LA VIOLENZA INIZIA A CHIAMARE VIOLENZA: FARNETICANTI E DELIRANTI DICHIARAZIONI DELLA BANDA DI BIN LADEN DIMOSTRANO ANCORA DI PIU' LA NECESSITA' DI UNA LOTTA CONCRETA AL TERRORISMO CHE NON SI CONDUCE CERTO ATTRAVERSO LE AZIONI MILITARI.


SONO CENTINAIA LE INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA
CONSULTATE ANCHE I SITI di:  isole nella rete - GSF, PRC

 

NO ALL'OBLIO!!
Noi siamo e vogliamo essere dalla parte di chi, come accadde da noi per liberarci dal mostro nazi-fascista, lotta per la libertà del proprio popolo, per la democrazia. Siamo, nel rispetto della nostra Costituzione, con chi lottò per i valori democratici contro Franco in Spagna e contro la dittatura in Portogallo, contro i Colonnelli in Grecia e per riformare il socialismo nell'est europeo. Siamo tra quelli che hanno cercato di capire le ragioni
nella "rivolta di Praga" e della gioventù in Cina. Siamo tra chi ha condannato Pol Pot e la follia del terrore. Facciamo parte della grande schiera dell'umanità che ha detto No (urlandolo) all'aggressione in Vietnam, che ha pianto la morte di Allende e il massacro di ogni idea di progresso in Cile e, poi, ancora in Brasile, in Argentina, in Guatemala, in Uruguay e in Paraguay. Abbiamo sofferto per lo sterminio di uomini e donne in Indocina e
in Nicaragua ad opera di chi vuole dominare le genti ed ogni risorsa. Siamo contro il terrorismo: abbiamo riempito le strade e le piazze, incrociato le braccia in un luogo di lavoro e discusso nell'aula magna di un'Università, quando a Milano o a Bologna il terrorismo (di Stato o mafioso o, semplicemente, folle) assassinava la nostra gente semplice. E non dimentichiamo Portella della Ginestra, Porta San Paolo, i morti di Reggio
Emilia, la violenza e la repressione di questi giorni. E proviamo dolore per la morte di algerini sgozzati dal fanatismo, per le centinaia di migliaia di tutsi massacrati dagli hutu, per i morti innocenti sulle sponde dell' adriatico o del mediterraneo. Piangiamo Lumumba e Sankara, Guevara e Gramsci, le vittime del'Apharteid e i milioni di indiani nell'America del Nord e di indios e di africani e di piccoli partigiani di cui non conosciamo neppure il nome e il cognome. E il cuore è lacerato per la strage di musulmani, messicani, italiani ed europei e americani coperti dalle macerie nel più vile attentato terroristico della storia moderna l'11 settembre di questo nuovo millennio. Ma non possiamo non provare ripugnanza nel leggere le farneticazioni di dirigenti e "apparati" statunitensi (che proclamano ai quattro venti, seminando nuove tempeste, una guerra infinita) e di chi ha
reso fertile il  terreno che genera nefandezze, che favorisce criminalità e nuova barbarie: come si fa a dichiarare impunemente che Fidel Ruiz Castro e l'intero popolo cubano possano essere coinvolti in "crimini contro l'umanità"? E chi lo afferma è responsabile di aggressioni ed embarghi come nuova forma di genocidio e del mancato rispetto delle stesse deliberazioni dell'Europa tutta e dell'ONU. Come si può (dopo aver alimentato la feroce dittatura di Fuijmori in Perù e la corruzione dei suoi ministri fino all'estrema illegalità) non riconoscere in chi gli si opponeva l'essere parte di una necessaria lotta di liberazione? E come è possibile (mentre si aprono scambi commerciali e si propongono, Italia in testa, insediamenti industriali) dichiarare la Corea del Nord "stato canaglia" e poi giustificare i massacri di Chabra e Chatila e negare ad un popolo il diritto alla propria terra? E' folle non vedere nelle FARC o nel MRTA o in Patria Roja o nel PKK (mentre si occidentalizza un feroce integralismo etnico, dell'Iraq o della Turchia, che intende annientare, dopo averne derubato la storia, la dignità e la vita, una nazione intera) l'eroismo di coloro che cercando la pace lottano per i diritti umani e per il rispetto di esigenze e bisogni calpestati da interessi miopi, esclusivi, particolari. E' cinismo: l
'oblio: lo stesso di chi sapeva che migliaia di uomini e donne li avremmo ricordati come "desaparecidos": torturati, violentati, uccisi. E' un attentato alla nostra libertà: al nostro impegno per esprimere solidarietà a chi lotta, e non raramente a rischio della vita, per un avvenire migliore, democratico, giusto. E' mettere "fuorilegge" la nostra stessa storia e i
valori che ci hanno lasciato in eredità vecchi e nuovi partigiani, i padri fondatori di una repubblica che doveva poggiare le sue basi sul lavoro e il pluralismo e non sul profitto e il "pensiero unico", le vittime della violenza e i combattenti per un nuovo umanesimo: Matteotti e i fratelli Cervi, Curiel e La Torre, Parri e Terracini, Walter Rossi e Marino Serri. e poi, oltre il nostro cortile di casa, Palme, Ibarruri, Cienfuegos, Bolivar,
Mariàtegui, Fonseca, Martì, Luxemburg.  Come può chi ha armato contro l'URSS
la mano di integralisti senza scrupoli, chi si è nascosto dietro stragi e colpi di stato, chi ha finanziato e preparato "squadroni della morte", condiviso e "protetto" il grande movimento di denaro "lordo" dare lezioni di civiltà? Anche per questo siamo contro il terrorismo e siamo contro la guerra, siamo contro l'egemonia di un imperialismo senza scrupoli e per la riforma delle strutture internazionali come luogo d'incontro dei popoli per
decidere (emancipato, cosciente, indipendente) il proprio destino. Siamo per il disarmo e contro l'organizzazione mondiale delle disuguaglianze, il monopolio dell'informazione, le devastazioni ambientali, l'assassinio per fame e mancanza di cura, di lavoro e di servizi. Siamo nemici del permanere dello schiavismo (anche minorile) e di un colonialismo nuovo che coinvolge milioni di nostri figli e di nostre figlie, fratelli e sorelle. Lavoriamo,
alla luce del sole (dopo averlo conquistato come atto di civiltà), per ampliare la democrazia, per rendere protagonisti uomini e donne e, quindi, per una nuova qualità della vita: il socialismo. Siamo contro le ingiustizie, lo sfruttamento e l'oppressione di uno sparuto gruppo di faccendieri ai danni delle moltitudini. E pensiamo e lavoriamo per non
essere contagiati, per non perire con lui, da un sistema corrotto, meschino, malato, ipocrita, bugiardo e pericoloso che mentre vuole negare la necessaria "rivoluzione dell'uomo" ambisce imporci odio, razzismo, prepotenza, falsità, un ritorno ad un primitivismo barbaro che umilia la nostra stessa intelligenza. Siamo la parte sana del pianeta, i resistenti della Terra, nonostante le nostre contraddizioni, gli errori e i limiti.
Siamo la gioventù del mondo mentre trascorrono gli anni perché crediamo in un programma ed un progetto che pretende un futuro e certezze per le generazioni che verranno. Per permettere alla storia di giudicare non dobbiamo tacere, dobbiamo resistere ed avanzare, unire quello che "i  padroni" dividono.

NO PASARAN!

 

GENNARO SCALA
La guerra in atto: 
un percorso di lettura


L'immenso apparato produttivo integrato a livello mondiale è una
macchina che per funzionare ha bisogno di energia. Nel 1999 l'energia a livello mondiale è stata fornita da petrolio (35%), carbone (23.5), gas (20.7%), combustibile rinnovabile e scarti (11.1%), nucleare (6,8%), energia idroelettrica (2.3%), energia geotermica, solare, eolica, termica ecc. (0,5%). Come mostra il grafico, dal 1973 al 1999 il petrolio pur non perdendo il suo ruolo centrale, ha visto una netta discesa, in favore del gas e dell'energia nucleare.
Il controllo delle regioni in cui sono localizzate le fonti di
energia e il controllo del percorso principale del loro trasporto
sono decisivi per il dominio globale. Michael T. Klare ha
definito "imperialismo energetico" (The Nation, July 23/30) la
politica prospettata in un recente (maggio 2001) documento del
governo americano, "Reliable, Affordable, and Environmentally Sound Energy for America' Future. Report of the National Energy Policy Development Group" (membri: Dick Cheney, Colin L. Powell, Paul O' Neill, Gale Norton e altri) , in riferimento soprattutto al suo capitolo conclusivo, nel quale viene delineata una strategia per il controllo delle risorse energetiche.
Il documento sostiene che il petrolio delle regioni del Golfo
Persico, dove tuttora sono si trovano un quarto delle riserve
mondiali di petrolio, continua ad essere centrale, ma sottolinea
l'importanza delle regione del mar Caspio. "Il Golfo rimarrà il focus primario della politica energitica internazionale degli Stati Uniti, ma il nostro impegno dovrà essere globale (will be global),
focalizzando le regioni emergenti e quelle esistenti che avranno un
maggiore impatto nella bilancia energetica globale" L'idea che questa  non sia tanto una guerra contro il terrorismo
quanto una guerra per il controllo delle risorse si sta facendo
sempre più strada ultimamente. 

Tuttavia è bene vedere precisamente in che termini, cominciando con una descrizione delle risorse della regione del mar Caspio in base alle informazioni fornite dall'Energy Information Administration. Official Energy Statistics from the U.S.
Government (EIA, http://www.eia.doe.gov):
"La prospettiva di riserve potenzialmente enormi di idrocarburi è
parte del fascino delle regioni del Mar Caspio (incluso Azerbaijan,
Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan, e le regioni dell'Iran e della Russia che sono vicine al Mar Caspio). Oltre ai 18-34 miliardi di barili attualmente dimostrati, le riserve possibili di petrolio della regione possono fornire altri 235 miliardi di barili. Questo è approssimativamente equivalente ad un quarto ad un quarto delle risorse totali provate (tuttavia, il Medio Oriente ha anche le proprie vaste possibili riserve). Le risorse di gas possibili sono ampie quanto le risorse di gas provate, e potrebbero fornire 328.000 miliardi di piedi cubici."
Le riserve di petrolio sommate a quelle di gas fanno delle regione
del Mar Caspio il secondo deposito energetico mondiale dopo quello del Golfo Persico, ma vi è un considerevole problema relativo al trasporto di queste risorse dalle "landlocked" regioni del Mar Caspio. La cartina mostra le tre vie principali che dovrebbero prendere queste risorse. In aggiunta vi è anche l'Iran, tra l'altro la soluzione più semplice, che avrebbe però la stessa destinazione finale della terza: il sud-est asiatico, ma questo percorso è escluso a causa del conflitto economico-politico con l'Iran a cui gli Usa hanno imposto delle sanzioni ormai ventennali. Riguardo alla prima via quella occidentale verso l'Europa, secondo l'EIA "ci sono alcune questioni riguardo al fatto che l'Europa sia la giusta destinazione per il petrolio e il gas del Mar Caspio. La domanda di petrolio nei prossimi è prevista in crescita di poco meno di un milione di barili al giorno. L'esportazione di petrolio a est, d'altro canto, potrebbe servire i mercati asiatici, dove la domanda di petrolio è prevista in crescita di 10 milioni di barili al giorno nei prossimi 10-15 anni.
Per alimentare tale domanda asiatica, però, potrebbero essere
necessario costruire le più lunghe pipeline del mondo. Considerazioni geografiche potrebbero obbligare queste pipelines a dirigersi a nord delle intransitabili montagne del Kirgizistan e del Tagikistan attraverso le vaste, desolate steppe kazache, con ciò aggiungendo ancora più estensione (e costo) a qualsiasi pipeline diretta ad est." Un altro fattore che rende questo percorso poco gradito è il fatto
che esso resterebbe comunque o sarebbe potenzialmente sotto
l'influenza della Russia.
Ma se non ad ovest e non ad est, allora verso Sud? Escluso l'Iran,
questa via dovrebbe passare necessariamente per l'Afghanistan
attraverso il quale raggiungere i porti pakistani sul mare Arabico,
da dove petrolio e gas dovrebbero raggiungere via tanker il sud-est
asiatico. Ma su questo percorso ci sono some little problems.
 "La guerra civile afghana ha impedito ai progetti in corso di
procedere. Mentre tutte le principali fazioni afghane sono d'accordo
in linea di principio alla costruzione delle pipeline, le pipelines
non hanno probabilità di attrarre i necessari finanziamenti senza una
stabilizzazione pacifica e un riconoscimento internazionale del
governo afghano. Sebbene i talebani controllano il 90% del territorio
afghano, solo Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Arabia Saudita hanno
riconosciuto ufficialmente il governo afghano. In seguito ai
bombardamenti statunitensi delle roccaforti afghane nei raid del 20
agosto del 1998, Unolocal ha annunciato di aver sospeso i lavori
della pipeline per il gas, e nel Dicembre 1998 si è ritirata dal
consorzio Centgas.
Nell'aprile 1999, Pakistan, Turkmenistan and Afghanistan si sono
accordati per riattivare il progetto Centgas, e per chiedere al
consorzio Centgas, ora guidato dalla Delta Oil dell'Arabia Saudita,
di procedere. Sebbene i combattimenti si sono allontanati dagli
itinerari potenziali della pipeline, il rifiuto dei talebani di
consegnare Osama bin Laden, così come la continuazione della guerra
civile, ha ridotto la probabilità di attrarre finanziamenti
internazionali per il progetto Centgas. Gli Stati Uniti hanno imposto
delle sanzioni che vietano il commercio e gli investimenti americani
nel 90% dell'Afghanistan sotto il controllo dei talebani, e nel 14
novembre 1999, anche le Nazioni Unite hanno imposto delle sanzioni
contro l'Afghanistan nel tentativo di fare pressione sui Talebani
perché consegnassero bin Laden." 
http://www.eia.doe.gov/cabs/caspconf.html
Ma cosa c'entra con tutto questo Osama bin Laden, dichiaratamente il
primo bersaglio di questa guerra? Cominciamo con l'esaminare come mai
si trova in Afghanistan, ammesso che si trovi ancora da quelle parti.
Il suo rapporto con i talebani nasce al tempo della guerra contro
l'URSS. "Il regno saudita forniva un finanziamento pari a quello
americano, cui si aggiungevano i milioni di dollari provenienti dai
patrimoni arabi privati. Ed in effetti, la combinazione di fondi
sauditi pubblici e privati fu decisiva per il finanziamento della
guerra. I fondi ufficiali del governo saudita diminuirono
gradatamente verso la fine della guerra e furono sostituiti da quelli
privati provenienti da fanatici multimiliardari come Usama bin Laden,
ansioso di assistere al trionfo mondiale dell'islamismo. I
finanziamenti statali furono ben presto superati e quasi dimenticati.
[.] La privatizzazione strisciante della jihad - perché di questo si
è trattato: i responsabili di gran parte del terrorismo politico
postbellico in Occidente non sono tanto i governi criminali quanti i
magnati privati - fu il frutto dell'alleanza tra Arabia Saudita e
Stati Uniti" (John C. Cooley, Una guerra empia, p. 182-83). Bin Laden
è stato uno dei principali organizzatori e collettore di fondi della
jihad afghana, da ciò derivano i suoi rapporti all'epoca della guerra
fra Afghanistan e URSS con la CIA.
Bin Laden è il rampollo di una famiglia che possiede uno dei
principali gruppi economici dell'Arabia Saudita. La sua ideologia
islamista sembra molto distante dal mondo occidentale, tuttavia una
serie di articoli hanno ricordato i legami della sua famiglia con
quella del suo "nemico" George Bush. Bin Laden è un membro dell'élite
borghese mondiale. Ha imbracciato mitra e Corano, ma sotto la tunica
spunta il sofisticato orologio da manager. Per molti aspetti infatti
questo è un conflitto tra l'élite borghesi mondializzate. Tuttavia in
termini strettamente economici l'impero finanziaro della famiglia di
Osama bin laden non è fondato sul petrolio ma sulle costruzioni. Ma è
meglio evitare l'appiattimento sulle questioni economiche che pur
restano decisive: la funzione che bin Laden ha voluto ritagliarsi in
questi anni è stata soprattutto di tipo politico-"militare",
attraverso l'organizzazione del terrorismo e questa funzione va
inquadrata nel contesto dell'Arabia Saudita e questa nel contesto del
mondo arabo.
Dopo aver contribuito a sconfiggere i sovietici, si convinse che il
principale nemico erano gli USA e che la monarchia saudita che aveva
concesso le base agli americani per l'attacco all'Iraq andava
rovesciata. Nonostante che per queste dichiarazioni gli fu ritirato
il passaporto saudita, i suoi legami con i vertici sauditi non sono
venuti meno. In primo luogo con uno dei più potenti personaggi del
regime, il capo dei servizi segreti, il principe Turki al-Faisal. Il
rapporto fra i due nasce ai tempi dell'università: fu Turki a
favorire la sua ascesa come uno dei principali organizzatori della
jihad in Afghanistan.
Anche a causa della logica dei media sempre alla ricerca del
personaggio su cui puntare i riflettori, si è prestata troppa
attenzione a bin Laden. Il ruolo di figure come quella di Turki al-
Faisal è altrettanto importante. Innanzitutto il suo sostegno al
regime dei talebani non è stato di secondaria importanza. Secondo il
resoconto di Ahmed Rashid, cronista pakistano della Far Estern
Economic Review, considerato, per la sua ventennale esperienza, uno
dei maggiori conoscitori della questione, "nel luglio 1998 il
principe Turki fece visita a Kandahar e poche settimane dopo
arrivarono 400 furgoni arrivarono a Kandahar per i talebani che
ancora avevano la targa di Dubai. I sauditi diedero anche denaro
contante per il libretto assegni dei talebani per la conquista del
nord nell'autunno. Fino al bombardamento in Africa e a dispetto delle
pressioni statunitensi per la fine del sostegno ai talebani, i
sauditi continuarono a  finanziare i talebani ed erano silenti sulla
necessità di estradare bin Laden."
Turki al-Faisal è stato direttamente coinvolto nella lotta per la
costruzione della pipeline che doveva attraversare l'Afghanistan.
Dopo la conquista di Kabul, quando il regime talebano cominciava a
dare una parvenza di stabilizzazione, sono stati in lotta per la
costruzione di questa pipeline due gruppi principali: uno denominato
CENTGAS formato da Unocal Corporation (U.S.A, 46.5 %), Delta Oil
Company Limited (Saudi Arabia, 15 %),  The Government of Turkmenistan
(7 %), Indonesia Petroleum, LTD. (INPEX) (Japan, 6.5%),  ITOCHU The
Crescent Group (Pakistan, 3.5 %),  Oil Exploration Co., Ltd. (CIECO)
(Japan, 6.5 %),  Hyundai Engineering & Construction Co., Ltd.
(Korea), 5 %); l'altro gruppo formato da una partnership 50 a 50 fra
BRIDAS, una compagnia argentina, e NINGHARCO, la quale a sua volta "è
vicina al principe Turki al-Faisal". "Ogni parte ha il supporto di
potenti alleati politici. La proposta della Unocal è favorita dal
Turkmenistan e dal Pakistan, mentra quella della Bridas è appoggiata
dai Talebani", e, non c'è bisogno di dirlo, da bin Laden. "Così la
competizione tra Unocal e Bridas riflette anche la competizione
all'interno della famiglia reale saudita (Rashid, Taliban, 167-68).
La Delta oil è considerata vicina allo schieramento che fa capo
nominalmente a re Fahd. Di questi due schieramenti uno è
più "conservatore", preoccupato di non contrariare il protettore
americano, l'altro più "rivoluzionario" diretto a fare una politica
del petrolio più aggressiva, anche a costo di andare contro agli
Stati Uniti. Quale può essere stata la strategia di questo secondo
gruppo riguardo alle risorse del Mar Caspio? Gli obiettivi fra loro
non alternativi possono essere stati due: o far cadere il trasporto
di queste risorse sotto un controllo più diretto di gruppi legati
all'Arabia Saudita o mettere in atto delle azioni di disturbo che
ostacolassero e facessero fallire questo progetto. Alla fine la gara
fu vinta nel 1998 da CENTGAS, ma, come dice anche l'EIA, Unocal
subito dopo si ritirò dal progetto in seguito agli attentati
attribuiti a bin Laden delle ambasciate statunitensi in Tanzania e in
Kenia e alle successive ritorsioni americane attraverso il
bombardamento in Afghanistan di alcuni località considerate sedi di
addestramento di al Qaeda.
I legami di bin Laden con il potere saudita non si limitano a Turki
al-Faisal. "La verità riguardo al silenzio saudita era ancora più
complicata. I sauditi preferivano lasciare bin Laden solo in
Afghanistan perché il suo arresto e processo da parte degli americani
potrebbe rivelare le profonde relazioni che bin Laden continua ad
avere con membri comprensivi della Famiglia Reale. I sauditi vogliono
bin Laden morto o prigioniero dei talebani - non lo vogliono
catturato dagli americani."
Klare sostiene che "il vero centro del conflitto è l'Arabia Saudita,
non l'Afghanistan". Il suo saggio Geopolitic of War (The Nation, è
molto utile per un inquadramento storico e "geopolitico", ma è
piuttosto singolare che Klare, che pur conosce la questione delle
pipeline (esposta sinteticamente e con precisione nel suo libro
Resources War) non entri nei particolari riguardo alla funzione che
le risorse del Mar Caspio può aver svolto nel suscitare il conflitto
più o meno latente con l'Arabia Saudita.
Che le cose non andassero come sempre con il vecchio alleato saudita
è apparso chiaro a tutti con la vicenda del rifiuto saudita di
concedere le basi per gli attacchi aerei all'afghanistan. I fatti
sono stati sintetizzati in un articolo del U.S news & world report
(9/28/01) uno dei settimanali a più ampia tiratura degli stati uniti.
L'articolo dal titolo "Relazioni pericolose. Quanto il nostro amico
saudita ci sta aiutando?" rileva la contraddizione fra la successione
la notizia riportate il 22/7 dal Washinghton Post secondo cui i
sauditi avevano respinto la richiesta statunitense della Prince
Sultan Air Base (una grande base statunitense costruita recentemente
alle porte di Riyadh) e quella riportata due giorni dopo dallo stesso
giornale secondo cui il Pentagono aveva pieno accesso alla base di
Riyadh. Secondo il settimanale questa "apparente contraddizione"
denota "le difficoltose e ambigue relazioni fra gli Stati Uniti e
l'Arabia Saudita". Fra parentesi: il settimanale ha scoperto anche
che l'amico saudita "è profondamente antidemocratico e il maggior
propagatore del Wahabbismo, la forma più estrema di fondamentalismo
islamico". È interessante riportare come, secondo il settimanale, il
ministro degli esteri avrebbe risolto la questione. "È possibile che
Powell ha evitato la richiesta di usare la base fino al 23 settembre
e che l'ha chiesta immediatamente dopo - o che gli Stati Uniti hanno
deciso di andare avanti e di usarla senza permesso. Dopotutto, è la
nostra base. Ma sembra del tutto probabile che i leader sauditi non
vogliono far apparire di cooperare con gli Stati Uniti anche mentre
lo stanno facendo".
Sebbene la questione del rapporto con l'Arabia Saudita non abbia
fatto tanto clamore nei media statunitensi, essa è diventata
apertamente un problema da essere affrontato, almeno per gli analisti
politici americani. In un articolo del Washington Post (22/10/01) di
Simon Henderson esperto del "The Washington Institute for Near East
Policy"dal significativo titolo "Arabia Saudita: amico o nemico?" si
scrive che "il coinvolgimento del terrorista bin Laden, nato in
Arabia Saudita, negli eventi dell'11 settembre rende le dimissioni di
Turki un problema che deve essere risolto. La versione che
attualmente va per la maggiore è probabilmente un racconto barocco,
che combina le tensioni dinastiche all'interno di una famiglia reale
forte di 30.000 membri, le relazioni saudite con i talebani, le
relazioni saudite con gli USA, e l'implicazione che i sauditi
conoscevano o sospettavano che bin Laden avrebbe potuto eseguire
l'oltraggio del dirottamento aereo da qualche parte nel mondo a
settembre." "La data (timing, vuol dire anche scelta del momento
opportuno, tempestività, tempismo) della rimozione di Turki - 31
agosto - e i suoi legami con i talebani sollevano la questione:
conoscevano i sauditi che bin Laden stava progettando il suo attacco
contro gli Stati Uniti? L'opinione corrente tra i gli osservatori del
regime saudita è probabilmente no, ma la la casa saudita potrebbe
aver sentito delle voci che qualcosa si stava progettando, sebbene
senza conoscere dove e quando"
L'esperto suggerisce (fra le righe) che Turki alla fine si sarebbe
ravveduto, avrebbe inteso quali sono i reali interessi sauditi,
avrebbe abbandonato i suoi precedenti legami con talebani e bin Laden
e avrebbe scelto alla fine decisamente i vecchi alleati. Ma la
questione resta aperta: il ruolo di Turki potrebbe essere stato sino
alla fine più ambiguo. Mi sento autorizzato a fare questa
osservazione, pur non essendo un esperto, dal fatto che Henderson
indica come motivo di conflitto soltanto i debiti contratti dal regno
saudita nei confronti degli USA, ma ignora il conflitto più ampio e
che coinvolge più profondamente la struttura del regno saudita,
(sicuramente ha coinvolto in prima persona Turki al-Faisal), che può
suscitare la scelta del governo statunitense di puntare sulle risorse
del Mar Caspio. Finora ho citato di proposito giornali e settimanali
autorevoli (o presunti tali) come il Washington Post o l'U.S news &
world report, ma c'è anche chi come Peter Dale Scott (pacifista
americano di vecchia data, il cui sito consiglio vivamente di
visitare http://ist-socrates.berkeley.edu/~pdscott/q.html ) osserva
che "ci sono molte congetture in Europa se le improvvise dimissioni
di Turki da parte di Abdullah nel tardo agosto sia stato un fattore
che ha fatto precipitare l'attacco del 9/11 pochi giorni più tardi"
La causa centrale di questo conflitto potrebbe essere l'opposizione
che incontra in alcuni settori dell'Arabia Saudita la decisione
americana di "dedicare attenzione" alle risorse petrolifere del Mar
Caspio. È certo che l'Arabia Saudita non vede di buon occhio la piena
introduzione sul mercato di questo grosso concorrente. Ciò che rende
il conflitto ancora più acuto è la profonda crisi economica e
politica che da qualche anno attraversa il paese degli sceicchi.
L'Arabia è uno degli orrori, sul piano politico, creati dalla
politica estera statunitense, la cui protezione militare e politica è
essenziale alla sua conservazione: è un paese che basa le sue entrate
per tre quarti sul petrolio, ed è un'economia praticamente a scadenza
basata sulle riserve di petrolio (per altri 20 o 30 anni?), un paese
in cui non esiste parlamento, in cui un'interminabile coorte di
principi (e relative famiglie) corrotta e crapulona batte
continuamente cassa, la stessa che ha sperperato gran parte di queste
immense ricchezze senza creare una reale struttura produttiva, in cui
gran parte dei capitali ricavati dal petrolio risiedono all'estero, e
che si regge sul consenso dovuto alla pura e semplice distribuzione
del denaro proveniente dal petrolio.
Il progetto politico di bin Laden  è davvero così "rivoluzionario"?
Intende davvero sconvolgere gli equilibri mondiali rovesciando il
regime saudita e mettendolo contro gli USA? O gli attacchi
terroristici sono il modo in cui una parte consistente della classe
dominante saudita, da cui provenivano diversi attentatori, si fa,
diciamo così, sentire? Sicuramente molti degli attentati dei gruppi
islamici in Cecenia erano diretti a rendere insicure le zone di
transito delle pipeline russe, attualmente principale concorrente sul
mercato del petrolio dell'Arabia Saudita. Sicuramente attorno alle
risorse petrolifere sono sorti dei conflitti insanabili, il che rende
la lotta estremamente aspra.
Quando bin Laden fa appello alla difesa del petrolio, "questa risorsa
del mondo arabo", potenzialmente, in un società impoverita come
quella araba, questa forma di demagogia può fare presa su ampie
masse, ma gli interessi reali che difende sono quelli di élite
piuttosto ristrette. Inoltre, la strategia terroristica messa in atta
da al Qaeda sembra essere l'unica capace di ottenere dei "risultati",
quali che siano, contro gli Usa che hanno dimostrato di aver
raggiunto una superiorità militare schiacciante, uno stato che tanti
arabi hanno ottime ragioni per considerare come nemico. Tuttavia se
gli Usa riusciranno a sconfiggere la rete di bin Laden questo sarà un
fatto positivo. ma non sarà una vittoria degli Usa, come non lo è
stata la sconfitta dei talebani. Infatti gli USA prima hanno dato un
contributo decisivo ad insediarli e in seguito hanno dovuto
toglierli. Raddoppiando le sofferenze della popolazione afghana, una
delle tante vittime della fallimentare e caotica politica estera
americana.
Negli ultimi anni sono comparsi tutta una serie di Frankestein creati
dagli USA che poi gli si sono rivoltati contro a partire da Saddam
Hussein, poi bin Laden, poi i Talebani, in parte anche l'Arabia
Saudita. La storia del dopoguerra ha visto gli USA impegnati
dovunque, ma soprattutto negli stati arabi, a favorire i governi più
reazionari, così alla fine dopo la sconfitta di Nasser, la cui lotta
era comunque legata ad un progetto di emancipazione e modernizzazione
del mondo arabo, abbiamo bin Laden legato alla reazione estrema nata
in Arabia Saudita. Come scrive Magdi Allam, un cronista di Repubblica
di origine araba, "Parla da consumato statista il Bin Laden che
prefigura il possesso del più ricco forziere naturale della Terra. E'
lui l'erede dell'egiziano Nasser che per primo osò sfidare la
superpotenza americana e incitò le masse saudite a rivoltarsi contro
la famiglia reale, legando il riscatto della nazione araba al
controllo delle risorse petrolifere. Nasser la sua battaglia la perse
e sulla scia della cocente sconfitta del 1967 esplose il movimento
islamico di cui Bin Laden è il nuovo profeta. Ora tocca a Bin Laden,
anche per lui è giunta l'ora della resa dei conti" (Repubblica
24/10/01). Per quanto grossolano e sostanzialmente falso sia definire
bin Laden l'erede di Nasser, ritengo il concetto generale esatto.
Siamo già entrati nell'era della fine dell'egemonia americana nel
mondo. Secondo la concezione gramsciana il governo duraturo è sempre
una combinazione di dominio e consenso. L'incapacità del modello
americano, e in generale occidentale, di risolvere invece di
peggiorare i problemi vitali di ampie zone del mondo segna la fine
del consenso e dell'attrazione che questo modello poteva suscitare.
Viene ora l'era del solo dominio, magari attraverso l'utopia di una
assoluta superiorità tecnologica. Ma un governo mondiale fondato
soltanto sul dominio non è destinato a durare.
Dietro a tutta questa vicenda si intravvede un intrigo di servizi
segreti a dir poco inquietante, da far impallidire quello emerso in
relazione all'assassinio di Kennedy. Sono troppe le voci che indicano
che servizi segreti americano hanno trescato con bin Laden fino a
poco tempo fa e forse anche dopo gli attentati. Si tenga conto che le
diramazioni degli interessi contrastanti delle compagnie petrolifere
arrivano fino ai vertici del governo e del potere statunitense (Bush
jr. stesso viene indicato come un rappresentante delle compagnie
petrolifere). Bisognerebbe avere una mappa dettagliata delle varie
compagnie petrolifere statunitensi e della loro politica petrolifera,
ma può essere benissimo che alcune di queste possano essere allineata
al vecchio alleato saudita e che questi interessi possono essere
benissimo implicati in qualche modo nell'attentato. Ognuno giudichi
da se le notizie dettagliate e documentate riportate nel sito
americano http://emperors-clothes.com/indict/indict-1.htm che indica
direttamente come "colpevoli per il 9/11 Bush, Rumsfel, Myers". La questione è sempre la stessa: come è stato possibile? Com'è stato possibile che due aerei a distanza di quasi mezz'ora uno dall'altro
si siano schientati contro i grattacieli della principale città
statunitense? Altri sostengono che l'attentato sia stato se non
creato almeno non ostacolato per creare il casus belli per farla
finita con bin Laden e talebani e per risolvere definitivamente la
questione dell'Afghanistan. È molto probabile che c'è stato un
fortissimo conflitto occulto fra i vertici del potere americano. La
vicenda resta sicuramente in gran parte oscura: in questo groviglio
l'analisi del conflitto per le risorse energetiche può fornire uno
strumento per sbrogliare o' gliuommero (matassa ingarbugliata
inestricabilmente, ma anche peso sullo stomaco, metafora gaddiana del fascismo).

 

Lettera aperta all'Italia viva, democratica e solidale:
ATTIVIAMOCI PER AIUTARE LE VITTIME DELLA GUERRA
l'11 settembre un atto terroristico vile ha assassinato migliaia di persone
(di ogni religione, di tante nazioni, di diversi ceti sociali) e venti di
guerra tenebrosi avanzano minacciando, ulteriormente, ogni certezza nel
presente e nel futuro insieme alla fatica di possedere una memoria dei
trascorsi dell'umanità per non ripetere identiche nefandezze, identici
drammi, identici tormenti. La guerra, è ormai palese, non è un evento
occasionale ma uno strumento strutturale e interno al modo di produzione
capitalistico, alla logica del profitto, ad un sistema alimentato da
disuguaglianze e disordine. Milioni di afgani si accalcano ai confini del
loro Paese, già duramente ferito da un fondamentalismo nutrito dagli stessi
attori che oggi dichiarano di aborrirlo, e ancora una volta le vittime (a
New York come in medioriente e in tante altre parti del globo) sono masse
inermi, innocenti, condannate ad un'esistenza mediocre e brutale. E tornano
alla mente, per noi che giovani non siamo più e che forse non abbiamo saputo
comunicarlo ai nostri "eredi", i milioni di morti in Indonesia, in Vietnam,
in tanta parte dell'America Latina, in Africa. Centinaia di migliaia di
vittime per mano di integralisti algerini, di tutsi che massacrano hutu, e,
ancora, in Somalia, nei Balcani (solo per fermarsi al presente come se
volessimo rimuovere nazismo e fascismo vecchio e nuovo e stermini di popoli
interi). Noi siamo una grande rete di associazioni: siamo entrati in un
campo profughi, abbiamo sfidato le bombe nel Kosovo che distruggevano
ambiente e vita, abbiamo raggiunto il Mozambico dopo disastri che
erroneamente chiamiamo naturali, abbiamo sfidato chi applica la  pena di
morte e le ingiuste carcerazioni politiche, dittature feroci e chi ci
ostacolava perché attraverso una campagna umanitaria portavamo alla luce le
ragioni della mancanza di cura, della fame e della miseria, delle morti
bianche e del neo-schiavismo. Ora, ancora una volta, abbiamo questo dovere:
smascherare i disegni cinici e meschini dei Prepotenti della Terra e, al
tempo stesso, avviare da subito una grande campagna di solidarietà per
milioni di nostri fratelli e sorelle che saranno i veri bersagli dell'
economia di guerra e del bisogno di gestire la propria crisi da parte delle
attuali classi dominanti. E' il momento di ricordarci che le guerre si
preparano in un tempo definito di pace e che la lotta contro militarismo e
per il disarmo è una necessità, una necessità un nuovo mondo e una necessità
contrastare l'etica dell'avere (che si coniuga con poteri occulti e mafie)
per sostituirgli l'etica dell'essere. E' il tempo per un grande lavoro che
contrasti il ruolo eversivo dei grandi mass-media occidentali e l'attacco ad
ogni conquista sociale creando coscienza, unità, valori. Questa guerra sarà,
nella sua demagogia e nel suo populismo, davvero una guerra infinita, una
malattia del sistema, per imporre (a nemici di volta in volta individuati
come tali e agli stessi alleati) un'egemonia degli USA mortificando ogni
istituzione internazionale (l'ONU innanzitutto) e per sferrare un attacco
senza precedenti ai diritti delle grandi masse ovunque residenti e nessun
"ciclo di sostituzione", nessun ritorno a Keynes, nessun compromesso
sociale, nessun futuro miracolo economico ne sarà conseguente. Ben altro
pretenderebbe la lotta al terrorismo! Altre strade, altri piani, altri
progetti che con la guerra non hanno niente a che vedere. L'immiserimento
delle classi dominanti invita a pensare scenari di nuovo caos, nuove
ingiustizie e a un divario sempre più incolmabili tra Nord e Sud del mondo.
Al dominio economico si aggiunge un dominio anche "psicologico" e, poi,
"culturale" che non intende risparmiare nessun concorrente al potere
"imperiale" neppure nel proprio cortile di casa. Ecco allora l'importanza
dell'ONU e della riforma delle strutture internazionali. Ecco, anche, il
profondo significato di organizzare una grande rete tra associazioni e
realtà diverse, dell'Italia viva che c'è e resiste, per essere uniti non
solo quando giustamente si dice No ai potenti della terra e alla loro
globalizzazione delle disuguaglianze ma soprattutto per dare e portare
sostegno (oltre l'ipocrisia dei guerrafondai), solidarietà vera, aiuti a chi
poteva farne a meno e non può. Noi non viviamo nell'epoca di un potere
astratto ma in quello in cui è lui stesso il protagonista di una povertà che
riguarda la quasi totalità dell'umanità al pari di carestie, malattie,
devastazioni ambientali, razzismo ecc. ecc. In un'epoca in cui avanza una
nuova barbarie e in cui non si chiama Occidente (Turchia e Israele ne fanno
parte) tutto ciò che non corrisponde ad interessi egoistici, privati,
particolari. Proponiamoci di organizzare insieme un grande convoglio della
solidarietà che sfidi il rumore delle armi, l'arroganza dei potenti,
rendendo credibile un progetto ed un sogno, la speranza e un programma di
liberazione al plurale. Anche questo diremo alla marcia Perugia-Assisi come
parte del comitato promotore, alle manifestazioni che abbiamo organizzato ad
ottobre con popoli del cosiddetto Terzo Mondo, dentro le mille piccole
iniziative che faremo con la consapevolezza che l'unica battaglia che potrà
vederci sconfitti è unicamente quella che si rinuncia a fare.

Ines Venturi
Presidente nazionale 
Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli (AIASP)
Rete Associazioni Popolari
Per gli aiuti al popolo afgano e le altre campagne in corso contattare la
Casa dei Popoli telefax 06.2752439 o l'email aiasp@tiscalinet.it

 

DA CUBA: EDITORIAL
Se inició la guerra

Ayer, a las 9:00 p.m., hora de Afganistán, se inició la guerra. Más que la guerra, el ataque militar contra Afganistán. La palabra guerra sugiere una contienda entre partes más o menos iguales, en que la más débil posea al menos un mínimo de recursos técnicos, financieros y económicos con que defenderse. En este caso, una de las partes no posee absolutamente nada. Llamémosla, sin embargo, guerra. Así la calificó quien ordenó las operaciones militares. 

Un tipo de guerra verdaderamente sui géneris. Un país entero es convertido en campo de prueba de las más modernas armas que se hayan inventado nunca. Los especialistas y expertos que en los centros de investigación y talleres militares invirtieron decenas de miles de millones de dólares para crear instrumentos de muerte, seguirán cada detalle del comportamiento de sus siniestras criaturas.

Sean cuales fueren los pretextos, es una guerra de la tecnología más sofisticada contra los que no saben leer ni escribir; de 20 millones de millones de dólares de Producto Interno Bruto cada año contra un país que produce aproximadamente mil veces menos, que se transformará, por razones económicas, culturales y religiosas, en una guerra de los antiguos colonizadores contra los antiguos colonizados, de los más desarrollados contra los menos desarrollados; de los más ricos contra los más pobres; de los que se autotitulan civilizados contra los que ellos consideran atrasados y bárbaros. 

No es una guerra contra el terrorismo, que debía y podía ser derrotado por otros medios verdaderamente eficaces, rápidos y duraderos, que estaban a nuestro alcance; es una guerra a favor del terrorismo, cuyas operaciones militares lo harán mucho más complicado y difícil de erradicar. Un remedio peor que la enfermedad.

Ahora lloverán noticias sobre bombas, misiles, ataques aéreos, avance de blindados con tropas de etnias aliadas a los invasores, desembarcos aéreos o avances por tierra de fuerzas elites de los países atacantes; ciudades tomadas, incluida la capital, en tiempo más o menos breve; imágenes por televisión de cuanto permita la censura o escape de la misma. Los combates serán contra los naturales del país y no contra los terroristas. No hay batallones ni ejércitos de terroristas. Este constituye un método tenebroso, un concepto siniestro de lucha, un fantasma.

Los hechos mencionados irán acompañados de triunfalismo, exaltaciones chovinistas, jactancias, alardes y otras expresiones de arrogancia y de espíritu de superioridad cultural y racial.

Después vendrá la gran incógnita: ¿cesará la resistencia, desaparecerán todas las contradicciones o comenzará la verdadera guerra, aquella que fue definida como larga e interminable? Estamos seguros de que esa es la mayor interrogante que llevan dentro los que hoy se ufanan de haberse lanzado a esa guerra aventurera.

Millones de refugiados se esparcen ya por todas partes y las dificultades mayores están por presentarse. Esperemos los acontecimientos.

Nuestro pueblo será informado con la máxima objetividad de cada hecho que vaya sucediendo, con mayor o menor espacio en la prensa, la radio y la televisión, de acuerdo con su importancia, sin alterar el ritmo de nuestras actividades y programas normales de información y recreación, ni mucho menos descuidar los enormes esfuerzos de desarrollo social y cultural que llevamos adelante, ni la atención cuidadosa y estricta de todas las actividades productivas y los servicios, lo que hoy es más importante que nunca, dadas las afectaciones que los acontecimientos que se desarrollan pueden ocasionar a la ya deteriorada economía mundial, de cuyos efectos no podría escapar ningún país, aunque no hay otro más preparado, organizado y consciente que el nuestro para enfrentarse a cualquier dificultad que sobrevenga. Tampoco dejaremos de prestar nuestra atención a la defensa, como nunca hemos dejado de hacerlo.

De nuevo veremos en el mundo vacilaciones y pánico. Después, a medida que se vayan presentando los problemas previsibles, vendrán la toma de conciencia y el rechazo universal a la guerra que acaba de iniciarse. Hasta los propios ciudadanos norteamericanos, hoy impactados por la horrible tragedia, más tarde o más temprano lo comprenderán.

Aun cuando la oposición y condena al terrorismo y a la guerra, que ha sido la esencia de nuestra posición —hoy compartida por muchas personas en el mundo—, ha sufrido el esperado golpe del inicio de las operaciones militares, persistiremos luchando con todas nuestras fuerzas por la única solución posible: el cese de las operaciones militares y la erradicación del terrorismo mediante la cooperación y el apoyo de todos los países, el repudio y la condena unánimes de la opinión pública internacional, bajo la dirección de la Organización de Naciones Unidas.

 

“We condemn the U.S./UK 
aggression against Afghanistan”
Emergency statement by the Central Committee
Communist Party of Canada

The attack against Afghanistan by US and British missiles was launched during a meeting of the Central Committee of the Communist Party of Canada, taking place in Toronto. The CC immediately issued the following statement:
“The Communist Party of Canada unequivocally condemns the military aggression against Afghanistan by the United States and Great Britain. While claiming that they are targeting Taliban military forces and those accused of masterminding the Sept. 11 attacks, the imperialist powers are bringing new deaths and suffering to the people of Afghanistan, for whom we express our sorrow and solidarity at this difficult moment.
“The CPC demands an immediate halt to this war of aggression, in favour of a meaningful search for political and peaceful solutions to this crisis. We reject as completely false and hypocritical the claims by the Bush and Blair governments that their military actions are “humanitarian” in nature. The reality is that the Taliban and Osama bin Laden are largely the creations of massive CIA intervention in Afghanistan during the 1980s. The “Northern Alliance” forces opposing the Taliban were also heavily backed by US imperialism during their war against the Afghan government during the 1980s, and proved to be just as reactionary and undemocratic as the Taliban during their period in power. The idea that further imperialist intervention in the region can bring anything but new disasters for the people is utterly false. As our Party and many other groups and individuals have pointed out, it is the United States itself which has long been the biggest source of state terrorist attacks against the peoples of the world. The U.S. government has no moral authority to bypass all international legal norms and procedures by launching this act of revenge against the people of Afghanistan.
“The Communist Party further demands that the Chrétien government refuse to give any form of Canadian military or diplomatic support for this brutal act of aggression. Instead, Canada should give support to the search for peaceful solutions.
“The Communist Party and its members will take part in all anti-war actions and mobilizations across the country in the hours and days ahead. Once again, we extend our solidarity to the Arabic and Muslim communities, and to all people of colour in Canada who will no doubt face a further escalation of racist attacks as this war deepens. We renew our demand that the right to dissent against war and racism be fully respected. The federal government’s drive to remove fundamental civil and democratic rights must be halted, as well as its racist attacks on immigrants and refugees.”

Anche a Reggio Calabria è stata immediata la mobilitazione contro le bombe anglo-americane in Afghanistan. Già ieri notte, tutte le scuole della città sono state tappezzate di manifesti e tazebao, contenenti l'appello a scendere in piazza e a dichiarare l'agitazione permanente. La risposta è stata adeguata alle aspettative: molti istituti hanno scioperato e stamattina, alle ore 9, numerosi studenti hanno preso parte ad un presidio spontaneo in Piazza Camagna, trasformatosi subito dopo in un piccolo corteo. La manifestazione, aperta dallo striscione <La guerra è un'ingiustizia infinita>, si è sciolta nei pressi del Museo Nazionale, dove gli studenti e il Coordinamento contro la guerra
hanno enunciato le ragioni della protesta. Per venerdì è stata proclamata un'assemblea pubblica per dare vita ad una nuova stagione di occupazioni e autogestioni, mentre è stata confermata l'adesione alla manifestazione antimafia che si terrà a Reggio il 19, dove saranno portate le seguenti parole d'ordine: 
NO ALLA MAFIA, NO ALLA MILITARIZZAZIONE; 
NO ALLA GUERRA DEGLI USA; PACE, LAVORO E SVILUPPO.
DP - Reggio Calabria, Omar Minniti

 

A ROMA STIAMO PARTECIPANDO 
A TUTTE LE INIZIATIVE PER LA PACE

 

QUANTI AFGHANI PER OGNI STATUNITENSE? 

Il 7 ottobre 2001, e precisamente alle 18.27, ora italiana, i venti di guerra sono diventati una tempesta, una tempesta di bombe che si sta abbattendo sul nuovo nemico pubblico n°1 dell'occidente: la popolazione afghana. Questo perchè una guerra non va a colpire un gruppo di terroristi, per quanto radicato possa essere, ma una intera popolazione inerme, come oggi abbiamo visto in fuga.

Oggi, come 10 anni fa in Irak e 2 anni fa in Yugoslavia, ribadiamo il nostro NO all'uso delle armi, che abbiano o meno un dichiarato fine umanitario.

Non esiste il bene contro il male, non esiste la civiltà contro la barbarie, esiste solo il predominio economico, e gli Stati Uniti, con missili più o meno intelligenti, con alleati più o meno fidati, vogliono aggiungere un nuovo tassello al loro impero.

Come ha detto Bush junior: "o con noi o contro di noi", ma noi non immaginiamo un mondo diviso a metà, vogliamo viverlo nella sua interezza  senza più dover vedere inutili morti.

E' SCOPPIATA LA GUERRA IMPERIALISTA, LA GUERRA "SANTA", LA GUERRA DEL "BENE CONTRO IL MALE" (Come ha detto Bush), LA GUERRA DELL'OCCIDENTE CONTRO L'ORIENTE, “DELLA CIVILTA' CONTRO LA BARBARIE” (Come ha detto Berlusconi).

In qualunque modo la si voglia chiamare, con qualunque parola la si voglia indicare, sappiamo bene che si tratta esclusivamente di UNA SANGUINARIA PARATA DI ARMAMENTI, di un obbrobrioso pretesto per rivendicare il proprio dominio, della volontà dei più forti, dei più potenti di sottomettere e di annientare chi è più debole.

NO ALLA GUERRA!
MOBILITIAMOCI PER LA PACE!
E' NECESSARIO UN MONDO DIVERSO SENZA PIU' ARMI !
 

 Associazione "Pablo Neruda" - Aversa

IL VENETO PER LA PACE

L'attacco americano contro l'Asia centrale per la conquista del petrolio del Caspio ha fatto un salto di qualità. Sono cominciati i bombardamenti sulle città. Una popolazione già debilitata da un regime di fanatici religiosi servi degli americani è ora sotto bombardamento. Le cosche in lotta per il petrolio e per il dominio del mondo non hanno alcun rispetto della gente. Un altro mondo è necessario, anche altri modi di cibarsi, consumare etc, ma come osservato tempo fa finchè sono al potere i cannibali, la storia si ciba di carne, della carne umana degli sfruttati, dei bombardati, di quelli inviati a scannarsi gli uni contro gli altri.
 
Adesso basta! Si è continuata a rinviare e a sabotare la mobilitazione, dicendo ad esempio che bisognava aspettare che le bombe cadessero. Adesso le bombe cadono. La cosa più deleteria sarebbe di chiudersi in casa ad ascoltare quell'enorme complesso di bugie che sono i mass media. a guardare gli spettrali scenari della cnn, i cieli verdi della cnn.
 
Bisogna scuotersi e manifestare, e fare chiarezza. Questa è un altra fase della stessa guerra che da decenni si sviluppa per i soliti motivi, per il dominio sul petrolio, sul centro geostrategico del mondo. l'incrocio dei continenti antichi. Bisogna mobilitarsi in molte forme, nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle scuole.
 
No alla complicità con i governi e i partiti della guerra. Cerchiamo di radicare ovunque la mobilitazione. Sappiamo bene che partiremo in pochi. Siamo comunque molti in più di quelli che si sono mossi prima delle altre guerre.
 
Usate le liste, finché sarà possibile, usarle per dare notizie delle mobilitazioni. Create solidarietà in basso, reti e comitati anche piccole. Lavorare invece con i ceti politici del dominio e del sottodominio è assolutamente una perdita di tempo. Tutto il vecchio ciclo va spazzato via. In fondo se ci pensate queste posizioni si sono già presentate per Genova. Non compiete di nuovo l'errore di privilegiare il ceto politico e le sue scadenze collaborazioniste.
 
Ancora ieri sera c'era qualcuno che metteva in dubbio la necessità di mobilitarsi e manifestare dicendo xhe bisognava aspettare le bombe: eccolo servito.
NON BISOGNA STAR FERMI BISOGNA REAGIRE SUBITO....BISOGNA RIUSCIRE A MANIFESTARE PER SABATO PROSSIMO 13 OTTOBRE A PADOVA...IO CERCHEREI DI AVERE UN PERMESSO, DOVREBBERO MUOVERSI LE ORGANIZZAZIONI DI PADOVA GIA' DOMANI CE LA FACCIAMO SE CI MUOVIAMO SUBITO E SE CI MUOVIAMO SULL'AREA DI IMMIGRATI CHE HA FATTO LA MANIFESTAZIONE DI MESTRE. INSIEME LE DUE MANIFESTAZIONI LA NOSTRA DI MONTECCHIO E QUELLA DI MESTRTE COPRIVANO L'ASPETTO INTERNAZIONALE (GUERRE ) E INTERNO (RAZZISMO, SFRUTTAMENTO DELLA MANODOPERA, SCOMPOSIZIONE, PRECARIETA', CASA, ETC..REPRESSIONE)
 
CERCHIAMO DI UNIRE IN UNA SOLA INIZIATIVA  I DUE AMBITI COME INFATTI SONO CONTENUTI NELL'ANSWER STOP WAR END RACISM....
 
DATE CONFERMA A STRETTO GIRO DI MAIL MERCOLEDì POTREBBE SERVIRE DA DISTRIBUZIONE O FABBRICAZIONE DEL MATERIALE
 
PROPONGO DI TENERE LA PAROLA D'ORDINE GIA' APPROVATA E DI COORDINARCI GIà DA DOMANI E DI LANCIARE LA SCADENZA
 
 MANIFESTAZIONE REGIONALE CONTRO LA GUERRA PADOVA 13 OTTOBRE 2001 ORE 16,30 PIAZZALE FFSS-PIAZZA DEI SIGNORI
USA EUROPA BERLUSCONI LA CHIAMANO "GIUSTIZIA INFINITA" E "LIBERTA' DUREVOLE" MA è SOLO SPORCA GUERRA PER IL PETROLIO E PER IL LORO DOMINIO SUL MONDO
VENETO CONTRO LA GUERRA
 
 NON BISOGNA AVERE ESITAZIONI, GUAI A LASCIARE AGLI ALTRI L'INIZIATIVA. NE VERREBBE FUORI UNA MOBILITAZIONE...PER GLI AMERICANI...ASPETTO RISPOSTE A STRETTISSIMO GIRO DI MAIL...
 
COME FORMA POLITICA SENTITI I COMPAGNI MI PARE FOSSE PREVALENTE L'IDEA DI RADICARSI NEI PAESI, QUARTIERI, POSTI DI LAVORO  COME COMITATI CONTRO LA GUERRA

FAUSTO di  Sp DELLA COMMISSIONE COMUNICAZIONE

 

NO ALLA GUERRA 
della INgiustizia infinita
LA PACE NON SI COSTRUISCE CON I CRUISE !


MANIFESTAZIONE
lunedì mattina
8 ottobre
a milano
COORDINAMENTO DEI COLLETTIVI STUDENTESCHI E INFLESSIBILI "STUDENTI IN MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA"
in piazza
LARGO CAIROLI
ORE 9,30
in conclusione 
assemblea sotto al consolato americano


..e...

con il MILANO SOCIAL FORUM
ore 18,00 - PIAZZA DUOMO 

Gli Usa hanno causato 3 milioni di morti nella guerra in Corea (1950), hanno invaso il Vietnam (1960-65) a colpi di napalm e bombe al fosforo provocando 1 milione di morti; la Cia ha manovrato in Indonesia nel 1965 per spodestare Sukarno causando 1 milione di morti; hanno guerreggiato in Cambogia (1970, 600.000 morti), hanno fatto strage nelle Filippine, sostenuto il golpe fascista di Pinochet in Cile (1973) che provocò 5000 morti e 20.000 esecuzioni di massa; la stessa Cia ha appoggiato il colpo di stato in Argentina (1976) che fece 15.000 morti e un numero imprecisato di "desaparecidos"; gli squadroni della morte e le giunte militari manovrate dalla Cia in Guatemala hanno procurato 150.000 morti; gli Usa hanno foraggiato i terroristi anticubani contro il legittimo governo del presidente Fidel; hanno finanziato le sanguinarie milizie sudafricane al tempo della lotta di liberazione in Angola e Mozambico; hanno concesso ai loro alleati israeliani il massacro a sangue freddo di 2000 profughi nei campi di Sabra e Chatila (1982); nel 1978 e nel 1982 Israele, con l'appoggio incondizionato da parte degli Stati Uniti, invase prima il Sud del Libano poi l'intero paese, bombardò la capitale Beirut, uccise ventimila persone di cui l'80% civili; gli USA hanno provocato l'invasione di Grenada (1983), quella di Panama (2000 civili morti nei bombardamenti); hanno consentito il bombardamento della Libia (1986, utilizzando le basi in Gran Bretagna), il bombardamento di El Salvador (1980), del Nicaragua (1980), dove hanno dato il loro appoggio ai reazionari contras antisandinisti; sotto le bombe americane in Irak sono morti 1 milione e mezzo di irakeni, e ora l'embargo USA provoca ogni anno la morte di almeno 500.000 bambini; hanno bombardato il Sudan (1998) distruggendo metà delle scorte farmaceutiche di quel paese, e l'Afghanistan (1998); i bombardamenti Nato sulla Yugoslavia hanno causato la distruzione di 328 scuole elementari, 33 ospedali, l'uccisione di 3000 civili di cui 1000 bambini, impestando di Uranio radioattivo territorio e popolazione serba per i prossimi 4 mila anni e trasformando l'Adriatico in una discarica di 20.000 bombe chimiche e radioattive; il massacro dei palestinesi è realizzato quotidianamente dalla stato di Israele con finanziamenti e armi americane; ogni angolo del pianeta subisce il disastro economico, sociale e ambientale causato dal sistema imperialista mondiale, dalla sete di profitto ad ogni costo che anima i capitalisti di tutto il mondo. E come non considerare tutte le drammatiche conseguenze provocate dall'Accordo WTO sulle Barriere Tecniche al Commercio, o dalle politiche di lacrime e sangue del Fondo Monetario Internazionale? Ora Washington ha detto no alla ratifica della messa al bando delle armi batteriologiche e ha ripreso la produzione di armi biologiche, ha rifiutato definitivamente di approvare la messa al bando degli esperimenti nucleari, delle mine antiuomo e del traffico di armi leggere, ha detto no alla ratifica del trattato di Kyoto sui gas serra, ha negato le misure contro i paradisi fiscali e di riciclaggio di denaro sporco e rifiutato trattati internazionali che limitavano in qualche modo la corsa al riarmo. No alle politiche del "terrore"! 
NO AL TERRORISMO FANATICO!!

 

COMUNICATO STAMPA DP
(Democrazia Popolare Sinistra Unita)

 
 
Qualsiasi attentato terroristico va irrimediabilmente condannato: il terrorismo, aldilà, degli obiettivi colpiti è e rimane il più grande nemico delle forze del lavoro, del progresso, della democrazia, della pace, della stessa lotta di liberazione dei popoli contro l'organizzazione mondiale delle disuguaglianze. I governi degli Stati Uniti d'America non raramente si sono resi responsabili di crimini feroci (Vietnam e prepotenze coloniali, schiavismo e razzismo, aggressioni militari incontrollate e non dichiarate, devastazioni ambientali, embarghi come nuova forma di genocidio e via ricordando) e, ancora oggi con l'amministrazione Bush, sono i prepotenti dirigenti di una nuova corsa al riarmo che mentre mortifica l'ONU inventa una nuova militarizzazione planetaria fino alle proposte inaudite di scudi stellari e rinnovamento delle tecnologie nucleari. Molto fanatismo religioso o intere organizzazioni paramilitari sparse per il mondo hanno avuto negli USA sostegno, finanziamento e approvazione al pari del capitalismo illegale che ha inquinato la dignità di popoli interi in una guerra senza precedenti dichiarata all'umanità stessa. Sappiamo, dunque, che una spirale perversa è stata messa in moto favorendo una violenza nata da un'economia di guerra (in particolare dopo la caduta del Muro) e da una politica della prepotenza e del più forte dalla quale traggono vantaggi classi esclusive e dominanti in nome del profitto per pochi ai danni delle moltitudini. Ancora una volta, tuttavia, le vittime vere della violenza sono masse inermi mentre si proporrà ancora conflitto cruento e rimarranno irrisolti i grandi mali che attanagliano la gran parte degli esseri viventi e ogni risorsa. Noi siamo e dobbiamo essere contro il terrorismo (grembo fecondo per l'avanzare di una nuova barbarie e per mortificare le libertà e la stessa idea di civiltà). Dobbiamo condannare fermamente, senza tentennamenti, gli attentati sanguinari e indiscriminati negli USA e contro chiunque e ogni altra forma di violenza che ne può derivare. Ora è il momento, per ogni organizzazione che si richiama a valori profondi e che ha nei propri progetti un mondo migliore dove alberghi una nuova qualità della vita e l'emancipazione del popolo degli uomini e delle donne, dove la grande lotta sia alle ingiustizie e per un nuovo mondo possibile, di dimostrare la maturità del nostro pensare ed agire. E' necessario mobilitarsi in ogni città non contro ma per...: è importante aggregare masse diverse per parlare di pace, disarmo, convivenza civile e democratica, per ostacolare la follia delle spese militari mentre fame, carestie, mancanza di cura uccidono senza pietà milioni di nostri fratelli e sorelle, per dire no alla NATO e per riproporre un rinnovato ruolo dell'ONU, la riforma alla radice delle strutture di Bretton Woods, l'indipendenza di ogni popolo e una cooperazione per lo sviluppo e non per lo sfruttamento, per chiedere la fine di ogni embargo, per risolvere definitivamente la questione del debito estero nelle periferie del pianeta, per un nuovo internazionalismo. Questa è la sfida: ed è questo che deve distinguerci dai fomentatori del grande disordine mondiale. Democrazia Popolare invita tutti e tutte alla marcia della pace Perugia-Assisi del 29 ottobre e si sente impegnata, contro ogni leaderismo e settarismo, oltre i cortei proposti a Napoli e Roma in occasione dell'incontro Nato e FAO, a promuovere o ad aderire a mille iniziative sparse nel Paese piene di contenuti, pacifiche, che evidenzino un programma ed un progetto per l'alternativa credibile e possibile, che dicano no alla scelta mostruosa del terrorismo e alle conseguenze che può determinare, che siano occasione per inserire nella società elementi di progresso per un rinnovamento che se tarda ci vedrà spettatori della decomposizione e la morte delle stesse classi in lotta sullo stesso terreno che le ha generate.
 

Michele Capuano
segretario nazionale

Roma 12 settembre 2001 

 
 

MESSAGGI DALL'ITALIA
E DAL MONDO

 
 
El PCMLE ante los acontecimientos en EEUU
El Partido Comunista Marxista Leninista del Ecuador considera necesario
dejar sentados los siguientes aspectos como elementos básicos para el
análisis de los hechos acaecidos en los Estados Unidos de Norteamérica y
que hoy son de atención mundial:
Ø Es necesario deplorar los acontecimientos en los cuales son víctimas
inocentes numerosos ciudadanos civiles, el pueblo norteamericano, los
trabajadores (muchos de ellos inmigrantes, incluso ecuatorianos) que han
sido objeto de los atentados. Hay que expresar la solidaridad con los
trabajadores, hombres y mujeres del pueblo que han sufrido los efectos
de estas acciones, del mismo modo que nos hemos solidarizado con los
demás pueblos como Palestina, Irak, Cuba o cualquier otro, que ha
sufrido o este sufriendo la acción criminal del imperialismo.
Ø Nuestro Partido señala que los métodos terroristas no son de ninguna
manera la forma apropiada para desenvolver la lucha en contra de los
enemigos del pueblo: el imperialismo, la burguesía y sus gobiernos,
precisamente porque convierten en blanco a ciudadanos inocentes,
trabajadores, niños, ancianos, mujeres, etc. y permiten a los
reaccionarios aprovechar esas situaciones para reforzar sus políticas;
incluso, se recrudecen las medidas represivas, se propician nuevos
crímenes contra los trabajadores y los pueblos, contra los
revolucionarios, a propósito de "hacer justicia" y "tomar justa venganza
por las víctimas", cuando sabemos que a ellos no les importa para la
nada la suerte de los trabajadores y de los ciudadanos comunes.
Ø Reiteramos la necesidad de oponernos a cualquier medida o retaleación
contra ningún pueblo del mundo, a pretexto de que con ellos se está
"castigando a los terroristas". Esos atentados, frente a los cuales
expresamos nuestro rechazo, no los pueden pagar los pueblos y
comunidades enteras so pena de que se practique el genocidio, ante el
cual necesitamos prevenir esos hechos.
Ø Conviene recordar que el imperialismo norteamericano tiene una larga
trayectoria de agresiones, intervenciones y crímenes contra los pueblos,
lo cual ha acumulado indignaciones en todas las latitudes de la Tierra;
ha practicado el terrorismo en diversas formas del mismo modo que ha
convertido en blanco a los trabajadores, a los ciudadanos comunes, de
allí que es necesario denunciar y oponerse a las retaleaciones que con
este motivo intentará llevar adelante.
Fraternalmente,
Secretariado del Comité Central
Partido Comunista Marxista Leninista del Ecuador
Septiembre de 2001
.
 
 

 

Comunicado de Prensa:
 
PARTIDO COMUNISTA COLOMBIANO    Comité Central
 
 
SOBRE LOS ATENTADOS EN ESTADOS UNIDOS
 
El Partido Comunista Colombiano lamenta los terribles atentados contra edificios públicos de los Estados Unidos en New York y Washington, cuya autoría se desconoce.
 
Estos acontecimientos ponen en evidencia las profundas tensiones internas  que afectan a la sociedad y el Estado norteamericanos.  Son una clara demostración del grado de deshumanización y de polarización que engendra el capitalismo como sistema de dominación mundial.
 
En la búsqueda de responsables se requiere de una investigación profunda y de una orientación de justicia sin pretender extrapolar en estos graves sucesos resentimientos agresivos contra pueblos del mundo hoy en día agredidos por el imperialismo.  Una consecuencia debería ser que los Estados Unidos abandone su política de intervencionismo militar e ingerencia en otras regiones del globo, incluida la Región Andina y las políticas de guerra asociadas al Plan Colombia.
 
El PCC hace llegar su voz de condolencia y solidaridad  a las víctimas de estos  atentados entre el pueblo norteamericano. Y reclama que la valoración justa evite represalias y medidas discriminatorias contra personas inocentes. 
 
Comité Ejecutivo Central
 
Bogotá, D.C., 12 de septiembre de 2001

 

 

Forum Sociale Mondiale
Porto Alegre 11 Settembre 2001


  
Di fronte  ai tragici avvenimenti che hanno avuto luogo ieri negli Stati Uniti, e considerando le notizie diffuse sinora sui fatti, i rappresentanti del Comitato di Organizzazione e del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale, riunitisi a Porto Alegre per presentare il prossimo congresso del 2002 (dal 31/01 al 5/2), intendono manifestare pubblicamente.:
- condannando con forza gli attentati e l’inaccettabile sacrificio di vite umane;
- manifestando incondizionata solidarietà al popolo americano
- affermando nuovamente la difesa della democrazia, della giustizia sociale e della pace per la soluzione dei conflitti che dividono l’umanità;
- invitando i governi, le istituzioni internazionali, i movimenti sociali, le organizzazioni non governative e i cittadini e le cittadine del mondo a reagire contro qualsiasi tentativo di usare il sentimento di repulsione verso gli attentati per promuovere ricatti, vendette o terrorismo di stato contro altri governi e popoli, come già accaduto in simili situazioni storiche. Allo stesso modo, invitano a contenere pregiudizi che potrebbero condurre a preconcetti e discriminazioni verso altri popoli e nazioni;
- affermando, infine, la necessità primaria dell’assoluta difesa dei principi e degli spazi democratici in ogni paese e nel mondo e la lotta costante a favore dei diritti fondamentali della persona umana.
  
UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE
Rappresentanti del Comitato di Organizzazione del FSM
Rappresentanti del Consiglio Internazionale dell’FSM
Social Forum di Genova – Vittorio Agnolotto
Servizio Pace e Giustizia – Adolfo Pérez Esquivel




Statement of the Communist Party
on Terrorist Attacks in U.S.
The Central Executive Committee of the Communist Party of Canada released the following statement dealing with yesterday’s events in the United States.
1.        The Communist Party of Canada deplores and condemns the attacks on the World Trade Centre in New York and the Pentagon building in Washington that occurred on September 11, 2001. We share the sorrow and grief caused by these unpardonable acts.
2.        Canadian Communists reject terrorism -- the targeting of innocent civilians in order to achieve political ends -- as a form of political struggle. Genuine progress can only be achieved through the direct and active involvement of the masses of working people in a determined and conscious struggle for democracy, peace and social advance. Acts of terrorism undermine the struggle for progressive change; they sideline and neutralize the mass movement, create fear and disorientation in the broad people’s fightback, and provide imperialism and reaction with a powerful pretext to intensify repression.
3.        While categorically rejecting terrorism, the CPC nevertheless feels compelled to point out that such desperate tactics are a direct product of growing anger and resentment around the world. Three-quarters of humanity are forced to tolerate the rampaging spread of mass poverty, economic plunder and social disparity in their respective countries; and they must do so under conditions imposed upon them by a handful of dominant imperialist powers led by the United States, and including Canada and the other leading capitalist countries. When countries and peoples have refused to succumb to dictates from Washington, they have fallen victim to U.S.-organized state terrorism, from Cuba and Chile to Iraq and Yugoslavia. It is precisely this master-servant relationship between U.S. imperialism and virtually the rest of humanity that impel individuals, groups and movements to strike back with whatever means are available to them.
4.        International terrorism can only be curbed and ultimately eliminated by strengthening international relations based on the principles of peace, economic and social equality, and full respect for the sovereignty and self-determination of all nations and peoples. Unfortunately, it is precisely the United States under the current Bush Administration which is moving to further undermine existing international treaties and the principle of international cooperation in general, in favour of a self-serving unilateralism by Washington and its NATO allies. This dangerous shift is reflected in the attempt by Washington to scuttle the Kyoto Agreement on Global Warming, the unilateral move to cancel the Anti-Ballistic Missile (ABM) Treaty and launch a massive new round of the arms race through construction of the ‘national missile defence’ system, and most recently in the withdrawal of the U.S. from the International Conference against Racism held in Durban, South Africa.
5.        There is a grave danger that in the immediate aftermath of these terrorist acts, the U.S. Administration will launch so-called ‘retaliatory’ attacks against certain countries or movements around the world. We call upon the peace forces across Canada and throughout the world to mobilize to prevent a unilateral military response by the U.S., and instead to demand a political solution to this festering problem, based on an increased positive role of the United Nations to seek just peaceful political solutions to local and regional conflicts around the world.

6.        The CPC will strongly oppose any attempt internationally or domestically to use this tragic episode as a justification to limit democratic rights  including the rights to assembly, privacy, legal due process  or extend repression against the people. The Communist Party condemns tendencies in the mainstream press to ‘scapegoat’ Arab Canadians in the wake of these terrorist acts, and will strenuously combat any and all attempts to victimize or marginalize any national, ethnic, religious or political minority or community in Canada. We call on all labour, progressive and democratic forces to defend democracy and the cause of peace, and oppose all attacks on these principles in the name of ‘fighting terrorism’.
Issued by the Central Executive Committee,
Communist Party of Canada
September 12, 2001

IZQUIERDA UNIDA -  ESPANA
(CLICCA)

 

COMUNICADO
Unificación Comunista de España (UCE)



Ante la horrenda cadena de atentados ocurridos hoy en EE UU, Unificación Comunista de España quiere manifestar:
    
1.Nuestra más absoluta condena de los atentados. El terrorismo, no importa quien lo practique ni en nombre de qué, es siempre un crimen contra la humanidad. Expresamos nuestra solidaridad con el pueblo norteamericano y en especial con los familiares de las víctimas.

2.Las dantescas imágenes ofrecidas por las televisiones de todo el mundo han sembrado la inquietud en todo el planeta. Quienes sean autores de esta barbarie no sólo han demostrado una enorme capacidad para crear una situación de pánico mundial. Los responsables de fraguar un acto de esta envergadura (y dada la confusión y el caos informativo actual, ninguna hipótesis es desdeñable) han demostrado su determinación de poner en grave peligro la paz mundial.

3.Los acontecimientos exigen una situación de alerta mundial y una respuesta inmediata. Por las imprevisibles reacciones que pueda desencadenar, redimensionadas por las características de la línea y el nuevo equipo instalado en la Casa Blanca con Bush, podemos estar ante una respuesta que signifique una inminente amenaza para la paz y la estabilidad mundiales.

4.Ante la gravedad de los hechos y sus posibles consecuencias, Unificación Comunista de España (UCE) hace un llamamiento a toda la población para que se exprese públicamente y participe activamente en todas aquellas actuaciones de condena del terrorismo, defensa de la paz mundial y la exigencia de neutralidad de nuestro país ante cualquier posible conflicto.

Comité Ejecutivo de Unificación Comunista de España

 

DP - REGGIO CALABRIA
La lotta antimperialista e il terrorismo sono due cose ben distinte.
Non si può esitare dal dissociarsi da azioni, come quelle che hanno
avuto luogo oggi negli Usa, che colpiscono indiscriminatamente migliaia
di civili innocenti, lavoratori, donne, bambini che non sono
minimamente responsabili delle violenze commesse dall'imperialismo
americano. Altrimenti, si rischia di cadere sullo stesso terreno dei
criminali imperialisti, che nel loro "palmares" non annoverano due o
tre palazzi rasi al suolo, ma intere città distrutte, vedi Hiroshima,
Nagasaki, Bagdad, Belgrado, ecc.
Per quanto sia stata dura e difficile da sanare la ferita subita oggi
dagli Usa, secondo la logica che <<chi semina vento raccoglie
tempesta>>, non è possibile usare mezze parole verso azioni di questo
tipo, che, al di là dell'effetto immediato, nuocciono gravemente alle
lotte di liberazione dei popoli oppressi - a partire da quella
palestinese- e contribuiscono ad innescare un'imprevedibile spirale di
repressione e di  isolamento dei movimenti antagonisti. Gesti di questo
tipo, come le stesse azioni dei presunti "neobrigatisti" nostrani, in
ultima analisi, sono più utili al nemico che alla causa dei popoli
oppressi. Essi fanno breccia nei sentimenti di un'ampia fetta
dell'opinione pubblica democratica e perfino di settori  del movimento
antagonista e antimperialista, spingendo tantissima gente a
impersonarsi nelle vesti "degli aggrediti" (anche grazie all'azione
martellante dei media di regime) e a dare credito agli appelli per "un
fronte comune contro la violenza". Nessuno s'illuda che episodi di
questo genere possano fungere da "scintilla" per una riscossa contro
l'imperialismo: la violenza indiscriminata, il terrore, la morte di
innocenti, portano sempre ad un passo indietro del movimento. Da
domani, anche in Italia, sarà ancora più difficile parlare di lotta 
contro la Nato, di rifiuto dello "scudo stellare", di un'alternativa
alla barbarie Usa.

Omar Minniti


Comunicato stampa

Si svolgerà domenica 14 ottobre 2001
La Perugia-Assisi contro il terrorismo
per la riconciliazione tra i popoli

Perugia, 12 settembre 2001 ­ I coordinatori della Tavola della Pace (l'organismo promotore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi) Flavio Lotti e p. Nicola Giandomenico, hanno dichiarato quanto segue:

³Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte sentimento di solidarietà. Con loro condividiamo un profondo dolore, l'angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero.

Nessuna giustificazione può coprire un simile atto di terrorismo condotto contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere ferma, netta e unanime, così come deve essere la reazione di tutte le donne e gli uomini amanti della pace.

Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro effetti si sono già propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a lungo. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti i capi di Stato e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale.

Non solo l¹America, ma il mondo intero sta diventando più insicuro. Questo è il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo.

Per rendere il mondo più sicuro è necessario promuovere più cooperazione internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno può più pensare di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili. Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sarà per nessuno. All¹assunzione di responsabilità di molte organizzazioni della società civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno può farcela da solo.
Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica ³casa comune² di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta. Popoli e governi, società civile e istituzioni debbono unirsi nell¹indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle grandi violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo. Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno di combattere l¹egoismo, il cinismo, l¹indifferenza, tutte le forme di razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato della politica e si mettano al servizio del bene comune globale.

Il nostro è un appello alla calma, al senso di responsabilità e all'impegno per la pace. Il futuro è nelle nostre mani. E¹ con questo spirito e questa consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli.


Flavio Lotti, p. Nicola Giandomenico, coordinatori della Tavola della Pace



 DICHIARAZIONE  DEL  GOVERNO 
DELLA  REPUBBLICA  DI  CUBA
 
 
L'Avana, 11 settembre 2001

 Il Governo della Repubblica di Cuba ha appreso con dolore e tristezza le notizie degli attacchi violenti ed inaspettati realizzati nella mattinata odierna contro installazioni civili e ufficiali nelle città di New York e Washington che hanno provocato numerose vittime.

E' nota la posizione di Cuba contro qualsiasi azione terrorista. = Non é possibile dimenticare che il nostro popolo é stato vittima per più di 40 anni di tali azioni promosse dallo stesso territorio degli Stati Uniti. = Tanto per ragioni storiche che per principi etici, il Governo del nostro paese respinge e condanna energicamente gli attacchi commessi contro le menzionate installazioni ed esprime le sue più sincere condoglianze al popolo nordamericano per le dolorose e ingiustificabili perdite umane provocate da tali attacchi.

In questo amaro momento, il nostro popolo si dichiara solidale con il popolo degli Stati Uniti ed esprime la propria totale disponibilità a cooperare, nella misura delle sue modeste possibilità, con le istituzioni sanitarie e con qualsiasi altra istituzione di carattere medico o umanitario di quel paese per la cura, l'assistenza e la riabilitazione delle vittime provocate dagli avvenimenti occorsi nella mattinata odierna.

 

INVERTA - PCML - BRASILE
(clicca)

 

On the Bombings
by Noam Chomsky

The terrorist attacks were major atrocities. In scale they may not reach the
level of many others, for example, Clinton's bombing of the Sudan with no
credible pretext, destroying half its pharmaceutical supplies and killing
unknown numbers of people (no one knows, because the US blocked an inquiry
at the UN and no one cares to pursue it). Not to speak of much worse
cases,which easily come to mind. But that this was a horrendous crime is not
in doubt. The primary victims, as usual, were working people: janitors,
secretaries, firemen, etc. It is likely to prove to be a crushing blow to
Palestinians and other poor and oppressed people. It is also likely to lead
to harsh security controls, with many possible ramifications for undermining
civil liberties and internal freedom.


The events reveal, dramatically, the foolishness of the project of "missile
defense." As has been obvious all along, and pointed out repeatedly by
strategic analysts, if anyone wants to cause immense damage in the US,
including weapons of mass destruction, they are highly unlikely to launch a
missile attack, thus guaranteeing their immediate destruction. There are
innumerable easier ways that are basically unstoppable. But today's events
will, very likely, be exploited to increase the pressure to develop these
systems and put them into place. "Defense" is a thin cover for plans for
militarization of space, and with good PR, even the flimsiest arguments will
carry some weight among a frightened public.

In short, the crime is a gift to the hard jingoist right, those who hope to
use force to control their domains. That is even putting aside the likely US
actions, and what they will trigger -- possibly more attacks like this one,
or worse. The prospects ahead are even more ominous than they appeared to be
before the latest atrocities.

As to how to react, we have a choice. We can express justified horror; we
can seek to understand what may have led to the crimes, which means making
an effort to enter the minds of the likely perpetrators. If we choose the
latter course, we can do no better, I think, than to listen to the words of
Robert Fisk, whose direct knowledge and insight into affairs of the region
is unmatched after many years of distinguished reporting. Describing "The
wickedness and awesome cruelty of a crushed and humiliated people," he
writes that "this is not the war of democracy versus terror that the world
will be asked to believe in the coming days. It is also about American
missiles smashing into Palestinian homes and US helicopters firing missiles
into a Lebanese ambulance in 1996 and American shells crashing into a
village called Qana and about a Lebanese militia ­ paid and uniformed by
America's Israeli ally ­ hacking and raping and murdering their way through
refugee camps." And much more. Again, we have a choice: we may try to
understand, or refuse to do so, contributing to the likelihood that much
worse lies ahead.

Noam Chomsky