Viaggio verso la Primavera
di Fabio Massimo Vernillo

 

In Italia abbiamo una nuova cattiva abitudine: calendarizzare la nostra stessa vita. E date e scadenze (non sempre decise da noi) diventano qualcosa da rispettare per non essere emarginati: feste, riti, ricorrenze ecc. (dalla giornata della donna alla festa della mamma in una confusione di valori e significati mostruosa). La stessa cosa accade in politica dinanzi ai grandi accadimenti che viviamo e, infatti, taluni propongono manifestazioni e noi le rincorriamo così come quelle spesso rincorrono appuntamenti da altri proposti (G8 e NOG8, WTO e NOWTO ecc.). E’ come se fossimo tutti mobilitati in uno scontro delle idee per aggiustamenti al sistema del profitto anziché essere promotori di un programma ed un progetto davvero alternativi e che, dunque, dovrebbero vederci mobilitati oltre il terreno proposto dalle classi dominanti… La stessa memoria storica (elemento fondamentale per ogni lotta che guardi ad un futuro migliore) è labile. Come debole è il rapporto che abbiamo con la “nostra” stessa storia: quella antica e quella moderna: la lotta risorgimentale e quella antifascista o le battaglie dei giovani delle magliette a strisce o del ’68 o del ’77 fino ai nostri giorni. Ecco perché, forse, più che guardare ai popoli e ai popoli del Sud in particolare, agli sfruttati e ai lavoratori, agli esempi che ci derivano dalle grandi rivoluzioni del passato cerchiamo novità in slogan e iniziative che appaiono nuovi e che in gran parte non lo sono. La novità rimane sempre quella di penetrare e capire la realtà e sapersi orientare senza inseguire un domani imprecisato! Abbiamo, incredibilmente, dimenticato i valori della più grande “rivoluzione italiana”: la guerra di Liberazione. La vittoria, cioè, dei partigiani e di chi li ha sostenuti sul mostro fascista. Una vittoria figlia di un progetto nato e cresciuto dentro bisogni dalla parte della ragione e vissuti anche con il cuore. E lo stesso vale per il nostro ’68 ovvero un percorso politico che affonda le sue radici nella vittoria della Repubblica sulla monarchia, nella Costituzione italiana, nelle lotte strenue degli anni sessanta. Che affonda le sue radici nelle lotte operaie aspre e fortemente represse, sostenute dal più grande Partito Comunista dell’Occidente e poi ampliatesi nella nascita di un variegato mondo di formazioni rivoluzionarie. Pensieri ed azioni che intendevano portarci gradualmente fuori dal sistema capitalistico trasformando con un popolo protagonista la nostra società e inserendo in questa continuamente elementi fondamentali di socialismo. Ma una nuova tappa risorgimentale (per una volontà collettiva e un senso comune nuovo), una nuova tappa della rivoluzione democratica ed antifascista (per tutelare la democrazia iniziando ad ampliarla) e conseguentemente una coerente lotta per un socialismo inedito sono state non sconfitte da una destra sociale ed eversiva ma da scelte irresponsabili dei nuovi paladini di fuorvianti sistemi maggioritari, bipolarismo, alternanza e cedimento irreversibile allo stato di cose presente. La piccola-borghesia dirompe e i giullari sono accalcati in un enorme focolaio invadente. Viviamo non solo rivoluzioni incompiute ma viviamo in una società incompiuta! Cosa ci resta oggi di questa memoria? Cosa ci hanno insegnato i fatti della nostra storia tra vittorie e sconfitte? Non serve un giovane Gramsci e meno che mai un esaltato che pretenda di avere la verità assoluta in tasca per comprendere che “dubitare di tutto” (come affermava Marx) invita a formarsi per informare, ad avere un programma per agire, ad organizzarsi per coinvolgere, ad entusiasmarsi per non cedere, e ad unire i mezzi con lo scopo finale… Per costruire, oggi, dobbiamo intanto ricostruire e, quindi, comprendere le nostre stesse difficoltà, limiti, contraddizioni. Non c’è in questo paese un “consapevole” Partito Comunista e neppure “collettivi” impegnati fortemente a creare coscienza di classe, una nuova leva di militanti per la libertà ed il socialismo. Così come non c’è, con tutti i suoi errori, l’Unione Sovietica e neppure un dibattito che ci aiuti a comprendere per migliorarci. Non c’è la visione che la scomparsa dell’URSS ha scatenato una riscossa senza precedenti di un autoritarismo-liberale e di imperialismi cinici e antipopolari che non hanno scrupoli di sorta. E non c’è e dovrebbe esserci un nuovo internazionalismo, oltre le mode, che sappia concretamente contrapporsi all’organizzazione mondiale delle disuguaglianze e all’avanzare di barbari portatori di un pensiero unico devastante. Tuttavia sono non pochi coloro che ricercano la pace contro la guerra e che tentano di fermare la mostruosa macchina che alimenta i grandi drammi dell’umanità ma per sperare in cambiamenti una volta per tutte serve qualcosa di più. Il ’68 inserì nella società grandi contenuti e grandi speranze ed evidenziò il ritardo della sinistra ufficiale di allora senza per questo allontanare la gioventù operaia e studentesca dai grandi valori del socialismo. Oggi, invece, la frammentazione a sinistra assume aspetti inquietanti, di contrapposizione, di lotta in casa per una sorta di egemonia gli uni sugli altri invitandoci a maggior ragione a proporre una nuova necessaria unità su un programma e sul fare non rinviabili. Dobbiamo tutti praticare un passo indietro se vogliamo farne due avanti, rispettare ogni diversità e autonomia ma, al tempo stesso, imparare a parteggiare, ad identificarci con una piattaforma che ci educhi a proporre e a parlare un linguaggio che non ci separi da chi intendiamo avere con noi. E bisogna farlo senza opportunismi ed ipocrisie! Senza presunzioni ed esclusivismi! Nonostante sia grande ormai la scelta anche a sinistra (quella di potere) di oscurare tutto ciò che non controlla, che non gestisce, che non capitalizza… Le grandi rivoluzioni anche attraverso le loro sconfitte ci invitano a seguire questa direzione. E ancora ci spronano a farlo la resistenza cubana o la memoria di quella vietnamita e cilena, le lotte in tanta parte del mondo latinoamericano e dell’Asia e dell’Africa, in terra di Palestina e nella moderna Spagna… Dobbiamo saper miscelare le piccole idee e le piccole battaglie con le grandi idee e le grandi lotte: la storia di ieri e le sue lezioni con il presente e un futuro da costruire. Tra i nostri obiettivi mentre ci battiamo per un mondo nuovo (per utilizzare una frase che va consolidandosi e che dobbiamo saper valorizzare) c’è anche quello non di battere Berlusconi con un Rutelli di turno ma una cultura di destra con una vera cultura di sinistra che stenta ad avere cittadinanza nelle nostre piazze e che deve, obbligatoriamente, sapersi misurare con scelte non solo italiane ma dettate dal neo-imperialismo e da quella che chiamiamo nuova globalizzazione (che ci ricorda i disastri del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, guerre a scopo di lucro e una serie lunga di altre nefandezze). Dobbiamo ridare senso e significato e vigore a mai eliminabili pilastri (o paletti) politici che vanno ricondotti all’economia politica, ai concetti di egemonia e rapporti di forza, alla stessa informazione e alla cultura in genere. E’ con questa fatica che dovremmo desiderare di riempire di idee i grandi appuntamenti di lotta che ci aspettano e viverli non come scadenze (calendarizzare) o all’inseguimento di decisioni prese da chi è nei fatti avversario nostro perché del suo stesso popolo, avversario di classe perché, qui ed ovunque, oppressore. Non c’è niente di vecchio nel prenderne atto a meno che milioni di emarginati, di sfruttati, di uomini mandati a morte o ingiustamente incarcerati, di popoli costretti ad una povertà incontrollata non siano un inventato film serial-killer uscito da qualche studio hoollywodiano.