La lezione che viene dal Venezuela, in questi giorni di aprile del 2002 (l’aver saputo reagire, cioè, con un ruolo da protagonista delle masse popolari, ad un golpe militare sostenuto da ciniche e corrotte classi del privilegio e del profitto e dalla “lunga mano” degli USA) è di grande valore storico e non ragionarla è limitare le possibilità stesse di edificare società alternative per tutti e tutte coloro (organizzati o meno) che intendono seriamente mutare lo stato di cose presente. Il Venezuela ci aiuta con i fatti ad uscire da ogni ambiguità, da una politica sloganistica e strumentale, dalla pura contestazione e dal pressappochismo ideologico, dalla presunzione e dall’inseguimento di falsi miti (o dei Potenti della Terra unicamente sul loro stesso terreno) e ci invita a vivere la realtà indagandola senza superficialità. Il riscatto dei popoli passa essenzialmente attraverso la valorizzazione del “Popolo del Sud”. Non si è ripetuto, questa volta, quanto accadde a Jacobo Arbenz nel 1954 in Guatemala e nello stesso anno a Getulio Vargas in Brasile e l’anno dopo a Juan Domingo Peron in Argentina e nel 1973 a Salvador Allende in Cile (esempi limitati alla sola America Latina). Accadimenti drammatici che non solo riportarono indietro le lancette della storia di quei popoli ma che condizionarono fortemente le politiche di innovatori e rivoluzionari  in altri parti del globo (valga per tutte la scelta del “compromesso storico” del PCI dopo i fatti del Cile fino, caduta l’URSS, allo scioglimento dello stesso e all’accettazione di un capitalismo ipotizzato riformabile e non da contrastare). Ciò che indubbiamente riacquista vigore è anche una via democratica al socialismo nelle condizioni che lo consentono. Una strada, questa, non scontata né indolore, che implica una totale mutazione della tattica e della strategia dei suoi proponenti insieme ad una rivoluzione culturale (dell’uomo) e alla credibilità (e la chiarezza) di un programma come condizioni imprescindibili: oltre, naturalmente, alla non sottovalutazione che l’insieme dei rapporti di produzione che formano la struttura economica della società stessa sono sempre collegati ad una superstruttura politica, giuridica, culturale ecc. che si tende a rendere conforme ai detentori dei mezzi di produzione (non solo del proprio cortile di casa), alla capacità di rendere “scienza” l’unità dei mezzi con il fine, della teoria con l’agire, del resistere con l’avanzare, di ogni piccola battaglia con lo scopo finale (e mai ultimo). Ma soprattutto, fuori da ogni modello passato e anche presente (e senza rinunciare ad indagarli), bisogna specificare che cosa deve essere la società nuova per la quale si lotta coscienti che il primo dovere, per ognuno ed ognuna, per ogni organizzazione, è conquistare il diritto al pieno esercizio dell’indipendenza, della sovranità e della giustizia e del benessere di ogni nazione, di ogni continente, rafforzando e sviluppando la democrazia attraverso una consapevole e non subordinata partecipazione delle genti a partire dal movimento dei lavoratori. E’ stato dimostrato, in Venezuela, che la storia si scrive essenzialmente nelle piazze e in questo luogo i popoli ne possono essere, appunto, artefici. Il “Popolo del Sud” può e deve essere un riferimento non sostituibile per la protesta di Seattle o di Genova o di Porto Alegre o Barcellona ed ovunque ci si organizza per contrapporsi all’attuale organizzazione mondiale delle disuguaglianze e per non rimanere soffocati da un conflitto auspicato dalle stesse classi dominanti. Il Popolo del Sud è in Italia non solo il suo Meridione ma il Meridione del Nord e le periferie di ogni metropoli. Il Sud sul Mediterraneo si allarga all’Africa e vive in tutto il Vicino Oriente. Il Sud in America entra nel Bronx e vive nelle lotte di ogni schiavizzato del passato e di ogni migrante di oggi. Il nostro Sud è, dunque, al Sud di nessun Nord. Mentre è indubbio che a partire dall’America Latina, dagli esempi di Martì, Bolivar, Zapata, Mariategui, Guevara, Sandino e tanti altri e tante ancora e, poi, dai nostrani Gramsci e dalla “non storia” di popoli depredati, dagli europei ora Masaniello ed ora nuove Luxemburg, dal Chiapas e dai movimenti per la terra e la casa, dai senza voce e senza nome un socialismo nuovo è possibile, è possibile dare un futuro ad ogni seme che si pianta,  è possibile conquistare l’emancipazione concreta dei popoli… Il “Popolo del Sud” è la grande diga (anche in quello che viene chiamato Mondo Occidentale), quindi, per arginare gli enormi disastri del neo-imperialismo, del neo-liberismo e del fondamentalismo di mercato (dalle guerre alla fame, dalla distruzione ambientale agli embarghi come moderna forma di genocidio, dalla mancanza di cura alla negazione degli stessi diritti umani…). Il “Popolo del Sud” non ha subito unicamente il “furto” di ogni sua ricchezza (dal petrolio ad ogni materia prima, dagli uomini e dalle donne da rendere forza-lavoro schiavizzata alle risorse naturali, dal patrimonio storico alle libertà…) ma anche il tentativo, mai domo, di espropriarlo della sua “memoria”, storia e tradizioni affinché lo sviluppo per alcuni non si identifichi immediatamente (come di fatto accade) con il sottosviluppo di molti. Ecco perché non esiste  il Terzo Mondo ma un sistema (quello capitalistico) al quale appartiene il Terzo Mondo (anche nelle sue periferie) quanto ogni altra barbarie di cui è responsabile. Esiste, non astrattamente, il capitalismo (e la nuova globalizzazione non ha eliminato affatto mire neo-imperiali ma è esattamente vero il suo contrario) con le sue miserie, oppressione, sfruttamento, violenza ecc. e, pertanto, la speranza di costruire un mondo nuovo è possibile solo uscendone fuori. Il “Popolo del Sud” è al centro di ogni contraddizione scientificamente dimostrabile e soprattutto di quella della società divisa in classi affinché il 6% degli esseri viventi possa godere delle ricchezze prodotte dall’umanità intera. Ed è per mantenere questo privilegio che questa banda esigua, esaltando ogni ipocrisia, manipola l’informazione, ordisce guerre, alimenta il terrorismo, inventa golpe, genera la miseria di massa, inasprisce drammi sociali e, al tempo stesso, illude gli abitanti delle sue roccaforti di essere i migliori e, quindi, se mossi a pietà, anche i soccorritori di deboli e poveri per evitare olocausti ancora più impressionanti di quelli generati. Ma un popolo senza coscienza è solo massa e un esercito che non sa emanciparsi e dirigenti che non sanno farsi dirigere e che non sanno creare nuovi dirigenti sono destinati alla sconfitta. Ma, inoltre, un popolo al quale si promettono o per il quale si realizzano solo bisogni (essenziali) materiali immediati è destinato a dimenticare da dove viene e a smarrirsi nel cammino verso la società nuova. Chavez non è populista e se lo è  lo sono maggiormente coloro che in maniera insidiosa indossano una giacca a doppio petto e hanno una doppia faccia e la lingua biforcuta. Il sistema capitalistico è anche paternalista e non rifiuta, per necessità o costrizione, compromessi sociali. Per sopravvivere (per gestire, cioè, la sua crisi strutturale) non ha limiti: non disdegna, infatti, edificare ponti d’oro alla criminalità organizzata, ai produttori di morte, ai costruttori di immensi campi di concentramento e di lager, a dittature spietate e a socialdemocrazie plaudenti, ad assassinare migliaia di Galileo Galilei o ad asservirli, a manipolare coscienze o a regalare computer e antenne paraboliche, ad esaltare fanatismi religiosi o a preoccuparsene… Avanza, per questi motivi e non solo, un pensiero unico e una cultura di massa che in realtà nega ogni vera “universalizzazione” della stessa e il porre, oggettivamente, tutti e tutte come uguali dinanzi ai fatti di cultura appunto. Il nuovo e necessario “intellettuale collettivo” si deve concretizzare nel “Popolo del Sud” che non può escludere e né potrebbe, per non essere mortificato, il partito ma sapendo che il solo partito non basta, che questo deve essere una cellula già in atto della società nuova che s’intende edificare, che la sua funzione è temporanea quanto dovrebbe esserlo quella della società divisa in classi (e le classi non si presentano mai ad uno stato puro e il Popolo del Sud non può trascurare l’essenzialità di una programmatica politica delle alleanze da rendere storica ed organica)…L’internazionalizzazione disegnata dalle classi dominanti è quella delle privatizzazioni, delle corporazioni multinazionali, delle illusioni, di una militarizzazione emisferica per imporre un potere sempre più di pochi e renderlo “naturale”, non sostituibile e, tuttavia, disponibile ad accogliere alcune lamentele e alcune richieste dei “consumatori” e “sudditi” generando ulteriori egoismi, rassegnazione, incomunicabilità o “false vittorie” che sostanzialmente non modificano i rapporti di forza tra le parti in antagonismo e neppure la realtà. Il “Popolo del Sud” ha incrementato la sua capacità combattiva, ha unito tante diversità, ha inventato nuove forme di democrazia (a partire dal basso), ha identificato le ragioni storiche dei lavoratori con quelle della ribellione indigena, degli studenti o dei senza diritti, dei deboli e degli emarginati, di intellettuali e di illuminati “senza classe” e “provenienti” da una cultura piccolo-borghese o borghese. Ha unito la difesa della democrazia con il suo allargamento e la propria peculiare storia con quella di un’umanità nuova senza confini e la sovranità di un singolo popolo con quella di ogni nazione. Il Venezuela insegna anche questo. E Cuba ci ricorda, resistendo al bloqueo USA e non limitandosi (nonostante numerose difficoltà) alle prime conquiste della rivoluzione, lavorando per l’emancipazione del popolo e per allargare libertà e lotta alle ingiustizie, che un altro mondo è in costruzione. In questi giorni gli USA, non casualmente, in cambio di favori (con un ruolo asservito del Fondo Monetario Internazionale e di altre strutture internazionali), tentano di far criminalizzare l’isola di Fidel da altre nazioni della stessa America Latina (Uruguay, Perù) e sono complici e protagonisti del Plan Panama in Messico, del Plan Colombia, della mortificazione del popolo argentino o nicaraguense, in Costa Rica e in Guatemala… Gli Stati Uniti: un gigante dai piedi d’argilla che attraverso il piano definito ALCA, già sperimentato in tanta parte dell’Africa, il Nafta (noi abbiamo in Europa le falsità di Maastricht e il tentativo di rendere operativo un Accordo Multilaterale tra profittatori) e altre nefandezze tenta disperatamente di gestire la crisi che attraversa la sua stessa società e che sta attraversando l’intero pianeta. Anche per queste ragioni la nostra identità sta nella lotta e nel definirci  “Popolo del Sud” dobbiamo lottare contro i nostri stessi limiti e iniziare a guardare il mondo attraverso gli occhi di tutti e tutte coloro che ne sono parte. Gli Stati Uniti: un rimbambito orco che rade al suolo ogni autonoma capacità di sviluppo tecnologico oltre la sua egemonia, culture “altre”, Costituzioni nate da identità diverse e in confronto, ambiente, la stessa libertà di realizzare un moderno avanzamento industriale autonomo per popoli interi, di produrre riforme per lo sviluppo e nel farlo monopolizza ogni sapere e ne annienta i valori agendo in superficie e in profondità come diceva una persona odiata da molti e tuttavia attuale di nome Lenin che ha dato un primo spessore alle elaborazioni di due incoscienti barbudos: Marx ed Engels. Degli idioti, per alcuni, da accantonare e da non rinnovare dentro i più marxismi (da analizzare sempre criticamente) che la storia ci ha consegnato e dentro un continuo rapporto con la realtà e che, comunque, continuano a non far dormire sonni tranquilli ad un potere che insiste a fare dell’anticomunismo la sua eterna, per quanto stracciona, bandiera fino a cercare alleati tra i suoi stessi nemici. Gli Usa: un baro al tavolo da gioco che falsifica il passato (il suo stesso passato) e oscura il presente rendendo ogni Prepotente un uomo virtuoso, ogni sfruttatore un genio e ogni suo fantoccio un amico da venerare finché non deve diventare il suo contrario. Comprenderlo non basta, divulgarlo neppure se non cresce una “cultura per tutti” da vivere ragionando e se l’uomo non trasforma se stesso. E la propria trasformazione non può avvenire se non hai un programma e le coordinate del “che fare”e se non sai rispondere ad una semplice domanda che hai l’obbligo di porti: ma come deve essere la società nuova a cui aspiro avendo una precisa idea del reale? Il “Popolo del Sud” per non diventare il popolo degli esiliati nella sua stessa Terra deve trasformarsi, sempre di più, nel costruttore del rinnovamento democratico e socialista del pianeta e deve farlo partendo dalle proprie radici, dalla sua “diversità”. Viviamo in un mondo dove ogni giorno migliaia di persone muoiono di fame, dove dallo sfruttamento e dalle guerre non sono risparmiati neppure bambini e bambine, dove alcune stragi di innocenti sono chiamate effetti collaterali, dove il nucleare non è la ricerca di nuove fonti di energia, dove gli analfabeti (e l’analfabetismo di ritorno impera) sono non statisticamente misurabili, dove si costruiscono  bombe anziché scuole e case e ospedali, dove acqua ed energia per molti sono chimere, dove impazzano fondamentalismi e fanatismi degni dei primi abitanti delle caverne, dove criminali senza scrupoli non solo corrompono governi ma essi stessi, insieme a lobbies e possessori di finanza e mezzi di produzione, diventano governanti, dove ancora esiste la tortura e la pena di morte, il colonialismo (per quanto nuovo) e i genocidi e dove alcuni paesi sono poveri semplicemente perché un continuo saccheggio ne ha reso pochi altri “benestanti”, dove per alcuni c’è lo spreco e la miseria di altri è vissuta come minaccia a perpetuarlo, dove alcune bestie godono di lussi tali che milioni di esseri umani che camminano su terre nere di petrolio e scintillanti di diamanti ed oro neppure immaginano e intanto al Sud del Mondo e nel Mondo si spende senza limiti per gli armamenti e per prodotti di cui potremmo, vivendo felicemente, fare tutti volentieri a meno. La lezione del Venezuela è, infatti, come lo fu per il Cile e per altri popoli, anche un capitolo che afferma: il possedere “patrimoni, risorse e cose” e capacità di gestirli per il proprio progresso nel Sud del Pianeta equivale ad una condanna quanto possedere la miseria. Ma la condizione sociale e l’avere coscienza, il sapere e l’informarsi, l’organizzarsi e la stessa fantasia sono le basi per una lotta contro le guerre, per la rivoluzione contro la barbarie, per il riscatto dei popoli e del mondo del lavoro contro il furto, per la dignità del vivere contro l’umiliazione, per l’etica dell’essere contro quella dell’avere. E questa sfida del “Popolo del Sud” se cresce smaschererà il potere (per quante maschere utilizzi), combatterà lo sterminio e il terrorismo (anche se non è raro che i terroristi definiscano tali le loro vittime), riconsegnerà alla storia milioni di desaparecidos che hanno subito quanto di più atroce (dopo Hitler tra gli ultimi occidentali) e infame la storia dell’umanità abbia visto. I colpevoli non sono invisibili e conosciamo le mani di chi, come Custer, animato dall’odio, è responsabile di tali “primitivi” scelte e per quali interessi e privilegi sono compiute nella società del Profitto. Il “Popolo del Sud” diviene popolo acquistando un “senso comune unitario”, inventando un “nuovo conformismo” che ancora non possiede e valorizzando la funzione storica del mondo del Lavoro per un nuovo Rinascimento. Diviene popolo rifiutando compassione e pietà e creando una nuova solidarietà che si chiama cooperazione e che implica la sovranità di tutte e di tutti. Combattere e sconfiggere il gendarme del Pianeta è dunque un obiettivo prioritario per poter continuare a rendere credibili alternative al presente. Il neoliberismo è il fulcro di mire imperialistiche e il programma stesso del capitalismo che pretende una subordinazione senza condizioni dei paesi periferici ai centri di potere e un assoggettamento del pesce più piccolo verso il più grande anche tra i propri alleati. Il modello che si intende rendere “normale” è un modello imposto che si vuole legittimare con ogni mezzo e attraverso varie forme di potere che però devono sempre penalizzare percorsi elettorali plurali e democratici (e non ridotti al partitismo e meno che mai ingabbiati da furbesche logiche bipolari), partecipazione popolare, diritti (lavoro, istruzione, cura, abitare, trasporti, cultura, sport ecc. ecc.) e restringere le stesse possibilità di lotte rivendicative anche con l’uso spregiudicato della forza. Avanzano privatizzazioni selvagge anche nei servizi, diminuiscono salari e lavori qualitativi, aumentano privilegi per il capitale speculativo e clandestino e si massacra qualsiasi ipotesi di sviluppo sostenibile provocando nuove povertà ed eliminando conquiste consolidate. Solo la riscoperta del ruolo storico dei lavoratori e solo l’irrompere nella storia del “Popolo del Sud” possono creare le condizioni per una fuoriuscita da questo stato di cose e per un’integrazione nell’economia internazionale di nazioni ed aree (soprattutto di quelle normalmente escluse o soggiogate) che garantisca una produttività per migliori livelli di vita, benessere sociale ovvero distribuzione del reddito ed emancipazione dei suoi realizzatori pratici liberando tempo e consegnandolo alla vita stessa e corrispondendo ad esigenze attualmente calpestate fino a valorizzare i rapporti più intimi. Il “Popolo del Sud” che si unisce oltre interessi di parte ed esclusivi, che sa andare aldilà del solo terreno economico, che sa restituire qualità di vita anche all’ultimo indigeno di questo pianeta sta iniziando a cambiare l’uomo, a praticare la madre di ogni rivoluzione: quella morale e culturale. La battaglia inizia da qui e deve proseguire in un impegno per sconfiggere il  modello neoliberista e il predominio delle èlite degli Stati Uniti sul proprio e altri popoli, riformando totalmente le strutture di Bretton Woods e l’ONU, sciogliendo la NATO, costruendo democrazia politica reale, partecipazione e protagonismo dei popoli, socializzando informazione, eliminando senza condizioni debiti esteri imposti e liberando tempo al lavoro, tutelando l’ambiente e realizzando riforme essenziali a partire da quella agraria per arrivare alla garanzia di un salario degno e di una degna pensione per ogni essere vivente, trasferendo risorse dal Nord al Sud del pianeta per riequilibrare gli stessi diritti e doveri, disarmando le nazioni, favorendo contro razzismo e xenofobia ogni essere umano viaggiante, tutelando e allargando ogni diritto, processando i responsabili di crimini veri contro l’umanità a partire dal capitalismo illegale, ritenendo un crimine un solo morto per fame, per una malattia curabilissima, la vittima di un’ingiustizia, un espropriato dalla cultura e dal fare e vivere sport, liberando tempo per intensificare i rapporti umani e portare avanti il “processo di umanizzazione” della nostra specie, regalando libertà ad ogni diversità e confrontandosi con i sentimenti legati alle superstizioni per superarle e al semplice predicare religioso. Forse queste cose ci sono già state lasciate in eredità da liberatori e da popoli fieri che liberandosi sapevano che dovevano farlo da sé ma quando le vediamo rinnovate nella resistenza del popolo cubano, nella determinazione attuale di quello venezuelano (con circa l’80% di poveri), nella piccola comunità del Chiapas e in un accampamento di contadini in Brasile, nell’onestà intellettuale e morale di alcune coerenti organizzazioni di classe, del lavoro, comuniste, in comitati di quartiere che sfidano il Palazzo, in assemblee sociali e in forum che vogliono trasformare anche i sogni in cose possibili allora possiamo dirci, senza tentennamenti, disposti anche ad ulteriori e laceranti sconfitte e ad errare, che non saremo spettatori della decomposizione delle classi in lotta sullo stesso terreno che le ha generate e che un socialismo nuovo è possibile. Dobbiamo, cioè, schierarci ancora al fianco della classe operaia e invitare ogni popolo in lotta ad organizzarsi in “Popolo del Sud” per un progetto di liberazione dell’umanità intera.

Michele Capuano

 

PUNTO DE ENCUENTRO
Venezuela: Lecciones aprendidas
No se puede hablar de democracia cuando las bases mismas de la institucionalidad son socavadas.
Por : Marielos Monzón

Agitando una bandera venezolana, Laura esperaba la llegada de Hugo Chávez,el presidente bolivariano, como le llama ella, ese mismo que horas anteshabía sido derrocado por un golpe de estado militar. Junto a miles devenezolanos de los barrios populares cantaba el himno nacional y se abría
espacio para observar mejor lo que ocurría en las afueras del palacio deMiraflores.
Cuarenta y ocho horas bastaron para que la historia diera cara vuelta. Atrásquedaron los momentos de júbilo que llevaron al empresario Pedro Carmona asentirse todo poderoso y ser capaz de disolver la Asamblea Legislativa,desconocer el poder judicial y anular la Constitución. Los manifestantes pasaron de la ropa de marca y las cremas Lancome a la ropa de paca y la crema de vaca, esa que se come, sólo cuando se puede.Fue el pueblo el que sin esperar que una misión de alto nivel de la OEA se
apareciera para analizar la situación condenó a los golpistas y les obligó a retroceder y recuperar la institucionalidad. Mientras los expertos debatían si lo ocurrido en Venezuela violaba la Carta Democrática Interamericana cientos de ciudadanos comunes y corrientes les recordaron que a la toma del poder por la fuerza militar, a la disolución de las instituciones democráticas y a la designación de un dictador se le conoce como golpe de
Estado y no puede ser tolerado.
Más allá de la simpatía o animadversión que un presidente genere, resulta inadmisible recurrir a la nefasta práctica del golpe, que sólo agrava la situación. Es inaudito que se hable de transición democrática y se recurra a los mecanismos que enlutaron y hundieron a Latinoamérica en décadas de terror e impunidad. Frente a la corrupción y el desgobierno hay que tomar
acciones, nadie dice que nos quedemos de brazos cruzados; pero de eso a salir vitoreando y aclamando golpistas hay kilómetros de diferencia.
Lo ocurrido en Venezuela nos enseña que la confrontación y el populismo son ingredientes peligrosos que a la larga benefician a los grupos oligárquicos y a los poderes fácticos; nos muestra cuán obsecuentes de los gobernantes latinoamericanos que prefieren congraciarse con la superpotencia antes de condenar una acción golpista y además pone en el tapete la necesidad de debatir a fondo el papel que los medios de comunicación juegan en nuestras sociedades, la enorme urgencia de consolidar un periodismo independiente y sin compromisos y el escabroso tema de un nuevo orden informativo mundial. Aquí hay muchos que después de lo ocurrido en Venezuela tienen que poner sus
barbas en remojo, desde nuestro presidente y su equipo de gobierno que tienen al país al borde del precipicio hasta quienes se apresuraron a cantar victoria y afirmar que si se pudo en Venezuela se puede en Guatemala.
Cuidado no les vaya a salir el tiro por la culata.

 

 

VENEZUELA: ARRIBA LOS QUE LUCHAN
Carlos Aznárez
(director de Resumen Latinoamericano)

    Gracias valeroso pueblo venezolano. Hombres y mujeres de Simón Bolívar y Ezequiel Zamora, de Manuelita Saenz y Simón Rodríguez, de ese torbellino llamado Josefina Camejo.
Ustedes lo han hecho posible, con su rabia y con su amor, con su bronca acumulada de tantas injusticias y también con su ternura surgida del corazónde los más humildes. Los cerros de Caracas se convirtieron en llamarada a la hora de salir en defensa de un proceso que se construyó para ese 80 por ciento de quienes nadie -de todos esos polítiqueros que mancillaron la tierra del Libertador- jamás quiso acordarse o tener en cuenta.
    En estos días gloriosos, los campos de Venezuela
Bolivariana se llenaron de gritos y rugidos de protesta por la infamia urdida por conspiradores de baja monta, de perros falderos de Washington y la CIA, de corruptos, falsarios y represores. Las rutas del país, sus cuarteles y también sus calles, se inundaron otra vez de militares patriotas, rebeldes, nacionalistas, revolucionarios y antiimperialistas.
Como aquellos gloriosos 4 de febrero y 27 de noviembre del 92, cuando pueblo y ejército salieron a la calle para reivindicar la necesaria patria liberada a la que cantara el inolvidable Alí Primera.
Gracias Comandante Hugo Chávez por dar la talla de los valientes, de los que no se rinden jamás ni aunque las contingencias adversas superen las señales del raciocinio. El juramento del Samán de Güere sigue inalterable y, de sus lealtades y fidelidades hablan estos días de insurrección popular.
Gracias Comandante, por su capacidad de liderazgo, por su apego intrínseco a lo popular, que no es populismo como sugieren algunos despistados eurocentristas. Gracias, por amar apasionadamente a los más débiles.
    Gracias a todas y todos los que hicieron posible este parto luminoso con que los condenados de la tierra conmovieron al mundo entero y demostraron sobradamente que se puede, que no hay nada imposible cuando el pueblo está decidido a ganarle la batalla a quienes quieren volver a maniatar sus esperanzas.
    La pelea no fue fácil, enfrente estaban todos ellos: banqueros, empresarios de la oligarquía, periodistas venales y plumíferos mentirosos, gusanos anticubanos y agentes de la CIA, adecos y copeyanos, virreyes de las multinacionales petroleras y francotiradores de las policías asesinas, cipayos izquierdistas de la bandera roja y la pistola asesina, sindicalistas corruptos y hasta esa Iglesia apegada al becerro de oro. Pero por encima de cada uno de ellos: la criminal política norteamericana de intervención a la soberanía y la independencia de los pueblos.
    Sin embargo, no lograron otra cosa que reinar por efímeras 24 horas en las que mostraron su irrefrenable odio por los de abajo, matando a mansalva, allanando viviendas, tomando prisioneros a los luchadores, amagando inclusocon el magnicidio para acallar la voz del Comandante de los pobres que como aquella vez del "por ahora" los dejó plantados con su negativa a renunciar.
    Ustedes y nadie más hicieron posible esta rebelíón de banderas, cánticos y amor tan decidido. Le levantaron el ánimo, sin darse cuenta, a todos los que anhelan la liberación y un mundo nuevo. Estrecharon otra vez en un abrazo a la Revolucíón cubana y dejaron sentado hoy más que nunca que la historia la escriben los que se atreven a desafiar las contingencias más difíciles.
    No es casualidad que este alzamiento popular para restaurar la República Bolivariana culminara precisamente un 14 de abril, homenajeando subliminalmente a aquellos otros hombres y mujeres que hace ya más de sesenta años defendieron con sus cuerpos a otra República  (la española) arrollada por el fascismo. En este caso, fracasaron: la espada de Bolívar selevantó en alto para consagrar la victoria, porque como dijo Hugo Chavez: "amor con amor se paga".


      La lección de Venezuela
      Por Mempo Giardinelli

  Qué significado tienen los acontecimientos de las últimas horas en la sufrida Venezuela, vistos desde la Argentina? La importancia del contragolpe que recolocó a Hugo Chávez en la presidencia es enorme, porque las simetrías son notables. No exactas, pero sí lo suficientemente grandes como para que sirvan de espejo. Demostrando una vez más que en nuestros países la oposición puede ser peor que los gobiernos, las viejas dirigencias de Acción Democrática y Copei (los dos partidos que, como peronistas y radicales aquí, fueron arrasados en las urnas por Chávez) trabajó en las sombras haciendo alianzas con los sectores empresariales y los banqueros. La torpeza de las oposiciones sudamericanas viene siendo proverbial, últimamente, y ahora los vimos una vez más favoreciendo un régimen de ultraderecha como el que quiso instalar la Federación Empresarial (llamada Fedecámaras en Venezuela) con apoyo de algunos jefes de las fuerzas armadas. La incapacidad y la estupidez es su signo -sostienen algunos intelectuales venezolanos respetables- como podríamos decirlo nosotros aquí. Impresentables y rencorosos, se montaron sobre la confusión y el cansancio de las clases medias y la prédica canalla de los medios de comunicación más colonizados, tal como aquí. Los saqueos de los verdaderos hambreados sirvieron de pantalla a los saqueos organizados por los fascistas, igual que aquí. En algunas protestas civiles se agitaron banderas rojas para que los afanosos macartistas amenazaran con la siempre meneada "guerra civil". También como aquí.

    Fue tanta la torpeza, y es tal la voracidad de clase de los empresarios criollos, que colocaron en el Palacio de Miraflores a Pedro Carmona Estanga, presidente de Fedecámaras, que es como si aquí se pusiera a Eduardo Escasany, Gregorio Pérez Companc o Mauricio Macri en la Casa Rosada. O a Ricardo Lopez Murphy. Hicieron todo tan mal que pifiaron incluso en la adopción de las primeras medidas: cacarearon que no habría una gota más de petróleo para Cuba (y todos vimos por la tele el jolgorio de primeras damas y señores de traje) y suprimieron el adjetivo "Bolivariana". Cuando afuera había una matazón tremenda y un caos -ése sí- espontáneo, ellos descorchaban champán y coreaban "ni un paso atrás, ni un paso atrás" mientras la pueblada se les venía encima.

    Venezuela y la Argentina, que un día fueron los países más ricos de Sudamérica, los de clases medias más evolucionadas y los que hace décadas iniciaron procesos de industrialización, hoy están sobrevolados por fantasmas equivalentes. Los muertos se cuentan por decenas, la impunidad de los poderosos es la misma, y la dictadura de las cloacas mediáticas también. Es saludable y prudente, entonces, que el regreso del chavismo sea realmente conciliador (a juzgar por las declaraciones del vicepresidente Diosdado Cabello y del propio Chávez) porque es la cordura y la serenidad el mejor camino que les queda. Lo cual no será sencillo, dado el temperamento explosivo de su líder. Pero si él logra contenerse, si sus seguidores más sensatos consiguen calmarlo, y no hay revanchismo, entonces seguramente van a darse las condiciones para enderezar la situación y hacer lo que hay que hacer: Venezuela requiere, como nosotros, de veloces planes de reinserción social. Y no sólo veloces, sino inmediatos, concretos y visibles.

    Mientras en nuestros países no se vea que las mallas de contención social atienden real y verdaderamente las necesidades de las grandes mayorías, y no se vea que esa contención sólo es preludio de cambios redistributivos mucho más profundos, no habrá paz. Es lo que no entienden jamás los Carmona Estanga ni sus equivalentes argentinos. Es lo que no aprenden las contumaces dirigencias políticas, de allá y de acá. Y es lo que forzosa y urgentemente deberían entender Hugo Chávez y todos los nuevos dirigentes alternativos que se están pariendo en las sombras. Es de esperar que -.a ellos sí-. lo ocurrido les sirva de lección. Es imprescindible que comprendan que la democracia es una permanente prácticade tolerancia y serenidad, pero en la que las medidas económicas deben orientarse hacia el bien común y no hacia el beneficio de unos pocos, los de siempre. Y sobre todo deben aplicarse con absoluta firmeza aunque con guantes de seda. En comprenderlo y llevarlo a cabo radica, quizá, la subsistencia misma de nuestras independencias. Porque ya se está viendo cómo piensan los neoimperialistas que consideran que los problemas sociales de la periferia son una "jungla" en la que más tarde o más temprano ellos van a "aplicar las leyes de la jungla", como ha amenazado Robert Cooper, el consejero de Tony Blair, según la esclarecedora nota que Julio Nudler firmó el sábado pasado en estas páginas.

    La lección de Venezuela es extraordinaria. Muestra que los pueblos de América latina asimilan la vida democrática y constitucional mucho mejor que sus dirigencias. Ilustra acerca del destino de las aventuras extralegales y la torcida utilización de las fuerzas armadas. Denuncia que el poder mediático de las derechas económicas sirve para soliviantar a los ricos pero no es suficiente para sostener gobiernos espurios. Advierte a los autoritarios y fascistas que ya no pueden imponerse como lo hacían antes, a puro engaño y mentiras. Y les avisa, a los gobernantes de extracción popular legitimados por el voto, que los pueblos quieren que los cambios prometidos se concreten en la realidad y sin medias tintas.

    Y sobre todo, informa que los tiempos de la Historia se están acelerando dramáticamente.

http://www.pagina12.com.ar

Granma/ abril del 2002
Venció la Revolución Bolivariana

Felicita Chávez al pueblo por su brillante papel y lo llama a continuar la marcha a paso de vencedores. El país retorna a la normalidad

CARACAS, 14 de abril.— El aire de recuperación soplaba en toda Venezuela hoy en el primer día del regreso a una normalidad desagradable para quienes, más allá de sus fronteras, se hicieron ilusiones apresuradas con el golpe de Estado contrarrevolucionario barrido rápidamente por una marea de pueblo.

En las calles de Caracas —testimonia PL— se retomó gradualmente la actividad tradicional con el funcionamiento del transporte y la apertura de cafeterías y pequeños restaurantes que siempre funcionan los domingos.

Solo un diario nacional —Últimas Noticias— circuló hoy, mientras El Universal y El Nacional, los más furibundos opositores a Chávez, tomaron la decisión de no publicar la edición de la presente jornada.

Las emisoras privadas de televisión, soporte fundamental de la conspiración que trató de derrocar al gobierno y ocultó las movilizaciones populares a favor de la liberación del Presidente, eliminaron los noticieros de su transmisión. No querían transmitir noticias desagradables para los dueños.

Solo el canal estatal Venezolana de Televisión hace resúmenes de lo ocurrido y comenta las reacciones nacionales e internacionales a la asonada derechista que intentó ocupar el poder.

Los partidos políticos tradicionales, también parte del proyecto desestabilizador puesto en marcha para facilitar el golpe de Estado, se mantienen en silencio.

Un partido opositor autodenominado Primero Justicia, con seis escaños en la Asamblea Nacional, insistió en pedir la destitución del Presidente y la disolución de todos los poderes del Estado que fueron elegidos por votación universal, directa y secreta, según el portavoz del grupo, citado por EFE.

Se espera el arribo hoy a Venezuela del secretario general de la Organización de Estados Americanos (OEA), César Gaviria, quien sostendrá conversaciones con el Jefe de Estado sobre la situación de la nación, cumpliendo un mandato de su Consejo Permanente.

En las calles, se nota el júbilo. Cerca de Miraflores se mantienen decenas de personas vigilantes después que la multitud estuviese 24 horas esperando al Presidente legítimo la jornada anterior. Caravanas de vehículos, algunos grupos de peatones e incluso personas solitarias, pasan por el centro de Caracas dando vivas al regreso de Chávez.

El tema de conversación es conocido: el retorno del líder que fue momentáneamente secuestrado, la retoma de posesión en la madrugada, quizás el comentario sobre el soldado valiente que transmitió por fax la breve nota presidencial con la aseveración de que no renunciaría jamás.

LOS GOLPISTAS DEBERÁN AFRONTAR LA LEY

El ministro de Defensa, José Vicente Rangel, informó hoy que los golpistas venezolanos deberán responder por sus actos.

Rangel explicó que corresponderá a los fiscales del Ministerio Público hacer las imputaciones correspondientes para el posterior juzgamiento de quienes vulneraron la Constitución y las leyes del país.

Desde Pedro Carmona Estanga, presidente de los golpistas, hasta los dirigentes políticos de esa acción, tendrán que responder por ello, puntualizó.

Rechazó la acusación a la población por su concentración frente a los medios de difusión durante el día de ayer. Se trataba de un pueblo reclamando su derecho a la información, a saber qué sucedía, algo negado durante todo el día por esos medios, planteó.

En las cifras brindadas por Prensa Latina, se indicó que un total de 12 muertos y 53 heridos fue el balance final de los incidentes ocurridos en las barriadas de Caracas en el día de ayer. La información fue suministrada por Rodolfo Briceño, comandante de los bomberos del área metropolitana, quien explicó que los heridos son atendidos en los centros asistenciales de esta capital.

Durante la jornada que protagonizó el pueblo caraqueño en demanda de la liberación del Presidente Hugo Chávez, se denunciaron actividades represivas por parte de la policía metropolitana, al mando del opositor alcalde Alfredo Peña.

CHÁVEZ: GOBIERNO REVOLUCIONARIO Y DEMOCRÁTICO

Con un emotivo discurso en las últimas horas de la madrugada, que rindió homenaje a todos los sectores que encabezaron la ofensiva contra los golpistas, en primer lugar al pueblo, y un llamado a la calma y a continuar la marcha del proceso revolucionario "a paso de vencedores", inició el Presidente Chávez su primer discurso en la memorable jornada del 14 de abril.

El mandatario reiteró el carácter democrático y revolucionario de su gobierno, e instó a sus adversarios a hacer una oposición "seria, justa y leal con el país", respetando los marcos de la legalidad, dice PL.

Necesitamos una oposición en Venezuela, pero constructiva, legal con el país, con el pueblo, una oposición que presente críticas verdaderas, alternativas al país, señaló el Jefe de Estado en su primer mensaje a la nación luego de que le fueran restituidas sus prerrogativas en el Palacio de Miraflores.

Rodeado de un nutrido grupo de sus ministros y demás partidarios, Chávez llamó a reflexionar y pensar en el bienestar del Estado sudamericano a los dueños de los medios de comunicación que desempeñaron un papel clave en el complot desestabilizador que intentó despojarlo definitivamente del poder.

"Aquí hay un proyecto en marcha que no tiene vuelta atrás", recalcó Chávez, quien se declaró consciente de que hoy existen en Venezuela dos países: uno virtual y otro real.

"Es obligatorio que se hagan esas rectificaciones, que se vuelva a los carriles de la razón, porque parece que han perdido hasta la razón", puntualizó el Presidente al advertir que "no habrá cacería de brujas".

"No vengo con ánimo revanchista. Aquí no habrá persecuciones, atropellos ni abusos ni irrespeto a la libertad de expresión y de pensamiento, a los derechos humanos en forma general, pero las cosas tienen que volver al marco constitucional", recalcó.

Hizo un apasionante llamado a la unidad de todos los venezolanos, a la cordura y el entendimiento y pidió una reflexión autocrítica de las lecciones de lo ocurrido para salvar a la nación y proseguir la construcción de lo que llamó la Venezuela bolivariana.

Finalmente anunció que continuarán las medidas, entre ellas la creación de un Consejo Federal de Gobierno que debe impulsar el diálogo nacional en todos los aspectos: económico, político, social, internacional.

 

Hasta para hacer bien el mal, hay que tener clase

MARTA ROJAS

La mejor película del sábado duró más de doce horas y sin abrumar a nadie. Por el contrario el interés no decayó. Lo de película del sábado corresponde al argot nacional, pero en este caso el símil descansa en una verdad contundente y es que la realidad supera la fantasía. Como vimos minuto a minuto por la televisión. El argumento no fue otro que el retorno del Presidente Chávez a la silla presidencial. Hecho inédito en la historia de América por la forma y con la rapidez que se produjo.

Muchas enseñanzas pueden sacar los reaccionarios en el mundo, y en particular el gobierno de los Estados Unidos, sin que deban ser eximidos de responsabilidades las potencias europeas ni aquellos tristes títeres que aún habitan en Nuestra América. Para no enumerarlas todas mencionaremos algunas enseñanzas que arrojó, por vía del error fascista, esta película-verdad:

Primero, el de fabricar mentiras y la estupidez de creérselas porque quedó demostrado una vez más que los productores de mentiras se las creen. Segundo, que para ellos tiene valor "ético" la libertad de expresión, pero lo primero que impusieron en el fugaz ascenso al poder fue la censura de prensa más férrea. Tercero, que son defensores militantes de los derechos humanos, y contradictoriamente allanaron hogares, golpearon y humillaron a personas a trocha y mocha (argot nacional). ¡Ah! Y la democracia, destrozada de un plumazo haciendo trizas las instituciones sancionadas legalmente mediante el voto directo y la pluralidad de partidos políticos. ¿Congreso para qué? ¿Poder Judicial para qué? Basta la firma de un empresario acostumbrado a los memorándum, para pretender barrer la verdadera democracia.

El peor de todos los errores:

No creer en el poder del pueblo.

De que los medios de difusión en el mundo moderno son importantes no cabe duda. Lo demostró la transmisión continua de la verdad de lo que iba ocurriendo en Venezuela, que vimos el sábado y la madrugada del domingo. Si algún corresponsal de prensa internacional dijo algo consistente y real sería aquel que se remitió a las informaciones, tan escuetas como contundentes por objetivas que transmitía la televisión de Cuba.

Otros corresponsales colocados en el teatro de los hechos hicieron un papel verdaderamente ridículo, vergonzoso desde el punto de vista profesional.

Los sabuesos de la inteligencia virtual, sucumbieron en el marasmo de una realidad solo virtual. Entiéndase CIA, diario El Nacional de Caracas, un par ideal desde el inicio del programa de desestabilización del gobierno del Presidente Hugo Rafael Chávez, junto a las estaciones de televisión privadas y otros "comunicadores" en Caracas.

No merece la pena hablar de los ambiciosos empleados del Imperio en Miami.

Versus caso del regreso del niño Elián González, en cuanto a desengaños y amarguras de los antes mencionados.

Los poderosos empresarios de Venezuela no fueron capaces de poner en riesgo la vida, demasiadas comodidades tienen, demasiada riqueza, prohijada por la corrupción de tantos y tantos gobernantes de su país. Los ricos no arriesgan la vida, Carmona no fue Chávez y por tanto sus correligionarios se escondieron rápidamente ante la avalancha humana que bajó de los Cerros de Caracas y, en general, del pueblo patriótico, para quien la pérdida de la vida podía representar el porvenir de sus hijos.

Los fascistas venezolanos de "medio pelo" asediaron y le cortaron agua y luz a la Embajada cubana. Es que hasta para hacer bien el mal hay que tener clase. Ser metal de buena ley, aun si de fascismo se trata

La revolución bolivariana dio un ejemplo de sabiduría, valor y autenticidad.

 

Venezuela

Algunas lecciones del 11 de abril

NIDIA DÍAZ

No nos llamemos a engaño, el alevoso y artero golpe de Estado contra el gobierno constitucional de Venezuela el pasado 11 de abril no fue contra Hugo Chávez, fue contra la democracia justa y participativa, esa a la que la oligarquía y el gran capital le temen como el diablo a la cruz.

La insurrección mediática que servilmente lo acompañó, y que controla el monopolio informativo y distorsionado de cuanto allí ha sucedido y sucede, trata de engañar al mundo satanizando al líder del proceso bolivariano y responsabilizándolo de la fractura de la institucionalidad en el país andino.

El objetivo de la contrarrevolución venezolana y sus instigadores de Washington, fue hacer abortar el proyecto republicano que Chávez construye con el concurso de las mayorías que aprobaron en referéndum popular e hicieron suya la Constitución Bolivariana.

Al amparo de ese texto constitucional se libra una lucha sin cuartel contra los viejos males que arrastra el país y que son expresión de un modelo de sociedad antagónica a la democracia representativa, madre de la corrupción, el fraude, el latrocinio de los fondos públicos, la exclusión social, el individualismo, la discriminación racial y el entreguismo al imperio.

Es un proceso que, habiendo llegado al poder por los mecanismos y estructuras melladas del sistema, se niega a aceptar como destino manifiesto el modelo de "democracia" que el mundo neoliberal y unipolar ha dispuesto para los pobres y desamparados de la Tierra como único válido y permitido.

Estamos hablando de un gobierno constitucional que es resultado de la voluntad popular libremente expresada en las urnas en 1998 y que un año después volvió a validarlo con su voto, en medio de un ejército de observadores internacionales que escudriñó hasta la saciedad, sin encontrar un solo resquicio al fraude mientras enfrentaba una feroz campaña de mentiras y manipulaciones por parte de los grandes medios de comunicación, dentro y fuera del país.

Hugo Chávez fue dos veces a las urnas, refrendó la nueva Carta Magna porque aquella sobre la que él juró ante su pueblo el 2 de febrero de 1999, estaba moribunda.

Y este viernes, los golpistas pretendieron sacarla de su tumba y con ella a quienes fueron desterrados por el pueblo al basurero de la historia; esos mismos a quienes los cubanos conocimos bien y que son los terratenientes, los banqueros, los financistas, los grandes comerciantes, pero entre los que no hay un negro, un obrero, un campesino sin tierra, un simple maestro.

Son los mismos que el viernes último, con las caras desusadas por el tiempo, aplaudieron hasta el delirio cuando en un por cuanto se eliminaba el nombre de República Bolivariana de Venezuela.

No podía ser de otro modo. Bolívar nunca hubiera estado entre las filas de "esas fuerzas vivas", soportes de una sociedad decadente, porque Bolívar luchó por el futuro de prosperidad de la América Latina y estas que se congregaron en Miraflores en el convite del golpe representaban el oscuro pasado de una Venezuela que demostró ante el mundo y la Historia que definitivamente quedó atrás.

El golpe contrarrevolucionario del 11 de abril en Venezuela, fue la más acabada expresión del revanchismo y del odio que engendran la reacción y el fascismo, los que nada tienen que ofrecer como no sea la fuerza de la sinrazón y la venganza contra los que se empeñen en hacer valer los derechos del pueblo.

Esa es la lección del golpe blanco del 11 de abril en Venezuela, como también lo es el regreso del presidente constitucional, Hugo Chávez, por la batalla decidida de los venezolanos en las calles.

Es como si la Historia, de vez en vez, nos abriera sus páginas para que no olvidemos lo estudiado.

Tanto es así que estas jornadas venezolanas que culminaron en la victoria del pueblo contra la reacción nos evocan aquellas setenta y dos horas en que nosotros, los cubanos, hicimos morder el polvo de la derrota a aquellos que, como en Venezuela, intentaron de manera sangrienta hacer abortar nuestro proceso revolucionario.

Los golpistas de ayer como los de hoy se equivocaron. Abril nunca cederá sus días a la traición y al entreguismo. Abril, en Cuba y en Venezuela, será siempre y para siempre, el mes de la victoria.

 

Día 13:

Democracia e Historia

JOAQUIN RIVERY TUR

Desde sus preliminares, la noche del 12 de abril ya se escucharon en todas las latitudes los estampidos de pueblo que comenzaron a sonar por Venezuela en respuesta al golpe de Estado contrarrevolucionario.

La CNN estaba trasmitiendo imágenes de la toma de posesión del dictador por menos de 48 horas y de sus decretos, en Washington se pronunciaban palabras de regocijo disimulado ("Chávez tuvo la culpa"), cuando lo que de inicio fue un grupo frente al fuerte Tiuna comenzó a tornarse en multitud, a crecer en gritos de demanda, y las fotos del Presidente derrocado se lanzaron hacia el mundo ante las cámaras de televisión.

En algún lugar de los suburbios de Caracas, la Policía Metropolitana cumplía las órdenes del alcalde mayor Alfredo Peña, disparando bombas lacrimógenas y balas sobre otra multitud que sonaba un fuerte cacerolazo, unida por el mismo hilo de reclamo de democracia con aquellos que cercaban el Tiuna.

El golpe reaccionario era una opereta y su libreto tenía como base la mentira. "Chávez renunció", repetían para un efecto muy momentáneo de paralización e incredulidad. Duró poco. La verdad se abrió paso mediante las declaraciones valerosas de testigos que afirmaban la rotunda negativa del Presidente a rubricar el papel con un texto apócrifo, ratificadas por el fiscal general Isaías Rodríguez.

Los del golpe, el dictador de horas Pedro Carmona y sus ministros, ni siquiera tuvieron tiempo de posesionarse en sus despachos gubernamentales, cuando ya la enorme masa que los cálculos más conservadores señalan de 300 000 personas cercaba el palacio presidencial de Miraflores y el ex gobernante Carlos Andrés Pérez tenía que cancelar el pasaje del avión que pensaba tomar con el fin de "ayudar" al fugaz mandante. Se quedó con las ganas.

Las bandas con que contó Pedro Carmona dejaron en las calles de Caracas, durante las primeras horas del día 13, un reguero de violaciones de las leyes, de los derechos humanos que tanto proclaman desde la Casa Blanca. Ministros de Chávez maltratados, generales leales perseguidos, expedientes sobre corrupción desaparecidos.

El embajador norteamericano, lleno de júbilo, decía exultante: "El 11 de abril fue un día extraordinario en la historia de Venezuela".

Estaba contento, pero el 13 era número de agonía para ellos, de muerte para sus intentos.

La multitud creció con su demanda de retorno de Chávez y las unidades militares de la Fuerza Armada Nacional rechazaron una tras otra la maniobra traicionera. Primero, Carmona revocó su orden de disolución de los poderes legítimos; luego, se esfumó. Finalmente, fue arrestado por la Guardia Presidencial.

La ola inmensa de pueblo que se tragó de una hombrada la breve dictadura fue espontánea y telepática. Nadie sabía lo que sucedía, pero estaba consciente de lo que hacía. Las grandes cadenas de televisión que el 11 incitaron a la sublevación y trasmitían únicamente escenas de lo que hacía la oposición, el sábado 13 silenciaron todo lo que estaba ocurriendo. No dieron ni una sola noticia en todo el día.

Cuando Venezolana de Televisión (canal estatal) fue cerrado por los golpistas, la Sociedad Interamericana de Prensa no protestó. Cuando los canales privados dejaron de informar, tampoco. Pero la gente intuía la verdad, la conocía telepáticamente en emisiones que cada cual recibía desde su fuero interno. La verdadera democracia les corría por las venas abundante y fuerte y sus chorros se regaron como lluvia torrencial.

Y así se tejió la alegría. Los golpistas fueron aislados, el pueblo tomó el Palacio, la Asamblea Nacional se reinstauró y, al final, con el mismo humor de siempre, Hugo Rafael Chávez Frías, presidente constitucional, retomó el cargo del que lo habían sacado 48 horas antes.

La democracia, la verdadera democracia, la que surge de la propia etimología de la palabra y de la masa pobre, había retomado posesión del espacio político venezolano, las instituciones emanadas de la Constitución Bolivariana volvían a funcionar.

América miró asombrada. Un día antes, el Grupo de Río emitía un comunicado tímido cuando debió ser un grito de condena y de dolor. El mismo 13, ya después de derrotado el golpe, la OEA invocaba la famosa "Carta democrática" que nadie recordó el 11 ni el 12.

No abundaron gobiernos del continente que demandaran la inmediata restauración de los poderes constituidos legalmente. La mayoría "lamentaba" lo ocurrido y rogaba que pasara pronto. Cuba, la excepción, decía desde el primer momento lo que verdaderamente ocurría —golpe de Estado contrarrevolucionario— y reportaba la verdad públicamente. De no haber mediado la vigorosa reacción del pueblo y la Fuerza Armada venezolanos, quizás hubiesen aceptado algunos al nuevo dictador pelele.

Los venezolanos dieron inicio a una nueva etapa en la historia de América Latina, aquella en que el pueblo defiende lo suyo y frustra los golpes de Estado. La lección puede servir a otros.

Es una nueva democracia, que el pueblo impone y defiende.

 

Mesa Redonda Informativa

La importancia de la victoria es la fuerza que le ha dado al pueblo venezolano

Joaquín Rivery Tur

La constitucionalidad retornó a Venezuela. El papel fundamental para ello lo desempeñó el pueblo y su Fuerza Armada, que no permitió la consolidación de un golpe de Estado orquestado por los grandes empresarios y algunos militares que traicionaron la Carta Magna que debían servir.

Jóvenes venezolanos estudiantes en Cuba de la Escuela de trabajadores sociales presentes en el estudio de la TV en la Mesa Redonda sobre Venezuela.

Los acontecimientos de los días 11, 12 y 13 fueron seguidos muy de cerca por millones de cubanos y la Mesa Redonda de ayer aportó las últimas informaciones y comentarios sobre lo acaecido con el presidente Hugo Chávez y en Venezuela. Y, por supuesto, sobre la victoria del pueblo.

Las imágenes del primer reportaje que anunció el moderador Randy Alonso fueron muy elocuentes y nos recordaron lo sucedido a todos los que no dormimos por esperar el regreso del Presidente venezolano, la culminación de la victoria de las fuerzas populares a la que se refirió Juana Carrasco, del periódico Juventud Rebelde.

La primera represión prometía un baño de sangre con la ola de allanamientos, de detenciones, que recordaba las escenas del golpe de Augusto Pinochet en Chile en 1973. Pero el pueblo estaba ahí, en la calle, tal vez algo confundido en los primeros momentos, pero ocupaba su lugar y más adelante bajó de los cerros, de todas partes para rodear el fuerte Tiuna y el Palacio de Miraflores para demostrar que era él el que iba a detener el golpe.

Eduardo Dimas, comentarista de la Televisión cubana, fue eslabonando los momentos del golpe, de la correlación de fuerzas en rápido cambio hacia un apoyo a Chávez por parte de las principales unidades militares del país. En el aspecto militar, los actores fundamentales fueron los oficiales intermedios y los soldados, la base del ejército, que fue fundamental para detener el golpe contrarrevolucionario y derrotarlo.

Lo que sucedió el 11 de abril fue una conspiración de fuerzas internas reaccionarias e, indudablemente, a fuerzas de Estados Unidos, en el análisis de Lázaro Barredo. En febrero un funcionario del Departamento de Estado decía que Chávez no terminaría su período si no arreglaba las cosas en su país. Ese mismo mes en Estados Unidos se vertieron varias expresiones de altos funcionarios, de carácter seriamente amenazador, entre ellos el director de la CIA y el Secretario de Estado.

Lázaro recordó que la Embajada norteamericana en Caracas conocía perfectamente todo lo que se fraguaba y era visitada por oficiales que preparaban el golpe reaccionario y miembros de partidos de la oposición. En Caracas llegó a haber temores de que Chávez fuera llevado a Estados Unidos después de su secuestro.

Julio Montes, embajador de Venezuela en Cuba, que se encuentra en estos momentos en su país, aseguró telefónicamente que la capital venezolana estaba tranquila y el Presidente en Maracay, donde fue el foco de rebelión de los paracaidistas contra el golpe, y que la población caraqueña estaba mayoritariamente en su casa después de una noche en vela para derrotar la conspiración.

El diplomático informó que numerosos ministros nombrados por el dictador Carmona y generales traidores fueron detenidos, pero con todos sus derechos asegurados, lo que no garantizaron nunca los golpistas a los chavistas que detenían.

A la temprana declaración de los usurpadores del poder de que no le darían ni una gota más de petróleo a Cuba, Julio Montes contrapuso la información de que en el primer barco que venga a La Habana con combustible se organiza un grupo de trabajadores petroleros y dirigentes para que acompañe el embarque en un acto significativo de la profundización del proceso revolucionario venezolano y de cómo ve Venezuela la integración continental.

Para Rogelio Polanco, director de Juventud Rebelde, uno de los aspectos llamativos de estos días fue el papel abiertamente contrarrevolucionario que asumieron los medios de difusión masiva, entre ellos las estaciones privadas de televisión, y que ayudaron a los conspiradores en sus acciones, instigando a la violencia.

Respecto a la Embajada cubana, todo está ya normal. Germán Sánchez, el embajador, ronco posiblemente de las noches sin dormir, ratificó que la situación está en su cauce habitual y que lo más importante de la victoria es la enorme potencia que le ha dado al pueblo bolivariano y para los cubanos el triunfo fue de enorme alegría. Señaló que los cubanos en Venezuela actuaron como el pueblo espera que lo hagan en esas situaciones. Se comprobó, dijo, que Chávez vive en millones de personas dispuestas a seguirlo.

Correos para la Emancipación/ 15 de abril del 2002

 
TESTIMONIO DESDE VENEZUELA:
"FUNCIONÓ RADIO BEMBA"
Declaraciones de Lídice Navas dirigente del Congreso Anfictiónico Bolivariano-Venezuela

A la mañana comenzamos a pasarnos los mensajes, nos hablábamos por teléfono, nos pasábamos el mensaje de boca en boca, nosotros a eso le decimos Radio Bemba ¡Funcionó Radio Bemba! Esta es una lección para todos los pueblos. A las 9 de la mañana habíamos 25 personas en Fuerte Tiuna, pero ya empezó a llegar gente y más gente, era el pueblo que bajaba de los cerros, en sus carritos o a pie.
A las 14 horas salió un comandante a avisarnos que 4 regimientos se habían sublevado, declarándose leales al presidente Chávez, que sacaban los tanques y que fuéramos con ellos a Miraflores. Les dijimos que no. No. Vayan ustedes a Miraflores. Nosotros nos quedamos en Tiuna. Cuando vio eso la policía metropolitana se empezó a retirar. A la media hora se retiró completamente. Ahí dije, empecé a decir: "Están caídos". "Están caídos". Así fue en todos lados. ¡Funcionó Radio Bemba! Esto fue maravilloso. Fue el pueblo, fue el pueblo...



TESTIMONIO DESDE VENEZUELA:
"SE CAYERON LAS CARETAS"
Por Maximilien Averlaiz

Con respecto al inicio de los acontecimientos, nosotros tenemos testimonios, fotos del francés Moris Lemoine de Le Monde Diplomatique de Francia, con documentos sobre la matanza, los primeros tiros que fueron dirigidos de los francotiradores hacia los chavistas. Las imágenes que pasaron de chavistas por CNN no muestran el inicio de la agresión, sino a los militantes bolivarianos parapetados respondiendo al tiroteo de los francotiradores. La mayoría de los muertos son nuestros.
El pueblo frenó la contrarrevolución. La burguesía venezolana no fue capaz de imponer la dictadura. Tenían todo pero no pudieron imponerse. El pueblo venezolano dio una lección a la burguesía, a los medios de comunicación y al mundo entero. Hoy los medios de comunicación pasaban novelas. Hoy el pueblo fue a Canal 2 enfervorizado por esta manipulación. No sabemos qué podía pasar. Y fue Freddy Bernal (Alcalde revolucionario del Municipio Libertador de Caracas) a calmar la situación.
Ayer hubo represión política, arrestos arbitrarios, persecución. En 24 hs. desataron el terror, hubo muchísimas violaciones a los Derechos Humanos. En tres años de Chávez en el poder no pasó nunca eso. Y el empresario Carmona Estanga... ¡El mismo se autodeclaró presidente, él mismo renunció y ahora está detenido! Parece que Guaicaipuro Lameda -el anterior presidente de PDVSA y que fue nombrado nuevamente durante el golpe- está refugiado en la Embajada de los Estados Unidos.
Este ha sido un golpe mediático-fascista, es impresionante la colaboración de los medios y mucha gente va a tener que responder: colaboraron con un régimen terrorista.
El pueblo fue a Miraflores con las manos arribas para demostrar que no tenía armas.
Esto es maravilloso. Hay pueblo en las calles. Estamos esperando a Chávez. Están por aquí los amigos, los diputados, están los ministros, estamos aquí esperando a Chávez que está muy cerca.
Esto lo hicimos sin medios de comunicación ni nada, fue el pueblo el que se alzó. Chávez está muy cerca de Miraflores con un médico que lo está revisando.
Hoy las máscaras se cayeron. ¡Basta de mentiras e hipocresías!


ANÁLISIS DESDE VENEZUELA:
PASIÓN, MUERTE Y RESURRECCIÓN DE LA V REPÚBLICA
Guayú de Falcón

Las circunstancias vividas obligan a reflexionar las posiciones vanguardistas, la acción, el compromiso, y otras variables que pueden contribuir a despejar el camino de obstáculos para la construcción de la V República. ¿Pasó la emergencia? Si la conspiración estaba asesorada y planificada por el Tio Sam, tenemos que prepararnos para enfrentar un nuevo atentado más adelante. El objetivo no se cumplió y volverán a intentarlo con mayor fuerza si en adelante las condiciones políticas regionales y mundiales no cambian. Para que no lo intenten hay que tensar las fuerzas y construir esa misma red de conciencia popular que Chávez ha creado entre el pueblo venezolano, en los demás pueblos latinoamericanos, eso es lo único que nos asegurará resistir en mejores condiciones las arremetidas del imperio. Esta vez tuvimos suerte.
Contábamos con un pueblo con una nueva conciencia, consciente que se debía a un líder igual a ellos, a un mestizo, a un pardo, necesitaba un momento para expresarlo, lo hizo rescatando a su líder de las fauces del caimán.
Pero al mismo tiempo, la glotonería de unos generales y empresarios que vieron la oportunidad de cogerse PDVSA y explotar el país con un petróleo a más de 22 dólares el barril, jugó a favor de Chávez y ese pueblo, a favor de nosotros. El desconocimiento de los demás factores conspiradores de menor monta, como la CTV y demás oportunistas de "izquierda", la conformación de un gobierno reaccionario racista de elementos depredadores de oficio llenos de la ignorancia ilustrada recibida en las academias del puntofijismo, jugaron esta vez a favor nuestro.
Puede que nunca más volvamos a contar con ella, sin descontar que el pueblo venezolano completo se la jugó. Pero también pudo haber sido lo contrario, y hoy, en lugar de cantar de alegría, pudiéramos haber estado enterrando a miles y miles de compatriotas.
¿Conciencia Revolucionaria? ¿Consolidación de la V República? No lo podemos afirmar todavía. Mientras no superemos los más elementales problemas que confronta en la vida diaria la población, nunca estaremos seguros de responder correctamente las interrogantes planteadas.
Quizás la respuesta del pueblo tiene que ver más con la venganza contra las burlas y el odio sembrado por los medios de comunicación. Contra la segregación racial que los medios venían desarrollando, la cual se consolidó en el gobierno de facto de Carmona Estanga.
En un país de mestizos, una dictadura racista pretendió liquidar al gobierno del mestizaje; a esto fue a lo que con fuerza reaccionó el pueblo. Al odio mediático racial el pueblo le respondió con el odio del mestizaje nacional. La representación del próximo golpe si lo hay, será mestiza.
Enfrentar el Plan Colombia será nuestro verdadero infierno Tenemos que asegurarnos que los hijos de los Estanga, Lameda, Rosendo, Ortega, Otero, Granier, Cisneros, etc. sean los reclutados para enviarlos a la primera línea de combate en la frontera con Colombia. La recluta debería instalarse para hacer frente al Plan Colombia en la Caracas del Este, y no en el Oeste ni en Petare-Guarenas. A los hijos de los integrantes de Fedecámaras hay que reclutarlos para pelear la guerra que quieren hacer contra la guerrilla colombiana. No podemos permitirles que nos involucren en un asunto interno de Colombia y envíen a morir a los hijos de Catia y Petare. Eso no.
Tenemos una leve ventaja para enfrentar al imperio, el enemigo de siempre: aprovechar el liderazgo de Venezuela y de Chávez entre los pueblos del mundo y comenzar la cruzada de la organización de las redes sociales revolucionarias para construir la Patria Grande sin demora. Solos encerrados en nuestras fronteras, con una economía dependiente, en la época de la globalización, enfrentar el poder del imperio es imposible, salvo que estemos dispuestos más morir que a vivir.
Esta reflexión llega hasta aquí por el agotamiento de la jornada que vivimos. Pero antes una línea, Estanga prometió que el Estado pagaría la indemnización a las víctimas del 11 de Abril. Cambiemos sólo el sujeto de pago: que paguen con sus bienes los involucrados en la conspiración, con ello se podrán resarcir a las víctimas de los tres días; a los heridos, fallecidos y saqueados. Que paguen con todos sus bienes a las víctimas de su escalada sediciosa.



DOCUMENTO DESDE VENEZUELA
OPERACIÓN RESTITUCIÓN DE LA DIGNIDAD NACIONAL

El texto que presentamos a continuación es un documento histórico ya que fue determinante para definir la posición de las Fuerzas Armadas ante el Golpe de Estado y constituye un precedente inédito para las democracias latinoamericanas.

Manifiesto

Nosotros, los soldados ciudadanos de la FAN, invocando el Título VIII -De la Protección de la Constitución-; artículo 333, cuyas ejecutorias se enmarcan en el estricto apego a la Carta Fundamental, y las leyes de la República Bolivariana de Venezuela CATEGÓRICAMENTE DESCONOCEMOS la junta de FACTO que USURPÓ el poder legal y legítimamente constituido en Venezuela.
Informamos a la opinión pública Nacional, y a la comunidad internacional que somos respetuosos del texto, y de los principios consagrados en todos los convenios y tratados internacionales suscritos por la Nación., y atendemos especialmente al Título VII -De la Seguridad de la Nación-, y leyes vigentes.
Actuamos en cumplimiento de nuestro deber, nuestra honra y conciencia como ciudadanos militares. Así pues como militares venezolanos, nosotros juramos defender a la Constitución y las leyes, y en atención a esa palabra empeñada nunca respaldaremos a un gobierno dictatorial, de facto, puesto ilegal e ilegítimamente en función de unos intereses parciales, violando la voluntad popular. No somos fieles a personas sino a principios, y por esto es que asumimos esta posición. En virtud de resguardar el orden , la integridad y la paz física y moral, que tanto deseamos todos, tanto venezolanos, como la comunidad internacional, exigimos:

1. Que cese inmediatamente la matanza que efectúan especialmente las policías: metropolitana, Chacao y demás grupos que están siendo cruel e ilegalmente utilizados.
2. Que la verdadera sociedad civil conserve toda la calma la buena conducta cívica y se tranquilice, pues prontamente tendremos una salida honrosa para todos.
3. Que tengamos acceso a los medios masivos de información, ya que en estos momentos éstos no están cumpliendo su función de máximos defensores del derecho a la información verás, y así salvar vidas de compatriotas que están siendo asesinados en las calles. Cumplan pues con el máximo interés de cualquier ser humano decente. Ya que por su complacencia muere gente inocente y eso pesarán sobre sus conciencias.
4. Que se recupere el hilo Constitucional que ofrece suficientes mecanismos para resolver esta situación.
5. Que se convoque el referéndum consultivo previsto en la Constitución de la República Bolivariana de Venezuela para medir la verdadera voluntad venezolana.
6. Que cese el terrorismo, actos vandálicos y humillaciones contra compatriotas que actualmente se están violando sus derechos humanos en una siniestra -lista negra-.
7. Que nuestros soldados no agredan al pueblo, ni se cometa el terrible error de luchar entre hermanos militares.
8. Que renuncie el actual dictador que esta provocando un baño de sangre en todo nuestro país, y se restituya al ciudadano Diosdado Cabello, y al resto de los poderes, al Fiscal General de la República etc.
9. Ya que es el deber de los Ojos del mundo observarnos, exigimos su presencia mediante los organismos de derecho internacional que aquí les vamos a honrar dándoles un elevado ejemplo de democracia, y respeto a la ley.
10. Que se garantice la integridad física del Sr. Presidente Hugo Chávez Frías y se le traslade al Palacio de Miraflores y se le entregue al Coronel Jesús del Valle Morao, para restituirlo a su sitio de trabajo. Nosotros, y me refiero a todos, no tenemos otra alternativa que estar en paz con nuestra conciencia, así que espero que con este llamado nacional todos dejen sus intereses personales y piensen en el país, dando el ejemplo, y atendiendo a su sagrado deber con Dios y con la Patria.
Suscriben:
VA. Fernando Camejo A.
G/D Luis Acevedo Quintero Comandante Naval de Logística Inspector General Aviación
GB. (AV.) Pedro Torres Finol
GB.(EJ) Raúl Baduel. Com. de Op. Aéreas Com. 42 Brig. de Inf. Paracaidistas
GD. (EJ.) Julio José García Montoya. Secretario de SECONASEDE



VENEZUELA:
FRACASO DE LA DESINFORMACIÓN DE LA GUERRA DE BAJA INTENSIDAD
Por Stella Calloni
(La Jornada - México)

Parece hasta imposible pero ha sucedido en Venezuela. El mayor esquema de desinformación, como fue el establecimiento de una enorme cadena de televisoras al servicio del golpismo, orquestada con el apoyo estadunidense, logró capturar en su trampa de manipulación de los hechos a muchos medios, a algunos sectores intelectuales, y a analistas supuestamente "independientes". Se aceptó, sin ninguna prevención, la información provista por los medios que utilizó el golpismo. Fueron escasos los que trataron de conocer la otra cara de la verdad. Y con esto se cometió una de las acciones más perversas como fue la de mostrar a los muertos como "víctimas" de la "tiranía" chavista, que no registra, ni buscando con la lupa de Goebbels, ningún hecho que pueda imputarse a una dictadura. Resulta que pasando las horas, ahora se sabe que los francotiradores eran los golpistas y no los golpeados, que la Guardia Nacional estaba obedeciendo a los golpistas y no a los golpeados, que las andanadas de disparos no estaban cayendo sobre los "democráticos" manifestantes de las grandes Cámaras empresariales, la Central de Trabajadores Venezolanos, -que sólo representa menos del 12 por ciento de los sindicalizados en Venezuela- sino que caían sobre quienes rodeaban el Palacio de Miraflores para evitar el golpe. Que la policía que disparaba junto con los francotiradores estaba bajo las órdenes del Alcalde mayor de Caracas, Alfredo Peña, quien participaba en el golpe. ¿Qué dirán ahora los que juzgaron un golpe de Estado derechista como una acción democrática?. ¿Leyeron la Constitución nueva de Venezuela alguna vez? ¿Se preocuparon por saber lo que estaba pasando con la población real, que los partidos "democráticos" turnados en el poder durante años y expertos en corrupción, dejaron -en un 80 por ciento- sumergida en la pobreza?
No hubo golpe, dijeron en Washington. Pero resulta que el presidente Hugo Chávez nunca renunció, que las autoridades emergidas ilegítimamente del golpe argumentaron que había "renunciado ante el alto mando militar", lo que era a todas luces inconstitucional. El mismo Chávez -en una breve comunicación con su esposa desde su lugar de prisión- confirmó que no renunció y pidió que exigieran su firma para comprobarlo. Como todo golpe de Estado que se precie, el nuevo gobierno lanzó una persecución desmedida y se impuso lo que fue calificado como una "aterradora " censura de prensa. Varios corresponsales de distintos medios, algunos con base en Buenos Aires, llamaron hoy desde Caracas para advertir sobre la difícil situación que vivían, incluyendo llamados amenazantes, después de transmitir sus informaciones. La censura impuesta en la red controlada por Globo Visión sobre los sucesos que sucedieron este día y sobre la represión contra el pueblo venezolano que bajó de los cerros para exigir el retorno constitucional, no pudo finalmente encubrir la verdad.
El esquema de Guerra de Baja Intensidad (GBI) que Washington está aplicando en toda la región les había proporcionado ciertos triunfos en el esquema de la desinformación, especialmente por la cooptación de intelectuales, que encubren en una supuesta "distancia objetiva" su falta de definición frente al esquema de la dictadura global. Pero los sucesos de Venezuela han demostrado que también están fracasando en esto. Las imaginativas redes de comunicación alternativas han logrado derrotar el mayor esquema desinformativo de los últimos tiempos. La concentración del poder de los medios de comunicación masiva, contradictoriamente, disparó la imaginación de los soterrados, como sucedió en Chiapas en su momento. Y miles de mensajes a través de internet o de llamados telefónicos furtivos y otras acciones no menos creativas rompieron el círculo del silencio, La población venció el terror de las primeras horas y envió sus demandas desesperadas al mundo. Y esto dio sus frutos. La persecución lanzada como en los mejores tiempos de las dictaduras del sur, dejó sin habla a quienes encubiertamente- con mejores frases quizás- adhirieron a la visión estadunidense, como aquella del vocero de la Casa Blanca Ari Fleischer, cuando responsabilizó al gobierno derrocado- es decir a la víctima- por "alentar acciones antidemocráticas". El pasado 10 de diciembre el golpe ya estaba en marcha, pero no encontraban un remedo de Augusto Pinochet entre los militares, aunque lograron mostrar algunos generales y oficiales "disidentes". No resultó. Los mismos opositores pidieron "más apoyo " a Estados Unidos y trazaron entonces las "Bases para un Acuerdo democrático" que no era sino un programa de gobierno porque no dudaban de la toma del poder. Ese documento estaba fimado nada menos que por el empresario Pedro Carmona, ungido a la presidencia por los golpistas y que ya fue.. "El terreno estaba abonado en Washington" escribía en marzo el analista Pedro Fernández desde Caracas. Y por eso el pasado 10 de abril vez los medios de la oposición hicieron su famosa cadena para invadir al mundo con la información manipulada que debía sostener la acción golpista. Se puso en acción el libreto desetabilizador que había funcionado en Chile para el derrocamiento de Salvador Allende, además del eje militares-empresarios, trabajadores(en Chile especialmente los camioneros). Ahora suceda lo que suceda muchos de los que tomaron el camino que les propuso la conspiración mediática deberán asumir la responsabilidad ante las familias de las víctimas y el huracán que desataron en una América Latina en crisis. Los testimonios que circularon por las redes de la solidaridad fueron claves para la reversión de la situación en Venezuela como sucede cuando el alma, el "ánima" de un pueblo resucita y demanda.

 

Página 12/ 15 de abril del 2002

 

 
La lección de Venezuela
Por Mempo Giardinelli

Qué significado tienen los acontecimientos de las últimas horas en la sufrida Venezuela, vistos desde la Argentina? La importancia del contragolpe que recolocó a Hugo Chávez en la presidencia es enorme, porque las simetrías son notables. No exactas, pero sí lo suficientemente grandes como para que sirvan de espejo. Demostrando una vez más que en nuestros países la oposición puede ser peor que los gobiernos, las viejas dirigencias de Acción Democrática y Copei (los dos partidos que, como peronistas y radicales aquí, fueron arrasados en las urnas por Chávez) trabajó en las sombras haciendo alianzas con los sectores empresariales y los banqueros. La torpeza de las oposiciones sudamericanas viene siendo proverbial, últimamente, y ahora los vimos una vez más favoreciendo un régimen de ultraderecha como el que quiso instalar la Federación Empresarial (llamada Fedecámaras en Venezuela) con apoyo de algunos jefes de las fuerzas armadas. La incapacidad y la estupidez es su signo -sostienen algunos intelectuales venezolanos respetables– como podríamos decirlo nosotros aquí. Impresentables y rencorosos, se montaron sobre la confusión y el cansancio de las clases medias y la prédica canalla de los medios de comunicación más colonizados, tal como aquí. Los saqueos de los verdaderos hambreados sirvieron de pantalla a los saqueos organizados por los fascistas, igual que aquí. En algunas protestas civiles se agitaron banderas rojas para que los afanosos macartistas amenazaran con la siempre meneada “guerra civil”. También como aquí.

Fue tanta la torpeza, y es tal la voracidad de clase de los empresarios criollos, que colocaron en el Palacio de Miraflores a Pedro Carmona Estanga, presidente de Fedecámaras, que es como si aquí se pusiera a Eduardo Escasany, Gregorio Pérez Companc o Mauricio Macri en la Casa Rosada. O a Ricardo Lopez Murphy. Hicieron todo tan mal que pifiaron incluso en la adopción de las primeras medidas: cacarearon que no habría una gota más de petróleo para Cuba (y todos vimos por la tele el jolgorio de primeras damas y señores de traje) y suprimieron el adjetivo “Bolivariana”. Cuando afuera había una matazón tremenda y un caos –ése sí– espontáneo, ellos descorchaban champán y coreaban “ni un paso atrás, ni un paso atrás” mientras la pueblada se les venía encima.

Venezuela y la Argentina, que un día fueron los países más ricos de Sudamérica, los de clases medias más evolucionadas y los que hace décadas iniciaron procesos de industrialización, hoy están sobrevolados por fantasmas equivalentes. Los muertos se cuentan por decenas, la impunidad de los poderosos es la misma, y la dictadura de las cloacas mediáticas también. Es saludable y prudente, entonces, que el regreso del chavismo sea realmente conciliador (a juzgar por las declaraciones del vicepresidente Diosdado Cabello y del propio Chávez) porque es la cordura y la serenidad el mejor camino que les queda. Lo cual no será sencillo, dado el temperamento explosivo de su líder. Pero si él logra contenerse, si sus seguidores más sensatos consiguen calmarlo, y no hay revanchismo, entonces seguramente van a darse las condiciones para enderezar la situación y hacer lo que hay que hacer: Venezuela requiere, como nosotros, de veloces planes de reinserción social. Y no sólo veloces, sino inmediatos, concretos y visibles.

Mientras en nuestros países no se vea que las mallas de contención social atienden real y verdaderamente las necesidades de las grandes mayorías, y no se vea que esa contención sólo es preludio de cambios redistributivos mucho más profundos, no habrá paz. Es lo que no entienden jamás los Carmona Estanga ni sus equivalentes argentinos. Es lo que no aprenden las contumaces dirigencias políticas, de allá y de acá. Y es lo que forzosa y urgentemente deberían entender Hugo Chávez y todos los nuevos dirigentes alternativos que se están pariendo en las sombras. Es de esperar que -.a ellos sí-. lo ocurrido les sirva de lección. Es imprescindible que comprendan que la democracia es una permanente prácticade tolerancia y serenidad, pero en la que las medidas económicas deben orientarse hacia el bien común y no hacia el beneficio de unos pocos, los de siempre. Y sobre todo deben aplicarse con absoluta firmeza aunque con guantes de seda. En comprenderlo y llevarlo a cabo radica, quizá, la subsistencia misma de nuestras independencias. Porque ya se está viendo cómo piensan los neoimperialistas que consideran que los problemas sociales de la periferia son una “jungla” en la que más tarde o más temprano ellos van a “aplicar las leyes de la jungla”, como ha amenazado Robert Cooper, el consejero de Tony Blair, según la esclarecedora nota que Julio Nudler firmó el sábado pasado en estas páginas.

La lección de Venezuela es extraordinaria. Muestra que los pueblos de América latina asimilan la vida democrática y constitucional mucho mejor que sus dirigencias. Ilustra acerca del destino de las aventuras extralegales y la torcida utilización de las fuerzas armadas. Denuncia que el poder mediático de las derechas económicas sirve para soliviantar a los ricos pero no es suficiente para sostener gobiernos espurios. Advierte a los autoritarios y fascistas que ya no pueden imponerse como lo hacían antes, a puro engaño y mentiras. Y les avisa, a los gobernantes de extracción popular legitimados por el voto, que los pueblos quieren que los cambios prometidos se concreten en la realidad y sin medias tintas.

Y sobre todo, informa que los tiempos de la Historia se están acelerando dramáticamente.


Caracas queda muy cerca
Por Carlos Raimundi*

Hugo Chávez no resultó tan débil como parecía, y tampoco había unanimidad del ejército con el resto de las fuerzas armadas. El experimento de Pedro Carmona me suena más a improvisación que a solución de la crisis. El gran protagonismo militar es gravísimo, porque eclipsa a lo social. El clima de zozobra económica en la Argentina hace que el problema venezolano nos parezca como lejano cuando no lo es: hay un contexto de Colombia inestable y de Brasil en proceso preelectoral, lo que se traduce en inestabilidad democrática en la región. El debilitamiento del sistema como el venezolano no es un hecho aislado ni lejano.

El problema no debiera desvincularse de la crisis de Medio Oriente, por el hecho de que Venezuela encierra grandes reservas petroleras. El golpe, como se planteó en un primer momento, tuvo un claro signo en pro de los capitales de la región. Carmona pidió suspender la venta de petróleo a Cuba, un claro mensaje ideológico en que subyacen los halcones de Miami. Todo esto muestra lo difícil que es en América latina sostener a un gobierno que, más allá de los juicios de valor, intente medidas heterodoxas independientes del modelo neoliberal dominante. Tiene que ser una enseñanza para la Argentina, para el gobierno de centroizquierda de Brasil: no se trata construir popularidad sino sostenibilidad. El problema es cómo transformar el apoyo popular en sostenibilidad política, un desafío para toda la región. Hay otro dilema común: que existe sobredemanda de políticas estatales y al mismo tiempo faltan herramientas de control político y económico, como en Venezuela y Brasil.

* Legislador del Frepaso

 

Poner un freno
Por Manuel Gaggero

Evidentemente Chávez tiene el apoyo de todos los sectores más empobrecidos de Venezuela, pese a las dificultades y acoso de la burguesía venezolana, la que quiso obstaculizar la reforma agraria y el irrestricto dominio de los recursos naturales, específicamente el petróleo. El apoyo a Chávez se mantiene, pero el problema es la carencia de estructura organizativa que lo respalde: él confronta con una burocracia muy corrupta, los partidos tradicionales que se compartieron el poder –por ejemplo Carlos Andrés Pérez dijo que debería ser fusilado, y es nada menos que un demócrata corrupto que salió exiliado–; y la presencia muy fuerte de Estados Unidos. Lo que sucede es muy positivo para América latina. Pese al alineamiento con Estados Unidos, la mayoría de Latinoamérica no reconoció al gobierno de Carmona. Que se haya frustrado el derrocamiento de Chávez es ponerle el freno a un golpe militar que entre nosotros está siempre como horizonte posible. Chávez tiene futuro. Inicialmente pensé que iban a querer fusilar a este líder popular con gran formación intelectual, pero los hechos demuestran que los procesos populares no se acaban fácilmente.

EE.UU. EVITO MENCIONAR A CHAVEZ EN SU REACCION
Cuando ríen los ejes del mal

Podría decirse que la noticia del retorno de Hugo Chávez al gobierno venezolano generó reacciones encontradas como pocas otras. Mientras Estados Unidos evitaba mencionar el nombre del líder venezolano y recibía con muy poco entusiasmo la noticia de su vuelta, Irak e Irán –dos de los países del “eje del mal” de George W. Bush– se dieron el gusto de felicitar a Venezuela y a su presidente. América latina, en cambio, las reacciones fueron parejas: los gobiernos apoyaron la vuelta de Chávez. El único país que quedó un poco descolocado en este apoyo fue Colombia, que en un principio dio su apoyo a la breve presidencia del empresario golpista Pedro Carmona.

Un comunicado del departamento de Estado norteamericano evitó mencionar al mismísimo Hugo Chávez, instando a “las autoridades” a “mantener el orden y a asegurar las condiciones para el restablecimiento pleno de la democracia”. Quien también se pronunció fue la asesora de Seguridad Nacional, Condelezza Rice que aseguró: “Espero que Chávez comprenda el mensaje que su pueblo le envió, que su política no funciona para el pueblo venezolano, que ha gobernado de forma arrogante (...). Espero que aproveche la ocasión para cambiar de rumbo, que era realmente equivocado desde hace cierto tiempo”, declaró.

En la vereda opuesta, el gobierno iraquí se mostró satisfecho con la vuelta de Chávez y responsabilizó a Estados Unidos por el fallido golpe. “Felicito al pueblo venezolano por su victoria sobre el conspirador imperialismo estadounidense, un suceso que demuestra que las intrigas de los imperialistas fracasarán en todo el mundo”, dijo a la prensa el viceministro iraquí, Tarek Aziz. Irán también condenó el quiebre democrático: “Nos congratulamos del regreso de la paz, de la victoria de la democracia y del fin de las violencias en ese país”, afirmó el vocero del ministerio de Relaciones Exteriores que además aseguró que Irán está decidido a reforzar sus relaciones con Venezuela”, agregó Assefi. A estas declaraciones se sumaron las del dirigente libio Muammar Kadhafi quien aseguró: “Lo que hizo el pueblo venezolano levantándose para derrocar al fascismo confirma que los pueblos pueden hacer lo imposible cuando tienen voluntad”. También Qatar celebró el “retorno a la legimitidad”.

Los países de la región reaccionaron de diversas maneras. En Cuba, la noticia fue recibida con alegría. El regreso de Chávez al Palacio de Miraflores en Caracas fue transmitido en directo por la televisión y los principales diarios titularon con títulos alusivos al “rescate” del presidente por el pueblo y a la victoria de la “revolución”. En el caso de Colombia, la vuelta de Chávez representó un escenario difícil ya que en principio el gobierno de Andrés Pastrana había dado oficialmente su apoyo al empresario golpista Pedro Carmona. Ayer, con Chávez otra vez en el poder, el gobierno de Colombia reaccionó con cautela: “Nosotros respetamos la libre determinación de los pueblos. Es el pueblo venezolano el que se dará sus autoridades. De suerte que para el gobierno colombiano lo único que queda es ratificar el respeto de ese principio, y serán los venezolanos los que escogerán legítimamente a las autoridades que deben dirigir ese país”, sostuvo el ministro del Interior, Armando Estrada. Colombia se opone a Chávez por el apoyo que éste brinda a las guerrillas de las FARC.

Brasil se declaró “satisfecho” por el regreso del orden constitucional y consideró que se trató de “un acontecimiento significativo para la reafirmación de los valores y principios democráticos en América del Sur”. Además, expresó su confianza en que el gobierno constitucional del presidente Chávez sabrá busca un clima de paz, libertad y respeto a los derechos humanos; y los mejores caminos para promover la estabilidad y el desarrollo del país”. Además, una misión encabezada por el secretario general de la OEA, César Gaviria viajará hoy a Venezuela instando a “la normalización de la institucionalización democrática en Venezuela”. Ayer por la madrugada, y previo a la reasunción de Chávez, el organismo habíacondenado la alteración de la institucionalidad democrática en el marco de la Carta Democrática Interamericana.