DA MOSCA A ROMA:
TUTTO FUORCHÈ UN ADDIO ALLE ARMI

Fuori controllo migliaia di ogive nucleari tattiche, mentre quelle strategiche verranno ridotte ma non smantellate. La Russia nell'anticamera della NATO preoccupa l'Europa "allargata" e sottolinea l'unilateralismo USA.

di Lucio Manisco

"Trattati di portata storica" . "Liquidata l'eredità della guerra fredda". "Addio alle armi nucleari". "Una nuova era nei rapporti tra gli USA, la NATO e la Federazione Russa". "Il vertice di Pratica di Mare, grande successo di
Silvio Berlusconi". A leggere questi titoli dei quotidiani d'Italia c'è da rimanere allibiti più che perplessi, soprattutto se li si paragona a quelli di altri quotidiani stranieri quali il New York Times, il Frankfurter
Allgemeine, Le Figaro o The Independent, tutti infiorati di dubbi, riserve e critiche sul reale significato degli accordi stipulati dalla strana coppia, da George "Dubya" e da "Pootie-Poot" Putin ieri l'altro a Mosca e dopodomani sulla base laziale dell'aeronautica italiana. E mentre in Europa nessuno ormai si stupisce ma tutti si fanno quattro risate per le affermazioni del nostro Presidente del Consiglio che si è attribuito il merito della "grande svolta", è semplicemente desolante ascoltare alla televisione il segretario DS Fassino che riconosce l'importante ruolo svolto in politica estera dal
Cavaliere e il prestigio che ne è derivato all'Italia sulla scena politica internazionale.

Ma passiamo a cose molto più serie dell'ossequio dei mass media nazionali verso il padrone del vapore informatico o della lamentevole situazione del
centrosinistra in Italia. Parliamo di quanto è stato scritto sulla stampa estera, specializata o meno, sugli aspetti fraudolenti ed allarmanti delle intese Bush-Putin di questi giorni che poi risalgono ad alcuni mesi fa, quando il Presidente degli Stati Uniti annunziò casualmente, mentre saliva su un elicottero, che era stato raggiunto un accordo sulla riduzione delle ogive nucleari strategiche con la Federazione Russa. L'autorevole mensile
"The Bulletin of Atomic Scientists" che da trent'anni presenta sulla sua copertina l'orologio della catastrofe atomica si è affrettato ad avanzarne le lancette a cinque minuti dalla mezzanotte dell'Apocalisse (le aveva
spostate indietro di 9 e di 15 minuti dopo la firma dei trattati SALT-I e SALT-II). Perchè tanto allarme? Perchè - ha scritto il Guardian di ieri - "Sotto diversi aspetti il nuovo trattato può anticipare un'era più
pericolosa e meno stabile. Anche se impegna le due parti a depennare 8.000 delle loro complessive 12.000 testate strategiche, la grande maggioranza di queste testate da ridurre entro dieci anni verranno messe solo da parte per
un eventuale reimpiego (gli USA hanno insistito su questo punto), il che tra l'altro ha sollevato gravi timori sulla sicurezza dei luoghi ove verranno depositate quelle russe". Ma c'è ben altro: mentre l'ultimo trattato SALT-II
occupava 742 pagine fitte di clausole, verifiche e controverifiche, quello firmato a Mosca consiste di tre cartelline dattiloscritte che enunciano principii generici e, trattandosi di scadenze lontane, non fissano calendari
di riduzioni fino ai totali indicati di 2.200 - 2.500 ogive strategiche. Dal che si deduce che gli Stati Uniti potrebbero continuare ad aumentare questo
numero fino all'anno di grazia 2012 limitandosi a darne preavviso di tre mesi alla controparte. Non accadrà, perchè da più di dieci anni, dall'implosione cioè dell'URSS, è venuta meno la strategia della "Mutually
Assured Destruction" e queste armi dalla potenza di 16-32 megatonnellate, non servono più agli Stati Uniti mentre il loro "servicing" - manutenzione e
stoccaggio - rappresenta una spesa proibitiva per la Federazione Russa (secondo il Pentagono, gli avversari di ieri, indipendentemente dalle ultime intese, potranno permettersene si e no 1.200). Ma l'allarme del "Bulletin of Atomic Scientists" e di altri organi di stampa è motivato dal fatto che il protocollo di Mosca non contiene menzione alcuna delle armi nucleari tattiche, quelle cioè di una potenza che va da 0,1 kilotoni ad una
megatonnellata: quelle statunitensi ammontano a 1.670 (180 in Europa, delle quali 29 del tipo B-61 dislocate in Italia sulle basi di Aviano e Ghedi Torre), quelle russe sono molte di più ma di tipo antiquato in quanto
risalgono agli anni settanta e ottanta. L'Amministrazione Bush ha concentrato astronomiche risorse nello sviluppo e nella produzione di queste nuove armi (15 milioni e mezzo di dollari nella sola ricerca per l'anno 2003
ed altri 15 milioni solo per riallestire il poligono sperimentale del Nevada, mentre 23 miliardi di dollari andranno alla produzione di ogive e vettori, uno di questi dalla denominazione porno "robusto penetratore
nucleare del terreno"). E così tra tre settimane Washington denunzierà il trattato anti-missilistico ABM e tra sei mesi quello sulla sospensione degli esperimenti atomici, alla faccia della "grande svolta" sul disarmo nucleare.

Una capitolazione di Mosca, come sostengono i generali Russi? Certo, anche se indotta dalla devastazione economica e da diverse contropartite, come il
probabile acquisto da parte degli Stati Uniti di tonnellate e tonnellate di materiale fissile derivato dallo smantellamento delle ogive russe, come le decine di milioni di dollari pagati per seppellire le scorie nucleari
americane nell'Arcipelago Artico, come gli altri miliardi di credito dello FMI, come gli investimenti delle multinazionali USA nei giacimenti russi, come infine "l'ingresso della Russia nella NATO" celebrato a Pratica di Mare.

Non si tratta affatto di un'ingresso, ma di un'anticamera con libertà di bussare alla porta dell'alleanza, senza alcun potere di veto sulle decisioni dei diciannove, ma con licenza di consultazione su questioni che riguardino
la sicurezza della Federazione. Anche in termini così circoscritti l'accordo ha destato risentimenti a non finire in quei paesi dell'Est europeo che si sono sottoposti a ingenti sacrifici per entrare nella NATO considerato un
sicuro ombrello protettivo contro un rigurgito di potere militare russo. Per non parlare poi delle perplessità di quei governi conservatori dell'Unione Europea che vedono diluire i loro sia pur labili poteri decisionali nel
patto atlantico e riscontrano in quest'ultimo esercizio una ennesima riprova dell'emarginazione della vecchia alleanza da parte degli Stati Uniti sempre più lanciati sul binario dell'unilateralismo in materia di politica estera e
militare.