SCHEDE
DI DOCUMENTAZIONE 3
Nuove
generazioni e lotta politica
Note di Michele Capuano,
Edoardo Nucci, Elio Lamari, Enrica Antognelli, Ines Venturi
- Esiste una "questione" giovanile? L'unica cosa certa è
che esiste una condizione giovanile! I giovani hanno assunto un ruolo
preminente non solo verso la fine del fascismo, negli anni '60, nel '68 e
nel '77 in particolare ma, generalmente, in ogni periodo storico (dentro
processi contestativi non sempre di sinistra) la loro voce è stata forte e,
non raramente, si è amplificata con altre. Verso la fine del '68, ad
esempio, le idee di egualitarismo e trasformazione dalle Università entrano
nelle fabbriche mettendo in discussione la gerarchia dei ruoli fino ad
invadere ogni rapporto sociale. La caratteristica di una gioventù ribelle
è quella di auspicare un soggetto collettivo, rifiutare burocratismo ed
autoritarismo e, pur avendo un ritardo d'analisi sulla cittadinanza sociale
ed i diritti che ne dovrebbero conseguire, proporre una
"rivoluzione" della condizione umana complessiva. Non casualmente
gli anni '60 furono anche quelli dell'organizzazione e della ribellione
delle donne e, più in generale, della "libertà sessuale" ed
artistica. Già verso la fine del '69 si era intuito che il sud aveva non
solo lavoratori a paghe più basse ma, al contempo, maggiore disoccupazione
(esistenza delle zone salariali) e si era compreso che il
rapporto tra operai specializzati ed operai comuni, tra classe ed
impiegati, tra lavoratori e studenti era
la condizione essenziale per costruire un concreto "autunno
caldo"… Non casualmente la conquista delle 40 ore (rapporto tra
salario ed orario di lavoro), e successivamente, dello Statuto dei
lavoratori, del divorzio, dell'aborto e della legge di parità sono
conseguenze di una grande spinta innovativa e "ribelle" di una
generazione intera. Ma, indubbiamente, ciò che più va valorizzato di quel
periodo (i cui effetti hanno pervaso tutti gli anni settanta) è stato
l'unire ciò che il padrone divide. Casa, scuola, diritti e sanità,
internazionalismo e pace, ambiente e lavoro: nulla rimase fuori da un
programma ampio, diffuso e non settario. Pensare ai giovani per costruire un
nuovo '68? Oggi abbiamo bisogno di ricomprendere la realtà, le stesse
classi, la crisi generale che ci circonda (del Capitale e del movimento
operaio) per rilanciare lotte ed iniziative, processi organizzativi e
programmi dentro un linguaggio nuovo ed una vera e propria
"rivoluzione" della politica e del modo di fare politica. Non è
facile e, forse, neppure ne siamo all'altezza ma è certo che dobbiamo
provarci. L'anticomunismo, pure se all'apparenza è nel presente un fenomeno
da baraccone, è, oggi, più aggressivo ed infame tanto quanto più
selvaggia e violenta è la restaurazione conservatrice e capitalistica
(indubbiamente più intelligente rispetto al passato tanto da avere la
capacità di difendere i ricchi illudendo i poveri con palliativi dando la
sensazione che si opera per diritti complessivi…). Anche per questi motivi
nessun partito, per quanto rivoluzionario, è sufficiente per la conquista
di una società inedita né sarebbe comprensibile un
"Partito-Stato". La borghesia,
le classi dominanti in genere, hanno "inventato" il
Profit-State e, irrimediabilmente, un'organizzazione rivoluzionaria deve
suscitare movimenti, aggregazioni e "consigli territoriali" per
"avanzare" e "resistere".
Alcuni "capi" e "grandi pensatori" di sinistra, che pure
hanno intuito questa esigenza la riducono all'incontro tra se stessi ed i
loro "egoismi" di parte: al massimo esprimono solidarietà ad ogni
"forma" anche spontanea di lotta che viene dalla società senza
nessuna esatta distinzione tra "sacrifici inutili" e battaglie necessarie.
- Una gioventù che non crea è un'anomalia. Una gioventù che si
rinchiude in un orticello comunque colorato è destinata alla disfatta e,
prima o poi, all'assorbimento da parte dei "club degli adulti" non
disinteressati. Una gioventù settaria e pressappochista è, di fatto,
formalista e separata dalle masse: a maggior ragione se non è
internazionalista ed, oggettivamente, non opera e non è inserita in un
territorio. Essere giovani, paradossalmente, è importante quanto
appartenere ad una classe sociale: un giovane, ovvero, può essere un
rivoluzionario (o un reazionario) qualsiasi sia la sua classe di
appartenenza. Gran parte dei giovani, oggi, amano definirsi
"apolitici", altri "anarchici", alcuni
"comunisti" pur se sprovvisti di uno studio adeguato, altri,
ancora, ribelli comunque (poi li trovi ad attaccare manifesti che confondono
Guevara con il Duce…). Eppure il movimento ambientalista e quello
pacifista hanno avuto il massimo della partecipazione proprio dei giovani e
delle ragazze. Il socialismo è e rimane la "gioventù del mondo"!
Può un adulto, o uno stesso giovane, chiedersi: "cosa deve essere un
giovane?". Compito degli adulti è semmai quello di comprendere quali
strumenti sono utili ad una spontanea e libera organizzazione della gioventù,
non imbrigliarli in logiche di partito e, soprattutto, valorizzarne lo
spirito critico e nemico di ogni "morale borghese". Intanto masse
non indifferenti di "ventenni" vota a destra e frequenta sedi
razziste e per "superuomini" o abbonda in manifestazioni religiose
(oltre "comunione e liberazione") non raramente ambigue e
"gerarchiche". Si possono produrre inchieste sui giovani? Le
inchieste che li riguardano, strumentali e commissionate, sono tendenziose
quanto inconcludenti. I giovani diventano ciò che "alcuni adulti"
vogliono che siano: istintivi, drogati, poco religiosi, presuntuosi, scarsi
ad idee, privi di morale, sfaticati ecc. In sostanza si vuole far intendere
che i giovani sono responsabili degli stessi drammi che li coinvolgono. In
realtà le nuove generazioni, quasi sempre, sono "non servili",
contestative e "prive di rispetto" per molte cose che incarnano il "vecchio
mondo". Non incanalare nella giusta direzione questa condizione,
soprattutto con l'esempio, non può non determinare un dramma storico. Il
PCI non riuscì a farsi contaminare dai giovani e la Nuova Sinistra non
seppe "ringiovanirsi"… La nuova cultura urbana che pure nasceva
e la vecchia cultura contadina che non si tramandava si dispersero,
essenzialmente negli anni ottanta ed ancora negli anni novanta, in una
cultura del regresso e del "cedimento" (avanzamento di un processo
di americanizzazione della società europea) anche se l'antico senso
religioso, politico, morale è tendenzialmente vissuto come anacronistico
per ragazzi e ragazze. Eppure, anche se inconsapevolmente, le nuove
generazioni ed i giovanissimi in particolare hanno già iniziato la loro
battaglia contro la mediocrità delle società borghesi. Il tentativo di una
parte di adulti (tra questi la Chiesa o i ceti politici) è quello di
dimostrare che i giovani, nella loro stragrande maggioranza, sono
"abulici", discotecari, immaturi e trattano la materia come se
fossero in un laboratorio dove si pratica la vivisezione degli animali
incuranti di ogni esigenza e bisogno, la mancanza di spazi dove fare e
vivere la cultura e che, spesso, anche studiare è diventato un
"inutile dovere" in conseguenza della mancanza di qualsiasi
prospettiva di lavoro e di futuro. Certo: non possiamo non riconoscere una
cultura "frammentaria", l'adesione spesso "passiva" ad
ideologie o iniziative, un "ribellismo", a volte, confuso di molti
giovani ma ciò che più deve impensierirci non sono le contraddizioni dei
"nostri figli" e delle "nostre figlie" ma il
"ricatto generazionale" di cui è unico possessore il "mondo
degli adulti". In sostanza: non esiste una questione giovanile mentre
esistono più questioni che riguardano i giovani. Portare i giovani
"fuori" dalla "vecchia struttura" non è automatico né
facile anche perché una esatta distinzione tra ciò che è davvero nuovo e
ciò che è vecchio non è facilmente distinguibile (imponente è per
determinarlo il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, lo stesso
consumismo e un debole ruolo delle famiglie "moderne"…). Si
pone, allora, il problema dell'avere programmi chiari ed immediati per
costruire l'alternativa, regole "rivoluzionate" nelle
organizzazioni di classe, muri da dipingere e spazi da occupare: la crisi
delle classi dominanti non è una crisi di egemonia ma semmai una crisi di
autorità ed i giovani rischiano di allontanarsi da qualsiasi
"ideologia" ed avere facili passioni per eruditi, demagoghi,
divi-simbolo e per processi aggregativi fini a se stessi. Quindi: è
possibile un "sovvertimento" del vecchio ma è, altresì,
possibile la sua totale restaurazione. Ma chi deve "educare" chi?
Educare significa "tirar fuori": altro è insegnare. I giovani non
necessitano di insegnanti ma di educatori: il "CHE" è un esempio
di educatore come, per assurdo, potrebbe esserlo Dario Fo mentre la famiglia
è in crisi, lo sono le istituzioni democratiche, la scuola e le stesse sedi
sociali. C'è, mentre il Welfare diventa quello dei miserabili,
l'impoverimento dei valori… La borghesia in realtà non riesce ad
insegnare ("mettere dentro") granché ai propri giovani e non
trova niente di meglio che "affogarli" con privilegi ed "alta
tecnologia" mentre persiste nella pratica del "nepotismo"
e della separazione (possessione di mezzi ed opportunità) tra gli
stessi e quelli degli altri (del popolo). Nello "scontro
generazionale" che non ha un confine di classe prestabilito, comunque,
c'è la consapevolezza di una ipocrisia evidente dei "dominanti"
(padri e madri comprese) che determina irrequietezza e
"ribellione" la stessa che ci si auspica a sinistra contro una
"dirigenza aristocratica", selettiva, piccolo-borghese che non
inventa "capi" organici ma "padroni" della loro stessa
organizzazione… "ribellasi è giusto, è sacrosanto farlo con
qualsiasi mezzo ed in qualsiasi condizione" ma ancora più giusto è
farlo studiando ed organizzandosi per, poi, fondare una "volontà
collettiva" per una qualità della vita nuova.
- I lavoratori possono assolvere alla loro funzione storica
rivoluzionaria se sanno aggregare attorno a sé un sistema di relazioni, di
saperi e di valori dei quali le donne ed i giovani sono straordinari
portatori al pari dei movimenti pacifisti, ambientalisti, della solidarietà
e dell'amicizia in genere… Va realizzato un "compromesso
storico" dal basso che implica una politica delle alleanze ma ne
individua il terreno a partire dalle condizioni di vita, dalle grandi
questioni da risolvere, dagli stessi sogni. Una politica delle alleanze per
la nascita di un blocco storico moderno ed essenziale presuppone la diversità,
autonome intelligenze ed il saperle valorizzare, impone anche piccole lotte
e la comprensione che non ci si batte per esasperazione ma consapevolmente.
Sconfiggere l'allargamento nella base sociale dei gruppi dominanti
presuppone lo spazzare via la ristretta logica di partito buona per
manovratori di voti e carrieristi ed, indubbiamente, nociva per l'affermarsi
di un "nuovo umanesimo". Un "socialismo del consenso" è
possibile se sai parlare ai giovani, alle donne, al diverso da te.
- Quale è il compito che sta, oggi, davanti alla gioventù italiana?
O meglio: i giovani possono essere i protagonisti di una battaglia di
emancipazione della società intiera? Nella fase attuale i giovani
rappresentano energie rinnovatrici? Generalmente la nostra gioventù, negli
ultimi anni in particolare, è stata "vittima" di ampi processi di
disgregazione, degenerazioni, emarginazione ed indifferenza, qualunquismo e
subalternità anche se si fa e si faceva finta che fosse il contrario. Tra
l'altro sembra non aver senso neppure fare una storia delle giovani
generazioni, dei loro comportamenti, delle loro scelte, del loro irrompere
nella storia modificandola. Giovani operai, giovani studenti, ragazze…
Collettivi, associazioni, centri sociali, comitive… Lottare per un Reddito
Sociale Minimo, per il lavoro ed una scuola garantiti, una nuova etica, un
nuovo modello economico ed una riconversione culturale non può prescindere
dalle giovani generazioni. La società multietnica dovrà essere la loro e
loro il possesso dell'informatica e delle risorse ambientali per garantire
la sopravvivenza della specie e dello stesso pianeta. La "Vertenza
Occupazione" è anche una "Vertenza Giovani" mentre c'è un
egoismo nuovo nelle stesse lotte operaie e tra popoli. La "vertenza
giovani" è nazionale, europea, mondiale. Implica il bisogno di una
"nuova liberazione" dei popoli oppressi dalla mondializzazione
capitalistica e la valorizzazione della solidarietà oltre ogni confine. Una
"vertenza giovani" non riguarda l'anagrafe o l'età ma piuttosto
un problema storico e politico non risolto. Ai giovani va delegato il
compito di essere nemici dello
sfruttamento dei minori e dei "migranti", della fame e delle
carestie, delle guerre e della mortificazione di etnie, minoranze e popoli
interi contro logiche di semplice "difesa" e sconfiggendo un'americanizzazione
preoccupante per tutto il genere umano. L'imperversare di Cossiga, le
provocazioni di Andreotti, le pretese di Craxi, la stessa esistenza di
Berlusconi, il populismo della vecchia DC e dei fascisti in doppiopetto o lo
strapotere dei McDonald's e di paventati "Accordi Multinazionali sugli
Investimenti" sono pericolosi quanto lo stordimento della sinistra
istituzionale che è arrivata ad ipotizzare che "comunismo e libertà
sono incompatibili" mentre sembrano esserlo il capitalismo ed il
massacro degli indiani d'America o degli indio oggi, il cattolicesimo ed i
tribunali di inquisizione o le "guerre religiose" più
complessivamente (dalla conquista delle Americhe alle crociate, dalla
condanna dei "versetti satanici" agli "integralisti").
In piena restaurazione, bugiarda, nemica della storia e della verità mentre
tornano da padroni i "colpevoli" degli anni della sporcizia e del
fango ci si aspetta dai giovani un sussulto di dignità
e una condivisione alle lotte rivoluzionarie della classe lavoratrice
per una "rottura storica" irrinunciabile. Vecchie subalternità
sono state superate ma permangono processi d'emarginazione e antiche
dipendenze: la condizione giovanile è sempre più drammatica, il
disorientamento più ampio e l'analfabetismo di ritorno una realtà insieme
alla nascita di nuove gerarchie e di un senso enorme di impotenza e
umiliazione. Il contrattacco reazionario non ha tarpato le ali alle forze
antagoniste ma certamente le ha frammentate, disperse, confuse fino a non
farti individuare chi è esattamente l'avversario, l'autorità da
combattere. Si ha quasi la sensazione che vi sia una sorta di lotta di tutti
contro tutti. Il Centro Sociale contro l'associazione, il più esperto
contro il meno bravo, lo stanilista contro il trotzkista e via elencando al
pari (nella sua diversità) ad uno scontro, per una "vittoria
fatiscente", tra più capitalismi, tra un capitalismo di movimento ed
uno stazionario, la grande industria e la media e piccola industria e via
elencando: nella libera concorrenza trionfa una cultura della destra ed una
pratica propria dei ceti dominanti. L'unità dei soggetti rivoluzionari,
dentro anche diversità ed autonomie, è ancora una novità che il tempo non
deve consumare. Una "grande guerra di Spagna" sta attraversando la
sinistra italiana e globale
mentre la "guerra di Spagna" è essenziale solo al capitalismo (la
inventa, ci vive e in essa si ristruttura indifferente al rischio del
massacro tra le classi in lotta…). Sembra, insomma, che il conflitto viva
una sua "privatizzazione" che fa decidere alla stessa stampa di
sinistra, per esempio, di non parlare di DP (anche male: per carità) o di
esaltare solo quello che gli è proprio o "caro" o
"utile". La gioventù ha bisogno di una nuova unità di classe! Di
programmi, di progetti, di percorrere strade inesplorate, di sbagliare
anche, di risultare ingenua se occorre. I giovani, i disoccupati sono, oggi,
diplomati o laureati in grande misura: devono pretendere giusti salari ma,
con vigore, una nuova qualità del lavoro e dell'essere forza-lavoro, una
lotta a false logiche di apprendistato e alla mancanza di una
programmazione. Rilanciare, in una solidarietà generazionale ( tra
lavoratori e giovani), scioperi alla rovescia, costruire "comunità per
lo studio e la produzione", rendere ogni lavoro socialmente utile
attualizza un "socialismo del consenso". Del resto: è possibile
il socialismo senza consenso? La storia ci ha detto altro (in Cile o nell'ex
Unione Sovietica) e limitarsi ad una ricerca generica degli errori, delle
burocrazie, dei limiti, degli inquinamenti pre-socialisti o capitalistici è
riduttivo. Molti giovani occupati nei lavori socialmente utili sono in realtà
dei lavoratori in nero, moderni schiavi in pieno aumento della produttività
e dei profitti… Una gioventù mortificata nelle sue ambizioni, aldilà di
quello che molti "teologi di sinistra" affermano, è facile preda
di avventure reazionarie, la sua stessa disperazione può generare
atteggiamenti politici ed ideali irrazionali.
- Quello che il PRC ed il PdCI stanno determinando (alleati non
coscienti delle classi dominanti) è una frattura generazionale proprio con
il movimento operaio: i giovani non diventano rivoluzionari per natura ma
unicamente se le forze di sinistra sanno essere un esempio comprensibile ed
imitabile, condivisibile e trasparente. Ci sono dei San Paolo a sinistra che
diversamente dallo stesso, per opportunismo, ne imitano il predicare ma
dimenticano di spogliarsi dai privilegi che la borghesia gli concede mentre
non faticano a "scomunicare" chi si organizza, oltre la loro
Chiesa, per un'alternativa di società (lo fanno, anche, comunque, se accade
all'interno della loro stessa Parrocchia…). Organizzare una nuova FGCI è
una debole e sciocca idea! I giovani di una organizzazione o di un partito
che si definisce rivoluzionario, devono "disperdersi" nei
movimenti od esserne suscitatori ed organizzatori… Il bisogno di comunismo
che pure appartiene a molti ragazzi e a tante ragazze può, al di fuori di
una visione critica del processo storico reale, dei reali rapporti di forza
nazionali ed internazionali, trasformarsi nel suo contrario o, nella
migliore delle ipotesi, identificarsi
con "miti" lontani, altre lotte, alte situazioni, altre peculiarità:
Zapata ha senso in Chiapas ma ne ha un po’ di meno alla Fiat: difendere e
sostenere le lotte lontane, ovunque e comunque, ha senso: non ha senso un
unico grande Vietnam ma creare mille Vietnam… Benedetto Croce invitava ad una pratica internazionalista che in realtà
intendeva allontanare gli italiani dai grandi fatti che accadevano nel loro
Paese: Gramsci invitava ad un "concetto nazional-popolare di
cultura" eppure incarnava un'idea dell'internazionalismo più alta e più
concreta di quella del Croce. Ecco perché un'idea di vero internazionalismo
è data più da Gramsci che dal Croce. Molti giovani guardano agli
accadimenti in altre nazioni e non riescono a collegarli all'essenzialità
di una lotta quotidiana nella loro, nel loro Stato e continente. Serve
un'altra Italia per un'altra Europa e per un altro Pianeta. La sinistra,
parzialmente storica, ha saputo comunicare ai giovani la storia ed i valori
del movimento operaio? Ha offerto loro gli strumenti per aprire gli occhi al
fine di realizzare una giusta interpretazione della realtà? Questo ed
altro: larghe sono le lacune di molti giovani e in tanti non hanno nessun
orientamento ideale e culturale mentre diverse sono le condizioni di un
giovane del nord rispetto ad uno del sud, della città o della cittadina
e della campagna, di classi sociali diverse: molte cose li unificano
e molte altre li separano. Anche per questi motivi, oggi più di ieri, vi è
una difficoltà a racchiudere in schemi ed analisi compiute la condizione
giovanile. Per esempio: molti giovani si distaccano dalla propria classe ma
per finire dove? E, poi, dentro quali opportunità e valorizzazione? O
meglio: è in questi termini che oggi si può porre la questione? Vi è
bisogno di sviluppare un "senso comune" tra le giovani generazioni
e, quindi, di sollecitare una lotta antagonista all'altezza dei tempi. Le
classi dominanti hanno avuto, ultimamente, e bisogna prenderne atto, la
capacità di aver ridotto molti conflitti alla situazione
"regionale" o corporativa e di aver "mascherato" (con la
complicità dei governi di centrosinistra e dei sindacati tradizionali) la
natura antagonista di classe
della società capitalista, di avere, inoltre, ridotto le lotte alla
conquista di piccoli interessi di gruppo e/o settoriali dentro un sistema
falsamente bipolare e condizionando la sinistra a mediazioni interclassiste
senza mettere in discussione i meccanismi fondamentali dell'accumulazione o
la salvaguardia delle conquiste operaie e non solo… mentre si tratta di
conquistare il controllo degli investimenti, di ridistribuire le ricchezze
realizzate, di sconfiggere l'assistenzialismo per diritti veri, di
mondializzare la difesa dell'ambiente e la lotta ad ogni miseria…
- I partiti sono sempre di più dei "corpi separati"!
Drammaticamente onnipresenti ma incomprensibili. Ciò che si vuole
oggettivamente smantellare è la voglia di partecipare, di fare politica e
cultura, di creare, di esserci, di proporre… L'attuale "luogo
storico" in cui risiede la nostra condizione giovanile (quella
dell'Occidente in generale) è
dentro il "modo di produzione" borghese con le sue crisi, le sue
scelte, la sua violenza: ciò obbliga ad evitare ogni "giovalinismo"
(pericoloso quanto l'operaismo) e a concretizzare piani validi per agire
contro l'involgarimento della politica e dello stesso vivere.
- Trattare della gioventù può, comunque, nonostante noi, condurre
in un vicolo cieco mentre si tratta, semplicemente, di incontrarli volando
non in basso e senza il timore della potenza dei venti e della confusione di
colori nel cielo, della distanza dalla terra e la vicinanza al sole e, poi,
dire ed ascoltare per non cadere, per non perdersi, per non volare
inutilmente…
- Ci sono, poi, questioni tabù, vissute e non capite, vissute male o
meglio fatte vivere male che riguardano un po’ tutti ed, anche, i giovani:
il sesso, l'idea di liberazione sessuale, le tensioni affettive. L'intera
storia dell'umanità e la stessa organizzazione della società hanno un
rapporto diretto col sesso, l'amicizia, la famiglia, la solidarietà (quando
una donna lavora di giorno e il suo compagno di notte, quando sei depresso o
vieni represso, quando non si comprendono le giuste ragioni di un gay e di
una lesbica, la differenza di genere, il contraccettivo e la masturbazione
ecc.). Mercificazione del corpo e violenza sulle donne ed i minori, il sesso
come peccato, l'aborto come "assassinio", il divorzio come
negazione dell'amore, il rapporto sessuale per la sola
"procreazione": il potere utilizza diverse e sottili armi per
dominare masse enormi di popolo, per evitare l'affermarsi di una nuova
morale e un mutamento dei "costumi", per "censurare" la
libertà mentre la tenerezza, la gioia, la felicità, un bacio o una
carezza, esprimere le potenzialità del proprio corpo al massimo e senza
nessuna "catena" sono processi "innovatori", anch'essi
"elementi di socialismo" contro frustrazioni ed egoismi,
esasperati individualismi e bigottismo. La scuola, la cultura, lo sport, la
famiglia, i rapporti interpersonali stanno alla rivoluzione quanto la
fabbrica e l'insediamento lavorativo… La sinistra su tutta la tematica ha
prodotto poco o niente: distribuire preservativi od organizzare una festa
gay deve sempre essere sembrato poco popolare e meno utile che fare
volantinaggio sulla questione dei trasporti o della sanità (poi non sai
distinguere una malattia venerea da un'infiammazione cutanea).
- Lo sport ai giovani! Lo sport da praticare! Lo sport deve essere un
servizio sociale anche perché non rappresenta un esercizio meramente
muscolare o un semplice "riempitivo" ma può essere una vera e
propria "scuola di comportamento e di orientamento". Andare allo
stadio per sfogare aggressività consolidate e ciò che desiderano i nemici
del progresso. Fare sport perché se mi va bene divento ricco e famoso è
una mediocrità simpatica solo ai nemici della pratica sportiva, agli
alligatori che amano giocare in borsa le sorti di un campionato di calcio e
le fatiche di un'olimpiade. E' grazie all'attivismo di molti sportivi che si
sono condotte grandi battaglie di civiltà e per i diritti umani. Lo sport
può essere una grande palestra di democrazia partecipata, rispettosamente
disciplinata per una competizione oltre raccomandazioni e burocrazie.
Rivalutare i centri sportivi universitari, averli in campus scolastici e nei
posti di lavoro, aprire al popolo le grandi strutture sportive ad esclusivo
appannaggio dei "campioni", riformare il CONI è una battaglia
rivoluzionaria. Lo sport può darci una mano non indifferente per farci
sentire uguali nella diversità, per tirarci fuori dal disimpegno, dalla
noia, dalla disgregazione e dalla stessa superficialità. Lo sport è
cultura! La gioventù, direttamente od indirettamente, ci impone di liberare
il marxismo ed il suo sviluppo dal dogmatismo, dal massimalismo,
dall'economicismo… In Italia un "movimento giovanile
antagonista" non si è mai dissolto, ha resistito e resiste: bisogna
comprenderlo e tuttavia non accontentarsi di questa constatazione.
Conclusione della prima parte.