La
destra vuole la fine dell’università italiana
di Massimiliano CARBONIERO
Con tutto quello che succede sul Pianeta, le dimissioni in
massa di una settantina di rettori degli atenei italiani possono sembrare cosa
assai insignificante. Questo tuttavia, sarebbe vero se tentassimo di comparare
la protesta delle università con la fame nel mondo o se paragonassimo il
Magnifico Rettore della Normale di Pisa ad un prigioniero che subisce
quotidianamente torture corporali.
Non è così. Ma l’auto-sospensione delle più alte
cariche accademiche, a causa dei tagli che la Legge Finanziaria ha imposto agli
atenei, è un fatto grave.
E’ grave perché non si era mai visto prima e,
soprattutto, perché ci fa capire le vere intenzioni del Governo in materia
d’istruzione.
Diciamo subito che i rettori hanno simbolicamente
rassegnato le loro dimissioni perché il governo ha ridotto notevolmente i fondi
destinati all’edilizia universitaria, ai servizi agli studenti e alla ricerca
in generale. Ciò significa che, prossimamente, studiare sarà una prerogativa
da ricchi. Gli alloggi per gli studenti saranno così pochi che soltanto chi
potrà pagarsi un affitto presso un privato potrà permettersi di risiedere
nella città in cui segue i corsi. Anche la didattica ne risentirà: meno soldi
significa anche meno docenti e, si sa, questo causerà un aumento del numero di
studenti per corso. E ci saranno anche meno appelli d’esame, con conseguente
ulteriore prolungamento della permanenza degli studenti all’università. Senza
voler essere apocalittici, è forte il dubbio che in futuro negli istituti
universitari vengano spenti i riscaldamenti.
Che Paese è uno Stato fa studiare la sua futura classe dirigente al
freddo ? Chi si scontra quotidianamente con la lentezza del sistema
universitario italiano capisce che tutto questo sarebbe un disastro. Sarebbe la
fine dell’università italiana.
Tutto ciò avviene in un contesto alquanto precario. Negli
altri paesi dell’Unione europea ci si laurea già a ventidue anni; in Francia
è impensabile vedere un trentenne varcare la soglia della Sorbonne. Inoltre, in
Italia, il dato dell’abbandono degli studi è tra i più alti del mondo.
Per ovviare a tutto ciò occorrerebbero maggiori fondi
destinati all’inserimento degli studenti, agli alloggi e all’edilizia
universitaria, alla didattica e a i servizi per studenti disagiati, indigenti o
disabili.
L’istruzione pubblica è un diritto ma soprattutto un
dovere che lo Stato ha nei confronti della società.
Il taglio dei fondi destinati al mondo dell’istruzione,
e segnatamente a quello accademico, va a stratificarsi su un sistema già
obsoleto e poco funzionale ai bisogni di una società moderna. I professori
delle nostre università sono spesso costretti a svolgere gli esami di laurea
nei loro uffici a causa della mancanza di aule e, cosa assai più grave, senza
avvalersi del supporto di un
assistente. Questo rende “illegali” la maggior parte degli esami svolti
negli atenei della penisola. L’Università degli Studi di Milano ha avuto
quest’anno un numero impressionante di nuove iscrizioni, a questo non è però
corrisposta un’assunzione di nuovi docenti. Gli studenti, almeno al primo
anno, sono sempre di più e gli insegnanti sempre meno.
Vi è un altro problema legato alla Finanziaria 2003. La
riduzione dei fondi destinati agli enti locali costituirà un alibi per
l’aumento della tassa regionale per il diritto allo studio. Nella Regione
Lombardia, la Formigon Tax universitaria è di 100,00 euro, ossia circa un
quarto dell’importo da pagare all’atto dell’iscrizione per l’anno
accademico.
Ci sono persone che, nell’indecisione sul fatto se
continuare o meno gli studi, optano per la seconda ipotesi scoraggiati dalle
spese che incidono notevolmente sul budget personale o familiare.
Smantellare il sistema universitario attraverso una
riduzione dei fondi statali significa dunque far regredire l’intero Paese. Il
governo lo sa, ed è proprio questo che vuole.
Per la destra italiana vale l’assioma secondo il quale, chi studia, in
genere si ribella. E i ribelli alla destra non sono mai piaciuti. Meglio tenere
la gente nell’ignoranza. Il popolo deve guardare la televisione e votare di
conseguenza.
E intanto, per preparare l’humus necessario al trionfo del
populismo bigotto, si stanziano fondi per le scuole religiose, come avveniva
nell’Iran di Khomeini, e si
toglie linfa vitale alla scuola
pubblica. E’ per questo che bisogna sostenere i rettori, i docenti, i
ricercatori e gli studenti nella lotta contro il nuovo oscurantismo della
destra. Tutte le forze democratiche devono affiancarsi alla protesta del mondo
accademico per evitare una deriva catastrofica dell’istruzione nazionale.
[Massimiliano
CARBONIERO]
La destra vuole la
fine dell’università italiana
di Massimiliano CARBONIERO
Con tutto quello che succede sul Pianeta, le dimissioni in
massa di una settantina di rettori degli atenei italiani possono sembrare cosa
assai insignificante. Questo tuttavia, sarebbe vero se tentassimo di comparare
la protesta delle università con la fame nel mondo o se paragonassimo il
Magnifico Rettore della Normale di Pisa ad un prigioniero che subisce
quotidianamente torture corporali.
Non è così. Ma l’auto-sospensione delle più alte
cariche accademiche, a causa dei tagli che la Legge Finanziaria ha imposto agli
atenei, è un fatto grave.
E’ grave perché non si era mai visto prima e,
soprattutto, perché ci fa capire le vere intenzioni del Governo in materia
d’istruzione.
Diciamo subito che i rettori hanno simbolicamente
rassegnato le loro dimissioni perché il governo ha ridotto notevolmente i fondi
destinati all’edilizia universitaria, ai servizi agli studenti e alla ricerca
in generale. Ciò significa che, prossimamente, studiare sarà una prerogativa
da ricchi. Gli alloggi per gli studenti saranno così pochi che soltanto chi
potrà pagarsi un affitto presso un privato potrà permettersi di risiedere
nella città in cui segue i corsi. Anche la didattica ne risentirà: meno soldi
significa anche meno docenti e, si sa, questo causerà un aumento del numero di
studenti per corso. E ci saranno anche meno appelli d’esame, con conseguente
ulteriore prolungamento della permanenza degli studenti all’università. Senza
voler essere apocalittici, è forte il dubbio che in futuro negli istituti
universitari vengano spenti i riscaldamenti.
Che Paese è uno Stato fa studiare la sua futura classe dirigente al
freddo ? Chi si scontra quotidianamente con la lentezza del sistema
universitario italiano capisce che tutto questo sarebbe un disastro. Sarebbe la
fine dell’università italiana.
Tutto ciò avviene in un contesto alquanto precario. Negli
altri paesi dell’Unione europea ci si laurea già a ventidue anni; in Francia
è impensabile vedere un trentenne varcare la soglia della Sorbonne. Inoltre, in
Italia, il dato dell’abbandono degli studi è tra i più alti del mondo.
Per ovviare a tutto ciò occorrerebbero maggiori fondi
destinati all’inserimento degli studenti, agli alloggi e all’edilizia
universitaria, alla didattica e a i servizi per studenti disagiati, indigenti o
disabili.
L’istruzione pubblica è un diritto ma soprattutto un
dovere che lo Stato ha nei confronti della società.
Il taglio dei fondi destinati al mondo dell’istruzione,
e segnatamente a quello accademico, va a stratificarsi su un sistema già
obsoleto e poco funzionale ai bisogni di una società moderna. I professori
delle nostre università sono spesso costretti a svolgere gli esami di laurea
nei loro uffici a causa della mancanza di aule e, cosa assai più grave, senza
avvalersi del supporto di un
assistente. Questo rende “illegali” la maggior parte degli esami svolti
negli atenei della penisola. L’Università degli Studi di Milano ha avuto
quest’anno un numero impressionante di nuove iscrizioni, a questo non è però
corrisposta un’assunzione di nuovi docenti. Gli studenti, almeno al primo
anno, sono sempre di più e gli insegnanti sempre meno.
Vi è un altro problema legato alla Finanziaria 2003. La
riduzione dei fondi destinati agli enti locali costituirà un alibi per
l’aumento della tassa regionale per il diritto allo studio. Nella Regione
Lombardia, la Formigon Tax universitaria è di 100,00 euro, ossia circa un
quarto dell’importo da pagare all’atto dell’iscrizione per l’anno
accademico.
Ci sono persone che, nell’indecisione sul fatto se
continuare o meno gli studi, optano per la seconda ipotesi scoraggiati dalle
spese che incidono notevolmente sul budget personale o familiare.
Smantellare il sistema universitario attraverso una
riduzione dei fondi statali significa dunque far regredire l’intero Paese. Il
governo lo sa, ed è proprio questo che vuole.
Per la destra italiana vale l’assioma secondo il quale, chi studia, in
genere si ribella. E i ribelli alla destra non sono mai piaciuti. Meglio tenere
la gente nell’ignoranza. Il popolo deve guardare la televisione e votare di
conseguenza.
E intanto, per preparare l’humus necessario al trionfo del
populismo bigotto, si stanziano fondi per le scuole religiose, come avveniva
nell’Iran di Khomeini, e si
toglie linfa vitale alla scuola
pubblica. E’ per questo che bisogna sostenere i rettori, i docenti, i
ricercatori e gli studenti nella lotta contro il nuovo oscurantismo della
destra. Tutte le forze democratiche devono affiancarsi alla protesta del mondo
accademico per evitare una deriva catastrofica dell’istruzione nazionale.
[Massimiliano
CARBONIERO]