SCHEDE DI DOCUMENTAZIONE 3    

Nuove generazioni e lotta politica

Note di Michele Capuano, Edoardo Nucci, Elio Lamari, Enrica Antognelli, Ines Venturi

  1. Esiste una "questione" giovanile? L'unica cosa certa è che esiste una condizione giovanile! I giovani hanno assunto un ruolo preminente non solo verso la fine del fascismo, negli anni '60, nel '68 e nel '77 in particolare ma, generalmente, in ogni periodo storico (dentro processi contestativi non sempre di sinistra) la loro voce è stata forte e, non raramente, si è amplificata con altre. Verso la fine del '68, ad esempio, le idee di egualitarismo e trasformazione dalle Università entrano nelle fabbriche mettendo in discussione la gerarchia dei ruoli fino ad invadere ogni rapporto sociale. La caratteristica di una gioventù ribelle è quella di auspicare un soggetto collettivo, rifiutare burocratismo ed autoritarismo e, pur avendo un ritardo d'analisi sulla cittadinanza sociale ed i diritti che ne dovrebbero conseguire, proporre una "rivoluzione" della condizione umana complessiva. Non casualmente gli anni '60 furono anche quelli dell'organizzazione e della ribellione delle donne e, più in generale, della "libertà sessuale" ed artistica. Già verso la fine del '69 si era intuito che il sud aveva non solo lavoratori a paghe più basse ma, al contempo, maggiore disoccupazione (esistenza delle zone salariali) e si era compreso che il  rapporto tra operai specializzati ed operai comuni, tra classe ed impiegati, tra lavoratori e studenti  era la condizione essenziale per costruire un concreto "autunno caldo"… Non casualmente la conquista delle 40 ore (rapporto tra salario ed orario di lavoro), e successivamente, dello Statuto dei lavoratori, del divorzio, dell'aborto e della legge di parità sono conseguenze di una grande spinta innovativa e "ribelle" di una generazione intera. Ma, indubbiamente, ciò che più va valorizzato di quel periodo (i cui effetti hanno pervaso tutti gli anni settanta) è stato l'unire ciò che il padrone divide. Casa, scuola, diritti e sanità, internazionalismo e pace, ambiente e lavoro: nulla rimase fuori da un programma ampio, diffuso e non settario. Pensare ai giovani per costruire un nuovo '68? Oggi abbiamo bisogno di ricomprendere la realtà, le stesse classi, la crisi generale che ci circonda (del Capitale e del movimento operaio) per rilanciare lotte ed iniziative, processi organizzativi e programmi dentro un linguaggio nuovo ed una vera e propria "rivoluzione" della politica e del modo di fare politica. Non è facile e, forse, neppure ne siamo all'altezza ma è certo che dobbiamo provarci. L'anticomunismo, pure se all'apparenza è nel presente un fenomeno da baraccone, è, oggi, più aggressivo ed infame tanto quanto più selvaggia e violenta è la restaurazione conservatrice e capitalistica (indubbiamente più intelligente rispetto al passato tanto da avere la capacità di difendere i ricchi illudendo i poveri con palliativi dando la sensazione che si opera per diritti complessivi…). Anche per questi motivi nessun partito, per quanto rivoluzionario, è sufficiente per la conquista di una società inedita né sarebbe comprensibile un "Partito-Stato". La borghesia,  le classi dominanti in genere, hanno "inventato" il Profit-State e, irrimediabilmente, un'organizzazione rivoluzionaria deve suscitare movimenti, aggregazioni e "consigli territoriali" per "avanzare" e  "resistere". Alcuni "capi" e "grandi pensatori" di sinistra, che pure hanno intuito questa esigenza la riducono all'incontro tra se stessi ed i loro "egoismi" di parte: al massimo esprimono solidarietà ad ogni "forma" anche spontanea di lotta che viene dalla società senza nessuna esatta distinzione tra "sacrifici inutili" e  battaglie necessarie.
  2. Una gioventù che non crea è un'anomalia. Una gioventù che si rinchiude in un orticello comunque colorato è destinata alla disfatta e, prima o poi, all'assorbimento da parte dei "club degli adulti" non disinteressati. Una gioventù settaria e pressappochista è, di fatto, formalista e separata dalle masse: a maggior ragione se non è internazionalista ed, oggettivamente, non opera e non è inserita in un territorio. Essere giovani, paradossalmente, è importante quanto appartenere ad una classe sociale: un giovane, ovvero, può essere un rivoluzionario (o un reazionario) qualsiasi sia la sua classe di appartenenza. Gran parte dei giovani, oggi, amano definirsi "apolitici", altri "anarchici", alcuni "comunisti" pur se sprovvisti di uno studio adeguato, altri, ancora, ribelli comunque (poi li trovi ad attaccare manifesti che confondono Guevara con il Duce…). Eppure il movimento ambientalista e quello pacifista hanno avuto il massimo della partecipazione proprio dei giovani e delle ragazze. Il socialismo è e rimane la "gioventù del mondo"! Può un adulto, o uno stesso giovane, chiedersi: "cosa deve essere un giovane?". Compito degli adulti è semmai quello di comprendere quali strumenti sono utili ad una spontanea e libera organizzazione della gioventù, non imbrigliarli in logiche di partito e, soprattutto, valorizzarne lo spirito critico e nemico di ogni "morale borghese". Intanto masse non indifferenti di "ventenni" vota a destra e frequenta sedi razziste e per "superuomini" o abbonda in manifestazioni religiose (oltre "comunione e liberazione") non raramente ambigue e "gerarchiche". Si possono produrre inchieste sui giovani? Le inchieste che li riguardano, strumentali e commissionate, sono tendenziose quanto inconcludenti. I giovani diventano ciò che "alcuni adulti" vogliono che siano: istintivi, drogati, poco religiosi, presuntuosi, scarsi ad idee, privi di morale, sfaticati ecc. In sostanza si vuole far intendere che i giovani sono responsabili degli stessi drammi che li coinvolgono. In realtà le nuove generazioni, quasi sempre, sono "non servili", contestative e "prive di rispetto"  per molte cose che incarnano il "vecchio mondo". Non incanalare nella giusta direzione questa condizione, soprattutto con l'esempio, non può non determinare un dramma storico. Il PCI non riuscì a farsi contaminare dai giovani e la Nuova Sinistra non seppe "ringiovanirsi"… La nuova cultura urbana che pure nasceva e la vecchia cultura contadina che non si tramandava si dispersero, essenzialmente negli anni ottanta ed ancora negli anni novanta, in una cultura del regresso e del "cedimento" (avanzamento di un processo di americanizzazione della società europea) anche se l'antico senso religioso, politico, morale è tendenzialmente vissuto come anacronistico per ragazzi e ragazze. Eppure, anche se inconsapevolmente, le nuove generazioni ed i giovanissimi in particolare hanno già iniziato la loro battaglia contro la mediocrità delle società borghesi. Il tentativo di una parte di adulti (tra questi la Chiesa o i ceti politici) è quello di dimostrare che i giovani, nella loro stragrande maggioranza, sono "abulici", discotecari, immaturi e trattano la materia come se fossero in un laboratorio dove si pratica la vivisezione degli animali incuranti di ogni esigenza e bisogno, la mancanza di spazi dove fare e vivere la cultura e che, spesso, anche studiare è diventato un "inutile dovere" in conseguenza della mancanza di qualsiasi prospettiva di lavoro e di futuro. Certo: non possiamo non riconoscere una cultura "frammentaria", l'adesione spesso "passiva" ad ideologie o iniziative, un "ribellismo", a volte, confuso di molti giovani ma ciò che più deve impensierirci non sono le contraddizioni dei "nostri figli" e delle "nostre figlie" ma il "ricatto generazionale" di cui è unico possessore il "mondo degli adulti". In sostanza: non esiste una questione giovanile mentre esistono più questioni che riguardano i giovani. Portare i giovani "fuori" dalla "vecchia struttura" non è automatico né facile anche perché una esatta distinzione tra ciò che è davvero nuovo e ciò che è vecchio non è facilmente distinguibile (imponente è per determinarlo il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, lo stesso consumismo e un debole ruolo delle famiglie "moderne"…). Si pone, allora, il problema dell'avere programmi chiari ed immediati per costruire l'alternativa, regole "rivoluzionate" nelle organizzazioni di classe, muri da dipingere e spazi da occupare: la crisi delle classi dominanti non è una crisi di egemonia ma semmai una crisi di autorità ed i giovani rischiano di allontanarsi da qualsiasi "ideologia" ed avere facili passioni per eruditi, demagoghi, divi-simbolo e per processi aggregativi fini a se stessi. Quindi: è possibile un "sovvertimento" del vecchio ma è, altresì, possibile la sua totale restaurazione. Ma chi deve "educare" chi? Educare significa "tirar fuori": altro è insegnare. I giovani non necessitano di insegnanti ma di educatori: il "CHE" è un esempio di educatore come, per assurdo, potrebbe esserlo Dario Fo mentre la famiglia è in crisi, lo sono le istituzioni democratiche, la scuola e le stesse sedi sociali. C'è, mentre il Welfare diventa quello dei miserabili, l'impoverimento dei valori… La borghesia in realtà non riesce ad insegnare ("mettere dentro") granché ai propri giovani e non trova niente di meglio che "affogarli" con privilegi ed "alta tecnologia" mentre persiste nella pratica del "nepotismo"  e della separazione (possessione di mezzi ed opportunità) tra gli stessi e quelli degli altri (del popolo). Nello "scontro generazionale" che non ha un confine di classe prestabilito, comunque, c'è la consapevolezza di una ipocrisia evidente dei "dominanti" (padri e madri comprese) che determina irrequietezza e "ribellione" la stessa che ci si auspica a sinistra contro una "dirigenza aristocratica", selettiva, piccolo-borghese che non inventa "capi" organici ma "padroni" della loro stessa organizzazione… "ribellasi è giusto, è sacrosanto farlo con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi condizione" ma ancora più giusto è farlo studiando ed organizzandosi per, poi, fondare una "volontà collettiva" per una qualità della vita nuova.
  3. I lavoratori possono assolvere alla loro funzione storica rivoluzionaria se sanno aggregare attorno a sé un sistema di relazioni, di saperi e di valori dei quali le donne ed i giovani sono straordinari portatori al pari dei movimenti pacifisti, ambientalisti, della solidarietà e dell'amicizia in genere… Va realizzato un "compromesso storico" dal basso che implica una politica delle alleanze ma ne individua il terreno a partire dalle condizioni di vita, dalle grandi questioni da risolvere, dagli stessi sogni. Una politica delle alleanze per la nascita di un blocco storico moderno ed essenziale presuppone la diversità, autonome intelligenze ed il saperle valorizzare, impone anche piccole lotte e la comprensione che non ci si batte per esasperazione ma consapevolmente. Sconfiggere l'allargamento nella base sociale dei gruppi dominanti presuppone lo spazzare via la ristretta logica di partito buona per manovratori di voti e carrieristi ed, indubbiamente, nociva per l'affermarsi di un "nuovo umanesimo". Un "socialismo del consenso" è possibile se sai parlare ai giovani, alle donne, al diverso da te.
  4. Quale è il compito che sta, oggi, davanti alla gioventù italiana? O meglio: i giovani possono essere i protagonisti di una battaglia di emancipazione della società intiera? Nella fase attuale i giovani rappresentano energie rinnovatrici? Generalmente la nostra gioventù, negli ultimi anni in particolare, è stata "vittima" di ampi processi di disgregazione, degenerazioni, emarginazione ed indifferenza, qualunquismo e subalternità anche se si fa e si faceva finta che fosse il contrario. Tra l'altro sembra non aver senso neppure fare una storia delle giovani generazioni, dei loro comportamenti, delle loro scelte, del loro irrompere nella storia modificandola. Giovani operai, giovani studenti, ragazze… Collettivi, associazioni, centri sociali, comitive… Lottare per un Reddito Sociale Minimo, per il lavoro ed una scuola garantiti, una nuova etica, un nuovo modello economico ed una riconversione culturale non può prescindere dalle giovani generazioni. La società multietnica dovrà essere la loro e loro il possesso dell'informatica e delle risorse ambientali per garantire la sopravvivenza della specie e dello stesso pianeta. La "Vertenza Occupazione" è anche una "Vertenza Giovani" mentre c'è un egoismo nuovo nelle stesse lotte operaie e tra popoli. La "vertenza giovani" è nazionale, europea, mondiale. Implica il bisogno di una "nuova liberazione" dei popoli oppressi dalla mondializzazione capitalistica e la valorizzazione della solidarietà oltre ogni confine. Una "vertenza giovani" non riguarda l'anagrafe o l'età ma piuttosto un problema storico e politico non risolto. Ai giovani va delegato il compito di essere  nemici dello sfruttamento dei minori e dei "migranti", della fame e delle carestie, delle guerre e della mortificazione di etnie, minoranze e popoli interi contro logiche di semplice "difesa" e sconfiggendo un'americanizzazione preoccupante per tutto il genere umano. L'imperversare di Cossiga, le provocazioni di Andreotti, le pretese di Craxi, la stessa esistenza di Berlusconi, il populismo della vecchia DC e dei fascisti in doppiopetto o lo strapotere dei McDonald's e di paventati "Accordi Multinazionali sugli Investimenti" sono pericolosi quanto lo stordimento della sinistra istituzionale che è arrivata ad ipotizzare che "comunismo e libertà sono incompatibili" mentre sembrano esserlo il capitalismo ed il massacro degli indiani d'America o degli indio oggi, il cattolicesimo ed i tribunali di inquisizione o le "guerre religiose" più complessivamente (dalla conquista delle Americhe alle crociate, dalla condanna dei "versetti satanici" agli "integralisti"). In piena restaurazione, bugiarda, nemica della storia e della verità mentre tornano da padroni i "colpevoli" degli anni della sporcizia e del fango ci si aspetta dai giovani un sussulto di dignità  e una condivisione alle lotte rivoluzionarie della classe lavoratrice per una "rottura storica" irrinunciabile. Vecchie subalternità sono state superate ma permangono processi d'emarginazione e antiche dipendenze: la condizione giovanile è sempre più drammatica, il disorientamento più ampio e l'analfabetismo di ritorno una realtà insieme alla nascita di nuove gerarchie e di un senso enorme di impotenza e umiliazione. Il contrattacco reazionario non ha tarpato le ali alle forze antagoniste ma certamente le ha frammentate, disperse, confuse fino a non farti individuare chi è esattamente l'avversario, l'autorità da combattere. Si ha quasi la sensazione che vi sia una sorta di lotta di tutti contro tutti. Il Centro Sociale contro l'associazione, il più esperto contro il meno bravo, lo stanilista contro il trotzkista e via elencando al pari (nella sua diversità) ad uno scontro, per una "vittoria fatiscente", tra più capitalismi, tra un capitalismo di movimento ed uno stazionario, la grande industria e la media e piccola industria e via elencando: nella libera concorrenza trionfa una cultura della destra ed una pratica propria dei ceti dominanti. L'unità dei soggetti rivoluzionari, dentro anche diversità ed autonomie, è ancora una novità che il tempo non deve consumare. Una "grande guerra di Spagna" sta attraversando la sinistra italiana  e globale mentre la "guerra di Spagna" è essenziale solo al capitalismo (la inventa, ci vive e in essa si ristruttura indifferente al rischio del massacro tra le classi in lotta…). Sembra, insomma, che il conflitto viva una sua "privatizzazione" che fa decidere alla stessa stampa di sinistra, per esempio, di non parlare di DP (anche male: per carità) o di esaltare solo quello che gli è proprio o "caro" o "utile". La gioventù ha bisogno di una nuova unità di classe! Di programmi, di progetti, di percorrere strade inesplorate, di sbagliare anche, di risultare ingenua se occorre. I giovani, i disoccupati sono, oggi, diplomati o laureati in grande misura: devono pretendere giusti salari ma, con vigore, una nuova qualità del lavoro e dell'essere forza-lavoro, una lotta a false logiche di apprendistato e alla mancanza di una programmazione. Rilanciare, in una solidarietà generazionale ( tra lavoratori e giovani), scioperi alla rovescia, costruire "comunità per lo studio e la produzione", rendere ogni lavoro socialmente utile attualizza un "socialismo del consenso". Del resto: è possibile il socialismo senza consenso? La storia ci ha detto altro (in Cile o nell'ex Unione Sovietica) e limitarsi ad una ricerca generica degli errori, delle burocrazie, dei limiti, degli inquinamenti pre-socialisti o capitalistici è riduttivo. Molti giovani occupati nei lavori socialmente utili sono in realtà dei lavoratori in nero, moderni schiavi in pieno aumento della produttività e dei profitti… Una gioventù mortificata nelle sue ambizioni, aldilà di quello che molti "teologi di sinistra" affermano, è facile preda di avventure reazionarie, la sua stessa disperazione può generare atteggiamenti politici ed ideali irrazionali.
  5. Quello che il PRC ed il PdCI stanno determinando (alleati non coscienti delle classi dominanti) è una frattura generazionale proprio con il movimento operaio: i giovani non diventano rivoluzionari per natura ma unicamente se le forze di sinistra sanno essere un esempio comprensibile ed imitabile, condivisibile e trasparente. Ci sono dei San Paolo a sinistra che diversamente dallo stesso, per opportunismo, ne imitano il predicare ma dimenticano di spogliarsi dai privilegi che la borghesia gli concede mentre non faticano a "scomunicare" chi si organizza, oltre la loro Chiesa, per un'alternativa di società (lo fanno, anche, comunque, se accade all'interno della loro stessa Parrocchia…). Organizzare una nuova FGCI è una debole e sciocca idea! I giovani di una organizzazione o di un partito che si definisce rivoluzionario, devono "disperdersi" nei movimenti od esserne suscitatori ed organizzatori… Il bisogno di comunismo che pure appartiene a molti ragazzi e a tante ragazze può, al di fuori di una visione critica del processo storico reale, dei reali rapporti di forza nazionali ed internazionali, trasformarsi nel suo contrario o, nella migliore delle ipotesi,  identificarsi con "miti" lontani, altre lotte, alte situazioni, altre peculiarità: Zapata ha senso in Chiapas ma ne ha un po’ di meno alla Fiat: difendere e sostenere le lotte lontane, ovunque e comunque, ha senso: non ha senso un unico grande Vietnam ma creare mille Vietnam… Benedetto Croce  invitava ad una pratica internazionalista che in realtà intendeva allontanare gli italiani dai grandi fatti che accadevano nel loro Paese: Gramsci invitava ad un "concetto nazional-popolare di cultura" eppure incarnava un'idea dell'internazionalismo più alta e più concreta di quella del Croce. Ecco perché un'idea di vero internazionalismo è data più da Gramsci che dal Croce. Molti giovani guardano agli accadimenti in altre nazioni e non riescono a collegarli all'essenzialità di una lotta quotidiana nella loro, nel loro Stato e continente. Serve un'altra Italia per un'altra Europa e per un altro Pianeta. La sinistra, parzialmente storica, ha saputo comunicare ai giovani la storia ed i valori del movimento operaio? Ha offerto loro gli strumenti per aprire gli occhi al fine di realizzare una giusta interpretazione della realtà? Questo ed altro: larghe sono le lacune di molti giovani e in tanti non hanno nessun orientamento ideale e culturale mentre diverse sono le condizioni di un giovane del nord rispetto ad uno del sud, della città o della cittadina  e della campagna, di classi sociali diverse: molte cose li unificano e molte altre li separano. Anche per questi motivi, oggi più di ieri, vi è una difficoltà a racchiudere in schemi ed analisi compiute la condizione giovanile. Per esempio: molti giovani si distaccano dalla propria classe ma per finire dove? E, poi, dentro quali opportunità e valorizzazione? O meglio: è in questi termini che oggi si può porre la questione? Vi è bisogno di sviluppare un "senso comune" tra le giovani generazioni e, quindi, di sollecitare una lotta antagonista all'altezza dei tempi. Le classi dominanti hanno avuto, ultimamente, e bisogna prenderne atto, la capacità di aver ridotto molti conflitti alla situazione "regionale" o corporativa e di aver "mascherato" (con la complicità dei governi di centrosinistra e dei sindacati tradizionali) la natura antagonista  di classe della società capitalista, di avere, inoltre, ridotto le lotte alla conquista di piccoli interessi di gruppo e/o settoriali dentro un sistema falsamente bipolare e condizionando la sinistra a mediazioni interclassiste senza mettere in discussione i meccanismi fondamentali dell'accumulazione o la salvaguardia delle conquiste operaie e non solo… mentre si tratta di conquistare il controllo degli investimenti, di ridistribuire le ricchezze realizzate, di sconfiggere l'assistenzialismo per diritti veri, di mondializzare la difesa dell'ambiente e la lotta ad ogni miseria…
  6. I partiti sono sempre di più dei "corpi separati"! Drammaticamente onnipresenti ma incomprensibili. Ciò che si vuole oggettivamente smantellare è la voglia di partecipare, di fare politica e cultura, di creare, di esserci, di proporre… L'attuale "luogo storico" in cui risiede la nostra condizione giovanile (quella dell'Occidente in generale)  è dentro il "modo di produzione" borghese con le sue crisi, le sue scelte, la sua violenza: ciò obbliga ad evitare ogni "giovalinismo" (pericoloso quanto l'operaismo) e a concretizzare piani validi per agire contro l'involgarimento della politica e dello stesso vivere.
  7. Trattare della gioventù può, comunque, nonostante noi, condurre in un vicolo cieco mentre si tratta, semplicemente, di incontrarli volando non in basso e senza il timore della potenza dei venti e della confusione di colori nel cielo, della distanza dalla terra e la vicinanza al sole e, poi, dire ed ascoltare per non cadere, per non perdersi, per non volare inutilmente…
  8. Ci sono, poi, questioni tabù, vissute e non capite, vissute male o meglio fatte vivere male che riguardano un po’ tutti ed, anche, i giovani: il sesso, l'idea di liberazione sessuale, le tensioni affettive. L'intera storia dell'umanità e la stessa organizzazione della società hanno un rapporto diretto col sesso, l'amicizia, la famiglia, la solidarietà (quando una donna lavora di giorno e il suo compagno di notte, quando sei depresso o vieni represso, quando non si comprendono le giuste ragioni di un gay e di una lesbica, la differenza di genere, il contraccettivo e la masturbazione ecc.). Mercificazione del corpo e violenza sulle donne ed i minori, il sesso come peccato, l'aborto come "assassinio", il divorzio come negazione dell'amore, il rapporto sessuale per la sola "procreazione": il potere utilizza diverse e sottili armi per dominare masse enormi di popolo, per evitare l'affermarsi di una nuova morale e un mutamento dei "costumi", per "censurare" la libertà mentre la tenerezza, la gioia, la felicità, un bacio o una carezza, esprimere le potenzialità del proprio corpo al massimo e senza nessuna "catena" sono processi "innovatori", anch'essi "elementi di socialismo" contro frustrazioni ed egoismi, esasperati individualismi e bigottismo. La scuola, la cultura, lo sport, la famiglia, i rapporti interpersonali stanno alla rivoluzione quanto la fabbrica e l'insediamento lavorativo… La sinistra su tutta la tematica ha prodotto poco o niente: distribuire preservativi od organizzare una festa gay deve sempre essere sembrato poco popolare e meno utile che fare volantinaggio sulla questione dei trasporti o della sanità (poi non sai distinguere una malattia venerea da un'infiammazione cutanea).
  9. Lo sport ai giovani! Lo sport da praticare! Lo sport deve essere un servizio sociale anche perché non rappresenta un esercizio meramente muscolare o un semplice "riempitivo" ma può essere una vera e propria "scuola di comportamento e di orientamento". Andare allo stadio per sfogare aggressività consolidate e ciò che desiderano i nemici del progresso. Fare sport perché se mi va bene divento ricco e famoso è una mediocrità simpatica solo ai nemici della pratica sportiva, agli alligatori che amano giocare in borsa le sorti di un campionato di calcio e le fatiche di un'olimpiade. E' grazie all'attivismo di molti sportivi che si sono condotte grandi battaglie di civiltà e per i diritti umani. Lo sport può essere una grande palestra di democrazia partecipata, rispettosamente disciplinata per una competizione oltre raccomandazioni e burocrazie. Rivalutare i centri sportivi universitari, averli in campus scolastici e nei posti di lavoro, aprire al popolo le grandi strutture sportive ad esclusivo appannaggio dei "campioni", riformare il CONI è una battaglia rivoluzionaria. Lo sport può darci una mano non indifferente per farci sentire uguali nella diversità, per tirarci fuori dal disimpegno, dalla noia, dalla disgregazione e dalla stessa superficialità. Lo sport è cultura! La gioventù, direttamente od indirettamente, ci impone di liberare il marxismo ed il suo sviluppo dal dogmatismo, dal massimalismo, dall'economicismo… In Italia un "movimento giovanile antagonista" non si è mai dissolto, ha resistito e resiste: bisogna comprenderlo e tuttavia non accontentarsi di questa constatazione.

Conclusione della prima parte.