I comunisti spagnoli sono convinti che sia stato un momento importante e un positivo passo in avanti il coordinamento internazionale che si è concretizzato a Valencia il 20 e il 21 aprile 2002 con la partecipazione di oltre venti organizzazioni comuniste e operaie dell’Europa e del Mediterraneo. La riunione si è sviluppata con sufficiente anticipo per comunicare pubblicamente le opinioni dei comunisti riguardo l’incontro dei ministri dell’Unione Europea e del Mediterraneo convocato a Valencia i giorni 22 e 23 aprile. Già da diverse settimane, tuttavia, una volta concordate alcune idee portanti e unitarie nostre e dei diversi partiti comunisti e operai, veniva diffuso il nostro progetto e le dichiarazioni politiche (che poi avremmo approfondito) che qui comunichiamo. Nella storia del confronto tra comunisti, dopo lo sgretolamento ed il crollo dei paesi socialisti, è la prima volta che si distribuisce in anticipo un progetto e una dichiarazione congiunta tra compagni e compagne preparando il dibattito e permettendo ad ogni organizzazione di discuterne prima dell’appuntamento a Valencia. Il dibattito non è stato facile per la difficoltà a tradurre nel migliore dei modi possibile tutti gli interventi ( erano presenti tante lingue) riducendoli a tre idiomi e per la necessità di permettere ad ogni organizzazione presente di esplicitare nella maniera più corretta e approfondita i propri argomenti e le proprie posizioni. Per la prima volta, dopo diversi anni, i presenti non si sono limitati a discorsi autoreferenziali o a fare semplici discorsi generici, a parlare delle loro lotte e della loro realtà, ma hanno realizzato un vero interscambio di informazioni (cosa sempre importante tra comunisti) dedicando, comunque, molto spazio, o forse quasi tutto il tempo a disposizione, ad argomenti politici fondamentali, al confronto e anche lo scontro delle idee, a cercare una strada per unire e far convergere proposte e lotte e fondamentalmente per sintetizzare i grandi punti per ogni comunista, da militante verso altri militanti. E’ stato, dunque, un passo in avanti per degli internazionalisti, per organizzazioni comuniste e operaie d’Europa, del Mediterraneo e del Nord Africa, concordare un documento di tre pagine che analizza la realtà politica nel presente in questa parte del pianeta e avvia indicazioni per mutarlo verso il socialismo. Erano presenti, insieme al PCPE, compagni e compagne della Russia, di Algeria, della Turchia e della Germania, della Danimarca, Grecia, Belgio, Italia e Norvegia, della Palestina e dell’Olanda, del Marocco e dell’Italia e naturalmente della Spagna. In conclusione vorrei aggiungere due brevi appunti molto importanti:
a) riteniamo entusiasmante la presenza delle delegazioni internazionali, insieme al PCPE, dietro lo striscione che ne valorizzava la presenza con la scritta “partiti comunisti ed operai d’Europa e del mediterraneo”, al grande corteo, con oltre tentamila persone, che ha attraversato le vie di Valencia contro le decisioni dei ministri dell’Unione Europea;
b) riteniamo di grande significato l’atto pubblico di chiusura della riunione con la partecipazione di tanti comunisti e tante comuniste spagnole svoltosi in un teatro e che ha vissuto gli interventi dei delegati dei partiti comunisti Europei e del Mediterraneo presenti insieme ai dirigenti del PCPE e di una invitata per la difesa dei diritti umani e le ragioni del popolo colombiano e di un rappresentante del popolo palestinese per riflettere sulla sua importante lotta.
Quim Boix
Responsabile per le Relazioni Internazionali
Membro del Comitato Centrale
PCPE (Partito Comunista dei Popoli di Spagna)
DICHIARAZIONE DELL’INCONTRO DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI DELL’EUROPA E DEL MEDITERRANEO REALIZZATO A VALENCIA I GIORNI 20 E 21 APRILE 2002
(testo
approvato)
I
Con la scomparsa dell’U.R.S.S. e del campo socialista negli anni novanta del secolo ventesimo – risultato della pressione dell’imperialismo, delle divisioni interne, del revisionismo, dell’abbandono dei principi ideologici e della loro base scientifica e degli errori del campo socialista nella conduzione dell’economia e della politica negli affari interni ed esteri – vennero frustrate le prospettive di emancipazione sociale e nazionale della classe operaia e dei popoli del mondo e si contribuì ad approfondire la crisi politica e ideologica del movimento comunista facilitando l’estensione del capitalismo su scala planetaria.
Dalla fine del secolo ventesimo gli Stati Uniti d’America, che lungo la loro storia hanno promosso e diretto molti golpe militari, occupato militarmente interi paesi, fomentato guerre civili ed espropriato dei loro beni un gran numero di popoli, specialmente dopo l’11 settembre, hanno acquistato maggiore potere. Quest’ultimo episodio, inoltre, è stato strumentalizzato per far trarre benefici ad una strategia maggiormente violenta dell’imperialismo americano ed europeo.
La strategia di guerra con la quale l’imperialismo oggi
sottomette il pianeta è espressione della sua stessa crisi economica e
strutturale. Il controllo delle risorse di base e l’imposizione di un sistema
di “sovranità negata” giustificano attualmente ogni tipo di violazione dei
diritti dei popoli e umani. Determinati meccanismi di integrazione economica (ALCA,
NAFTA, PLAN PUEBLA-PANAMA, Accordi di Lumè etc.) sono strumenti fondamentali di
un nuovo sistema di dominazione emisferica dell’imperialismo. Questo piano
militare si è espresso nell’aggressione in Afghanistan, la collaborazione
attiva per la repressione della guerriglia nelle Filippine e in Colombia. E
ancora: si minacciano interventi
militare in Iraq, Iran e Corea del Nord, si promulgano leggi eccezionali che
criminalizzano e favoriscono repressioni poliziesche degli stessi cittadini
nordamericani che si oppongono a questa politica allargando tali decisioni a
tutti i governi del mondo per criminalizzare e incrementare la repressione
poliziesca verso settori anticapitalistici e antimperialisti del movimento
antiglobalizzazione. Al tempo stesso avanza un’identica linea contro Cuba
assediata da un blocco economico o intentando un golpe in Venezuela. La
“guerra delle galassie” è, invece, l’amplificazione della Nato e dei suoi
progetti ambiziosi di strategia e dominazione militarista. Tutta questa
strategia ha un naturale sbocco con la repressione dei comunisti e dei
rivoluzionari, con l’appropriazione di nuovi strumenti giuridici che, in
maniera cinica, criminalizzano nostre organizzazioni e legittimano la loro
repressione. La contestazione del movimento antiglobalizzazione – che vive
diverse espressioni in paesi distinti – alla politica imperialista degli Stati
Uniti e dei suoi soci nell’Unione Europea
sempre di più gode della simpatia di larghe schiere della popolazione
mondiale. In questo momento la mancanza di obiettivi strategici di
trasformazione sociale di questo movimento consiste in differenti concezioni del
mondo riconducibili quasi esclusivamente al rifiuto della politica imperialista
degli Stati Uniti come limite della sua contestazione. Su altro piano il
movimento sindacale, nel quale i comunisti lavorano intensamente, deve cercare
una propria coordinazione ampia e sviluppare le sue proposte organizzando
mobilitazioni per affrontare le attuali politiche neoliberiste. Al campo
comunista è richiesto, dunque, di concretizzare le sue proposte politiche e
programmatiche nei movimenti in base alle quali intervenire per aprire una
prospettiva rivoluzionaria verso il socialismo. Per queste ragioni il
coordinamento interstatale dei comunisti, la ricerca di una unità politica e la
sua attuazione oltre il solo movimento antiglobalizzazione costituiscono oggi
elementi irrinunciabili.
L’Unione Europea sviluppa le sue politiche con ogni tipo
di mezzi finanziari e militari e la messa in circolazione dell’euro ha
realizzato la presenza fisica della moneta che inizia a competere con il dollaro
in alcuni mercati internazionali. E tuttavia in questo progetto convivono
espressioni di interessi economici di tipo nazionale che hanno loro specifiche
caratteristiche. E’ necessario che i popoli d’Europa si oppongano a questa
Unione Europea a livello nazionale per garantire uno sviluppo democratico e
sociale nel proprio paese e unitariamente a livello internazionale per snaturare
gli strumenti dell’imperialismo sul nostro comune terreno: il continente
europeo. Nostro obiettivo deve essere un’Europa dei popoli che non sia basata
sui principi liberisti dell’Unione Europea del Capitale Monopolistico ma che
sia quella del diritto dei popoli a uno sviluppo democratico in ogni paese
d’Europa, della cooperazione che garantisca la pace, rispetti
l’autodeterminazione nazionale e stimoli lo sviluppo sociale e culturale.
L’ampliamento delle mire imperialiste
dell’Europa, del resto, cerca di conseguire il dominio verso le economie che
gli sono vicine per concretizzare una strategia di controllo geopolitico
tendente ad incrementare il suo potenziale economico al fine di competere in
migliori condizioni con l’imperialismo americano. L’inclusione dei paesi
dell’Est europeo a questa struttura di dominio infatti implica la loro
sottomissione e un’egemonia dei paesi più forti che mirano ad appropriarsi di
queste economie e determinare per queste nazioni un futuro subordinato. Le
politiche neoliberiste si estendono inoltre nell’area del Mediterraneo dove il
processo di militarizzazione si concretizza in numerose basi
e navi da guerra con materiale nucleare che partecipano tranquillamente
ad operazioni di aggressione militare verso l’Iraq, sostengono la politica
“terroristica” della Turchia contro il popolo curdo e l’aggressione di
Israele alla Palestina incrementando le tensioni e i conflitti nella zona e
mettendo in difficoltà una politica di stabilità. Come è naturale i Partiti
Comunisti e Operai dell’Europa e del Mediterraneo non possono rimanere
insensibili davanti al problema della pace e della stabilità in questi
territori. In questo senso considerano che la politica di terrore del governo
Sharon verso il popolo palestinese, la repressione della Turchia sul popolo
curdo, le pretese di annessione al Marocco del Sahara Occidentale sono elementi
che impediscono la stabilità e la pace in tutta l’area. E’ partendo da
queste considerazioni che chiediamo la costituzione di uno stato palestinese
possibile e sicuro con ruolo di una Gerusalemme capitale, il ritorno dei
rifugiati e il riconoscimento pieno dei diritti degli arabi in Israele, il
riconoscimento dei diritti nazionali del popolo curdo, la celebrazione di un
referendum per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale, la
decolonizzazione di Cueta, Melilla e delle isole Chafarinas e la fine della
presenza USA nella zona come condizione essenziale per la stabilità e la pace
nel Mediterraneo. Inoltre riteniamo che per questa via si possano portare a
risoluzione i gravi problemi derivanti dalla globalizzazione capitalista
– nei paesi del versante mediterraneo -, che implica gli esodi di massa, le
migrazioni forzate, lo scambio diseguale, lo sfruttamento e la depredazione
delle risorse naturali etc. e si possano, altresì, contrastare le politiche
neoliberali nell’area, la impermeabilizzazione delle frontiere dell’Unione
Europea e le strategie di divisione e frazionamento dei paesi del Mediterraneo.
L’uscita da questa situazione dovrà passare attraverso un processo
d’integrazione regionale economica orientata al controllo delle proprie
risorse, alla smilitarizzazione dell’area e allo stabilire meccanismi
d’interscambio basati sul principio del mutuo beneficio.
Valencia 21 aprile 2002.