Carmelo R.
Viola, biosociologo
C.P. 65 – 95024, Acireale/CT –
Italia – Tel. e fax: (0039) (095) 763 19 81
E-mail:
crviola@mail.gte.it
ovvero
IL DIRITTO
AL LAVORO e
LO
SCEMPIO DEL DIRITTO
Il
governo avrebbe approntato un piano per l’occupazione che, in tre anni (avete
sentito bene: in tre anni!), dovrebbe
ridurre di un milione e 400 mila unità il numero dei senza lavoro. Anche se ciò
fosse vero – e potremo saperlo solo nel
2005! – la questione non perderebbe minimamente dell’assurdo, del
ridicolo e del vergognoso, che la caratterizzano. Infatti, dire che fra un certo
tempo ci saranno meno disoccupati è come dire a degli ammalati gravi, con
urgente bisogno di essere operati, che fra un certo tempo potranno avere
l’intervento di cui hanno urgente bisogno e solo se gli andrà bene, e quindi
non tutti ma solo alcuni di loro. Gli attributi assurdo, ridicolo e vergognoso
fanno ressa nella nostra mente, e sarebbe davvero ozioso e grottesco se
cercassimo di stabilire una priorità: sono tre anatemi in uno.
Coloro
che parlano di tale piano – anzi, che lo sbandierano come chissà che di
portentoso, sono pertanto insieme assurdi, ridicoli, vergognosi. Se li volessimo
prendere sul serio, dovremmo fare loro domande come queste: cosa fanno intanto coloro che attendono un lavoro come unico mezzo di
sostentamento per vivere una vita normale, dignitosa, da cittadini liberi in un
paese (sedicente) democratico? Non mangiano? Non si vestono? Non si curano?
Parassitano la propria famiglia (se
ne hanno una)? Vanno a rubare? Stendono la mano per chiedere l’elemosina?
Implorano la carità a qualche ente pubblico? Si abbandonano a espedienti e
compromessi malavitosi? Fanno debiti? Finiscono nelle grinfie di usurai? Si
vendono le scarpe o che altro? Sfruttano qualche persona cara o amico? E ancora:
chi restituirà loro gli anni “vuoti” ai fini della “assumibilità” o
peggio di una pensione decente? Rimandano a tempo indeterminato un progettato
matrimonio anche se sono già anziani? E se hanno già coniuge e figli – e
magari genitori e chissà chi altri – a carico, come fanno per sfamarli,
curarli? E se sono oppressi da malattie – peggio se curabili solo presso
strutture private, magari solo all’estero e magari molto care – come fanno
per sopperire ad un servizio sanitario assente o quasi? Persone che, solo
per effetto di un giochetto elettorale, pretendono di rappresentare uno Stato e
una società, dovrebbero porsi queste e molte altre domande simili ma non se le
pongono certamente dei “dilettanti” che hanno scelto di fare i politici non
certo per una missione umanitaria e che, in ogni caso, non sanno che cosa sono,
OGGI, la vera economia e il vero diritto. Diciamo e sottolineiamo oggi.
A questi
signori – o signorotti – è il caso di dire di smetterla di turlupinare, nel
Terzo Millennio, milioni, decine di milioni di persone, anzi il mondo intero,
facendo affermazioni che non si reggono in piedi, OGGI. Diciamo e sottolineiamo
oggi perché oggi – più di ieri e ancor più dell’altro ieri, per la verità
– sappiamo con certezza:
1 - che il
capitalismo non è abilitato, strutturalmente e funzionalmente, a risolvere il
problema del lavoro per tutti (diciamo per tutti, nessuno escluso) e, più
precisamente, dell’equa distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro: non
si capisce perché un meccanismo, nato sulla falsariga della dinamica della
giungla, avrebbe dovuto essere capace di farlo.
2 - che
l’economia (che non è appunto il capitalismo, nato sulla falsariga della
dinamica della giungla) non è solo produrre (e meno che mai una cosa qualsiasi)
e distribuire senza riferimento al fabbisogno di tutti (nessuno escluso),
3 - che il
diritto o è immediato, universale e costante o non è diritto.
Per scoprire
l’assurdo, il ridicolo e il vergognoso di piani come quello in questione,
basta solo constatare che lo stato di bisogno non può aspettare esattamente
come la fame o una malattia da curare urgentemente.
Il governo di uno Stato a regime capitalista non può
dare lavoro a chi ne ha bisogno per il semplice fatto che il processo produttivo è
nelle mani di privati, ciascuno dei quali è motivato esclusivamente dai
profitti: a tal fine (e solo a tal fine) “compra” (parliamo di mercato o
no?) delle prestazioni lavorative per disfarsene ovviamente (e logicamente)
appena non ne ha più bisogno. E poiché il suo unico scopo è quello di fare
profitti, egli cerca di raggiungere questo scopo con il minore costo possibile.
Per la stessa ragione, costoro sono in concorrenza fra di loro (anzi sono
esortati a concorrere, cioè a “combattersi”!) e quindi non importa loro la
cosa da produrre ma solo e sempre i profitti che dalla cosa (merce) possono
trarre che si sforzano di fare apparire la più buona ed appetibile sfruttando
l’immagine e qualsiasi espediente utile a manipolare la volontà dei
consumatori. Donde quella sistematica
violenza psicologica (e perché non criminale) della pubblicità (con
volontariamente-truffaldinamente sottinteso l’attributo di consumistica).
Tale cosa-merce può essere indifferentemente una gomma da masticare o un mina
anti-uomo!
In condizioni
del genere qualunque preteso piano per l’occupazione è solo una menzogna –
assurda, ridicola, vergognosa. Prospettare, poi, addirittura la “piena
occupazione”, è come aspettarsi l’armonia dal caos ovvero la giustizia
sociale da una eterna “concorrenza di tutti contro tutti” ovvero ancora, in
termini più concreti, che il fabbisogno di lavoro dei padroni sia costantemente
tanto da coprire e per sempre il fabbisogno di potere di acquisto di tutti i
cittadini (nessuno escluso). Bisogna
essere davvero idioti o mentalmente plagiati per credere a verità
“trascendentali” del genere. Tutto ciò che può fare il governo di uno
Stato di stampo capitalistico è sottrarre aiuti a chi ne ha bisogno per darli a
chi non ne ha bisogno, cioè agli impresari (alias padroni), perché questi
assumano qualche unità lavorativa in più e il risultato è pur sempre e
necessariamente parziale ed effimero e per di più non immediato. E’ quanto si
profila anche in ordine al piano in questione – puntualmente assurdo, ridicolo
e vergognoso – per la cui realizzazione si programmano già tagli a servizi di
fondamentale importanza (quale quello sanitario, già impoverito e
sbeffeggiato), dovendo togliere – come dicevamo - a chi ha bisogno per dare a
chi non ha bisogno. Davvero una
scienza assurda, ridicola e vergognosa, che gli esperti chiamano economia! In
altre parole, tutto ciò che un governo,
funzionale al sistema capitalista, può fare, è giocare sul calcolo delle
probabilità di un effetto collaterale dell’impresa capitalista,. Tale effetto
collaterale consiste nella necessità di “comprare lavoro” (in termini
eufemistici “assumere lavoratori”) che tuttavia è pari alla necessità di
rifiutarlo appena non ne ha più bisogno (in termini reali “licenziare
lavoratori”).
Da tempo il
problema non è più quello di “creare nuovi posti di lavoro” (locuzione
assurda, ridicola, vergognosa, indegna di una civiltà superiore) ma fare in
modo che tutti – nessuno escluso – abbiano un’occupazione certa
(equivalente del demolito “posto fisso”) in ottemperanza ad un diritto di
natura che, guarda caso, è contemplato anche dall’art. 4 della Costituzione,
ma garantito solo teoricamente perché la stessa carta costituzionale prevede la
libera iniziativa economica (cioè dell’impresa
capitalistica, trasposizione antropomorfa della dinamica fagico-predatoria della
giungla, quando finalizzata ai soli profitti parassitari), che è totalmente
incompatibile con il diritto al lavoro o, in subordine, all’equo potere di
sussistenza, che non può dipendere dalla fortuna del mio vicino di casa o di un
qualunque amorale uomo di affari.
Con il
neoliberismo ovvero con l’insistenza
sul “mercato del lavoro”, la situazione si fa catastrofica perché al
diritto – che non ammette né attese né precarietà né eccezioni – viene
sostituita la probabilità di essere toccati dalla “fortuna” di chi viene
comprato – dal mercato, appunto – probabilità che comporta attese, limiti
nel tempo ed esclusioni come un qualunque gioco. Che
ad un diritto vitale si intenda rispondere con la logica e la probabilità di
una lotteria è qualcosa che lasciamo dire a soggetti assurdi, ridicoli e
vergognosi. L’azienda capitalista ha leggi specifiche, matematiche,
categoriche e ineludibili, essendo il suo fine naturale, unico e costante,
quello di fruttare profitti ai detentori del capitale. Non è stato mai
dimostrato – e meno che mai con i fatti – il contrario di quanto qui
affermato. Perciò, fare piani “per qualche
posto di lavoro in più” – in un tempo in cui si dovrebbe (potendolo) applicare
la VERA economia in ottemperanza al VERO diritto – è un’operazione
assurda, ridicola e vergognosa, resa possibile solo da un’ignoranza
generalizzata, da un esercito di ex (che non hanno mai compreso il valore
biologico della socialità) ma anche da un sentimento proprio di “animali
ragionevoli” e non di “persone morali”, che è l’esatto contrario di una
civiltà adulta.
La vecchia
reiterata affermazione che il capitalismo produrrebbe ricchezza equivale ad una
menzogna e quindi ad un’irrisione della ragione, in quanto parte di una verità
più ampia: infatti il capitalismo
produce sì ricchezza ma anche povertà e delinquenza (la cui dimensione
paralegale è detta impropriamente mafia) essendo esso stesso un meccanismo
criminogeno. E non solo. Non è il
capitalismo a produrre ricchezza ma il lavoro che c’è dentro, lavoro che
può operare fuori di quel meccanismo, mentre povertà e delinquenza sono gli
effetti delle conflittualità e mostruose sperequazioni del capitalismo stesso.
La verità è che quella mezza verità-menzogna del capitalismo viene usata da
“dilettanti del potere” (e insieme da utili idioti) per tacitarne i vinti
(tra cui i disoccupati a cui si promette la luna nel pozzo) e legittimare i
privilegi dei vincitori.
Rientra in
siffatta “logica perversa” (assurda, ridicola e vergognosa) la necessità di
fare prosperare comunque l’industria dell’auto (per fare un esempio), anche
se di auto ne abbiamo perfino sulle terrazze e sui ballatoi (se a livello di
terra), anche se ci ammaliamo e moriamo di asfissia urbana e di inquinamento
atmosferico. Il fatto è che quell’industria, come qualunque altra, deve continuare a produrre perché produrre
sta per produrre profitti padronali (senza dei quali viene meno la ragion
d’essere dell’azienda) e perché produrre significa anche la necessità-possibilità
di comprare lavoro, (la materia prima
umana indispensabile) e quindi di realizzare quell’effetto secondario, su cui si fonda tutta la genialità conturbante
degli economisti del capitale. Ma da questo alla soluzione del problema
della piena occupazione e più dell’universale potere di sussistenza (o di
acquisto), di tutti e di ciascuno, non
c’è nesso logico alcuno se non le menzogne – assurde, ridicole, vergognose
– che ci mettono i vari “addetti al potere” che, in assenza di una
consapevolezza sufficiente del popolo (sovrano!) e di resistenza dello stesso,
fanno allegramente il loro gioco fingendosi esperti di un’economia e di un
diritto di cui non conoscono il significato e pretendono perfino di essere
ringraziati e rieletti! In compenso si nascondono dietro un’alchimia di
calcoli, numeri, dati, rapporti e roba del genere, che sorprendono i più e che
sinceramente lasciano attoniti anche noi perché quell’alchimia è estranea
all’essenza della realtà umana e sociale.
Infatti, finché c’è un solo
disoccupato involontario ma anche una sola vittima della ricchezza parassitaria
di pochi – c’è la barbarie, che resta tale anche se “codificata”.
Chi mai
autorizza “lor signori” a condizionare, limitare e relativizzare il diritto
al lavoro – che è diritto alla vita – che ci deriva dal semplice fatto di
esistere e di essere nati? Chi mai autorizza codesta casta di superpagati (da sé
stessi) “per fare il bene del paese”, a decidere che io, disoccupato, debba
aspettare anni per avere un lavoro (cioè
un biglietto di accesso al diritto alla vita), e di vivere con il rischio
costante di fare la fame? Tutto questo poteva “apparire normale” fino a
qualche tempo fa, ora non più perché si è in condizioni di conoscere il vero
diritto a cui devono conformarsi l’economia e tutta la vita della società. Le
nuove esigenze – signori del potere – non sono quelle dei nuovi padroni, cui
piace disporre di lavoratori “usa e getta”, flessibili, nomadi e senza
garanzie per il futuro (donde il crescente fastidio dell’art. 18!) ma quelle
della scienza sociale che ci dice
in maniera inequivoca – come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale
dei Diritti (1948) - che tutti gli uomini
nascono uguali (quanto a diritto di vivere!) e che come tali vanno trattati a
dispetto di tutto ciò che è stato convenzionalmente consolidato contro quel
diritto per effetto della prepotenza dei più forti.
Quanto sta avvenendo in questi giorni per opera di politicanti della “casa delle (loro) libertà” – ma che sarebbe potuto avvenire anche per opera di ex socialisti e politicanti della sedicente sinistra, conferma la condizione di fuori legge (naturale e costituzionale) dello Stato quanto all’economia e al diritto. Per fare il contrario – e lor signori lo saprebbero se la conservazione ad oltranza dei loro privilegi non li inducesse a fingere di non saperlo – non occorre niente di giacobino: basterebbe imboccare, con spirito di responsabilità e di coscienza, la strada opposta: quella della socializzazione del lavoro, la condizione dell’unica vera possibile rivoluzione culturale, biologica e nonviolenta della civiltà per compiersi come “specie di soggetti morali” (od uomini propriamente detti) in alternativa al processo di autodistruzione, già in atto. Certo – e lo sappiamo benissimo – tale rivoluzione non è facile per il solo fatto di essere sorretta dalla scienza. E’ invece facile immaginare quale cagnara parlamentare ed extra si solleverebbe contro l’individuo e il gruppo proponente (in un periodo in cui è di moda cantare il quotidiano de profundis al socialismo), ma se nessuno comincia a gridare la rinnovata verità sul diritto e sull’economia aspettando che siano altri a dare il via, non ci sarà mai un momento in cui tutti, o quasi, per virtù di non saprei quale spirito santo, decideranno di realizzare quella rivoluzione incruenta. Per questo, una cosa è proporre l’economia dei diritti naturali e ritrovarsi per questo in minoranza e continuare tuttavia a gridare come un Giovanni Battista nel deserto, un’altra cosa è farsi portavoce di menzogne padronali e fautori di iniziative menzognere. Gli attuali promotori di piani “per qualche posto di lavoro in più” non possono dire a propria discolpa di esserlo perché costrettivi dagli altri. Sono loro che lo vogliono e per questo si qualificano da se.