O IL CAPITALISMO O L’ECONOMIA
di Carmelo R. Viola

Capitalismo ed economia sono pratiche sostanzialmente diverse pur avendo in comune la produzione di beni e di servizi. L’economia è letteralmente “amministrazione della casa” ovvero, per estensione, della società. E’ compito dell’economia fare in modo che tutti gli “abitanti della casa” – nessuno escluso – possano soddisfare i bisogni vitali in maniera equa, paritaria e costante. I bisogni vitali sono le spettanze biologiche (di essere nutriti, rassicurati, istruiti, curati e così via) indicati anche come “diritti naturali”. Il concetto di economia propriamente detta è strettamente correlato con quello di diritto nativo alla vita: questo è la ragion d’essere di quella. Il capitalismo non amministra alcuna casa ma si limita a comprare lavoro per produrre e distribuire beni e servizi solo per la maggiore ricchezza del soggetto-imprenditore. Il quale investe la ricchezza che già possiede (capitale) per farla lievitare attraverso lo sfruttamento del lavoro altrui. Non c’è capitalismo laddove non c’è sfruttamento del lavoro altrui né accumulo di ricchezza parassitaria. Il capitalismo è nato come naturale estensione antropologica della lotta per l’esistenza della giungla e pertanto non poteva non precedere e “surrogare” la futura economia. Quella lotta si distingue in tre momenti essenziali: ricerca del cibo ovvero dinamica fagica con eventuale predazione; difesa dell’habitat; dinamica procreativa. Il capitalismo può essere considerato una pre-economia: la dinamica vitale intermedia fra l’umanità primitiva dell’ “animale ragionevole” (che si avvia a caratterizzarsi come specie umana) e l’umanità compiuta (moralmente adulta) propriamente detta. Protratta forzatamente diventerà una pratica empirica con gli effetti devastanti che conosciamo. L’economia è una pratica interdisciplinare, che sorgerà man mano dall’esperienza reale, dalla cognizione del diritto naturale ovvero delle leggi della biologia e quindi dalla maturazione della coscienza morale: va dal diritto all’antropologia, all’arte-scienza del potere inteso come servizio comunitario. In un contesto capitalistico il soggetto risponde al diritto alla vita “contro” , in un contesto economico lo fa “con”. La differenza bioetica è evidente. La fonte genetica del capitalismo è la reciproca esclusione  dei soggetti, ciascuno dei quali vede nell’altro un ostacolo o un mezzo. Quella dell’economia è la  reciproca “con-prensione”. Capitalismo ed economia si confondono perché ambedue fanno appello al diritto di natura, ma a due livelli diversi: Ambedue rispondono a moventi biologici e sono naturali ciascuno nell’àmbito di competenza come l’adolescenza e la maturità. E’ solo il livello che fa la differenza: la quantità si tramuta in qualità. Il capitalismo risponde al livello dell’ “animale ragionevole”, che è ricco di potenziale tecnologico quanto povero di senso morale: non può rispondere a quello dell’uomo moralmente compiuto, il quale esige l’equità. La tecnologia al servizio dell’animale ragionevole (pre-uomo) diventa strumento di distruzione e di morte, come la storia di questi giorni ci conferma.

         Donde la necessità sempre più urgente dell’economia. E tuttavia si gioca tuttora e, oggi più che mai, sull’equivocabilità del capitalismo che, per l’effetto combinato della “stagnazione della crescita morale” (anche provocata ad arte dai vincitori) e dell’esaltazione del potenziale tecnologico, si risolve in antieconomia ovvero  nella disamministrazione della casa comune. L’equivocabilità è favorita dal fatto che l’impresa capitalista, accanto all’unico movente-fine specifico – che è quello di sfruttare a proprio favore la merce-lavoro di chi non ha altro da vendere, e ad una serie di effetti collaterali totalmente negativi, ne produce alcuni ambivalenti, il più importante dei quali è la ovvia necessità di assumere lavoratori cioè la materia prima umano-strumentale dell’azienda e insieme l’oggetto-merce da sfruttare. I fautori del capitalismo minimizzano gli effetti negativi ed esaltano quelli ambivalenti e vogliono far credere che la detta ovvia necessità possa portare – per progressiva sommazione – alla saturazione dell’occupazione. L’affermazione è destituita di ogni fondamento scientifico. Semmai, per assurda ipotesi, ciò fosse possibile, avremmo, da un lato, un numero sempre più ristretto di supercapitalisti, e, dall’altro, una marea dilagante di “venditori di lavoro”, possibilmente sempre più mobili, flessibili e precari, sempre peggio retribuiti e con una pensione sempre più di fame. E’ impossibile dimostrare che da una “guerra di tutti contro tutti” escano solo dei vincitori! Peraltro, per occupato può intendersi solo “stabilmente occupato” (anche se senza posto fisso) e, in ogni caso, dotato di costante sufficiente potere di sostentamento e di acquisto. Una realtà che il capitalismo – pratica motivata dal profitto privato e, in subordine, dallo sfruttamento -  non è abilitato a creare.

         I due effetti collaterali ambivalenti sono la produzione della ricchezza e lo stimolo della ricerca scientifica. Sono due tesi di difesa che si confutano da sé. Produzione della ricchezza? Bella scoperta. Solo che non è il capitalista a produrla ma il lavoratore. Né il capitalista  la distribuisce a chi ne ha bisogno: semmai ne investe una parte per produrne dell’altra. L’organizzazione del lavoro non è pertinenza del capitale ma della scienza. Stimolo della ricerca scientifica? Anche questa è una bella scoperta. Infatti il capitalista – animale ragionevole amorale – non distingue fra una ricerca e un’altra: a lui interessa solo l’effetto specifico, il prodotto finale dell’accumulo di ricchezza parassitaria con il minor costo possibile. Se la ricerca sulle mine anti-uomo gli frutta più profitti della ricerca sulla salute, è ovvio che si dedichi a quella. Marx ed Engels hanno riconosciuto, nel “Manifesto dei Comunisti” del 1848  le molte cose e grandi prodotte dal capitalismo ma pur sempre come effetti strumentali inseparabili dagli effetti catastrofici. Per dare una più precisa cognizione scientifica del capitalismo, basta elencare, per sommi capi, i suoi principali effetti collaterali negativi, che interagiscono, si integrano e si potenziano a vicenda e ne producono di altri dello stesso segno sempre più virulenti in una paradossale incontrollabile reazione a catena. Il capitalismo considera tutto merce o tutto riduce a merce, dal venditore di lavoro (v. “mercato del lavoro”) a quanto può essere acquistato ed usato come strumento o “veicolo di profitti” o soltanto sfruttato come pretesto per produrre checchessia, quindi qualsiasi evento, sentimento o disagio esistenziale. Tutto è per esso mercificabile (reificazione): la povertà, il dolore, il lutto, la disgrazia, la circostanza più insignificante e recondita del quotidiano. Il suo metro è di ordine speculativo-affaristico, non morale.

1 - Il capitalismo produce disparità, iniquità e quindi conflittualità.

2 - Produce la menzogna commerciale sotto la fattispecie della nota pubblicità (vera “spazzatura mediatica”) che è consumistica e nient’affatto informativa ed ha lo scopo di indurre bisogni superflui, inutili e perfino nocivi purché funzionali alla “veicolazione dei profitti parassitari”. Tale pratica – ad effetto “persuasione occulta” specialmente sui minori e sulle persone poco dotate di senso critico – ha distrutto totalmente la originaria dinamica della domanda e dell’offerta, sulla cui presunta “legge” i fautori del capitalismo continuano a fondare le “leggi” del mercato.

3 – La speculazione industriale sulla salute è uno dei settori tipici più vergognosi della pratica capitalistica nel quale il crimine coinvolge alla pari privati e poteri pubblici (come la cronaca degli ultimi tempi ampiamente dimostra). Per la stessa ragione il capitalismo promuove  patologie sociali come l’alcolismo o turbe psicoreattive come il tifo sportivo. Ha totalmente alienato l’antico genuino sentimento sportivo equiparando le organizzazioni sportive ad aziende speculativo-affaristiche e le loro esibizioni a surrogati psicologici dell’agonismo bellico. Per la sua incontenibilità di risposta ambivalente di amore e di odio, prima, durante e dopo le spettacolari competizioni – la cui cronaca sa appunto di corrispondenze da zone di guerra – il tifo si risolve in stordimento-ottundimento-delirio collettivo (molto simile al tradizionale oppio religioso) e si presta come eccellente “remora demagogica” del potere pubblico (che ha bisogno di mimetizzare le proprie responsabilità).

4 - Il capitalismo ha fatto prevalere un ideale di vita (sempre più “all’americana”) come confronto, sfida e successo ovvero come competizione agonistica a chi riesce meglio contro gli altri. Donde un darwinismo antropomorfo, che non ha niente a che vedere con quello animale. Questo è fisiologico e si limita a selezionare gl’individui più biogeneticamente atti all’evoluzione della specie; quello, totalmente patologico, tende a fare emergere gli elementi più forti in “dominanza” (potere) anche a fronte di una patente “recessione biogenetica” (per esempio, un pazzo su una sedia a rotelle può ordinare lo sterminio di milioni di uomini sani). In altre parole, ha radicato costumi di antagonismo dissociativo e “socioclastico”, che si ritrovano nel DNA sotto forma di attitudini innate. Ha deviato la crescita culturale della specie avviandola all’epilogo omi-suicida universale di cui conosciamo già i prodromi.

5 - Il capitalismo abusa sistematicamente della natura, cioè degli equilibri ecologici della casa comune, con l’inquinamento selvaggio, la distruzione del verde (v. Foreste Amazzoniche), le monocolture ed altro.

6 - Nel tempo il capitalismo è responsabile di guerre di conquiste, di genocidi (esemplare quello degli indigeni americani), dello schiavismo, del colonialismo e della coltivazione e spaccio di non importa quali droghe pesanti come attività eccellenti di speculazione affaristica.

7 - Il capitalismo è responsabile di ogni violenza e criminalità motivata dallo stato di bisogno (compensazione) o dall’attitudine al possesso competitivo fine a sé stesso, come avviene per spontanea omologazione anche nei rapporti sociali, familiari e perfino consanguinei senza che i soggetti se ne rendano conto. Il fenomeno ”tangentopoli” è circostanza ordinaria della civiltà capitalistica.

8 - Il capitalismo ha prodotto da sempre  Stati guerrafondai,  dittature militari e ultimamente l’imperialismo per l’appunto capitalistico. Stiamo vivendo la fase avanzato-critica del darwinismo antropomorfo sopra accennato in cui la potenza più forte si è lanciata all’estrema impresa della dominazione planetaria. E’ ovvio che alludiamo agli USA. In questo stato di psicosi del “si salvi chi può”, in cui la passione per il successo “contro il nemico di tribale memoria” blocca ogni sentimento d’intelligenza umana e di pietà, ogni mezzo utile allo scopo è ritenuto lecito: dalla creazione del falso storico in laboratorio industriale (v. casi Cuba, Vietnam, Libia, Iraq. Balcani, Afghanistan e così via) alla sistematica disinformazione televisiva e giornalistica a carico soprattutto delle nuove generazioni, indotte capziosamente a identificare nel livello natura-cultura del capitalismo l'unico possibile punto di arrivo della civiltà; dal massacro dei popoli "ingombranti" all'embargo infanticida. L'offensiva attuale per il primato della potenza militarmente più forte quanto "ritardata” sul piano morale, può risolversi con il collasso della specie.

         Dal capitalismo, autogeneratosi spontaneamente per trasposizione della dinamica zoologica nei primi accenni di umanità sono sorte tre “dimensioni complementari”: a) il capitalismo produttivo-industriale-finanziario o semplicemente legale; b) il capitalismo paralegale, detto impropriamente “mafia” da cui il primo finge di volersi liberare come di un “corpo estraneo”; c) il capitalismo dei costumi dagli effetti capillari totalmente subdoli e insospettabili.. Nel dilagante concorso-marasma all’omi-suicidio universale è impossibile distinguere una dimensione dalle altre: per esempio la “mafia” dal ladrocinio praticato in nome della legge da speculatori privati con l’interessata complicità fiscale dei poteri pubblici. La concorrenza (altra legge naturale fasulla prelevata di peso dall'agonismo animale) , come “regolatrice dei prezzi”, è un’ennesima menzogna tanto che, se fosse vera, lascerebbe il campo ai più forti. Altrimenti che concorrenza sarebbe! Si considerino alcune bollette di servizi, il cui conteggio applica il criterio (furtivo appunto) del “consumi uno e paghi tre o più” e dove i poteri pubblici praticano il pizzo anche sul nulla – cioè sul canone, che non è consumo. Si osservino i filoni del petrolio e delle assicurazioni auto (RCA).

         L’alternativa ai guasti del capitalismo è l’applicazione della vera economia. Infatti, in ordine alla risposta al diritto alla vita,  la differenza fra capitalismo ed economia è totale. Per questo, mentre il capitalismo può essere praticato indifferentemente dal privato e da qualsiasi ente pubblico, l’economia vera è praticabile solo da un ente comunitario in quanto servizio pubblico o semplicemente socialismo. L’affermazione secondo cui il socialismo sarebbe il “capitalismo di Stato” è basata sul pregiudizio che il capitalismo sia LA ECONOMIA, mentre è esattamente il contrario come diametralmente opposte sono la concorrenza e la mutualità, il mercato e il servizio sociale o, se volete, la guerra e la pace.

         Con il corso neoliberista-globale ogni tentativo di fare apparire il capitalismo compatibile con il diritto naturale “di livello umano-etico” e quindi con la economia per antonomasia, crolla definitivamente. Proprio per effetto della omologazione planetaria, l’azienda capitalista sfugge sempre più al controllo degli Stati nazionali e parlare di economia nazionale diventa sempre più improprio. Contemporaneamente il lavoratore diventa sempre più un “venditore ambulante di sé stesso” a mobilità-flessibilità crescente in un contesto di neofeudalesimo. L’impresa capitalista è sempre più autonoma dallo Stato e sempre più tributaria di organizzazioni internazionali non statali, quindi sempre meno responsabile del danno socio-genetico o socio-clastico e insieme sempre meno controllabile da parte del popolo. Al contrario, l’economia non è un’impresa né un gioco né una scommessa con l’andamento degli affari ma un’ingegneria biosociale, un piano scientifico-razionale-etico, la cui ragion d’essere è quella di rispondere immediatamente  al diritto di vivere di tutti a partire dalla nascita e quindi di produrre beni e servizi secondo il fabbisogno collettivo e di distribuirli secondo equità generale e necessità particolari. Oggi scienza e tecnologia possono realizzare LA economia. Attraverso la gestione diretta o delegata dei processi produttivo-distributivi lo Stato-comunità resta dentro il “circuito monetario” (di costi e ricavi) e non deve trasformarsi in Moloc fiscale (quale è in atto), ma uno strumento specifico indispensabile al regime economico è la “moneta passiva”, di cui non si parla. L’esperienza  socialista non è esente da errori e fallimenti parziali non fosse altro per la naturale resistenza dei costumi (consolidatisi durante secoli e secoli) ma è l’unica via “adulta” da imboccare nel tentativo di prevenire l’epilogo tragico della storia umana per saturazione di capitalismo.