Realizzare un vero e proprio
“manifesto” sullo sport che emani un raggio di sole essenziale
con lo scopo di valorizzare l’etica dell’essere contro quella
dell’avere e di illuminare,
passando per prismi diversi, tutti gli aspetti e le relazioni connesse a tale
tematica è ancora più importante in un tempo particolare della storia della
nostra penisola, del nostro continente e del pianeta intero. Siamo, infatti,
davanti ad una vera e propria organizzazione mondiale delle disuguaglianze che
aggrava il divario tra popoli, problemi drammatici quali la fame, la mancanza di
cura, l’ottenimento ed il rispetto di diritti e umilia ogni speranza in una
qualità della vita migliore per tutti e tutte. Una vita decorosa, inoltre, è
impensabile senza un ragionamento, profondo e puntuale, sulla necessità di
realizzare una irrinunciabile riforma intellettuale e morale: lo sport ne è
parte essenziale e lo è per qualsiasi progetto o programma dalla parte di un
inedito “rinascimento” dell’umanità. Eppure se ne parla poco o se ne
parla “troppo e male”. Siamo in un Paese dove sono non pochi i quotidiani
(tra i più diffusi e letti), le riviste, le ore televisive e radiofoniche
dedicate allo sport e, al tempo stesso, questa ampia informazione più che
stimolare il viverlo collabora all’affermazione di falsi valori e falsi
modelli che incidono nella coscienza del popolo in genere ed in particolare
delle nuove generazioni determinando esclusione e lasciando lo stesso nelle mani
avide della speculazione, della logica del profitto, degli sprechi, delle
degenerazioni individuali e collettive che fomentano il fanatismo del
“tifo”, la violenza negli stadi e l’avvilimento della propria persona
dando significato e potenza ad un mai sopito spirito di campanilismo rissoso (un
regresso in piena modernità che culmina nella barbarie quanto le scelte folli e
incivili di limitare o annullare lo sport nelle scuole in particolare e nella
società in generale). Già nel 1932 Antonio Gramsci (scrivendo dal carcere dove
era stato relegato per impedirgli di pensare dalla dittatura fascista in Italia)
trattava l’argomento dell’inesistenza di una pratica sportiva popolare e di
contro l’esaltazione di gare sportive utilizzate per l’affermarsi di
atteggiamenti selvaggi e animaleschi col fine
di annullare creatività e rapporto costruttivo con se stessi e la vita
circostante: “tra gli elementi che manifestano esplicitamente un atteggiamento
apolitico sono da ricordare i tenaci residui di campanilismo e altre tendenze
che di solito sono catalogate come manifestazioni di un così detto “spirito
fazioso”… Quando si dice che questo primivitismo è stato superato dai
progressi della civiltà, occorrerebbe precisare che ciò è avvenuto per il
diffondersi di una certa vita politica di partito che allargava gli interessi
intellettuali e morali del popolo: venuta a mancare questa vita, i campanilismi
sono rinati, per esempio attraverso un certo modo di rapportarsi allo sport e le
gare sportive, in forme selvagge e sanguinose. Accanto al “tifo” sportivo
c’è il “tifo campanilistico sportivo” (A. Gramsci (Quaderno 9, nota 36,
sull’apoliticismo del popolo). Molti anni prima il filosofo tedesco Engels ci
invitava a ragionare sul processo di umanizzazione della scimmia nel quale il
movimento assume un “ruolo” radicale: “il camminare eretti divenne
dapprima una regola ma ben presto si tramutò in una assoluta necessità…”
Un determinante perfezionamento della complessa macchina umana è strettamente
intrecciato con il muoversi, con il rapporto tra il pensare (compreso lo
sviluppo degli organi sensoriali) e l’agire (compreso lo sviluppo
dell’intero apparato muscolare) e, attraverso il lavoro, con il divenire
animale sociale, fino a conquistare azioni sempre più complicate per non
usufruire della natura ma “dominarla”; nonostante questa non abbia mai
rinunciato alle sue rivincite. Abbiamo il dovere, senza pressappochismi e privi
di ogni dilettantismo sulla materia in oggetto, di non ignorare che l’attività
motoria nell’età evolutiva è un insostituibile mezzo di formazione
culturale, di difesa della salute e di crescita fisica e psichica armoniosa, di
non trascurare il significato e l’essenzialità delle esperienze associative e
lo stare insieme, di rifiutare un individualismo che sconfina nell’apatia e in
un egoismo esasperato. Vale per l’infanzia, per i giovani e per la ragazze,
vale per uomini e donne e anche per la terza età. E’, dunque, lo sport
plurale e diffuso, il farlo e il promuoverlo, il parlarne e il renderlo scienza,
un elemento di progresso e di civiltà per sconfiggere le tenebre che, sempre
meno ostacolate, avanzano. Non comprendere che non è ininfluente la cultura
fisica e lo sport nella formazione, nell’orientamento e nel comportamento
degli esseri umani è da scellerati; lo è non andare oltre i limiti del gioco e
della motricità istintiva, lo è il non combattere l’immobilità (negazione
dello stesso spirito creativo), la costrizione dietro un banco di scuola, un
computer, una scrivania e lo è il persistere di luoghi di studio e di lavoro che negano la vita collettiva e
un utilizzo intelligente dello stesso tempo libero. Parlarne non può essere né
occasionale né limitato agli “addetti ai lavori” poiché siamo dinanzi ad
un’esigenza peculiare (biologia sociale) che se trascurata ne esce offesa
tutta la nostra esistenza. Riconosciamo che è da esaltati credere, abusando in
retorica, che il fare sport sia risolutivo per evitare gravi fenomeni sociali
(dalla criminalità all’emarginazione) ma è da stolti non riconoscere che
attraverso una riforma dello sport e lo sport per tutti e tutte si sferra un
attacco senza timori al disimpegno, alla noia, alla mancanza di solidarietà e
di coscienza civile, al non rispetto del proprio corpo e degli altri ed ecco
perché la questione non è limitata alla realizzazione di impianti attrezzati e
moderni (che pure mancano e servono) ma richiede una programmazione più ampia
che intervenga, per un futuro dei popoli, complessivamente nelle nostre società
implicando, lo si ammetta o meno, mutazioni di fondo e traendo lezioni da Paesi
come Cuba o, più semplicemente, da un’intera generazione che ha saputo
rendere vive strade, spazi verdi o edifici anche se abbandonati, marane e
fiumiciattoli dimostrando che nessun impedimento può fermare ciò che
appartiene ad un bisogno quanto il mangiare, il dormire, il cantare, il
percuotere un tamburo o qualsiasi strumento musicale o reso tale, il parlare,
l’ascoltare, qualunque nostra espressione e il confondersi con mille
viaggiatori per marciare, anche percorrendo strade inesplorate, verso un mondo
nuovo. Lo sport può essere una possibilità ulteriore per allargare democrazia,
per la salvaguardia del patrimonio ambientale e storico, per socializzare e
proporre diritti, per trasformare vecchi templi occupati, in gran parte, da
“baroni” senza scrupoli, in sedi per rapporti vivi e “disinteressati”
tra atleti, società, federazioni sportive e polisportive, istituzioni e
moltitudini, per la medicina (terapie, lotta a deformazioni fisiche, strumento
ulteriore per disabili e per una crescita qualitativa di ognuno ed ognuna), per
uno sfogo salutare della nostra stessa aggressività, per una nuova morale, per
essere protagonisti anche della sconfitta di “notabili coriacei” che ci
vogliono unicamente spettatori o perenni subalterni. La cultura fisica, anche
per questi motivi, non è mero esercizio muscolare, il diventare “campioni”,
la competizione contro (e sappiamo che lo è per…), il solo divertimento ma la
possibilità di salire nuovi gradini per il trionfo di una nuova umanità e,
quindi, per l’affermarsi dell’uomo nuovo appunto. Lo sport e la cultura, lo
sport come cultura. Fare una cosa per sport nel gergo comune va a significare il
fare tanto per fare (o per puro divertimento) mentre, contrapponendoci anche a
consolidati “luoghi comuni”, dobbiamo parlarne con enorme serietà e con la
consapevolezza che trattasi di questione universale, impedita a popoli interi,
negata anche nelle società più sviluppate. Questi brevi appunti rappresentano
una voce un po’ fuori dal coro, di fatto meno esperta di altre, più
passionale che tecnica e tuttavia entusiasta perché coinvolta in una
comunicazione (in tempi di disinformazione e informazione deviata e deviante,
falsa, ipocrita e menzognera, in piena crisi strutturale, che condiziona anche i
nostri rapporti più intimi, di un sistema basato sul privilegio, il profitto e
ancora l’oppressione e lo sfruttamento; che stenta a morire anche per una
nostra difficoltà a dotarci di un piano per un’alternativa necessaria) che ci
dona, e davvero ne abbiamo urgenza e desiderio, un piccolo seme da coltivare e
far crescere: da moltiplicare. Quella dello sport è una questione al pari di
quella meridionale, agricola, industriale, inerente la criminalità organizzata
e le tante altre che se non verranno portate a risoluzione non solo ne esce
mortificata l’idea di civiltà ma potremmo assistere alla decomposizione delle
classi in lotta sullo stesso terreno che le ha generate… Intanto: a Cuba e
grazie al resistere (per avanzare), oltre ogni confine, di milioni di piccoli
combattenti pratici (uomini e donne), di molti senza nome e senza volto, un
mondo nuovo è già in costruzione… A Cuba: mentre un sogno di liberazione al
plurale inizia a diventare programma e progetto per milioni di persone, giovani
e ragazze che non intendono stare alla finestra dinanzi all’organizzazione
mondiale delle disuguaglianze.