata. Nonostante che per queste dichiarazioni gli fu ritirato
il passaporto saudita, i suoi legami con i vertici sauditi non sono
venuti meno. In primo luogo con uno dei più potenti personaggi del
regime, il capo dei servizi segreti, il principe Turki al-Faisal. Il
rapporto fra i due nasce ai tempi dell'università: fu Turki a
favorire la sua ascesa come uno dei principali organizzatori della
jihad in Afghanistan.
Anche a causa della logica dei media sempre alla ricerca del
personaggio su cui puntare i riflettori, si è prestata troppa
attenzione a bin Laden. Il ruolo di figure come quella di Turki al-
Faisal è altrettanto importante. Innanzitutto il suo sostegno al
regime dei talebani non è stato di secondaria importanza. Secondo il
resoconto di Ahmed Rashid, cronista pakistano della Far Estern
Economic Review, considerato, per la sua ventennale esperienza, uno
dei maggiori conoscitori della questione, "nel luglio 1998 il
principe Turki fece visita a Kandahar e poche settimane dopo
arrivarono 400 furgoni arrivarono a Kandahar per i talebani che
ancora avevano la targa di Dubai. I sauditi diedero anche denaro
contante per il libretto assegni dei talebani per la conquista del
nord nell'autunno. Fino al bombardamento in Africa e a dispetto delle
pressioni statunitensi per la fine del sostegno ai talebani, i
sauditi continuarono a finanziare i talebani ed erano silenti sulla
necessità di estradare bin Laden."
Turki al-Faisal è stato direttamente coinvolto nella lotta per la
costruzione della pipeline che doveva attraversare l'Afghanistan.
Dopo la conquista di Kabul, quando il regime talebano cominciava a
dare una parvenza di stabilizzazione, sono stati in lotta per la
costruzione di questa pipeline due gruppi principali: uno denominato
CENTGAS formato da Unocal Corporation (U.S.A, 46.5 %), Delta Oil
Company Limited (Saudi Arabia, 15 %), The Government of Turkmenistan
(7 %), Indonesia Petroleum, LTD. (INPEX) (Japan, 6.5%), ITOCHU The
Crescent Group (Pakistan, 3.5 %), Oil Exploration Co., Ltd. (CIECO)
(Japan, 6.5 %), Hyundai Engineering & Construction Co., Ltd.
(Korea), 5 %); l'altro gruppo formato da una partnership 50 a 50 fra
BRIDAS, una compagnia argentina, e NINGHARCO, la quale a sua volta "è
vicina al principe Turki al-Faisal". "Ogni parte ha il supporto di
potenti alleati politici. La proposta della Unocal è favorita dal
Turkmenistan e dal Pakistan, mentra quella della Bridas è appoggiata
dai Talebani", e, non c'è bisogno di dirlo, da bin Laden. "Così
la
competizione tra Unocal e Bridas riflette anche la competizione
all'interno della famiglia reale saudita (Rashid, Taliban, 167-68).
La Delta oil è considerata vicina allo schieramento che fa capo
nominalmente a re Fahd. Di questi due schieramenti uno è
più "conservatore", preoccupato di non contrariare il protettore
americano, l'altro più "rivoluzionario" diretto a fare una
politica
del petrolio più aggressiva, anche a costo di andare contro agli
Stati Uniti. Quale può essere stata la strategia di questo secondo
gruppo riguardo alle risorse del Mar Caspio? Gli obiettivi fra loro
non alternativi possono essere stati due: o far cadere il trasporto
di queste risorse sotto un controllo più diretto di gruppi legati
all'Arabia Saudita o mettere in atto delle azioni di disturbo che
ostacolassero e facessero fallire questo progetto. Alla fine la gara
fu vinta nel 1998 da CENTGAS, ma, come dice anche l'EIA, Unocal
subito dopo si ritirò dal progetto in seguito agli attentati
attribuiti a bin Laden delle ambasciate statunitensi in Tanzania e in
Kenia e alle successive ritorsioni americane attraverso il
bombardamento in Afghanistan di alcuni località considerate sedi di
addestramento di al Qaeda.
I legami di bin Laden con il potere saudita non si limitano a Turki
al-Faisal. "La verità riguardo al silenzio saudita era ancora più
complicata. I sauditi preferivano lasciare bin Laden solo in
Afghanistan perché il suo arresto e processo da parte degli americani
potrebbe rivelare le profonde relazioni che bin Laden continua ad
avere con membri comprensivi della Famiglia Reale. I sauditi vogliono
bin Laden morto o prigioniero dei talebani - non lo vogliono
catturato dagli americani."
Klare sostiene che "il vero centro del conflitto è l'Arabia Saudita,
non l'Afghanistan". Il suo saggio Geopolitic of War (The Nation, è
molto utile per un inquadramento storico e "geopolitico", ma è
piuttosto singolare che Klare, che pur conosce la questione delle
pipeline (esposta sinteticamente e con precisione nel suo libro
Resources War) non entri nei particolari riguardo alla funzione che
le risorse del Mar Caspio può aver svolto nel suscitare il conflitto
più o meno latente con l'Arabia Saudita.
Che le cose non andassero come sempre con il vecchio alleato saudita
è apparso chiaro a tutti con la vicenda del rifiuto saudita di
concedere le basi per gli attacchi aerei all'afghanistan. I fatti
sono stati sintetizzati in un articolo del U.S news & world report
(9/28/01) uno dei settimanali a più ampia tiratura degli stati uniti.
L'articolo dal titolo "Relazioni pericolose. Quanto il nostro amico
saudita ci sta aiutando?" rileva la contraddizione fra la successione
la notizia riportate il 22/7 dal Washinghton Post secondo cui i
sauditi avevano respinto la richiesta statunitense della Prince
Sultan Air Base (una grande base statunitense costruita recentemente
alle porte di Riyadh) e quella riportata due giorni dopo dallo stesso
giornale secondo cui il Pentagono aveva pieno accesso alla base di
Riyadh. Secondo il settimanale questa "apparente contraddizione"
denota "le difficoltose e ambigue relazioni fra gli Stati Uniti e
l'Arabia Saudita". Fra parentesi: il settimanale ha scoperto anche
che l'amico saudita "è profondamente antidemocratico e il maggior
propagatore del Wahabbismo, la forma più estrema di fondamentalismo
islamico". È interessante riportare come, secondo il settimanale, il
ministro degli esteri avrebbe risolto la questione. "È possibile che
Powell ha evitato la richiesta di usare la base fino al 23 settembre
e che l'ha chiesta immediatamente dopo - o che gli Stati Uniti hanno
deciso di andare avanti e di usarla senza permesso. Dopotutto, è la
nostra base. Ma sembra del tutto probabile che i leader sauditi non
vogliono far apparire di cooperare con gli Stati Uniti anche mentre
lo stanno facendo".
Sebbene la questione del rapporto con l'Arabia Saudita non abbia
fatto tanto clamore nei media statunitensi, essa è diventata
apertamente un problema da essere affrontato, almeno per gli analisti
politici americani. In un articolo del Washington Post (22/10/01) di
Simon Henderson esperto del "The Washington Institute for Near East
Policy"dal significativo titolo "Arabia Saudita: amico o
nemico?" si
scrive che "il coinvolgimento del terrorista bin Laden, nato in
Arabia Saudita, negli eventi dell'11 settembre rende le dimissioni di
Turki un problema che deve essere risolto. La versione che
attualmente va per la maggiore è probabilmente un racconto barocco,
che combina le tensioni dinastiche all'interno di una famiglia reale
forte di 30.000 membri, le relazioni saudite con i talebani, le
relazioni saudite con gli USA, e l'implicazione che i sauditi
conoscevano o sospettavano che bin Laden avrebbe potuto eseguire
l'oltraggio del dirottamento aereo da qualche parte nel mondo a
settembre." "La data (timing, vuol dire anche scelta del momento
opportuno, tempestività, tempismo) della rimozione di Turki - 31
agosto - e i suoi legami con i talebani sollevano la questione:
conoscevano i sauditi che bin Laden stava progettando il suo attacco
contro gli Stati Uniti? L'opinione corrente tra i gli osservatori del
regime saudita è probabilmente no, ma la la casa saudita potrebbe
aver sentito delle voci che qualcosa si stava progettando, sebbene
senza conoscere dove e quando"
L'esperto suggerisce (fra le righe) che Turki alla fine si sarebbe
ravveduto, avrebbe inteso quali sono i reali interessi sauditi,
avrebbe abbandonato i suoi precedenti legami con talebani e bin Laden
e avrebbe scelto alla fine decisamente i vecchi alleati. Ma la
questione resta aperta: il ruolo di Turki potrebbe essere stato sino
alla fine più ambiguo. Mi sento autorizzato a fare questa
osservazione, pur non essendo un esperto, dal fatto che Henderson
indica come motivo di conflitto soltanto i debiti contratti dal regno
saudita nei confronti degli USA, ma ignora il conflitto più ampio e
che coinvolge più profondamente la struttura del regno saudita,
(sicuramente ha coinvolto in prima persona Turki al-Faisal), che può
suscitare la scelta del governo statunitense di puntare sulle risorse
del Mar Caspio. Finora ho citato di proposito giornali e settimanali
autorevoli (o presunti tali) come il Washington Post o l'U.S news &
world report, ma c'è anche chi come Peter Dale Scott (pacifista
americano di vecchia data, il cui sito consiglio vivamente di
visitare http://ist-socrates.berkeley.edu/~pdscott/q.html
) osserva
che "ci sono molte congetture in Europa se le improvvise dimissioni
di Turki da parte di Abdullah nel tardo agosto sia stato un fattore
che ha fatto precipitare l'attacco del 9/11 pochi giorni più tardi"
La causa centrale di questo conflitto potrebbe essere l'opposizione
che incontra in alcuni settori dell'Arabia Saudita la decisione
americana di "dedicare attenzione" alle risorse petrolifere del
Mar
Caspio. È certo che l'Arabia Saudita non vede di buon occhio la piena
introduzione sul mercato di questo grosso concorrente. Ciò che rende
il conflitto ancora più acuto è la profonda crisi economica e
politica che da qualche anno attraversa il paese degli sceicchi.
L'Arabia è uno degli orrori, sul piano politico, creati dalla
politica estera statunitense, la cui protezione militare e politica è
essenziale alla sua conservazione: è un paese che basa le sue entrate
per tre quarti sul petrolio, ed è un'economia praticamente a scadenza
basata sulle riserve di petrolio (per altri 20 o 30 anni?), un paese
in cui non esiste parlamento, in cui un'interminabile coorte di
principi (e relative famiglie) corrotta e crapulona batte
continuamente cassa, la stessa che ha sperperato gran parte di queste
immense ricchezze senza creare una reale struttura produttiva, in cui
gran parte dei capitali ricavati dal petrolio risiedono all'estero, e
che si regge sul consenso dovuto alla pura e semplice distribuzione
del denaro proveniente dal petrolio.
Il progetto politico di bin Laden è davvero così
"rivoluzionario"?
Intende davvero sconvolgere gli equilibri mondiali rovesciando il
regime saudita e mettendolo contro gli USA? O gli attacchi
terroristici sono il modo in cui una parte consistente della classe
dominante saudita, da cui provenivano diversi attentatori, si fa,
diciamo così, sentire? Sicuramente molti degli attentati dei gruppi
islamici in Cecenia erano diretti a rendere insicure le zone di
transito delle pipeline russe, attualmente principale concorrente sul
mercato del petrolio dell'Arabia Saudita. Sicuramente attorno alle
risorse petrolifere sono sorti dei conflitti insanabili, il che rende
la lotta estremamente aspra.
Quando bin Laden fa appello alla difesa del petrolio, "questa risorsa
del mondo arabo", potenzialmente, in un società impoverita come
quella araba, questa forma di demagogia può fare presa su ampie
masse, ma gli interessi reali che difende sono quelli di élite
piuttosto ristrette. Inoltre, la strategia terroristica messa in atta
da al Qaeda sembra essere l'unica capace di ottenere dei
"risultati",
quali che siano, contro gli Usa che hanno dimostrato di aver
raggiunto una superiorità militare schiacciante, uno stato che tanti
arabi hanno ottime ragioni per considerare come nemico. Tuttavia se
gli Usa riusciranno a sconfiggere la rete di bin Laden questo sarà un
fatto positivo. ma non sarà una vittoria degli Usa, come non lo è
stata la sconfitta dei talebani. Infatti gli USA prima hanno dato un
contributo decisivo ad insediarli e in seguito hanno dovuto
toglierli. Raddoppiando le sofferenze della popolazione afghana, una
delle tante vittime della fallimentare e caotica politica estera
americana.
Negli ultimi anni sono comparsi tutta una serie di Frankestein creati
dagli USA che poi gli si sono rivoltati contro a partire da Saddam
Hussein, poi bin Laden, poi i Talebani, in parte anche l'Arabia
Saudita. La storia del dopoguerra ha visto gli USA impegnati
dovunque, ma soprattutto negli stati arabi, a favorire i governi più
reazionari, così alla fine dopo la sconfitta di Nasser, la cui lotta
era comunque legata ad un progetto di emancipazione e modernizzazione
del mondo arabo, abbiamo bin Laden legato alla reazione estrema nata
in Arabia Saudita. Come scrive Magdi Allam, un cronista di Repubblica
di origine araba, "Parla da consumato statista il Bin Laden che
prefigura il possesso del più ricco forziere naturale della Terra. E'
lui l'erede dell'egiziano Nasser che per primo osò sfidare la
superpotenza americana e incitò le masse saudite a rivoltarsi contro
la famiglia reale, legando il riscatto della nazione araba al
controllo delle risorse petrolifere. Nasser la sua battaglia la perse
e sulla scia della cocente sconfitta del 1967 esplose il movimento
islamico di cui Bin Laden è il nuovo profeta. Ora tocca a Bin Laden,
anche per lui è giunta l'ora della resa dei conti" (Repubblica
24/10/01). Per quanto grossolano e sostanzialmente falso sia definire
bin Laden l'erede di Nasser, ritengo il concetto generale esatto.
Siamo già entrati nell'era della fine dell'egemonia americana nel
mondo. Secondo la concezione gramsciana il governo duraturo è sempre
una combinazione di dominio e consenso. L'incapacità del modello
americano, e in generale occidentale, di risolvere invece di
peggiorare i problemi vitali di ampie zone del mondo segna la fine
del consenso e dell'attrazione che questo modello poteva suscitare.
Viene ora l'era del solo dominio, magari attraverso l'utopia di una
assoluta superiorità tecnologica. Ma un governo mondiale fondato
soltanto sul dominio non è destinato a durare.
Dietro a tutta questa vicenda si intravvede un intrigo di servizi
segreti a dir poco inquietante, da far impallidire quello emerso in
relazione all'assassinio di Kennedy. Sono troppe le voci che indicano
che servizi segreti americano hanno trescato con bin Laden fino a
poco tempo fa e forse anche dopo gli attentati. Si tenga conto che le
diramazioni degli interessi contrastanti delle compagnie petrolifere
arrivano fino ai vertici del governo e del potere statunitense (Bush
jr. stesso viene indicato come un rappresentante delle compagnie
petrolifere). Bisognerebbe avere una mappa dettagliata delle varie
compagnie petrolifere statunitensi e della loro politica petrolifera,
ma può essere benissimo che alcune di queste possano essere allineata
al vecchio alleato saudita e che questi interessi possono essere
benissimo implicati in qualche modo nell'attentato. Ognuno giudichi
da se le notizie dettagliate e documentate riportate nel sito
americano http://emperors-clothes.com/indict/indict-1.htm
che indica
direttamente come "colpevoli per il 9/11 Bush, Rumsfel, Myers". La
questione è sempre la stessa: come è stato possibile? Com'è stato
possibile che due aerei a distanza di quasi mezz'ora uno dall'altro
si siano schientati contro i grattacieli della principale città
statunitense? Altri sostengono che l'attentato sia stato se non
creato almeno non ostacolato per creare il casus belli per farla
finita con bin Laden e talebani e per risolvere definitivamente la
questione dell'Afghanistan. È molto probabile che c'è stato un
fortissimo conflitto occulto fra i vertici del potere americano. La
vicenda resta sicuramente in gran parte oscura: in questo groviglio
l'analisi del conflitto per le risorse energetiche può fornire uno
strumento per sbrogliare o' gliuommero (matassa ingarbugliata
inestricabilmente, ma anche peso sullo stomaco, metafora gaddiana del
fascismo).
Lettera aperta all'Italia viva, democratica e solidale:
ATTIVIAMOCI PER AIUTARE LE VITTIME DELLA GUERRA
l'11 settembre un atto terroristico vile ha assassinato migliaia
di persone
(di ogni religione, di tante nazioni, di diversi ceti sociali) e venti di
guerra tenebrosi avanzano minacciando, ulteriormente, ogni certezza nel
presente e nel futuro insieme alla fatica di possedere una memoria dei
trascorsi dell'umanità per non ripetere identiche nefandezze, identici
drammi, identici tormenti. La guerra, è ormai palese, non è un evento
occasionale ma uno strumento strutturale e interno al modo di produzione
capitalistico, alla logica del profitto, ad un sistema alimentato da
disuguaglianze e disordine. Milioni di afgani si accalcano ai confini del
loro Paese, già duramente ferito da un fondamentalismo nutrito dagli stessi
attori che oggi dichiarano di aborrirlo, e ancora una volta le vittime (a
New York come in medioriente e in tante altre parti del globo) sono masse
inermi, innocenti, condannate ad un'esistenza mediocre e brutale. E tornano
alla mente, per noi che giovani non siamo più e che forse non abbiamo
saputo
comunicarlo ai nostri "eredi", i milioni di morti in Indonesia, in
Vietnam,
in tanta parte dell'America Latina, in Africa. Centinaia di migliaia di
vittime per mano di integralisti algerini, di tutsi che massacrano hutu, e,
ancora, in Somalia, nei Balcani (solo per fermarsi al presente come se
volessimo rimuovere nazismo e fascismo vecchio e nuovo e stermini di popoli
interi). Noi siamo una grande rete di associazioni: siamo entrati in un
campo profughi, abbiamo sfidato le bombe nel Kosovo che distruggevano
ambiente e vita, abbiamo raggiunto il Mozambico dopo disastri che
erroneamente chiamiamo naturali, abbiamo sfidato chi applica la pena
di
morte e le ingiuste carcerazioni politiche, dittature feroci e chi ci
ostacolava perché attraverso una campagna umanitaria portavamo alla luce le
ragioni della mancanza di cura, della fame e della miseria, delle morti
bianche e del neo-schiavismo. Ora, ancora una volta, abbiamo questo dovere:
smascherare i disegni cinici e meschini dei Prepotenti della Terra e, al
tempo stesso, avviare da subito una grande campagna di solidarietà per
milioni di nostri fratelli e sorelle che saranno i veri bersagli dell'
economia di guerra e del bisogno di gestire la propria crisi da parte delle
attuali classi dominanti. E' il momento di ricordarci che le guerre si
preparano in un tempo definito di pace e che la lotta contro militarismo e
per il disarmo è una necessità, una necessità un nuovo mondo e una
necessità
contrastare l'etica dell'avere (che si coniuga con poteri occulti e mafie)
per sostituirgli l'etica dell'essere. E' il tempo per un grande lavoro che
contrasti il ruolo eversivo dei grandi mass-media occidentali e l'attacco ad
ogni conquista sociale creando coscienza, unità, valori. Questa guerra sarà,
nella sua demagogia e nel suo populismo, davvero una guerra infinita, una
malattia del sistema, per imporre (a nemici di volta in volta individuati
come tali e agli stessi alleati) un'egemonia degli USA mortificando ogni
istituzione internazionale (l'ONU innanzitutto) e per sferrare un attacco
senza precedenti ai diritti delle grandi masse ovunque residenti e nessun
"ciclo di sostituzione", nessun ritorno a Keynes, nessun
compromesso
sociale, nessun futuro miracolo economico ne sarà conseguente. Ben altro
pretenderebbe la lotta al terrorismo! Altre strade, altri piani, altri
progetti che con la guerra non hanno niente a che vedere. L'immiserimento
delle classi dominanti invita a pensare scenari di nuovo caos, nuove
ingiustizie e a un divario sempre più incolmabili tra Nord e Sud del mondo.
Al dominio economico si aggiunge un dominio anche "psicologico" e,
poi,
"culturale" che non intende risparmiare nessun concorrente al
potere
"imperiale" neppure nel proprio cortile di casa. Ecco allora
l'importanza
dell'ONU e della riforma delle strutture internazionali. Ecco, anche, il
profondo significato di organizzare una grande rete tra associazioni e
realtà diverse, dell'Italia viva che c'è e resiste, per essere uniti non
solo quando giustamente si dice No ai potenti della terra e alla loro
globalizzazione delle disuguaglianze ma soprattutto per dare e portare
sostegno (oltre l'ipocrisia dei guerrafondai), solidarietà vera, aiuti a
chi
poteva farne a meno e non può. Noi non viviamo nell'epoca di un potere
astratto ma in quello in cui è lui stesso il protagonista di una povertà
che
riguarda la quasi totalità dell'umanità al pari di carestie, malattie,
devastazioni ambientali, razzismo ecc. ecc. In un'epoca in cui avanza una
nuova barbarie e in cui non si chiama Occidente (Turchia e Israele ne fanno
parte) tutto ciò che non corrisponde ad interessi egoistici, privati,
particolari. Proponiamoci di organizzare insieme un grande convoglio della
solidarietà che sfidi il rumore delle armi, l'arroganza dei potenti,
rendendo credibile un progetto ed un sogno, la speranza e un programma di
liberazione al plurale. Anche questo diremo alla marcia Perugia-Assisi come
parte del comitato promotore, alle manifestazioni che abbiamo organizzato ad
ottobre con popoli del cosiddetto Terzo Mondo, dentro le mille piccole
iniziative che faremo con la consapevolezza che l'unica battaglia che potrà
vederci sconfitti è unicamente quella che si rinuncia a fare.
Ines Venturi
Presidente nazionale
Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli (AIASP)
Rete Associazioni Popolari
Per gli aiuti al popolo afgano e le altre campagne in corso contattare la
Casa dei Popoli telefax 06.2752439 o l'email aiasp@tiscalinet.it
DA CUBA: EDITORIAL
Se inició la guerra
Ayer, a las 9:00 p.m., hora de Afganistán, se inició la guerra. Más que
la guerra, el ataque militar contra Afganistán. La palabra guerra sugiere
una contienda entre partes más o menos iguales, en que la más débil posea
al menos un mínimo de recursos técnicos, financieros y económicos con que
defenderse. En este caso, una de las partes no posee absolutamente nada.
Llamémosla, sin embargo, guerra. Así la calificó quien ordenó las
operaciones militares.
Un tipo de guerra verdaderamente sui géneris. Un país entero es convertido en campo de prueba de las más modernas armas que se hayan inventado nunca. Los especialistas y expertos que en los centros de investigación y talleres militares invirtieron decenas de miles de millones de dólares para crear instrumentos de muerte, seguirán cada detalle del comportamiento de sus siniestras criaturas.
Sean cuales fueren los pretextos, es una guerra de la tecnología más sofisticada contra los que no saben leer ni escribir; de 20 millones de millones de dólares de Producto Interno Bruto cada año contra un país que produce aproximadamente mil veces menos, que se transformará, por razones económicas, culturales y religiosas, en una guerra de los antiguos colonizadores contra los antiguos colonizados, de los más desarrollados contra los menos desarrollados; de los más ricos contra los más pobres; de los que se autotitulan civilizados contra los que ellos consideran atrasados y bárbaros.
No es una guerra contra el terrorismo, que debía y podía ser derrotado por otros medios verdaderamente eficaces, rápidos y duraderos, que estaban a nuestro alcance; es una guerra a favor del terrorismo, cuyas operaciones militares lo harán mucho más complicado y difícil de erradicar. Un remedio peor que la enfermedad.
Ahora lloverán noticias sobre bombas, misiles, ataques aéreos, avance de blindados con tropas de etnias aliadas a los invasores, desembarcos aéreos o avances por tierra de fuerzas elites de los países atacantes; ciudades tomadas, incluida la capital, en tiempo más o menos breve; imágenes por televisión de cuanto permita la censura o escape de la misma. Los combates serán contra los naturales del país y no contra los terroristas. No hay batallones ni ejércitos de terroristas. Este constituye un método tenebroso, un concepto siniestro de lucha, un fantasma.
Los hechos mencionados irán acompañados de triunfalismo, exaltaciones chovinistas, jactancias, alardes y otras expresiones de arrogancia y de espíritu de superioridad cultural y racial.
Después vendrá la gran incógnita: ¿cesará la resistencia, desaparecerán todas las contradicciones o comenzará la verdadera guerra, aquella que fue definida como larga e interminable? Estamos seguros de que esa es la mayor interrogante que llevan dentro los que hoy se ufanan de haberse lanzado a esa guerra aventurera.
Millones de refugiados se esparcen ya por todas partes y las dificultades mayores están por presentarse. Esperemos los acontecimientos.
Nuestro pueblo será informado con la máxima objetividad de cada hecho que vaya sucediendo, con mayor o menor espacio en la prensa, la radio y la televisión, de acuerdo con su importancia, sin alterar el ritmo de nuestras actividades y programas normales de información y recreación, ni mucho menos descuidar los enormes esfuerzos de desarrollo social y cultural que llevamos adelante, ni la atención cuidadosa y estricta de todas las actividades productivas y los servicios, lo que hoy es más importante que nunca, dadas las afectaciones que los acontecimientos que se desarrollan pueden ocasionar a la ya deteriorada economía mundial, de cuyos efectos no podría escapar ningún país, aunque no hay otro más preparado, organizado y consciente que el nuestro para enfrentarse a cualquier dificultad que sobrevenga. Tampoco dejaremos de prestar nuestra atención a la defensa, como nunca hemos dejado de hacerlo.
De nuevo veremos en el mundo vacilaciones y pánico. Después, a medida que se vayan presentando los problemas previsibles, vendrán la toma de conciencia y el rechazo universal a la guerra que acaba de iniciarse. Hasta los propios ciudadanos norteamericanos, hoy impactados por la horrible tragedia, más tarde o más temprano lo comprenderán.
Aun cuando la oposición y condena al terrorismo y a la guerra, que ha sido la esencia de nuestra posición —hoy compartida por muchas personas en el mundo—, ha sufrido el esperado golpe del inicio de las operaciones militares, persistiremos luchando con todas nuestras fuerzas por la única solución posible: el cese de las operaciones militares y la erradicación del terrorismo mediante la cooperación y el apoyo de todos los países, el repudio y la condena unánimes de la opinión pública internacional, bajo la dirección de la Organización de Naciones Unidas.
Anche a Reggio Calabria è stata immediata la mobilitazione
contro le bombe anglo-americane in Afghanistan. Già ieri notte, tutte le
scuole della città sono state tappezzate di manifesti e tazebao, contenenti
l'appello a scendere in piazza e a dichiarare l'agitazione permanente. La
risposta è stata adeguata alle aspettative: molti istituti hanno scioperato
e stamattina, alle ore 9, numerosi studenti hanno preso parte ad un presidio
spontaneo in Piazza Camagna, trasformatosi subito dopo in un piccolo corteo.
La manifestazione, aperta dallo striscione <La guerra è un'ingiustizia
infinita>, si è sciolta nei pressi del Museo Nazionale, dove gli
studenti e il Coordinamento contro la guerra
hanno enunciato le ragioni della protesta. Per venerdì è stata proclamata
un'assemblea pubblica per dare vita ad una nuova stagione di occupazioni e
autogestioni, mentre è stata confermata l'adesione alla manifestazione
antimafia che si terrà a Reggio il 19, dove saranno portate le seguenti
parole d'ordine:
NO ALLA MAFIA, NO ALLA
MILITARIZZAZIONE;
NO ALLA GUERRA DEGLI USA; PACE, LAVORO E SVILUPPO.
DP - Reggio Calabria, Omar Minniti
A ROMA STIAMO
PARTECIPANDO
A TUTTE LE INIZIATIVE PER LA PACE
QUANTI
AFGHANI PER OGNI STATUNITENSE?
Il
7 ottobre 2001, e precisamente alle 18.27, ora italiana, i venti di guerra
sono diventati una tempesta, una tempesta di bombe che si sta abbattendo
sul nuovo nemico pubblico n°1 dell'occidente: la popolazione afghana.
Questo perchè una guerra non va a colpire un gruppo di terroristi, per
quanto radicato possa essere, ma una intera popolazione inerme, come oggi
abbiamo visto in fuga.
Oggi,
come 10 anni fa in Irak e 2 anni fa in Yugoslavia, ribadiamo il nostro NO
all'uso delle armi, che abbiano o meno un dichiarato fine umanitario.
Non
esiste il bene contro il male, non esiste la civiltà contro la barbarie,
esiste solo il predominio economico, e gli Stati Uniti, con missili più o
meno intelligenti, con alleati più o meno fidati, vogliono aggiungere un
nuovo tassello al loro impero.
Come
ha detto Bush junior: "o con noi o contro di noi", ma noi non
immaginiamo un mondo diviso a metà, vogliamo viverlo nella sua
interezza senza più dover vedere inutili morti.
E'
SCOPPIATA LA GUERRA IMPERIALISTA, LA GUERRA "SANTA", LA GUERRA
DEL "BENE CONTRO IL MALE" (Come
ha detto Bush), LA
GUERRA DELL'OCCIDENTE CONTRO L'ORIENTE, “DELLA CIVILTA' CONTRO LA
BARBARIE”
(Come
ha detto Berlusconi).
In
qualunque modo la si voglia chiamare, con qualunque parola la si voglia
indicare, sappiamo bene che si tratta esclusivamente di UNA SANGUINARIA
PARATA DI ARMAMENTI, di un obbrobrioso pretesto per rivendicare il
proprio dominio, della volontà dei più forti, dei più potenti di
sottomettere e di annientare chi è più debole.
NO
ALLA GUERRA!
MOBILITIAMOCI PER LA PACE!
E' NECESSARIO UN MONDO DIVERSO SENZA PIU' ARMI !
Associazione "Pablo Neruda" - Aversa
IL VENETO PER LA PACE
FAUSTO di Sp DELLA COMMISSIONE COMUNICAZIONE
Gli Usa hanno causato 3 milioni
di morti nella guerra in Corea (1950), hanno invaso il
Vietnam (1960-65) a colpi di napalm e bombe al fosforo provocando 1
milione di morti; la Cia ha manovrato in Indonesia nel 1965 per spodestare
Sukarno causando 1 milione di morti; hanno guerreggiato in Cambogia
(1970, 600.000 morti), hanno fatto strage nelle Filippine,
sostenuto il golpe fascista di Pinochet in Cile (1973) che
provocò 5000 morti e 20.000 esecuzioni di massa; la stessa Cia ha
appoggiato il colpo di stato in Argentina (1976) che fece
15.000 morti e un numero imprecisato di "desaparecidos"; gli
squadroni della morte e le giunte militari manovrate dalla Cia in
Guatemala hanno procurato 150.000 morti; gli Usa hanno foraggiato i
terroristi anticubani contro il legittimo governo del presidente
Fidel; hanno finanziato le sanguinarie milizie sudafricane al tempo della
lotta di liberazione in Angola e Mozambico;
hanno concesso ai loro alleati israeliani il massacro a sangue freddo di
2000 profughi nei campi di Sabra e Chatila (1982); nel 1978 e
nel 1982 Israele, con l'appoggio incondizionato da parte degli Stati Uniti,
invase prima il Sud del Libano poi l'intero paese, bombardò
la capitale Beirut, uccise ventimila persone di cui l'80% civili; gli USA
hanno provocato l'invasione di Grenada (1983), quella di
Panama (2000 civili morti nei bombardamenti); hanno consentito il
bombardamento della Libia (1986, utilizzando le basi in Gran
Bretagna), il bombardamento di El Salvador (1980), del
Nicaragua (1980), dove hanno dato il loro appoggio ai reazionari
contras antisandinisti; sotto le bombe americane in Irak sono
morti 1 milione e mezzo di irakeni, e ora l'embargo USA provoca ogni anno la
morte di almeno 500.000 bambini; hanno bombardato il Sudan
(1998) distruggendo metà delle scorte farmaceutiche di quel paese, e l'Afghanistan
(1998); i bombardamenti Nato sulla Yugoslavia hanno causato la
distruzione di 328 scuole elementari, 33 ospedali, l'uccisione di 3000
civili di cui 1000 bambini, impestando di Uranio radioattivo territorio e
popolazione serba per i prossimi 4 mila anni e trasformando l'Adriatico in
una discarica di 20.000 bombe chimiche e radioattive; il massacro dei
palestinesi è realizzato quotidianamente dalla stato di Israele con
finanziamenti e armi americane; ogni angolo del pianeta subisce il
disastro economico, sociale e ambientale causato dal sistema
imperialista mondiale, dalla sete di profitto ad ogni costo che anima i
capitalisti di tutto il mondo. E come non considerare tutte le drammatiche
conseguenze provocate dall'Accordo WTO sulle Barriere Tecniche
al Commercio, o dalle politiche di lacrime e sangue del Fondo
Monetario Internazionale? Ora Washington ha detto no alla ratifica
della messa al bando delle armi batteriologiche e ha ripreso
la produzione di armi biologiche, ha rifiutato definitivamente
di approvare la messa al bando degli esperimenti nucleari,
delle mine antiuomo e del traffico di armi leggere,
ha detto no alla ratifica del trattato di Kyoto sui gas serra,
ha negato le misure contro i paradisi fiscali e di riciclaggio
di denaro sporco e rifiutato trattati internazionali che limitavano in
qualche modo la corsa al riarmo. No alle politiche del
"terrore"!
NO AL TERRORISMO FANATICO!!
COMUNICATO STAMPA DP
(Democrazia Popolare Sinistra Unita)
Michele Capuano
segretario nazionale
Roma 12 settembre 2001
MESSAGGI DALL'ITALIA
E DAL MONDO
Forum Sociale
Mondiale
Porto Alegre 11 Settembre 2001
Di fronte ai tragici avvenimenti che hanno avuto luogo ieri negli Stati
Uniti, e considerando le notizie diffuse sinora sui fatti, i rappresentanti
del Comitato di Organizzazione e del Consiglio Internazionale del Forum
Sociale Mondiale, riunitisi a Porto Alegre per presentare il prossimo
congresso del 2002 (dal 31/01 al 5/2), intendono manifestare pubblicamente.:
- condannando con forza gli attentati e l’inaccettabile sacrificio di vite
umane;
- manifestando incondizionata solidarietà al popolo americano
- affermando nuovamente la difesa della democrazia, della giustizia
sociale e della pace per la soluzione dei conflitti che dividono l’umanità;
- invitando i governi, le istituzioni internazionali, i movimenti
sociali, le organizzazioni non governative e i cittadini e le cittadine del
mondo a reagire contro qualsiasi tentativo di usare il sentimento di
repulsione verso gli attentati per promuovere ricatti, vendette o terrorismo
di stato contro altri governi e popoli, come già accaduto in simili
situazioni storiche. Allo stesso modo, invitano a contenere pregiudizi che
potrebbero condurre a preconcetti e discriminazioni verso altri popoli e
nazioni;
- affermando, infine, la necessità primaria dell’assoluta difesa dei
principi e degli spazi democratici in ogni paese e nel mondo e la lotta
costante a favore dei diritti fondamentali della persona umana.
UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE
Rappresentanti del Comitato di Organizzazione del FSM
Rappresentanti del Consiglio Internazionale dell’FSM
Social Forum di Genova – Vittorio Agnolotto
Servizio Pace e Giustizia – Adolfo Pérez Esquivel
IZQUIERDA
UNIDA - ESPANA
(CLICCA)
COMUNICADO
Unificación Comunista de España (UCE)
Ante la horrenda cadena de atentados ocurridos hoy en EE
UU, Unificación Comunista de España quiere manifestar:
1.Nuestra más absoluta condena de los atentados. El terrorismo, no
importa quien lo practique ni en nombre de qué, es siempre un crimen contra la
humanidad. Expresamos nuestra solidaridad con el pueblo norteamericano y en
especial con los familiares de las víctimas.
2.Las dantescas imágenes ofrecidas por las televisiones de todo el mundo
han sembrado la inquietud en todo el planeta. Quienes sean autores de esta
barbarie no sólo han demostrado una enorme capacidad para crear una situación
de pánico mundial. Los responsables de fraguar un acto de esta envergadura (y
dada la confusión y el caos informativo actual, ninguna hipótesis es desdeñable)
han demostrado su determinación de poner en grave peligro la paz mundial.
3.Los acontecimientos exigen una situación de alerta mundial y una
respuesta inmediata. Por las imprevisibles reacciones que pueda desencadenar,
redimensionadas por las características de la línea y el nuevo equipo
instalado en la Casa Blanca con Bush, podemos estar ante una respuesta que
signifique una inminente amenaza para la paz y la estabilidad mundiales.
4.Ante la gravedad de los hechos y sus posibles consecuencias, Unificación
Comunista de España (UCE) hace un llamamiento a toda la población para que se
exprese públicamente y participe activamente en todas aquellas actuaciones de
condena del terrorismo, defensa de la paz mundial y la exigencia de neutralidad
de nuestro país ante cualquier posible conflicto.
Comité Ejecutivo de
Unificación Comunista de España
DP - REGGIO CALABRIA
La lotta antimperialista e il terrorismo
sono due cose ben distinte.
Non si può esitare dal dissociarsi da azioni, come quelle che hanno
avuto luogo oggi negli Usa, che colpiscono indiscriminatamente migliaia
di civili innocenti, lavoratori, donne, bambini che non sono
minimamente responsabili delle violenze commesse dall'imperialismo
americano. Altrimenti, si rischia di cadere sullo stesso terreno dei
criminali imperialisti, che nel loro "palmares" non annoverano due o
tre palazzi rasi al suolo, ma intere città distrutte, vedi Hiroshima,
Nagasaki, Bagdad, Belgrado, ecc.
Per quanto sia stata dura e difficile da sanare la ferita subita oggi
dagli Usa, secondo la logica che <<chi semina vento raccoglie
tempesta>>, non è possibile usare mezze parole verso azioni di questo
tipo, che, al di là dell'effetto immediato, nuocciono gravemente alle
lotte di liberazione dei popoli oppressi - a partire da quella
palestinese- e contribuiscono ad innescare un'imprevedibile spirale di
repressione e di isolamento dei movimenti antagonisti. Gesti di questo
tipo, come le stesse azioni dei presunti "neobrigatisti" nostrani, in
ultima analisi, sono più utili al nemico che alla causa dei popoli
oppressi. Essi fanno breccia nei sentimenti di un'ampia fetta
dell'opinione pubblica democratica e perfino di settori del movimento
antagonista e antimperialista, spingendo tantissima gente a
impersonarsi nelle vesti "degli aggrediti" (anche grazie all'azione
martellante dei media di regime) e a dare credito agli appelli per "un
fronte comune contro la violenza". Nessuno s'illuda che episodi di
questo genere possano fungere da "scintilla" per una riscossa contro
l'imperialismo: la violenza indiscriminata, il terrore, la morte di
innocenti, portano sempre ad un passo indietro del movimento. Da
domani, anche in Italia, sarà ancora più difficile parlare di lotta
contro la Nato, di rifiuto dello "scudo stellare", di un'alternativa
alla barbarie Usa.
Omar Minniti
Si svolgerà domenica 14 ottobre 2001
La Perugia-Assisi contro il terrorismo
per la riconciliazione tra i popoli
Perugia, 12 settembre 2001 I coordinatori della Tavola della Pace (l'organismo
promotore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi) Flavio Lotti e p. Nicola
Giandomenico, hanno dichiarato quanto segue:
³Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo
esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte
sentimento di solidarietà. Con loro condividiamo un profondo dolore, l'angoscia
e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero.
Nessuna giustificazione può coprire un simile atto di terrorismo condotto
contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere ferma,
netta e unanime, così come deve essere la reazione di tutte le donne e gli
uomini amanti della pace.
Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro effetti
si sono già propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a lungo.
Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti i capi di Stato e di
Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e
terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di
violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale.
Non solo l¹America, ma il mondo intero sta diventando più insicuro. Questo è
il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per
mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per costruire
un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della
violenza, della guerra e del terrorismo.
Per rendere il mondo più sicuro è necessario promuovere più cooperazione
internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno può più pensare
di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili.
Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sarà per nessuno. All¹assunzione
di responsabilità di molte organizzazioni della società civile deve
corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno può farcela da
solo.
Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica ³casa comune² di
tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali democratiche
dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di sicurezza, di pace
e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta. Popoli e governi, società
civile e istituzioni debbono unirsi nell¹indispensabile tentativo di mettere
fine a tutti i conflitti e alle grandi violazioni dei diritti umani che
continuano ad insanguinare il mondo. Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e
non nuovi muri. Abbiamo bisogno di combattere l¹egoismo, il cinismo, l¹indifferenza,
tutte le forme di razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la
disperazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e
il primato della politica e si mettano al servizio del bene comune globale.
Il nostro è un appello alla calma, al senso di responsabilità e all'impegno
per la pace. Il futuro è nelle nostre mani. E¹ con questo spirito e questa
consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad
Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la
riconciliazione tra tutti i popoli.
Flavio Lotti, p. Nicola Giandomenico, coordinatori della Tavola
della Pace
Il Governo della Repubblica di Cuba ha appreso con dolore e tristezza le notizie degli attacchi violenti ed inaspettati realizzati nella mattinata odierna contro installazioni civili e ufficiali nelle città di New York e Washington che hanno provocato numerose vittime.
E' nota la posizione di Cuba contro qualsiasi azione terrorista. = Non é possibile dimenticare che il nostro popolo é stato vittima per più di 40 anni di tali azioni promosse dallo stesso territorio degli Stati Uniti. = Tanto per ragioni storiche che per principi etici, il Governo del nostro paese respinge e condanna energicamente gli attacchi commessi contro le menzionate installazioni ed esprime le sue più sincere condoglianze al popolo nordamericano per le dolorose e ingiustificabili perdite umane provocate da tali attacchi.
In questo amaro momento, il nostro popolo si dichiara solidale con il popolo degli Stati Uniti ed esprime la propria totale disponibilità a cooperare, nella misura delle sue modeste possibilità, con le istituzioni sanitarie e con qualsiasi altra istituzione di carattere medico o umanitario di quel paese per la cura, l'assistenza e la riabilitazione delle vittime provocate dagli avvenimenti occorsi nella mattinata odierna.
INVERTA - PCML - BRASILE
(clicca)
On the Bombings
by Noam Chomsky
The terrorist attacks were major atrocities. In scale they may not reach the
level of many others, for example, Clinton's bombing of the Sudan with no
credible pretext, destroying half its pharmaceutical supplies and killing
unknown numbers of people (no one knows, because the US blocked an inquiry
at the UN and no one cares to pursue it). Not to speak of much worse
cases,which easily come to mind. But that this was a horrendous crime is not
in doubt. The primary victims, as usual, were working people: janitors,
secretaries, firemen, etc. It is likely to prove to be a crushing blow to
Palestinians and other poor and oppressed people. It is also likely to lead
to harsh security controls, with many possible ramifications for undermining
civil liberties and internal freedom.
The events reveal, dramatically, the foolishness of the project of "missile
defense." As has been obvious all along, and pointed out repeatedly by
strategic analysts, if anyone wants to cause immense damage in the US,
including weapons of mass destruction, they are highly unlikely to launch a
missile attack, thus guaranteeing their immediate destruction. There are
innumerable easier ways that are basically unstoppable. But today's events
will, very likely, be exploited to increase the pressure to develop these
systems and put them into place. "Defense" is a thin cover for plans
for
militarization of space, and with good PR, even the flimsiest arguments will
carry some weight among a frightened public.
In short, the crime is a gift to the hard jingoist right, those who hope to
use force to control their domains. That is even putting aside the likely US
actions, and what they will trigger -- possibly more attacks like this one,
or worse. The prospects ahead are even more ominous than they appeared to be
before the latest atrocities.
As to how to react, we have a choice. We can express justified horror; we
can seek to understand what may have led to the crimes, which means making
an effort to enter the minds of the likely perpetrators. If we choose the
latter course, we can do no better, I think, than to listen to the words of
Robert Fisk, whose direct knowledge and insight into affairs of the region
is unmatched after many years of distinguished reporting. Describing "The
wickedness and awesome cruelty of a crushed and humiliated people," he
writes that "this is not the war of democracy versus terror that the world
will be asked to believe in the coming days. It is also about American
missiles smashing into Palestinian homes and US helicopters firing missiles
into a Lebanese ambulance in 1996 and American shells crashing into a
village called Qana and about a Lebanese militia paid and uniformed by
America's Israeli ally hacking and raping and murdering their way through
refugee camps." And much more. Again, we have a choice: we may try to
understand, or refuse to do so, contributing to the likelihood that much
worse lies ahead.
Noam Chomsky