RIPENSARSI
di Cristina Balzi
 

Leggo con autentico interesse i numerosi articoli scritti su argomenti di carattere politico, nei quali sembra prevalere quasi sempre la volontà di affermazione di principi, considerati validi, o semplicemente propugnati con un atteggiamento di convinzione. Ciò che riguarda la sfera politica e gli inviti innumerevoli a riprendere o prendere per la prima volta confidenza con tale "obsoleta" pratica, intesa come appartenenza, fare insieme con un'unita di intenti, attualmente provocano nell'animo di una comunista, come me, orgogliosamente tale, un certo disagio. Ed è proprio partendo da questo stato d'animo che si fa strada la voglia di dire. Da qualche anno assistiamo a una crisi di valori, di identità, accompagnata da un'assenza di protagonismo o di partecipazione che hanno una causa lontana, poco definita, e che pure dovrebbe essere sviscerata per comprendere. Le formazioni partitiche si presentano come "coacervi" di soggetti validi solo per una rappresentanza istituzionale, che inizia però ad essere messa duramente in discussione, basta pensare alle defezioni, e soprattutto all'astensionismo in ascesa.

Cosa ha reso il fare politica una pratica di pochi? e la partecipazione un puro miraggio? Intanto possono essere ricordati i problemi devastanti che minano le masse popolari: il bisogno di lavoro, l'impossibilità per le nuove generazioni, in particolare per le donne (male questo atavico, ormai millenario) di trovare un'occupazione per il proprio sostentamento, le nuove forme di sfruttamento come il lavoro interinale, la  diffusione di pseudo-contratti come la formula quasi "sapienziale" per chi naturalmente li ha strutturati e prima ancora pensati, della "collaborazione coordinata e continuativa", che interessa in primo luogo le imprese ma che  abbraccia anche molte cooperative di "sinistra", di carattere sociale e culturale, e le tante altre realtà che non possono essere ricordate tutte… Eppure come si fa ad omettere le condizioni disastrose in cui versa la sanità pubblica? le battaglie per la difesa di una scuola ormai "autonoma" quasi totalmente privatizzata?, ed ancora la recente messa in discussione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori?, oggi difeso dalle confederazioni sindacali  solo per ragioni oppositive, mentre un tempo, non molto tempo fa a dir la verità, sono passati quasi inosservati i provvedimenti del pacchetto Treu… momento di svolta reazionaria che ha peggiorato i rapporti di forza presenti nel mondo del lavoro, per usare un espressione eufemistica, frutto di una politica scellerata e antipopolare dell'allora governo di sinistra. Ricordate?  Si potrebbe proseguire all'infinito, tante potrebbero essere le motivazioni che hanno spinto molte comuniste e tanti comunisti, a ritirarsi nel privato e pensare di relazionarsi con l'esterno in modo soggettivo, individualistico, del resto questo è  anche il risultato diretto della tendenza predominante che si annida nelle moderne società occidentali. La politica in questo contesto appare una sorta di "iperuranio" platonico, una pratica lontana, un "altrove" senza tempo e senza spazio, mentre sicuramente vicine ai più sono le tante problematiche sociali che tutte vanno affrontate se si vuole realmente  parlare dei bisogni reali delle persone, abbandonando la vexata questio delle molte abiure a cui pure volenti o nolenti abbiamo assistito ed assistiamo. E' da questo "insieme di disagi" che si deve partire, per evitare di correre il rischio di affrontare solo le questioni nominalistiche, a volte formali, il più delle volte superflue. Il mondo personale di certo non esaurisce l'intero mondo, al contrario lo limita, porta a preclusioni senza precedenti, eppure risulta difficile pensarsi insieme, propugnatori oggi più che mai di ideali volti alla salvezza dell'uomo e del mondo. La disumanizzazione in atto dentro e fuori i processi sociali, attraverso il bombardamento senza limiti di messaggi sublimali, il sovvertimento delle reali esigenze umane, l'abbattimento di ogni pensiero critico, sono dati oggettivi, come lo è pure la crisi di un fare antico quanto l'uomo come la comunicazione, dal momento che avviene e si realizza attraverso un codice comune, un linguaggio in senso lato, altrimenti non è. E' necessario concentrare l'attenzione su queste tematiche se non si vuole finire con il parlarsi addosso, utilizzando vecchi frasari marxisti-leninisti o marxisti-marxisti (ce n'è per tutti i gusti) parlando a se stessi  o a una sparuta minoranza, mentre perdura per fortuna un immaginario collettivo che ha come prospettiva un altro mondo,  necessario, e non solo possibile. Più umanità nelle relazioni vuol dire tentare di accettare l'altro per quello che è, l'alterità è infatti null'altro che fonte diretta di continuo arricchimento raggiungibile solo con il reale rispetto dell'altro da noi, che consente il vero riconoscimento della differenza come risorsa attraverso il confronto, e la comunicazione si realizza con le sopradette modalità e può essere intesa come capacità di relazionarsi partendo da comuni radici pur nella diversità e differenza dei punti di vista, tutti necessari per comprendere la realtà che è sempre polivalente, totale in quanto complessa. Pensavo di non riuscire a scrivere un articolo di carattere politico e probabilmente non ho raggiunto questo scopo, sembra infatti a volte che i tempi siano inadeguati, che lo siano le parole per qualsiasi ricezione, e dunque per ogni forma di espressione che si pone al di là dei nostri consapevoli limiti intellettuali, politici, e ahimè umani. Eppure la denuncia è proposta, la tristezza è allegria, il disincanto è speranza, tutti questi elementi sono infatti complementari, l'uno si definisce solo a partire dall'altro, come è vero il contrario. Non c'è, adottando un linguaggio letterario, progetto senza nostalgia, non c'è futuro senza rimpianto, costruire è lacerarsi. Con questo augurio vorrei concludere.