Ludovico Geymonat è stato uno dei più insigni pensatori  del nostro tempo,autore, tra l'altro, di una raccolta in nove volumi della "storia del pensiero filosofico e scientifico". Fondatore, in Italia, della prima cattedra di Filosofia della Scienza ha dedicato molto tempo al tema della libertà.

Miriam Pellegrini Ferri dell'associazione G.A.MA.DI. ha realizzato, valorizzando il pensiero di Geymonat, un opuscoletto che ci è sembrato interessante riprodurre e divulgare rispettandone la completa "autonomia"…

CONCETTO DI LIBERTA'

Caduti tutti i miti delle verità assolute, anche nel campo dei valori etico politici, nell'impossibilità di stabilire, ad esempio: "ad azione giusta corrisponde conseguenza giusta" per i valori che richiedono tempi a volte vicini, a volte lontani, vedi i soggiorni coatti durante la repressione fascista (comportamenti divenuti dopo vent'anni azioni giuste ed eroiche), diviene indispensabile il ricorso ad un valore accettato universalmente, col quale commisurare la validità delle nostre azioni, le quali, tanto più saranno compatibili con esso, tanto più saranno giuste.

Non esiste al mondo persona, popolo, oppure Stato, che alla domanda: -vuoi la libertà? Ami la libertà? Operi per la libertà? - non risponda affermativamente.

Ecco perché, oggi, il valore universalmente accettato, porta il nome di Libertà. Ma dietro questo nome, soprattutto in campo politico-sociale,si nasconde, assai spesso, un grande vuoto teorico. Con questi pensieri, da noi appena accennati, Geymonat esprime, appunto, il suo concetto di Libertà. E per una seria e corretta analisi di questo concetto, l'autore sviscera i molteplici aspetti della vita dell'individuo, sia singolarmente, sia come entità sociale.

LIBERTA' COME INDIPENDENZA

Dimostrando come non sia possibile parlare d'indipendenza assoluta, in relazione allo Stato, pur avendo confini e leggi proprie, ma di come sia di per sé arduo parlare di Libertà relativa sia per la emulazione od al contrario, per la eccessiva differenziazione, che si instaura nei popoli, oltre che tra differenti Governi, considerando, inoltre, l'adesione data d questi ad organismi internazionali, per le rappresentanze diplomatiche, eccetera, Geymonat afferma che, in ogni caso, l'analisi del livello di Libertà di un popolo, non sia possibile, senza tener conto di tutta la sua storia.

LA LIBERTA' DEGLI INDIVIDUI

In questa analisi, Geymonat considera tre elementi fondamentali:

a)      lo stato delle cose (da dove prendere le mosse)

b)      l'insieme delle iniziative (o linee di condotta)

c)      l'atto di volontà con cui si decide di prendere l'iniziativa.

E' impossibile, quindi, fare dei confronti fra Paesi diversi, ed epoche diverse, anche in seno ad uno stesso Paese.

Affrontando, poi, il tema della scelta autonoma, anche in un Paese cosiddetto "democratico", Geymonat scrive:

" la scelta autonoma è paragonabile al nodo di una rete, nodo in cui pervengono parecchi fili della rete stessa, i quali si fanno equilibrio gli uni con gli altri, senza che l'uno sia prevalente sui restanti".

E' quindi impossibile ridurre la Libertà individuale ad un processo soggettivo. E' necessario pertanto, porsi la domanda:

-         Libertà per chi? -

Ed ancora:

-         Libertà per cosa? Per lo sfruttamento? Oppure, per imporre il proprio predominio? -

Se noi sapremo inserire queste risposte in un quadro di valori morali, noi sapremo anche individuare quali siano le forze che ci avversano o che ci ostacolano in questa ricerca.

Il tentativo interrotto di superare tali ostacoli, e la lotta contro di essi, è l'espressione più piena della Libertà.

Se ne deduce, perciò, come sia insostenibile che: Libertà significhi fine della lotta, fine dello spirito combattivo.

Su questo concetto Geymonat scrive:

"La tesi contraria per cui la Libertà non sarebbe lotta, è sostenuta di fatto da coloro che, avendo lottato e vinto in un passato più o meno lontano, hanno tutto l'interesse che non si lotti più, onde vengano conservati i loro privilegi."

LIBERTA' DI PENSIERO

In relazione a questo aspetto, Ludovico Geymonat, mettendo in evidenza l'analisi del pensiero espresso, quindi attraversa la parola, che, a sua volta richiama la LIBERTA' DI STAMPA, afferma come sia impossibile parlare di reale Libertà lo scrivere ciò che viene suggerito ed imposto dal Potere. E, per questo concetto, Geymonat scrive:

"in realtà, chi esalta la Libertà di stampa senza riflettere sul diverso significato che questo termine assume nelle condizioni concrete in cui viviamo, e senza riflettere sui limiti che esso incontra nelle cosiddette "società borghesi libere", presta il fianco alle più gravi e perniciose confusioni".

Geymonat continua mettendo sotto accusa la "moda culturale" secondo cui il Marxismo non avrebbe più nulla da insegnarci. Asserisce quindi che Libertà di pensiero significa:

LOTTA contro i pregiudizi, LOTTA contro le superstizioni (con riferimento preciso anche alle religioni), LOTTA contro le "mode culturali".

Lo storicismo scientifico, continua Geymonat, afferma la necessità di lottare contro il passato, ma nel contempo, l'esigenza di mantenere un legame effettivo con esso, sia per le azioni del presente, quanto per le giuste basi del futuro.

LIBERTA' DEI SENTIMENTI

In questa analisi, Geymonat mette in evidenza i due tipi fondamentali di sentimento che possono essere sentimenti individuali (molto importanti perché determinano i nostri comportamenti) e sentimenti collettivi, i quali, a loro volta, possono essere spontanei o condizionati. Ciò che oggi condiziona e trasforma i nostri sentimenti è la Propaganda, senza la quale la nostra società non potrebbe mantenere il suo Status. Geymonat fa poi cenno alle epoche di propaganda della religione cattolica, con le prediche continue, le rappresentazioni terrificanti della vita ultraterrena ed i racconti dei miracoli, più o meno credibili, e comunque martellanti. Geymonat ribadisce la necessità di lotta nei sentimenti affinché prevalga, di volta in volta, il sentimento migliore ma, nel contempo, ribadisce la necessità di lottare contro la cristallizzazione del sentimento stesso. Per una puntuale identificazione del sentimento migliore è necessario ricorrere alla "morale", con le sue leggi oggettive, anche se, ovviamente, non sono le stesse in tutti i Paesi. Per questo delicato aspetto dell'analisi Geymonat scrive:

" il sentimento morale contribuisce alla nostra Libertà perché vivacizza la dinamica di tutti i nostri sentimenti acutizzando la lotta fra sentimenti diversi e rendendola via- via più radicale".

LIBERTA' NELLA FANTASIA

Su questo tema Geymonat spiega la differenza tra il sogno e la fantasia, asserendo che nella fantasia vi è una "logica"

Ed è proprio nella logica che subentra il criterio di "lotta". Continua poi, asserendo come sia possibile sostituire il termine "fantasia", col termine creatività. Noi pensiamo che senza la sublime dote della fantasia, non esisterebbero discipline artistiche.

LIBERTA' E VIOLENZA 

1°) Abbiamo visto nei due capitoli precedenti che il concetto di libertà (sia dei popoli sia degli individui) rinvia a quello di lotta, e quindi, direttamente o indirettamente, a quello di violenza.

E' su quest'ultimo quindi che dobbiamo ora dirigere la nostra analisi, nel modo più spregiudicato possibile, superando quel falso pudore per cui si preferisce fingere che la violenza sia un aspetto marginale della nostra società, agevolmente cancellabile.

Già sappiamo che il problema della Libertà dei popoli coinvolge quello della guerra (di conquista o di liberazione) e la guerra non è neanche concepibile senza violenza, esercitata con mezzi primitivi o con sofisticatissime armi moderne.

Ma la via migliore per analizzare in tutti i suoi aspetti il concetto di violenza non sembra quella che parte dall'esame del concetto di guerra fra popoli, bensì quella che prende le mosse dall'esame del concetto di guerra civile, ammettendo che oggi si possa fare una netta distinzione fra i due tipi di guerra (cosa assai difficile in quanto la guerra civile fra due fazioni di un popolo rinvia sempre alla guerra, aperta o mascherata, fra gli Stati che proteggono l'una o l'altra fazione, come già si è accennato nel primo capitolo).

Fin dalla preistoria dell'umanità, noi troviamo numerosi esempi di guerra civile, quasi sempre molto feroci.

Va osservato però che il concetto di guerra civile va oggi notevolmente ampliato.

Mentre, fino a qualche tempo addietro si parlava di guerra civile solo se le due fazioni in lotta si combattevano con squadre di uomini armati, formanti battaglioni abbastanza regolari, oggi si può parlare di guerra civile anche a prescindere da tale convinzione.

Esistono infatti anche altri modi di lottare, e aspramente, non con le armi ma con altri mezzi (per esempio, con lo sfruttamento economico, con il sabotaggio, con la propaganda, con l'embargo, eccetera).

Se usiamo il concetto di guerra civile in questo senso ampliato - e tutto ci suggerisce di farlo - allora anche le lotte di classe, di cui Marx aveva giustamente sottolineato l'importanza decisiva nello sviluppo dell'umanità, diventano guerre civili.

E non si tratta solo di un cambiamento di nome, perché questo cambiamento comporta anche molte conseguenze pratiche: per esempio, comporta il dovere di trattare gli arrestati come prigionieri di guerra e non come volgari delinquenti, e comporta il diritto di rifiutare certi mezzi di forzata persuasione in uso contro i partecipanti alle lotte di classe.

Da questo punto di vista, il dilemma che talvolta viene sollevato di fronte a certi eventi di storia, e che consiste nell'essere " o si tratta di mera lotta di classe o invece si tratta di autentica guerra civile", non è più sostenibile, in quanto i due corni del dilemma non si escludono a vicenda o perlomeno si escludono soltanto in astratto se definiamo le due espressioni "lotta di classe" e "guerra civile" come le si definiva nel secolo scorso.

Basta però guardare gli avvenimenti che giorno per giorno si susseguono nei Paesi del cosiddetto "terzo mondo" per accorgersi che in tali Paesi non si può fare una netta distinzione tra lotta degli sfruttati contro gli sfruttatori e la guerra dei popoli per raggiungere la propria indipendenza.

In parecchi di questi casi si direbbe che il risultato di tale groviglio di lotte e di violenze non sia, a rigore, un incremento della Libertà degli individui che vi partecipano, ma ciò accade solo perché si giudicano simili eventi dall'esterno, in base a criteri validi per noi e non per loro.

Il giudizio sarebbe invece diverso se si tenesse conto delle esigenze di quei popoli, della loro storia, delle loro condizioni di Libertà, dei loro costumi, delle loro religioni.

Il fatto è che i Paesi cosiddetti civili, essendo nettamente più forti dal punto di vista economico e da quello bellico, possono pretendere di imporre che sia universalmente accettato come lecito il tipo di violenza da essi praticato e regolamentato dalle loro leggi nazionali ed internazionali.

Secondo loro, questo tipo di violenza sarebbe perfettamente compatibile con la Libertà, mentre non lo sarebbe il tipo di violenza praticato dai popoli detti incivili.

Ma su quale base possiamo distinguere i "popoli civili"?

Nessuno può mettere in dubbio il carattere relativo del concetto di civiltà che, ad un esame oggettivo un po’ accurato, si rivela profondamente diverso da un'epoca ad un'altra e da un popolo all'altro.

Se noi, malgrado la nostra consapevolezza critica, continuiamo a ritenere che la nostra sia la "vera" civiltà, e che perciò unicamente la violenza consentita in nome di questa civiltà sia compatibile con la Libertà, è chiaro che ci rendiamo colpevoli di gretto immobilismo.

La nostra fede nel carattere civile delle nostre istituzioni e del nostro modo di vivere non è meno dogmatica della fede che avevano i nostri avi nella verità assoluta della loro religione.

Esso ci ricorda il famoso detto del re di Prussia "Got mit uns (Dio è con noi).

Oggi noi possiamo ridere di questo detto, ma dovremmo ridere con pari sicurezza della tesi, per tanto diffusa, secondo cui "la civiltà e la Libertà sono con noi".

2°) Quanto ora esposto ci permette a questo punto di affrontare il delicatissimo problema del terrorismo.

In genere il ricorso ad esso viene considerato un fatto estremamente incivile; il terrorismo infatti è un'arma che colpisce l'avversario in forma insidiosa, senza rispettare alcun confine, senza il ben che minimo tentativo di distinguere tra colpevoli ed innocenti.

Così almeno viene descritto (o, più recentemente, demonizzato) da coloro che ne sono il bersaglio.

Inoltre esso viene accusato di richiedere una forte dose di fanatismo, perché in molti casi il terrorista sa che anche la sua stessa persona potrà venire travolta dal disastro che egli si accinge a provocare.

Non per nulla, quando il terrorismo viene usato in modo sistematico da uno Stato in guerra contro un altro Stato, si parla non tanto di terroristi quanto di "battaglioni suicidi".

 Senza dubbio il fanatismo è riprovevole, ma a ben riflettere, non è facile stabilire una netta differenza tra il fanatismo del battaglione suicida ed il cosiddetto eroe, da tutti ammirato ed esaltato.

Basti ricordare alcune delle azioni che fin da ragazzi siamo abituati a chiamare "eroiche": per esempio, il famoso sacrificio di Pietro Micca.

Se ci chiediamo che cosa distingue tali azioni da quelle compiute dai cosiddetti battaglioni suicidi (siano essi vietnamiti o giapponesi o iraniani) ci troviamo in grave difficoltà per dare una risposta soddisfacente.

Né si ha il diritto di rispondere che l'azione eroica è dettata da motivi razionali, mentre l'altra è dettata da motivi irrazionali.

Con quale criterio infatti si può giudicare la razionalità di un'azione? Solo esaminando se l'azione, di cui intendiamo parlare, rientra o no in un piano espressamente delineato al fine di raggiungere un certo scopo.

Ma l'esito di tale esame dipende in modo essenziale dal punto di vista in cui si pone colui che si accinge a compierlo.

Potrà pertanto accadere che la medesima azione sia giudicata razionale o no, frutto di eroismo o di mero fanatismo, a seconda del punto di vista dal quale ci collochiamo.

Né va dimenticato che in tutti i conflitti è sempre ritenuto valido il giudizio pronunciato da chi sta dalla parte del vincitore.

Parlare di razionalità o irrazionalità di un'azione è semplicemente un segno di ignoranza o di grave superficialità.

Non ha quindi senso la pretesa di fare riferimento a tale presunta razionalità per decidere se un atto di violenza sia o no espressione di Libertà.

3°) La parola fanatismo è un termine spregevole col quale noi "civili" miriamo a gettare discredito sulle persone che ci combattono.

Secondo il linguaggio comune, il fanatico è colui che non riflette criticamente sui motivi delle proprie azioni, cioè agisce per istinto, lasciandosi guidare da un'infatuazione cieca o da un odio altrettanto cieco.

Ma a ben considerare le cose, il comportamento (per lo meno in guerra) delle persone non fanatiche non pare differenziarsi molto dal comportamento delle persone fanatiche.

Per esempio, il comandante militare che decide freddamente di bombardare una città, senza preoccuparsi se le sue bombe andranno a colpire soltanto i soldati nemici o anche degli innocenti, può non agire per odio (può anche agire per il trionfo della Libertà) ma chi subisce gli effetti della sua azione non farà differenza a seconda delle intenzioni che hanno ispirato il bombardamento stesso.

La differenza tra il freddo e cinico generale che ordina il bombardamento a tappeto di una città ed il fanatico capobanda che guida i suoi uomini al saccheggio del Paese nemico, è soprattutto una differenza di eleganza, non di contento civile.

A rigore, ciò che fa ritenere più civile il comportamento del generale è soltanto la superiorità dell'esito al quale conduce.

Apparentemente l'azione bellica razionalmente organizzata è meno violenta dell'azione mossa dal fanatismo, anche se produce un maggior numero di morti (si pensi agli effetti dell'uso dei gas tossici nella prima guerra mondiale); proprio perciò l'attacco di soldati fanatici che si scatenano in un corpo a corpo crudele viene guardato con una certa aria di superiorità da chi è in grado di combattere con armi automatiche che non insanguinano le mani.

Ma si tratta di varianti della violenza, che non ne mutano il carattere di fondo.

L'aspetto più o meno cruento di uno scontro armato non è qualcosa che possa interessarci.

La cosa che ci interessa è l'abbinamento tra violenza e Libertà, che si intrecciano l'una con l'altra così strettamente da non poter venire prese in esame separatamente, per lo meno nel concreto della storia.

Diversamente si cade nella "utopia".

4°) Tutti conoscono il significato del termine utopia: Ma non si riflette a sufficienza sui nessi tra utopia e Libertà.

Questi nessi consistono nel fatto che, se vogliamo parlare della Libertà senza riferimento alla violenza, ci troviamo nel mondo dell'utopia.

Qualcuno potrebbe obiettarci che ciò non è necessario, bastando a tale scopo riferirci ad una società ben ordinata, in cui la vita sia regolata da leggi precise, approvate da tutti.

Rispondiamo che una società siffatta non esiste in realtà.

Senza dubbio possiamo sognare una società che si approssimi ad essa, ma un esame spregiudicato delle società effettive ci dimostra che la realtà è ben diversa.

Chi afferma il contrario, lo fa intenzionalmente, perché vuole nascondere a se stesso e agli altri gli aspetti violenti della società in cui vive; lo fa perché, sentendosi a proprio agio in essa, e nutrendo un'infinità di pregiudizi contro la violenza, vuole sostenere che è una società libera, in cui non alberga alcuna violenza.

Ma si tratta di una illusione, di un inganno preparato contro la ragione. Si tratta di un'illusione particolarmente pericolosa perché ci distoglie dall'esaminare i caratteri concreti dell'autentica Libertà, di quella Libertà per cui si sono compiuti tanti sacrifici nel corso dei secoli, per cui si è tanto combattuto, si è versato tanto sangue, spesso in buona fede.

Senza dubbio l'utopia ha espletato funzioni assai importanti nello sviluppo delle idee, mostrando di volta in volta quali erano i punti più difettosi delle società vigenti nelle varie epoche storiche, ma ha pure avuto non di rado una funzione negativa, in quanto ha distratto gli studiosi dal prendere atto della realtà in cui viviamo.

Nel presente caso essa ha il merito di mostrare che la Libertà senza violenza è realizzabile solo in una società perfetta, ben diversa da quella in cui ci tocca vivere.

Come in geometria non si può parlare di punti senza parlare anche di rette e piani, trattandosi di concetti che non si possono definire se non tutti insieme, così accade nei problemi di cui ci stiamo occupando, nei quali non si può parlare di Libertà senza parlare nel contempo della società perfetta nella quale essa si esplicherebbe.

L'esame dello sviluppo del concetto di Libertà ci insegna che non solo filosofi ma anche uomini d'azione hanno parlato di Libertà in termini astratti, come se si trattasse di un concetto definibile isolatamente, senza riferirlo all'ambiente storico in cui tale Libertà dovrebbe esercitarsi.

Ma così facendo, essi non hanno dato alcun contributo serio all'analisi del concetto in questione.

Altrettanto può ripetersi del concetto di violenza, che a rigore non può venire analizzato e valutato (con una soluzione o con una condanna) se non in stretto collegamento con il concetto di società.

E' sulla base di questa situazione parallela che qui abbiamo sostenuto l'inscindibile rapporto fra Libertà e violenza.

Molte esaltazioni, per lo più retoriche, della non violenza intesa come bene indiscutibile, sono un segno di ignoranza più che un frutto di raffinata sensibilità e di alta civiltà.

 

LIBERTA' E POTERE

 

Risulta che l'Ordine Vigente, obbedisca ad un principio d'inerzia fino a che forze esterne non vengano a mutare il suo equilibrio. Noi riteniamo che se tutto è "dinamica", tutto è "movimento", questo "ordine delle cose", non potendo progredire, in alcun modo, proprio per la dialettica delle cose, vada progressivamente a ritroso, rendendo chiari, in tal modo, i motivi di tutte le perdite subite dal nostro popolo, anche rispetto alle conquiste più significative, costate aspre e tenaci lotte.

La forza delle armi, le leggi, la propaganda secondo cui, questo, sarebbe il migliore degli Stati possibili: sono i mezzi di difesa dell' "Ordine delle cose" e si chiama: IL POTERE.

Geymonat scrive: "se noi chiediamo ad un rivoluzionario quali cose vorrebbe cambiare in quest'Ordine egli risponderà: voglio cambiare tutto. Se invece ci rivolgiamo ad un conservatore, più o meno dichiarato, egli dirà: voglio apporre qualche modifica, applicare qualche riforma. Il che è semplicemente impossibile e quindi è come voler dire: io non voglio cambiare nulla.

Geymonat scrive ancora: "un semplice esame di quanto è accaduto e continuamente accade nello sviluppo della società, ci dimostra che le iniziative di riformare "l'ordine vigente" o investono la totalità di tale ordine o falliscono".

Geymonat sostiene di schierarsi dalla parte dei rivoluzionari, proprio perché i loro aneliti, sono scientificamente giusti. Geymonat afferma, inoltre, quando la lotta per la totale trasformazione della società, è vittoriosa, le conseguenze sono effettive e concrete. Anche in base a quanto sopraddetto possiamo affermare, quindi, che la Libertà non è uno status da difendere, ma, al contrario, essa è il frutto di una conquista quotidiana.

Geymonat scrive ancora: "i progetti di destabilizzazione vanno difesi, quando mirino alla conquista della Libertà". Noi possiamo agire in questo senso, anche introducendo i principi della filosofia materialista dialettica che comporta la valorizzazione del movimento e della sua antitesi. Possiamo inoltre, partecipare con la persona fisica a quei movimenti che contestano ordine vigente.

Geymonat scrive ancora: "la destabilizzazione dell'ordine vigente, non costituisce soltanto un'espressione di autentica Libertà ma è anche una porta aperta verso un'avventura di cui non si può prevedere l'esito".

Ed è proprio per questo ignoto che fa leva il potere, per esercitare il "Terrore" nei cambiamenti e conservare il proprio status. Da parte di molti, pur riconoscendo i difetti di "questo potere", viene l'affermazione di preferirlo al "salto al buio", vecchio slogan, tuttora utilizzato.

Geymonat, si esprime con estrema chiarezza quando afferma: "ciò che noi cerchiamo di combattere non è l'esistenza di un POTERE, bensì la sua trasformazione in qualcosa di intoccabile, cioè della sua entità metafisica… - ed ancora - difendere la Libertà significa difendere il cambiamento o almeno, la possibilità di cambiamento".

La Libertà, in qualunque modo la si voglia intendere, ha una sua dinamicità, che ha il carattere di lotta. Libertà significa il perenne ampliamento, approfondimento, analisi critica, discussione, potenziamento della creatività…

Noi ci auguriamo che queste importanti tesi, al di là delle diverse maniere d'intendere e di accettarle, siano uno spunto efficace per un serio dibattito, soprattutto tra coloro che intendano collocarsi fuori dal pernicioso individualismo oscurantista, per fornire alla società "moderna e scientifica", elementi utili al civile progresso politico, culturale e quindi sociale, di tutta l'umanità.

Nota.: chi è interessato alle tematiche qui espresse ed alle produzione G.A.MA.DI. si rivolga al telefax 06.7915200, piazza L. Da Vinci, 27, 00043 Ciampino (Roma)