Carmelo R. Viola, biosociologo
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  UN PIANO PER L’OCCUPAZIONE
 ovvero 

IL DIRITTO AL LAVORO e

 LO SCEMPIO DEL DIRITTO

 

Il governo avrebbe approntato un piano per l’occupazione che, in tre anni (avete sentito bene: in tre anni!), dovrebbe ridurre di un milione e 400 mila unità il numero dei senza lavoro. Anche se ciò fosse vero – e potremo saperlo solo nel 2005! – la questione non perderebbe minimamente dell’assurdo, del ridicolo e del vergognoso, che la caratterizzano. Infatti, dire che fra un certo tempo ci saranno meno disoccupati è come dire a degli ammalati gravi, con urgente bisogno di essere operati, che fra un certo tempo potranno avere l’intervento di cui hanno urgente bisogno e solo se gli andrà bene, e quindi non tutti ma solo alcuni di loro. Gli attributi assurdo, ridicolo e vergognoso fanno ressa nella nostra mente, e sarebbe davvero ozioso e grottesco se cercassimo di stabilire una priorità: sono tre anatemi in uno.

Coloro che parlano di tale piano – anzi, che lo sbandierano come chissà che di portentoso, sono pertanto insieme assurdi, ridicoli, vergognosi. Se li volessimo prendere sul serio, dovremmo fare loro domande come queste: cosa fanno intanto coloro che attendono un lavoro come unico mezzo di sostentamento per vivere una vita normale, dignitosa, da cittadini liberi in un paese (sedicente) democratico? Non mangiano? Non si vestono? Non si curano? Parassitano  la propria famiglia (se ne hanno una)? Vanno a rubare? Stendono la mano per chiedere l’elemosina? Implorano la carità a qualche ente pubblico? Si abbandonano a espedienti e compromessi malavitosi? Fanno debiti? Finiscono nelle grinfie di usurai? Si vendono le scarpe o che altro? Sfruttano qualche persona cara o amico? E ancora: chi restituirà loro gli anni “vuoti” ai fini della “assumibilità” o peggio di una pensione decente? Rimandano a tempo indeterminato un progettato matrimonio anche se sono già anziani? E se hanno già coniuge e figli – e magari genitori e chissà chi altri – a carico, come fanno per sfamarli, curarli? E se sono oppressi da malattie – peggio se curabili solo presso strutture private, magari solo all’estero e magari molto care – come fanno per sopperire ad un servizio sanitario assente o quasi? Persone che, solo per effetto di un giochetto elettorale, pretendono di rappresentare uno Stato e una società, dovrebbero porsi queste e molte altre domande simili ma non se le pongono certamente dei “dilettanti” che hanno scelto di fare i politici non certo per una missione umanitaria e che, in ogni caso, non sanno che cosa sono, OGGI, la vera economia e il vero diritto. Diciamo e sottolineiamo oggi.

A questi signori – o signorotti – è il caso di dire di smetterla di turlupinare, nel Terzo Millennio, milioni, decine di milioni di persone, anzi il mondo intero, facendo affermazioni che non si reggono in piedi, OGGI. Diciamo e sottolineiamo oggi perché oggi – più di ieri e ancor più dell’altro ieri, per la verità – sappiamo con certezza:

1 - che il capitalismo non è abilitato, strutturalmente e funzionalmente, a risolvere il problema del lavoro per tutti (diciamo per tutti, nessuno escluso) e, più precisamente, dell’equa distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro: non si capisce perché un meccanismo, nato sulla falsariga della dinamica della giungla, avrebbe dovuto essere capace di farlo.

2 - che l’economia (che non è appunto il capitalismo, nato sulla falsariga della dinamica della giungla) non è solo produrre (e meno che mai una cosa qualsiasi)  e distribuire senza riferimento al fabbisogno di tutti (nessuno escluso),

3 - che il diritto o è immediato, universale e costante o non è diritto.

Per scoprire l’assurdo, il ridicolo e il vergognoso di piani come quello in questione, basta solo constatare che lo stato di bisogno non può aspettare esattamente come la fame o una malattia da curare urgentemente.

Il governo di uno Stato a regime capitalista non può dare lavoro a chi ne ha bisogno per il semplice fatto che il processo produttivo è nelle mani di privati, ciascuno dei quali è motivato esclusivamente dai profitti: a tal fine (e solo a tal fine) “compra” (parliamo di mercato o no?) delle prestazioni lavorative per disfarsene ovviamente (e logicamente) appena non ne ha più bisogno. E poiché il suo unico scopo è quello di fare profitti, egli cerca di raggiungere questo scopo con il minore costo possibile. Per la stessa ragione, costoro sono in concorrenza fra di loro (anzi sono esortati a concorrere, cioè a “combattersi”!) e quindi non importa loro la cosa da produrre ma solo e sempre i profitti che dalla cosa (merce) possono trarre che si sforzano di fare apparire la più buona ed appetibile sfruttando l’immagine e qualsiasi espediente utile a manipolare la volontà dei consumatori. Donde quella sistematica violenza psicologica (e perché non criminale) della pubblicità (con volontariamente-truffaldinamente sottinteso l’attributo di consumistica). Tale cosa-merce può essere indifferentemente una gomma da masticare o un mina anti-uomo!

In condizioni del genere qualunque preteso piano per l’occupazione è solo una menzogna – assurda, ridicola, vergognosa. Prospettare, poi, addirittura la “piena occupazione”, è come aspettarsi l’armonia dal caos ovvero la giustizia sociale da una eterna “concorrenza di tutti contro tutti” ovvero ancora, in termini più concreti, che il fabbisogno di lavoro dei padroni sia costantemente tanto da coprire e per sempre il fabbisogno di potere di acquisto di tutti i cittadini (nessuno escluso). Bisogna essere davvero idioti o mentalmente plagiati per credere a verità “trascendentali” del genere. Tutto ciò che può fare il governo di uno Stato di stampo capitalistico è sottrarre aiuti a chi ne ha bisogno per darli a chi non ne ha bisogno, cioè agli impresari (alias padroni), perché questi assumano qualche unità lavorativa in più e il risultato è pur sempre e necessariamente parziale ed effimero e per di più non immediato. E’ quanto si profila anche in ordine al piano in questione – puntualmente assurdo, ridicolo e vergognoso – per la cui realizzazione si programmano già tagli a servizi di fondamentale importanza (quale quello sanitario, già impoverito e sbeffeggiato), dovendo togliere – come dicevamo - a chi ha bisogno per dare a chi non ha bisogno.  Davvero una scienza assurda, ridicola e vergognosa, che gli esperti chiamano economia! In altre parole, tutto ciò che un governo, funzionale al sistema capitalista, può fare, è giocare sul calcolo delle probabilità di un effetto collaterale dell’impresa capitalista,. Tale effetto collaterale consiste nella necessità di “comprare lavoro” (in termini eufemistici “assumere lavoratori”) che tuttavia è pari alla necessità di rifiutarlo appena non ne ha più bisogno (in termini reali “licenziare lavoratori”).

Da tempo il problema non è più quello di “creare nuovi posti di lavoro” (locuzione assurda, ridicola, vergognosa, indegna di una civiltà superiore) ma fare in modo che tutti – nessuno escluso – abbiano un’occupazione certa (equivalente del demolito “posto fisso”) in ottemperanza ad un diritto di natura che, guarda caso, è contemplato anche dall’art. 4 della Costituzione, ma garantito solo teoricamente perché la stessa carta costituzionale prevede la libera iniziativa economica (cioè dell’impresa capitalistica, trasposizione antropomorfa della dinamica fagico-predatoria della giungla, quando finalizzata ai soli profitti parassitari), che è totalmente incompatibile con il diritto al lavoro o, in subordine, all’equo potere di sussistenza, che non può dipendere dalla fortuna del mio vicino di casa o di un qualunque amorale uomo di affari.

Con il neoliberismo ovvero con l’insistenza sul “mercato del lavoro”, la situazione si fa catastrofica perché al diritto – che non ammette né attese né precarietà né eccezioni – viene sostituita la probabilità di essere toccati dalla “fortuna” di chi viene comprato – dal mercato, appunto – probabilità che comporta attese, limiti nel tempo ed esclusioni come un qualunque gioco. Che ad un diritto vitale si intenda rispondere con la logica e la probabilità di una lotteria è qualcosa che lasciamo dire a soggetti assurdi, ridicoli e vergognosi. L’azienda capitalista ha leggi specifiche, matematiche, categoriche e ineludibili, essendo il suo fine naturale, unico e costante, quello di fruttare profitti ai detentori del capitale. Non è stato mai dimostrato – e meno che mai con i fatti – il contrario di quanto qui affermato. Perciò, fare piani “per  qualche posto di lavoro in più” – in un tempo in cui si dovrebbe (potendolo) applicare la VERA economia in ottemperanza al VERO diritto – è un’operazione assurda, ridicola e vergognosa, resa possibile solo da un’ignoranza generalizzata, da un esercito di ex (che non hanno mai compreso il valore biologico della socialità) ma anche da un sentimento proprio di “animali ragionevoli” e non di “persone morali”, che è l’esatto contrario di una civiltà adulta.

La vecchia reiterata affermazione che il capitalismo produrrebbe ricchezza equivale ad una menzogna e quindi ad un’irrisione della ragione, in quanto parte di una verità più ampia: infatti il capitalismo produce sì ricchezza ma anche povertà e delinquenza (la cui dimensione paralegale è detta impropriamente mafia) essendo esso stesso un meccanismo criminogeno. E non solo. Non è il capitalismo a produrre ricchezza ma il lavoro che c’è dentro, lavoro che può operare fuori di quel meccanismo, mentre povertà e delinquenza sono gli effetti delle conflittualità e mostruose sperequazioni del capitalismo stesso. La verità è che quella mezza verità-menzogna del capitalismo viene usata da “dilettanti del potere” (e insieme da utili idioti) per tacitarne i vinti (tra cui i disoccupati a cui si promette la luna nel pozzo) e legittimare i privilegi dei vincitori.

Rientra in siffatta “logica perversa” (assurda, ridicola e vergognosa) la necessità di fare prosperare comunque l’industria dell’auto (per fare un esempio), anche se di auto ne abbiamo perfino sulle terrazze e sui ballatoi (se a livello di terra), anche se ci ammaliamo e moriamo di asfissia urbana e di inquinamento atmosferico. Il fatto è che quell’industria, come  qualunque altra, deve continuare a produrre perché produrre sta per produrre profitti padronali (senza dei quali viene meno la ragion d’essere dell’azienda) e perché produrre significa anche la necessità-possibilità di comprare lavoro, (la materia  prima umana indispensabile) e quindi di realizzare quell’effetto secondario, su cui si fonda tutta la genialità conturbante degli economisti del capitale. Ma da questo alla soluzione del problema della piena occupazione e più dell’universale potere di sussistenza (o di acquisto), di tutti e di ciascuno,  non c’è nesso logico alcuno se non le menzogne – assurde, ridicole, vergognose – che ci mettono i vari “addetti al potere” che, in assenza di una consapevolezza sufficiente del popolo (sovrano!) e di resistenza dello stesso, fanno allegramente il loro gioco fingendosi esperti di un’economia e di un diritto di cui non conoscono il significato e pretendono perfino di essere ringraziati e rieletti! In compenso si nascondono dietro un’alchimia di calcoli, numeri, dati, rapporti e roba del genere, che sorprendono i più e che sinceramente lasciano attoniti anche noi perché quell’alchimia è estranea all’essenza della realtà umana e sociale.  Infatti, finché c’è un solo disoccupato involontario ma anche una sola vittima della ricchezza parassitaria di pochi – c’è la barbarie, che resta tale anche se “codificata”.

Chi mai autorizza “lor signori” a condizionare, limitare e relativizzare il diritto al lavoro – che è diritto alla vita – che ci deriva dal semplice fatto di esistere e di essere nati? Chi mai autorizza codesta casta di superpagati (da sé stessi) “per fare il bene del paese”, a decidere che io, disoccupato, debba aspettare anni per avere un lavoro (cioè un biglietto di accesso al diritto alla vita), e di vivere con il rischio costante di fare la fame? Tutto questo poteva “apparire normale” fino a qualche tempo fa, ora non più perché si è in condizioni di conoscere il vero diritto a cui devono conformarsi l’economia e tutta la vita della società. Le nuove esigenze – signori del potere – non sono quelle dei nuovi padroni, cui piace disporre di lavoratori “usa e getta”, flessibili, nomadi e senza garanzie per il futuro (donde il crescente fastidio dell’art. 18!) ma quelle della scienza sociale  che ci dice in maniera inequivoca – come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti (1948) - che tutti gli uomini nascono uguali (quanto a diritto di vivere!) e che come tali vanno trattati a dispetto di tutto ciò che è stato convenzionalmente consolidato contro quel diritto per effetto della prepotenza dei più forti.

Quanto sta avvenendo in questi giorni per opera di politicanti della “casa delle (loro) libertà” – ma che sarebbe potuto avvenire anche per opera di ex socialisti e politicanti della sedicente sinistra, conferma la condizione di fuori legge (naturale e costituzionale) dello Stato quanto all’economia e al diritto. Per fare il contrario – e lor signori lo saprebbero se la conservazione ad oltranza dei loro privilegi non li inducesse a fingere di non saperlo – non occorre niente di giacobino: basterebbe imboccare, con spirito di responsabilità e di coscienza, la strada opposta: quella della socializzazione del lavoro, la condizione dell’unica vera possibile rivoluzione culturale, biologica e nonviolenta della civiltà per compiersi come “specie di soggetti morali” (od uomini propriamente detti) in alternativa al processo di autodistruzione, già in atto. Certo – e lo sappiamo benissimo – tale rivoluzione non è facile per il solo fatto di essere sorretta dalla scienza. E’ invece facile immaginare quale cagnara parlamentare ed extra si solleverebbe contro l’individuo e il gruppo proponente (in un periodo in cui è di moda cantare il quotidiano de profundis al socialismo), ma se nessuno  comincia a gridare la rinnovata verità sul diritto e sull’economia aspettando che siano altri a dare il via, non ci sarà mai un momento in cui tutti, o quasi, per virtù di non saprei quale spirito santo, decideranno di realizzare quella rivoluzione incruenta. Per questo, una cosa è proporre l’economia dei diritti naturali e ritrovarsi per questo in minoranza e continuare tuttavia a gridare come un Giovanni Battista nel deserto, un’altra cosa è farsi portavoce di menzogne padronali e fautori di iniziative menzognere. Gli attuali promotori di piani “per qualche posto di lavoro in più” non possono dire a propria discolpa di esserlo perché costrettivi dagli altri. Sono loro che lo vogliono e per questo si qualificano da se.