Ritrovare la politica 
per rifondare la società  

di Letizia Magnani

Solo dentro ad un sistema di domande corretto la politica avrà davvero un senso e assolverà al suo vero compito: dare risposte alla vita reale.

John Stuard Mill diceva che l’evoluzione della conoscenza non è data dalle buone risposte trovate, ma dalle buone domande poste. E la stessa regola probabilmente risulta essere vera anche per quanto riguarda l’evoluzione della società e degli individui. Fra tutti i mestieri del mondo quello della politica è il più strano e il più ingrato perché a lui toccano le risposte. Le risposte ai problemi della vita reale, così come le risposte ai bisogni materiali e subconsci delle persone. Ancora più che all’economia la gente chiede alla politica di risolverle i problemi. Le chiede di essere onesta e anche buona. Ma onestà e bontà, essendo valori assoluti, difficilmente collimano con la realtà delle cose quotidiane. Tanto più difficilmente poi quando la politica, o ciò che essa è diventata, si affanna a dare risposte a tutti senza, da un lato, capire le differenze e, dall’altro, porsi le giuste domande. Diceva Marx che "fare leggi uguali per diversi è una grande ingiustizia". Nel mondo variegato e pieno di conflittualità attuale questo concetto di uguaglianza nella differenza e di differenza nella uguaglianza assume un valore aggiunto importante e tutto da capire. Quando Marx scriveva aveva davanti agli occhi una società complessa ma semplificabile a categorie e ad opposizioni fra le categorie. L’idea di base su cui si fondava la sua impostazione filosofica erano le classi sociali e la forza che muoveva il tutto era la lotta di classe. Ad oggi dire che quella categorie e quella forza non reggono più è un errore, ma è un errore anche non capire che esistono delle differenze. Oggi siamo sempre più individui che si muovono soli in una economia gigantista che fagocita tutto e tutti per fini molto deleteri, come lo sviluppo incondizionato e fine a se stesso. Questo sviluppo postcapitalistico si rivela essere tanto più insensato per il fatto che le risorse sono limitate e quindi anche la corsa allo sviluppo prima o poi avrà un limite materiale, a meno di non voler pensare ad una "soluzione definitiva" nella quale si elimina parte della popolazione per fare in modo che una élite ristretta continui ad avere privilegi e materie da consumare. Non sono venuti meno i conflitti sociali, i quali, al contrario, si acutizzano sempre di più, semplicemente si sono modificati, in proporzione e in coerenza con il modificarsi della struttura sociale. In tutto questo modificarsi restano però sempre costanti i bisogni, le esigenze dell’uomo. Bisogni ed esigenze che vanno oltre gli status symbol della nostra ricca e opulenta postmodernità. Si tratta al contrario di bisogni e di esigenze molto più intime e profonde. A questi bisogni e a queste esigenze la politica deve saper dare delle risposte. Ma per poterlo fare deve riuscire a porsi le domande giuste. Deve riuscire a capire come la struttura sociale si è modificata e come con essa si siano modificati i conflitti sociali. Senza trovare un buon sistema di domande la politica non può più fare politica. Dobbiamo a questo proposito ritrovare il senso della (parola) politica. Si è perso con l’andare del tempo. E’ come se lo avessimo consumato.Eppure un senso c’è e ci deve essere. Fare politica come la si fa oggi non ha senso. La politica fatta solo per il raggiungimento del potere non è politica, è puro agonismo egocentrico e cieco. Si è perso il senso delle cose comuni e quotidiane. Il senso dello stare insieme e del vivere quotidiano. Si è persa la socialità e l’umanità. Questo processo, forse innescato dall’industrializzazione, che ha reso l’uomo schiavo, oggi è anacronisco e astorico. Ma coerenza e storia sono anch’esse in declino. L’alienazione oggi è palpabile. Ed è un fenomeno tanto più grave perché ad essere alienata oggi è l’intera società o, volendo, l’intera non società. In quanto la struttura fondamentale del vivere umano, la società appunto, si è ormai disgregata. Siamo giunti ad un punto di non ritorno. Eppure la nostra vita deve ancora avere senso. Non possiamo deporre le armi proprio ora. Occorre riscoprire la politica per ritrovare (o forse per rifondare) la società. Questo è il tema. E a questi problemi di base la politica deve riuscire a dare risposte. In Francia, così come in Italia, la sinistra ha fallito il suo compito storico perché non ha saputo e spesso non ha voluto ricercare un vero sistema di domande da porsi. Non ha fatto politica. Ha governato. Ha usato il potere. Il che non è mai funzionale né alla politica, né ai problemi, né alla società, né alla gente. Se solo si capisse che il dato di partenza della politica è la vita reale e sono le domande e i problemi di tutti i giorni, allora si potrebbe davvero tornare a fare politica, il cui compito è dare risposte a quei problemi, a quelle esigenze e a quelle domande, e magari anche lavorare per la rifondazione della società. La fondazione di qualcosa è sempre un atto partecipativo e passionale. E la politica, così come la vita, è essenzialmente passione. Per dare risposte alla vita reale occorre riscoprire la politica per rifondare la società. C’è bisogno di comunismo e, in generale, di laicità per dare una risposta al bisogno di socialità che ognuno di noi ha. Oggi siamo sempre più soli, localizzati, ciò nonostante la globalizzazione che avvicina tutti e rende tutti, apparentemente, uguali ma che in verità decentra e rende tutti più soli e asociali. Bisogna riscoprire la società, la libertà e il pensiero. Bisogna tornare a pensare per essere davvero liberi, per poter dimostrare le nostre capacità e per riscoprire la vita associata. La comunità, piccola o grande che essa sia, può essere la base per ripartire, per rifondare la società e per intraprendere un dialogo sereno con altre culture. Il rispetto reciproco e la voglia di conoscere saranno alla base della società civile e moderna. Forse così sarà davvero possibile riscoprire o rifondare l’internazionalismo di cui tanto si è parlato, ma del quale, in effetti, i più hanno paura, perché gli altri sono sempre diversi. E invece non deve più essere così. Deve essere possibile collegare fra loro le genti e le culture, deve essere possibile il dialogo fra le genti e le culture. Ma per ritornare a questo, e cioè ad una società civile e rispettosa delle differenze e della ricchezza portata da ognuno, una società nella quale prevalgano l’armonia e il dialogo, una società di persone uguali e libere, occorre riappropriarsi (e forse addirittura rifondare) della (parola) politica.