PACIFICI O PACIFISTI: I COMUNISTI DI FRONTE ALLA GUERRA PROSSIMO VENTURA
di Tiziano Tussi
 

Considerai sempre il pacifismo un’utopia. In questo senso il pacifismo sembrava reggersi (e mi sembra reggersi tutt’ora) su una mera astrazione da non prendersi realmente sul serio…”(Ludovico Geymonat, Fabio Minazzi, “Dialoghi sulla pace e sulla libertà”, Cuen I Quaderni di Giano, Napoli 1992). Ludovico Geymonat ci trasmette chiaramente il suo pensiero sul pacifismo. Citazione non unica del suo lavoro teorico. Occorre purtroppo spesso ribadire una differenza che i comunisti dovrebbero avere ben chiara in mente: la differenza tra essere pacifici o pacifisti. Il pacifismo è un pensiero che vede prendere posizioni di indifferentismo  rispetto alla guerra. La guerra è logicamente paragonabile ad altre azioni umane, molto forti. Ogni guerra ha una sua genesi ed appare quindi da analizzare, verso la quale bisogna prendere posizione dopo, secondo l’analisi fatta. Nella guerra che si prospetta contro l’Iraq da parte di Bush bene fanno coloro che dicono, in questa occasione, quale sia il loro giudizio. Sui giornali si leggono spesso dichiarazioni di Lucia Annunziata che dichiara che “questa” guerra non la convince. I motivi sono suoi e non mi interessa discuterli. Ma il metodo mi pare di semplice logica. Poi vi sono i guru della pace che sempre ripudiano la guerra. Anche questa è una posizione ma i comunisti dovrebbero sapere che questa non può mai essere la loro. “L’hitlerismo non può essere combattuto dal “contro-hitlerismo”, in quanto questo conduce ad un hitlerismo ancora peggiore. “(Con la non-violenza) Hitler avrebbe potuto ottenere senza combattere quello che ha ottenuto con una lotta sanguinosa. Oso affermare che in tal caso l’Europa avrebbe visto crescere di parecchi pollici la sua statura morale. E rispetto al fine che io mi prefiggo, è l’elemento morale che conta. Tutto il resto non ha alcun valore.” (M.K. Ghandi, “Teoria e pratica della non violenza”, Torino 1973). Certo combattere il nazismo con l’arrendevolezza estrema non pare proprio rientrare nell’armamentario culturale dei comunisti. Ed allora poco si spiega, marxisticamente, questo infiammarsi contro “la guerra”, “ogni guerra”, che da molte parti, anche da sinistra, viene continuamente ripetuto senza sapere che la radicalità pacifista gandhiana, di disarmare contro ogni violenza, porta a risultati assolutamente impraticabili. Esponenti della sinistra che poi vanno a braccetto con i “sacri valori della Resistenza, che hanno fondato la nostra Costituzione”, che viene difesa come limite invalicabile di fronte ai tentativi della destra di destrutturarla. La stessa Costituzione a cui si è arrivati solo dopo e grazie ad una “guerra” di Liberazione proprio contro la destra di quel momento storico, il fascismo. Quindi un po’ d’ordine mentale andrebbe fatto. Altrimenti si corre il rischio di imitare il presidente di Emergency, Teresa Sarti, moglie di Gino Strada, che il giorno 20 ottobre, in piazza Duomo a Milano, in una manifestazione che ricordava la battaglia di El Alamein, in mezzo ai parà che si lanciavano con il paracadute, atterrando tra la folla, a fianco del vice sindaco di Alleanza Nazionale, De Corato, ha rivelato una strabiliante scoperta, visto che si ricordavano anche i duecento bambini morti sotto un bombardamento alleato  proprio il 20 ottobre del 1944: “oggi, senza quella guerra, quei bambini sarebbero qui con noi, con i loro figli  grandi e le loro storie.” (“anniversario di El Alamein, e i parà atterrano in piazza del Duomo”, Corriere della Sera, 20 ottobre 2002). Dichiarazione disarmante nella sua banalità. Almeno i comunisti dovrebbero meglio dire che questa guerra all’Iraq non va fatta e l’Italia non dovrebbe appoggiarla proprio perché è una guerra sporca, colonialista e capitalista. Simile ad altre: inclusa la battaglia di El Alamein.