1° MAGGIO 2002:  
RESISTERE! LOTTARE! AVANZARE!  
di Fabio Massimo Vernillo

 

1° maggio 2002: a Roma ritorna il tradizionale “concertone” tra sponsor padronali, diretta televisiva non stop, masse entusiaste del divo di turno generalmente straniero e tentativi strenui di artisti-compagni (e non) di dire qualcosa di sinistra. Quest’anno la bandiera del lavoro e del no alle destre è stata impugnata da una band spagnola: “no alle destre, no ad Aznar, no a Le Pen e no a Berlusconi”. 1° maggio 2002: per molti una bella scampagnata “fuori porta” e del resto la giornata calda lo consente. I sindacati oltre a celebrare l’amore per i diritti si sono incontrati a Bologna anche per dire no al terrorismo. Un po’ ovunque, infine, piccole e grandi iniziative: forse la più significativa è stata quella a Portella della Ginestra in ricordo di una strage contro i braccianti di un’altra Sicilia: quella che non avrebbe mai votato in maniera plebiscitaria la destra e la Lega Nord come è avvenuto alle ultime elezioni politiche. Potenza di poteri occulti che quando si parla di criminalità non vengono mai citati mentre una sorte diversa capita quasi esclusivamente ai migranti in una nazione di migranti. DP, insieme a collettivi universitari, associazioni antirazziste e di solidarietà (3 Febbraio, AIASP), movimenti e alcuni sindacalisti di base (Cobas), SR e tante comunità straniere in rappresentanza di tutti i colori del mondo, ha organizzato un corteo per parlare di pace, lavoro, diritti, scuola e per dire no all’avanzare di una nuova barbarie in Europa e nel pianeta. La stampa e le televisioni hanno trovato spazio anche per i sindacati di destra o inesistenti e niente per il “nostro” piccolo resistere e lottare per avanzare. Solo il TG3 e TV private come TeleRoma 56 hanno detto, come alcuni organi di stampa, che c’erano degli antirazzisti in piazza (organizzati come, con chi ecc. non era importante).  1° maggio 2002: nella nostra posta i messaggi di Rifondazione Comunista dell’Argentina, del Partito della Liberazione, del PCPE spagnolo e partiti dei lavoratori europei, il programma di una giornata di lotta organizzato dal PTB del Belgio, Patria Roja del Perù, l’EPR dal Messico, i comunisti canadesi e brasiliani e tanti altri. 1° maggio 2002: diversamente dagli altri anni (non certo rosei) oggi la situazione è ancora più drammatica e senza dubbio pericolosa per le sorti dei diritti dei lavoratori conquistati con lotte anche aspre e sanguinose e per la stessa democrazia. In Italia grazie a governi di centrosinistra e ad incapacità e cedimenti palesi si è spianata la strada ad un governo e ad una cultura di destra che ha tra i suoi primi obiettivi lo smantellamento di ogni conquista realizzata dal mondo del lavoro. Ecco perché dovevamo il 1° maggio, e dovremmo ogni giorno, riprendere la strada (mentre dalla Francia spira un vento gelido e preoccupante) di un pensare e un agire per mutare lo stato di cose presente. Non basta difendere l’articolo 18 contro la libertà di licenziare (e intanto i licenziati aumentano insieme a precarietà, flessibilità, lavori sottopagati e in nero e, naturalmente nascosta dalle cifre, disoccupazione) ma bisogna allargarlo, bisogna dire no alle vecchie politiche sindacali della concertazione, difendere e ampliare i salari, riparlare di scala mobile e del costo della vita, della qualità del vivere, di nuovi modelli di sviluppo, di cambiamenti essenziali e concreti, di emancipazione dei popoli e loro protagonismo. La situazione internazionale non è esplosiva è già esplosa! Guerre, embarghi come genocidi e massacri di popoli interi, fame, miseria, nuovo schiavismo (anche infantile), mancanza di cure e distruzione ambientale, minacce di aggressione a Paesi che hanno diritto alla loro autodeterminazione (Cuba ad esempio), e ancora “voglia di guerra” verso la Somalia, l’Iraq, le Filippine, la Corea del Nord, la Colombia ecc. ecc. con la complicità silente dell’ONU, con un ruolo determinante per altri disastri del fondamentalismo di mercato e del Fondo Monetario Internazionale (Argentina, Brasile… tanto per fare degli esempi). Mentre quello che accadendo in Palestina è sotto gli occhi di tutti e tutte noi. Quando Marx ed Engels ci spiegavano “Il Capitale” ci indicarono, al tempo stesso, la via per intraprendere i grandi processi di libertà e sviluppo della democrazia e questa rimane la bussola per orientarci anche ai nostri giorni (senza mai rinunciare alla nostra capacità critica come ebbe a dire Marx: “dubita di tutto”). Alla crisi strutturale (gestita intanto) del capitalismo, oggi, purtroppo, si accompagna anche quella della sinistra in genere, di classe e delle sue rappresentanze determinando una crisi della stessa militanza e un particolare riflusso mentre laceranti divisioni fanno anche smarrire contenuti e programmi: basti guardare al 16 aprile dove gli elementi che non uniscono hanno preso il sopravvento su quelli che possono collaborare ad inserire nella società elementi di socialismo. Se penso a me stesso, come a volte accade a molti di noi, come semplice cittadino e non persona che ha realizzato come scelta di vita la lotta per il socialismo, continuo a sentire il bisogno di diventare un soggetto sociale, partendo dalla mia condizione di fatto, che abbia coscienza e infatti “il tuo essere sociale può determinare la tua coscienza sociale”. Forse anche per questo non mi sono mai stupito di un Lenin o di un Guevara che non provenivano dal proletariato eppure ne diventavano “avanguardie” ovvero “non è la sola condizione a creare l’uomo nuovo e rivoluzionario” ma appunto la consapevolezza. Il 1° maggio, infatti, dovrebbe ricordarci che il lavoro ha creato l’uomo e l’uomo deve creare il lavoro sapendo, attualmente, che questo significa anche uno scontro tra detentori dei mezzi di produzione (che inseguono un egoistico profitto) e produttori (lavoratori) derubati di gran parte della ricchezza che producono. Questa, va ribadito, è la società capitalistica: la società dello sfruttamento e dell’oppressione per contrapporsi alla quale il lavoratore deve organizzarsi, informarsi e creare, forte della sua ideologia, le sue organizzazioni e un forte quanto “politicizzato” movimento delle masse. La sola organizzazione non basta ma senza il partito (capace di essere all’altezza dei tempi) l’emancipazione del popolo o la semplice difesa dei suoi diritti (e in questi quelli dei lavoratori) è impossibile, lo è realizzare i rapporti di forza a proprio vantaggio, lo è migliorare le proprie condizioni di vita. Alle classi dominanti, a quella che abbiamo sempre chiamato Borghesia, il partito, il sindacato in realtà non servono avendo a disposizione sostanziali mezzi per frenare l’idea stessa di civiltà. Pensando al lavoro sarebbe quasi doveroso intromettersi in un dibattito sul rapporto tra struttura e sovrastruttura ma, ormai, è palese che non considerarlo ci allontana da qualsiasi ipotesi di alternativa: il 1° maggio ci ricorda anche questo. Ma a noi non servono un partito, un’organizzazione, un sindacato arrendevoli, ingabbiati da sole logiche rivendicative e corporative, disponibili ad una concertazione che danneggia tutti e tutte, che fa dei soli contratti (e ormai della tenue difesa dell’esistente) tutto il suo agire… mentre i nostri centrosinistri se non si tocca l’articolo 18 (parola di Rutelli alla stampa) sono già pronti a leggi più severe verso i clandestini, a flessibilità, e interventi mortificanti su liquidazioni e salari, a nuove privatizzazioni e nuova precarietà e a smantellare valori che dovevamo lasciare alle nuove generazioni. Forse non abbiamo bisogno di tanti sindacati: forse abbiamo bisogno di un vero sindacato e di base, non per ma con e dei lavoratori. Forse abbiamo bisogno non di un partito ma di un programma e di un progetto che aggreghi e crei organizzazione che sa specificarsi nel presente precisando il futuro. Mentre inseguo, scrivendo, concetti e grandi “orientamenti” in realtà il pensiero mi va a quei piccoli burocrati che inquinano le lotte e le  avviliscono o le strumentalizzano e provo, vedendoli immersi tra libri e scartoffie, sempre seduti al di là della scrivania e bravi comizianti, a immedesimarmi, da lavoratore, nel disagio e le umiliazioni di un operaio o di un bracciante, di un intellettuale sfruttato, di ogni lavoratore e di ogni lavoratrice che deve affrontare l’angoscia della vita con salari non adeguati e nessuna certezza sul futuro. Si! Sarebbe meglio che il 1° maggio fosse la festa con i lavoratori e che i sindacati fossero con i lavoratori e che la società appartenesse ai popoli… Non possiamo, dunque, essere uniti solo occasionalmente o essere dei notai che registrano gli avvenimenti solo dopo che sono accaduti (la Francia insegna, ancora, che il rischio è celebrare la vittoria di Chirac come male minore mentre in Italia dobbiamo sperare che ce la facciano Dini e Prodi per stare male ma non stare peggio). Non possiamo continuare a vivere “piccole guerre” fra poveri per vedere affermate verità che in genere pensiamo siano esclusivamente “le nostre”, incapaci di indagare, di capire e di ascoltare e di esprimere capacità critica, creatività, proposte costruttive. Dobbiamo, invece, combattere opportunismi, autoreferenzialità, burocratizzazioni e l’inseguire capi spesso divenuti tali per l’imbecillità di chi lo consente. Dobbiamo avere idee chiare, un programma, valorizzare ogni contributo, discutere piattaforme politiche, capire il mondo ma anche quello che succede nel nostro cortile di casa, informare (cambiare l’informazione), ragionare anche di piccole cose (l’orario per una riunione, il giorno per un’iniziativa, il luogo che sia raggiungibile da tutti e tutte coloro che vogliamo siano coinvolti…). E intanto sembra che ci sia sempre qualcuno che decida per te mentre, intanto, abbiamo dimenticato (la memoria del resto e la storia sono diventati degli optional) che non è l’essere che determina coscienza ma è la coscienza che può determinare il nostro essere: probabilmente, se questo è vero, se non cambia l’uomo non cambierà mai la società. Il 1° maggio è nato, ricordando la morte e la lotta di migliaia di lavoratori, per aiutarci in questa direzione: non comprenderlo è averlo svuotato e trasformato in un’altra cosa. Per noi non è così e anche per questo il 2 maggio e poi ogni giorno la lotta continua e non genericamente. La lotta prosegue per costruire un mondo nuovo che noi chiamiamo socialismo e che non è raggiungibile se si rinuncia alla funzione storica del movimento dei lavoratori… Viva il 1° maggio!