POPOLI DEL SUD
La lezione che viene dal Venezuela, in questi giorni di
aprile del 2002 (l’aver saputo reagire, cioè, con un ruolo da protagonista
delle masse popolari, ad un golpe militare sostenuto da ciniche e corrotte
classi del privilegio e del profitto e dalla “lunga mano” degli USA) è di
grande valore storico e non ragionarla è limitare le possibilità stesse di
edificare società alternative per tutti e tutte coloro (organizzati o meno) che
intendono seriamente mutare lo stato di cose presente. Il Venezuela ci aiuta con
i fatti ad uscire da ogni ambiguità, da una politica sloganistica e
strumentale, dalla pura contestazione e dal pressappochismo ideologico, dalla
presunzione e dall’inseguimento di falsi miti (o dei Potenti della Terra
unicamente sul loro stesso terreno) e ci invita a vivere la realtà indagandola
senza superficialità. Il riscatto dei popoli passa essenzialmente attraverso la
valorizzazione del “Popolo del Sud”. Non si è ripetuto, questa volta,
quanto accadde a Jacobo Arbenz nel 1954 in Guatemala e nello stesso anno a
Getulio Vargas in Brasile e l’anno dopo a Juan Domingo Peron in Argentina e
nel 1973 a Salvador Allende in Cile (esempi limitati alla sola America Latina).
Accadimenti drammatici che non solo riportarono indietro le lancette della
storia di quei popoli ma che condizionarono fortemente le politiche di
innovatori e rivoluzionari in altri
parti del globo (valga per tutte la scelta del “compromesso storico” del PCI
dopo i fatti del Cile fino, caduta l’URSS, allo scioglimento dello stesso e
all’accettazione di un capitalismo ipotizzato riformabile e non da
contrastare). Ciò che indubbiamente riacquista vigore è anche una via
democratica al socialismo nelle condizioni che lo consentono. Una strada,
questa, non scontata né indolore, che implica una totale mutazione della
tattica e della strategia dei suoi proponenti insieme ad una rivoluzione
culturale (dell’uomo) e alla credibilità (e la chiarezza) di un programma
come condizioni imprescindibili: oltre, naturalmente, alla non sottovalutazione
che l’insieme dei rapporti di produzione che formano la struttura economica
della società stessa sono sempre collegati ad una superstruttura politica,
giuridica, culturale ecc. che si tende a rendere conforme ai detentori dei mezzi
di produzione (non solo del proprio cortile di casa), alla capacità di rendere
“scienza” l’unità dei mezzi con il fine, della teoria con l’agire, del
resistere con l’avanzare, di ogni piccola battaglia con lo scopo finale (e mai
ultimo). Ma soprattutto, fuori da ogni modello passato e anche presente (e senza
rinunciare ad indagarli), bisogna specificare che cosa deve essere la società
nuova per la quale si lotta coscienti che il primo dovere, per ognuno ed ognuna,
per ogni organizzazione, è conquistare il diritto al pieno esercizio
dell’indipendenza, della sovranità e della giustizia e del benessere di ogni
nazione, di ogni continente, rafforzando e sviluppando la democrazia attraverso
una consapevole e non subordinata partecipazione delle genti a partire dal
movimento dei lavoratori. E’ stato dimostrato, in Venezuela, che la storia si
scrive essenzialmente nelle piazze e in questo luogo i popoli ne possono essere,
appunto, artefici. Il “Popolo del Sud” può e deve essere un riferimento non
sostituibile per la protesta di Seattle o di Genova o di Porto Alegre o
Barcellona ed ovunque ci si organizza per contrapporsi all’attuale
organizzazione mondiale delle disuguaglianze e per non rimanere soffocati da un
conflitto auspicato dalle stesse classi dominanti. Il Popolo del Sud è in
Italia non solo il suo Meridione ma il Meridione del Nord e le periferie di ogni
metropoli. Il Sud sul Mediterraneo si allarga all’Africa e vive in tutto il
Vicino Oriente. Il Sud in America entra nel Bronx e vive nelle lotte di ogni
schiavizzato del passato e di ogni migrante di oggi. Il nostro Sud è, dunque,
al Sud di nessun Nord. Mentre è indubbio che a partire dall’America Latina,
dagli esempi di Martì, Bolivar, Zapata, Mariategui, Guevara, Sandino e tanti
altri e tante ancora e, poi, dai nostrani Gramsci e dalla “non storia” di
popoli depredati, dagli europei ora Masaniello ed ora nuove Luxemburg, dal
Chiapas e dai movimenti per la terra e la casa, dai senza voce e senza nome un
socialismo nuovo è possibile, è possibile dare un futuro ad ogni seme che si
pianta, è possibile conquistare
l’emancipazione concreta dei popoli… Il “Popolo del Sud” è la grande
diga (anche in quello che viene chiamato Mondo Occidentale), quindi, per
arginare gli enormi disastri del neo-imperialismo, del neo-liberismo e del
fondamentalismo di mercato (dalle guerre alla fame, dalla distruzione ambientale
agli embarghi come moderna forma di genocidio, dalla mancanza di cura alla
negazione degli stessi diritti umani…). Il “Popolo del Sud” non ha subito
unicamente il “furto” di ogni sua ricchezza (dal petrolio ad ogni materia
prima, dagli uomini e dalle donne da rendere forza-lavoro schiavizzata alle
risorse naturali, dal patrimonio storico alle libertà…) ma anche il
tentativo, mai domo, di espropriarlo della sua “memoria”, storia e
tradizioni affinché lo sviluppo per alcuni non si identifichi immediatamente
(come di fatto accade) con il sottosviluppo di molti. Ecco perché non esiste il Terzo Mondo ma un sistema (quello capitalistico) al quale
appartiene il Terzo Mondo (anche nelle sue periferie) quanto ogni altra barbarie
di cui è responsabile. Esiste, non astrattamente, il capitalismo (e la nuova
globalizzazione non ha eliminato affatto mire neo-imperiali ma è esattamente
vero il suo contrario) con le sue miserie, oppressione, sfruttamento, violenza
ecc. e, pertanto, la speranza di costruire un mondo nuovo è possibile solo
uscendone fuori. Il “Popolo del Sud” è al centro di ogni contraddizione
scientificamente dimostrabile e soprattutto di quella della società divisa in
classi affinché il 6% degli esseri viventi possa godere delle ricchezze
prodotte dall’umanità intera. Ed è per mantenere questo privilegio che
questa banda esigua, esaltando ogni ipocrisia, manipola l’informazione,
ordisce guerre, alimenta il terrorismo, inventa golpe, genera la miseria di
massa, inasprisce drammi sociali e, al tempo stesso, illude gli abitanti delle
sue roccaforti di essere i migliori e, quindi, se mossi a pietà, anche i
soccorritori di deboli e poveri per evitare olocausti ancora più impressionanti
di quelli generati. Ma un popolo senza coscienza è solo massa e un esercito che
non sa emanciparsi e dirigenti che non sanno farsi dirigere e che non sanno
creare nuovi dirigenti sono destinati alla sconfitta. Ma, inoltre, un popolo al
quale si promettono o per il quale si realizzano solo bisogni (essenziali)
materiali immediati è destinato a dimenticare da dove viene e a smarrirsi nel
cammino verso la società nuova. Chavez non è populista e se lo è
lo sono maggiormente coloro che in maniera insidiosa indossano una giacca
a doppio petto e hanno una doppia faccia e la lingua biforcuta. Il sistema
capitalistico è anche paternalista e non rifiuta, per necessità o costrizione,
compromessi sociali. Per sopravvivere (per gestire, cioè, la sua crisi
strutturale) non ha limiti: non disdegna, infatti, edificare ponti d’oro alla
criminalità organizzata, ai produttori di morte, ai costruttori di immensi
campi di concentramento e di lager, a dittature spietate e a socialdemocrazie
plaudenti, ad assassinare migliaia di Galileo Galilei o ad asservirli, a
manipolare coscienze o a regalare computer e antenne paraboliche, ad esaltare
fanatismi religiosi o a preoccuparsene… Avanza, per questi motivi e non solo,
un pensiero unico e una cultura di massa che in realtà nega ogni vera
“universalizzazione” della stessa e il porre, oggettivamente, tutti e tutte
come uguali dinanzi ai fatti di cultura appunto. Il nuovo e necessario
“intellettuale collettivo” si deve concretizzare nel “Popolo del Sud”
che non può escludere e né potrebbe, per non essere mortificato, il partito ma
sapendo che il solo partito non basta, che questo deve essere una cellula già
in atto della società nuova che s’intende edificare, che la sua funzione è
temporanea quanto dovrebbe esserlo quella della società divisa in classi (e le
classi non si presentano mai ad uno stato puro e il Popolo del Sud non può
trascurare l’essenzialità di una programmatica politica delle alleanze da
rendere storica ed organica)…L’internazionalizzazione disegnata dalle classi
dominanti è quella delle privatizzazioni, delle corporazioni multinazionali,
delle illusioni, di una militarizzazione emisferica per imporre un potere sempre
più di pochi e renderlo “naturale”, non sostituibile e, tuttavia,
disponibile ad accogliere alcune lamentele e alcune richieste dei
“consumatori” e “sudditi” generando ulteriori egoismi, rassegnazione,
incomunicabilità o “false vittorie” che sostanzialmente non modificano i
rapporti di forza tra le parti in antagonismo e neppure la realtà. Il “Popolo
del Sud” ha incrementato la sua capacità combattiva, ha unito tante diversità,
ha inventato nuove forme di democrazia (a partire dal basso), ha identificato le
ragioni storiche dei lavoratori con quelle della ribellione indigena, degli
studenti o dei senza diritti, dei deboli e degli emarginati, di intellettuali e
di illuminati “senza classe” e “provenienti” da una cultura
piccolo-borghese o borghese. Ha unito la difesa della democrazia con il suo
allargamento e la propria peculiare storia con quella di un’umanità nuova
senza confini e la sovranità di un singolo popolo con quella di ogni nazione.
Il Venezuela insegna anche questo. E Cuba ci ricorda, resistendo al bloqueo USA
e non limitandosi (nonostante numerose difficoltà) alle prime conquiste della
rivoluzione, lavorando per l’emancipazione del popolo e per allargare libertà
e lotta alle ingiustizie, che un altro mondo è in costruzione. In questi giorni
gli USA, non casualmente, in cambio di favori (con un ruolo asservito del Fondo
Monetario Internazionale e di altre strutture internazionali), tentano di far
criminalizzare l’isola di Fidel da altre nazioni della stessa America Latina
(Uruguay, Perù) e sono complici e protagonisti del Plan Panama in Messico, del
Plan Colombia, della mortificazione del popolo argentino o nicaraguense, in
Costa Rica e in Guatemala… Gli Stati Uniti: un gigante dai piedi d’argilla
che attraverso il piano definito ALCA, già sperimentato in tanta parte
dell’Africa, il Nafta (noi abbiamo in Europa le falsità di Maastricht e il
tentativo di rendere operativo un Accordo Multilaterale tra profittatori) e
altre nefandezze tenta disperatamente di gestire la crisi che attraversa la sua
stessa società e che sta attraversando l’intero pianeta. Anche per queste
ragioni la nostra identità sta nella lotta e nel definirci
“Popolo del Sud” dobbiamo lottare contro i nostri stessi limiti e
iniziare a guardare il mondo attraverso gli occhi di tutti e tutte coloro che ne
sono parte. Gli Stati Uniti: un rimbambito orco che rade al suolo ogni autonoma
capacità di sviluppo tecnologico oltre la sua egemonia, culture “altre”,
Costituzioni nate da identità diverse e in confronto, ambiente, la stessa
libertà di realizzare un moderno avanzamento industriale autonomo per popoli
interi, di produrre riforme per lo sviluppo e nel farlo monopolizza ogni sapere
e ne annienta i valori agendo in superficie e in profondità come diceva una
persona odiata da molti e tuttavia attuale di nome Lenin che ha dato un primo
spessore alle elaborazioni di due incoscienti barbudos: Marx ed Engels. Degli
idioti, per alcuni, da accantonare e da non rinnovare dentro i più marxismi (da
analizzare sempre criticamente) che la storia ci ha consegnato e dentro un
continuo rapporto con la realtà e che, comunque, continuano a non far dormire
sonni tranquilli ad un potere che insiste a fare dell’anticomunismo la sua
eterna, per quanto stracciona, bandiera fino a cercare alleati tra i suoi stessi
nemici. Gli Usa: un baro al tavolo da gioco che falsifica il passato (il suo
stesso passato) e oscura il presente rendendo ogni Prepotente un uomo virtuoso,
ogni sfruttatore un genio e ogni suo fantoccio un amico da venerare finché non
deve diventare il suo contrario. Comprenderlo non basta, divulgarlo neppure se
non cresce una “cultura per tutti” da vivere ragionando e se l’uomo non
trasforma se stesso. E la propria trasformazione non può avvenire se non hai un
programma e le coordinate del “che fare”e se non sai rispondere ad una
semplice domanda che hai l’obbligo di porti: ma come deve essere la società
nuova a cui aspiro avendo una precisa idea del reale? Il “Popolo del Sud”
per non diventare il popolo degli esiliati nella sua stessa Terra deve
trasformarsi, sempre di più, nel costruttore del rinnovamento democratico e
socialista del pianeta e deve farlo partendo dalle proprie radici, dalla sua
“diversità”. Viviamo in un mondo dove ogni giorno migliaia di persone
muoiono di fame, dove dallo sfruttamento e dalle guerre non sono risparmiati
neppure bambini e bambine, dove alcune stragi di innocenti sono chiamate effetti
collaterali, dove il nucleare non è la ricerca di nuove fonti di energia, dove
gli analfabeti (e l’analfabetismo di ritorno impera) sono non statisticamente
misurabili, dove si costruiscono bombe anziché scuole e case e ospedali, dove acqua ed
energia per molti sono chimere, dove impazzano fondamentalismi e fanatismi degni
dei primi abitanti delle caverne, dove criminali senza scrupoli non solo
corrompono governi ma essi stessi, insieme a lobbies e possessori di finanza e
mezzi di produzione, diventano governanti, dove ancora esiste la tortura e la
pena di morte, il colonialismo (per quanto nuovo) e i genocidi e dove alcuni
paesi sono poveri semplicemente perché un continuo saccheggio ne ha reso pochi
altri “benestanti”, dove per alcuni c’è lo spreco e la miseria di altri
è vissuta come minaccia a perpetuarlo, dove alcune bestie godono di lussi tali
che milioni di esseri umani che camminano su terre nere di petrolio e
scintillanti di diamanti ed oro neppure immaginano e intanto al Sud del Mondo e
nel Mondo si spende senza limiti per gli armamenti e per prodotti di cui
potremmo, vivendo felicemente, fare tutti volentieri a meno. La lezione del
Venezuela è, infatti, come lo fu per il Cile e per altri popoli, anche un
capitolo che afferma: il possedere “patrimoni, risorse e cose” e capacità
di gestirli per il proprio progresso nel Sud del Pianeta equivale ad una
condanna quanto possedere la miseria. Ma la condizione sociale e l’avere
coscienza, il sapere e l’informarsi, l’organizzarsi e la stessa fantasia
sono le basi per una lotta contro le guerre, per la rivoluzione contro la
barbarie, per il riscatto dei popoli e del mondo del lavoro contro il furto, per
la dignità del vivere contro l’umiliazione, per l’etica dell’essere
contro quella dell’avere. E questa sfida del “Popolo del Sud” se cresce
smaschererà il potere (per quante maschere utilizzi), combatterà lo sterminio
e il terrorismo (anche se non è raro che i terroristi definiscano tali le loro
vittime), riconsegnerà alla storia milioni di desaparecidos che hanno subito
quanto di più atroce (dopo Hitler tra gli ultimi occidentali) e infame la
storia dell’umanità abbia visto. I colpevoli non sono invisibili e conosciamo
le mani di chi, come Custer, animato dall’odio, è responsabile di tali
“primitivi” scelte e per quali interessi e privilegi sono compiute nella
società del Profitto. Il “Popolo del Sud” diviene popolo acquistando un
“senso comune unitario”, inventando un “nuovo conformismo” che ancora
non possiede e valorizzando la funzione storica del mondo del Lavoro per un
nuovo Rinascimento. Diviene popolo rifiutando compassione e pietà e creando una
nuova solidarietà che si chiama cooperazione e che implica la sovranità di
tutte e di tutti. Combattere e sconfiggere il gendarme del Pianeta è dunque un
obiettivo prioritario per poter continuare a rendere credibili alternative al
presente. Il neoliberismo è il fulcro di mire imperialistiche e il programma
stesso del capitalismo che pretende una subordinazione senza condizioni dei
paesi periferici ai centri di potere e un assoggettamento del pesce più piccolo
verso il più grande anche tra i propri alleati. Il modello che si intende
rendere “normale” è un modello imposto che si vuole legittimare con ogni
mezzo e attraverso varie forme di potere che però devono sempre penalizzare
percorsi elettorali plurali e democratici (e non ridotti al partitismo e meno
che mai ingabbiati da furbesche logiche bipolari), partecipazione popolare,
diritti (lavoro, istruzione, cura, abitare, trasporti, cultura, sport ecc. ecc.)
e restringere le stesse possibilità di lotte rivendicative anche con l’uso
spregiudicato della forza. Avanzano privatizzazioni selvagge anche nei servizi,
diminuiscono salari e lavori qualitativi, aumentano privilegi per il capitale
speculativo e clandestino e si massacra qualsiasi ipotesi di sviluppo
sostenibile provocando nuove povertà ed eliminando conquiste consolidate. Solo
la riscoperta del ruolo storico dei lavoratori e solo l’irrompere nella storia
del “Popolo del Sud” possono creare le condizioni per una fuoriuscita da
questo stato di cose e per un’integrazione nell’economia internazionale di nazioni
ed aree (soprattutto di quelle normalmente escluse o soggiogate) che garantisca
una produttività per migliori livelli di vita, benessere sociale ovvero
distribuzione del reddito ed emancipazione dei suoi realizzatori pratici
liberando tempo e consegnandolo alla vita stessa e corrispondendo ad esigenze
attualmente calpestate fino a valorizzare i rapporti più intimi. Il “Popolo
del Sud” che si unisce oltre interessi di parte ed esclusivi, che sa andare
aldilà del solo terreno economico, che sa restituire qualità di vita anche
all’ultimo indigeno di questo pianeta sta iniziando a cambiare l’uomo, a
praticare la madre di ogni rivoluzione: quella morale e culturale. La battaglia
inizia da qui e deve proseguire in un impegno per sconfiggere il
modello neoliberista e il predominio delle èlite degli Stati Uniti sul
proprio e altri popoli, riformando totalmente le strutture di Bretton Woods e
l’ONU, sciogliendo la NATO, costruendo democrazia politica reale,
partecipazione e protagonismo dei popoli, socializzando informazione, eliminando
senza condizioni debiti esteri imposti e liberando tempo al lavoro, tutelando
l’ambiente e realizzando riforme essenziali a partire da quella agraria per
arrivare alla garanzia di un salario degno e di una degna pensione per ogni
essere vivente, trasferendo risorse dal Nord al Sud del pianeta per
riequilibrare gli stessi diritti e doveri, disarmando le nazioni, favorendo
contro razzismo e xenofobia ogni essere umano viaggiante, tutelando e allargando
ogni diritto, processando i responsabili di crimini veri contro l’umanità a
partire dal capitalismo illegale, ritenendo un crimine un solo morto per fame,
per una malattia curabilissima, la vittima di un’ingiustizia, un espropriato
dalla cultura e dal fare e vivere sport, liberando tempo per intensificare i
rapporti umani e portare avanti il “processo di umanizzazione” della nostra
specie, regalando libertà ad ogni diversità e confrontandosi con i sentimenti
legati alle superstizioni per superarle e al semplice predicare religioso. Forse
queste cose ci sono già state lasciate in eredità da liberatori e da popoli
fieri che liberandosi sapevano che dovevano farlo da sé ma quando le vediamo
rinnovate nella resistenza del popolo cubano, nella determinazione attuale di
quello venezuelano (con circa l’80% di poveri), nella piccola comunità del
Chiapas e in un accampamento di contadini in Brasile, nell’onestà
intellettuale e morale di alcune coerenti organizzazioni di classe, del lavoro,
comuniste, in comitati di quartiere che sfidano il Palazzo, in assemblee sociali
e in forum che vogliono trasformare anche i sogni in cose possibili allora
possiamo dirci, senza tentennamenti, disposti anche ad ulteriori e laceranti
sconfitte e ad errare, che non saremo spettatori della decomposizione delle
classi in lotta sullo stesso terreno che le ha generate e che un socialismo
nuovo è possibile. Dobbiamo, cioè, schierarci ancora al fianco della classe
operaia e invitare ogni popolo in lotta ad organizzarsi in “Popolo del Sud”
per un progetto di liberazione dell’umanità intera.
Michele Capuano
Democrazia Popolare