Tigullio: un esempio tagliente dell’egemonia
borghese in Italia!
di Massimo Ugolini
Per cambiare il paese e avendo l’ambizione di voler cambiare il mondo abbiamo prima di ogni cosa il dovere di conoscerli. Di conoscere anche la più piccola ingiustizia, di indagare seriamente ogni realtà; anche la più lontana..
Da sempre la
zona geografica che si identifica nel Levante ligure, ovvero il Levante della
provincia di Genova, è un feudo dei moderati, dei centristi, fatta eccezione
per Sestri Levante che, invece, ha una tradizione industriale ed è un
importante patrimonio delle varie formazioni di sinistra.
Occorre
rilevare, per chi non conosce questo territorio del nord Italia, che la parte di
questo golfo nel quale si affacciano città come Chiavari, Rapallo, Santa
Margherita Ligure, è crogiuolo di una potente lobby commerciale, gestita fin
dal dopo guerra dalle varie famiglie detentrici del potere economico e non solo.
Quindi lo sviluppo in questa zona è stato sempre legato ai potentati
“bottegai” che fino all’esistenza della Democrazia Cristiana sono stati
nei fatti e nelle realizzazioni il più eloquente biglietto da visita di quella
formazione politica. Questo non ha impedito che nella parte orientale del golfo,
vista la presenza dei Cantieri Navali e di una defunta FIT (Fabbrica Italiana
Ferrotubi), si concretasse la presenza, dato il contesto sociale, di una
sinistra estremamente presente sia nelle sue parti moderate che più radicali.
Debbo puntualizzare che se anche la distanza geografica dal capoluogo non è
rilevante, le differenze e le difficoltà e la stessa possibilità di intendere
un approccio politico, sono state e sono tuttora radicalmente differenti. Si
voglia per la conformazione morfologica della nostra regione, o chissà per
quali altri motivi, ma c’è sempre stata una netta separazione fra la realtà
operaia di Genova e quella del Levante ligure.
Tornando a
fornire dati sulla realtà economica della zona, per quanto riguarda il Tigullio
orientale si ha un indotto industriale il cui picco è raggiunto nella
Fincantieri di Riva Trigoso e nelle numerose piccole imprese che sono nate
nell’Interland sestrese tra cui la Mares, nota ditta produttrice di materiale
subacqueo e, a Chiavari, la Lames che produce pezzi di ricambio di note case
automobilistiche. Anche nell’entroterra chiavarese, in particolare in due
vallate alle spalle della città, si vedono ogni giorno sorgere nuovi capannoni,
piccole industrie, attività microindustriali, segno evidente che non solo il
turismo, che pur domina sulla costa, è il motore economico del comprensorio. In
ultimo, ma non per importanza, esiste un indotto agrario che da qualche anno ha
rivitalizzato e riqualificato le produzioni delle vallate dell’entroterra del
Tigullio; esistono cooperative, come nella Val d’Aveto e a Varese Ligure, per
la produzione di latticini e derivati, ed esiste una cooperativa che raccoglie i
lavoratori della terra che applicano i principi dell’agricoltura biologica, il
tutto non considerato assolutamente dalle varie istituzioni, se non per qualche
rara manifestazione di facciata. Un’ennesima realtà è quella delle
cooperative di lavoro, siano esse sociali, e spesso di estrazione cattolica,
siano esse di rilevanza nazionale come la Coop e i suoi derivati (presto in
opera nel nostro territorio, la ben conosciuta Ipercoop con il suo seguito di
150 assunzioni). Brevemente devo sottolineare la giungla di norme più o meno
vaghe e diversificate per ogni soggetto che regolano queste cooperative e i
ricatti, cattopolitici, in esse presenti, rivolti ovviamente ai lavoratori. È
d’obbligo inquadrare a livello sociologico le persone che in circa 200.000,
sono questi i numeri, popolano questa zona, senza fare percentuali, sarebbe
supponente senza dati precisi, possiamo suddividere a livello sociale ed
economico i soggetti lavorativi della zona: sulla costa, come si potrà ben
arguire, c’è una larga presenza di commercianti e piccoli bottegai legati fra
di loro da un’idea del commercio che non è altro che la cura del proprio
orticello e mero affarismo, il che porta come minimo a due risultati evidenti:
prezzi esorbitanti e sviluppo economico del settore estremamente limitato.
Un’altra parte dei lavoratori è impiegato nel terziario avanzato, facente
capo, anche in questo caso, a piccole imprese (nel medioevo sarebbero state
chiamate corporazioni) di piccoli professionisti spesso e volentieri legati
all’edilizia. Esistono anche gli operai! Solo nel “caso” della Lames e dei
Fincantieri hanno il diritto, sia pur limitato, di far valere le proprie
ragioni, essendo aziende largamente al di sopra dei quindici dipendenti; invece
fra le altre pur numerose imprese, tutte con meno di quindici dipendenti, si ha
un commercio del lavoro ricattatorio, dove sindacato e diritti sono mera utopia.
Prendo al balzo per ribadire che una delle battaglie da sostenere è
l’allargamento dello Statuto dei lavoratori alle imprese con meno di quindici
dipendenti.
Allo scopo di
fornire dei dati che possano esemplificare la particolarità del territorio, sia
a livello di divisione sociale che politica, è necessario rilevare che negli
anni 70 – 80, fino all’esistenza di DP (Democrazia Proletaria), a Sestri
Levante vi era la presenza di un consigliere eletto nelle liste di questa
formazione e un cospicuo bagaglio di voti e un attivismo molto incisivo
nell’ambito territoriale; al contrario, se si va a vedere gli esiti nella
parte ponentina, erano, se non dimezzati, addirittura estremamente poco incisivi
e rilevanti gli esiti nelle varie elezioni politiche. Tra l’87 e il ‘94 è
nato, in seno a queste formazioni di estrema sinistra, ed a persone ad esse
vicine senza appartenenza di tessera, un movimento autogestito, un collettivo
culturale, che si chiamava “Circolo culturale autogestito Fata Morgana”, che
è riuscito a raggruppare dietro alcuni argomenti importanti, come la
dismissione del nucleare, la carenza di case in affitto e di spazi per fare
cultura, giovanile o no, davvero molte forze vive. Cercando di cogliere alcune
istanze e alcuni punti focali dell’attività di questo collettivo cito
senz’altro la ricerca esasperata di un linguaggio nuovo della sinistra, un
linguaggio che possa essere veramente un veicolo di comunicazione, verso tutte
le persone, a qualsiasi livello culturale esse appartengano. E in seconda
istanza un’orizzontalizzazione del potere, se si può definirlo così,
all’interno dell’organizzazione, quindi non segreterie, federazioni o
quant’altro ha devastato la sinistra storica, ma una rivisitazione degli
organigrammi e della funzione degli stessi, attraverso un lavoro realmente
basato sul collettivismo.
È di questi
giorni la riproposizione di un soggetto sociale e dunque politico come quello or
ora descritto. La nascita di questo soggetto è ancora in elaborazione ma i
segni provenienti dalle varie sigle politiche e sociali e soprattutto dalle
persone, sono senz’altro positivi. Mi posso augurare che in un futuro prossimo
tutto ciò diventi una realtà “movimentistica” e creativa, che superi le
logiche stantie del fare politica di una sinistra storicamente troppo chiusa nei
suoi riti e nel suo linguaggio asfittico. E che nel puzzle dei partiti, delle
idee, dei movimenti che faranno parte di questa, per ora, ipotetica realtà,
nasca una via comune di antagonismo, e come spesso uso dire, una rivoluzione in
divenire perché non si smette mai di essere rivoluzionari, sarebbe una
presunzione e un autolimitare la possibilità di crescita sia del singolo
individuo sia dell’individuo nel suo contesto sociale.
Ritengo
chiaro ed evidente, ma credo che questo sia già del nostro partito (DP:
Democrazia Popolare), l’agire come un’avanguardia sociale e politica che al
di là dei punti fondamentali sia una formazione in continua rivoluzione ed
evoluzione.