DP INCONTRA:

Tommaso Fulfaro 
(Coordinatore e Portavoce) dell’Associazione nazionale “per la sinistra”.  

 

D.  Ci risulta che dopo un tuo lungo impegno, alla guida del sindacato CGIL della Banca d’Italia, hai deciso di dimetterti dalla carica. Perché?

R. Sono stato nel sindacato per oltre venticinque anni, ricoprendo cariche ai vari livelli, provinciali, regionali, nazionali. Ho operato prevalentemente nella Banca d’Italia, ma non ho mai fatto mancare il mio contributo, anche se modesto, al mondo del lavoro. Fra le altre cose voglio menzionare il fatto di essere stato per diverso tempo docente alla scuola di formazione della CGIL di Ariccia, e di aver avuto tra gli “allievi” alcuni quadri che oggi ricoprono ruoli di primissimo piano nel Sindacato. Tuttavia, nel momento in cui la natura del sindacato, (nella quale ho sempre fortemente creduto e per la quale ho sempre operato), andava modificandosi, ho cominciato ad avere un senso di malessere. La scuola dei Novella, degli Scheda, dei Garavini veniva sempre più abbandonata ed io, che a quella scuola mi sono sempre richiamato, ho ritenuto, aderendo a “Carta 90”, di ridare nuovo impulso alla democrazia nel sindacato. Tutti sanno come finì il Congresso Confederale: con la vittoria della linea di pensiero a me contraria e la nomina di Bruno Trentin. Decisi quindi di rispettare la decisione che comunemente avevamo preso, quella di non accettare cariche negli esecutivi, cosicchè, conseguentemente e coerentemente, (unico caso in Italia), mi dimisi, soprattutto per non creare difficoltà alla categoria che rappresentavo.

D.  Dopo l’esperienza sindacale, perché hai deciso di fare politica in “altro modo”? Qual è stata la molla che ha fatto scattare questo tuo interesse?

R. Le domande non sono esatte. Da sindacalista ho sempre avuto come obiettivo l’interesse dei lavoratori che rappresentavo, ma parimenti ho sempre militato nel PCI, quindi la politica ha sempre fatto parte del mio dna. All’amarezza della conclusione dell’esperienza sindacale si è sommata la tragica fine del PCI. Dopo la scelta della Bolognina, alla quale mi sono ribellato, ho pensato di abbandonare anche la politica; non senza manifestare, cioè con tre giorni di presidio sotto Botteghe Oscure. Furono tre giorni molto significativi: il primo vide una presenza molto limitata; il secondo vide una partecipazione numerosa; il terzo fu una vera e propria auto-convocazione.

 

D. Ma non hai dato la risposta che attendevo: è stata una manifestazione civile di dissenso a quelle scelte, ma poi?

R. E’ giusta la tua osservazione, ma da quei giorni infausti al congresso di Rimini decisi di ritirarmi dall’agone politico. Una nuova speranza si aprì per me quando il coraggio di alcuni dirigenti del disciolto PCI lanciarono a Rimini l’idea di una possibile “rifondazione comunista”.

 

D.  Dicci, cosa hai fatto?

R. Sono ritornato nell’agone politico, ho cominciato con alcuni compagni “non pentiti”, anzi, “fieri del proprio passato politico”, ad organizzare circoli. Le adesione sono state significative, partecipate ed in alcuni casi entusiastiche e molti giovani si sono avvicinati ai circoli. La cosa più importante è soprattutto costituita dal fatto che in quel contesto le idee venivano rispettate, il confronto, ricco e stimolante, indicava la voglia di intraprendere una strada che, sebbene in salita, ci riempiva di stimoli.

D.  Ma da ciò che è dato sapere non ti sei solo limitato ad un lavoro di semplice costruzione. Racconta la tua esperienza.

R. Non mi piace personalizzare la politica, ho sempre ritenuto che chi ricopre un ruolo, sia esso marginale o centrale, deve essere al servizio di un’idea alla realizzazione della quale deve indirizzare tutto il proprio impegno. Non è però mia intenzione disattendere la tua domanda: dopo il Congresso costitutivo, al quale sono stato presente come responsabile della vigilanza, sono stato chiamato da Sergio Garavini,  Segretario del Partito, a ricoprire il ruolo di suo primo collaboratore nella Direzione.

D.  Ora il discorso si fa più interessante, in quel ruolo hai avuto la possibilità di conoscere le segrete cose, sei stato partecipe di decisioni. Quali sono stati i momenti più esaltanti, quali le difficoltà?

R. I momenti più esaltanti sono stati tanti, ma per non annoiare mi limiterò ad alcuni flash. Il Partito riceveva sempre più consensi, poiché le scelte di confronto pubblico erano sempre arricchite da analisi e proposte capaci di calarsi nella realtà del Paese; ne sono esempi eclatanti: prima il magnifico convegno svoltosi a Torino sui temi del lavoro, poi la grande iniziativa sul Mezzogiorno svoltasi a Napoli. Furono atti politici che videro una grande crescita di credibilità del nostro Partito, crescita che diede i suoi frutti nelle elezioni amministrative: Milano e Torino, mi preme ricordare, videro il PRC primo Partito della sinistra.

D.  Questa è storia, ma poi?

R. Mi hai interrotto; se non l’avessi fatto la risposta alla seconda parte della tua domanda precedente avrebbe esaudito la tua richiesta. Nel momento migliore della vita del Partito, il suo “corpo” ha cominciato ad essere minato da un grande incurabile virus che io chiamo “la cultura dell’invidia”. Il Partito, che aveva una sua ben definita autonomia ed una ancora più chiara linea politica, (linea politica che Garavini molto saggiamente rappresentava), ha cominciato a subire la nefasta opera del virus. Sono iniziate a girare false voci che vedevano la messa in liquidazione del Partito. Si insisteva sul difficile carattere del Segretario. Si cercava di combattere lo slogan che aveva visto il concorso di molti “liberamente comunisti” con una attività interna volta ad organizzare piccoli gruppi, a discapito della vera collegialità. Questo, a mio parere, è stato il male che nella sua migliore fase ha arrestato la crescita del Partito.

D.  Di chi le colpe?

R. Per me c’è stato un concorso di colpe. Alcuni vedevano nel PDS un nemico da combattere, altri invece, (io fra questi), vedevano nel PDS una forza con la quale era opportuno dialogare, con la quale affrontare temi di primaria importanza. Di più: alcuni pensavano di fare un Partito di puri e duri; altri, pur nella scelta di una linea politica trasparente, ritenevano che il Partito doveva essere aperto alla discussione, al confronto con tutte le forze della sinistra. Ancora: la scelta politica del congresso fondativo, quella che impegnava Rifondazione sulla proposta di una “federazione o confederazione delle sinistre”, era ripetutamente messa in discussione. Infine, anche la “Convenzione per l’alternativa” , che vedeva impegnate tutte le forze della sinistra con suoi “padri storici”, veniva perdendo sempre più la sua forza progettuale ed aggregante. I puri e duri, (duri di comprendonio, a parer mio), hanno fatto di tutto per mettere in liquidazione questa esperienza. Io credo che questa miope scelta è stata una delle operazioni politiche più sbagliate che la sinistra, nel suo insieme, abbia compiuto.

D.  Ci furono anche fatti personali?

R. A questa domanda preferisco non rispondere. Non perché i fatti personali non siano determinanti nella vita di un Partito, ma perché alcuni che ne sono stati attori non sono più presenti, non possono quindi intervenire su mie inesattezze.

D.  Tutto questo ha portato ad un disimpegno di Garavini ed anche tuo?

R. Garavini, insieme a tutta la linea politica che succintamente ho esposto, subì un voto contrario dell’organo politico del partito; le conseguenze, per chi opera in un contesto democratico sono chiare.

D.  Poi?

R. Il poi è a tutti noto. Il Congresso dell’Ergife vide Fausto Bertinotti nuovo Segretario del Partito. Garavini dimostrò ancora una volta la Sua caratura di leader comunista, con un intervento volto a salvaguardare l’unità del Partito e a dare un fattivo contributo alla definizione della linea politica. Fu tutto inutile. Le scelte che avevano dato vita a Rifondazione, pur di piena attualità, vennero messe nel cassetto. I duri, (sempre di comprendonio), disattesero completamente le scelte congressuali, la dialettica interna di “liberamente comunisti” venne del tutto abbandonata; non restava quindi che organizzarsi per componenti, oppure dire addio ad una organizzazione che si era creata con enormi sacrifici. Nulla fu fatto per includere nella dialettica interna le diversità di pensiero; si operò al contrario l’esclusione. Un Partito che nato avendo come baluardo la partecipazione democratica, veniva ad assumere le caratteristiche di esasperata conduzione oligarchica. Come, da comunista, era possibile rimanervi? Questa è una domanda che pongo a te e a me stesso!

D.  Quindi dopo la delusione nel Sindacato ed in Rifondazione Comunista, hai definitivamente abbandonato la politica?

R. Questo no! Con Garavini e tanti altri abbiamo dato vita all’Associazione nazionale “per la sinistra”. Il terreno dell’Associazione, è superfluo dirlo, è stato, (lo è ancora), quello di muoversi in un percorso equidistante dall’allora PDS, - ora DS -, e da Rifondazione, ma non per creare una terza forza politica; il nostro intento, al contrario, è sempre stato quello di ricercare elementi politico – programmatici capaci di portare a sintesi unitaria le varie forze della sinistra. Ci siamo resi subito conto delle difficoltà che dovevamo superare, ma non ci siamo mai abbattuti. Purtroppo a tutti gli ostacoli che avevamo messo in preventivo se ne è aggiunto uno ulteriore: a nessuno degli organi d’informazione interessa dare spazio a chi opera concretamente sul fare, prima si esaltano le divisioni, poi ci si lamenta sulla mancanza di programmi e di proposte. Noi, pur consci di queste difficoltà, grazie anche a quanto ci è stato insegnato da chi ci ha preceduto nelle battaglie politiche, continueremo ad operare per unire. Il nostro nemico non è certo la forza o le forze politiche a noi più vicine, ci sforziamo di capirle e, se vogliono ascoltarci, di farci capire; l’avversario è quello che, forte delle divisioni della sinistra, governa ora il Paese nel modo che tutte le persone possono giudicare.           

D. Un’ ultima domanda: dopo l’escursus storico che attraversa oltre dieci anni di vita politica, che proposta ti senti di fare?

R. Ai fini della concretizzazione di un percorso politico che dovrebbe vedere tutte le forze della sinistra unite su contenuti di programma, - naturalmente con un corretto rapporto con tutte le forze democratiche -, credo sia opportuno proporre a tutte le Associazioni che si sono formate a sinistra, di essere le prime a confluire verso una indispensabile unità di programma, ricercando una forma organizzativa che potrebbe essere, per esempio, di tipo federativo. Di guisa che, non soltanto si eviterebbe una inutile ed anzi deleteria dispersione d’energie, ma si dimostrerebbe altresì ai partiti che la strada dell’unità è l’unica percorribile. Le recenti elezioni francesi stanno a dimostrare che anche le forze politiche più consolidate, se si dividono, riescono ad aprire autostrade agli orientamenti politici peggiori. Purtroppo i mali italiani sono stati esportati, è ora auspicabile non solo una comune autocritica, ma principalmente un urgente ed indispensabile cambiamento di rotta, prima che la nave faccia naufragio.