IRAQ: LA VIOLAZIONE
DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
di Aldo
Bernardini
Docente di Diritto Internazionale all’Università di Teramo
a cura di Andrea Pettinelli
In
realtà, la guerra contro l’Iraq da parte degli anglo-americani non è mai
cessata: a riprova di un disegno di lunga lena, che mira a riprendere il pieno
controllo del paese e delle sue ingenti ricchezze petrolifere. Si deve ricordare
che gli USA, che considerano irrinunciabile il loro standard di vita per il
quale sono indispensabili gli alti consumi petroliferi, traggono il 56% del loro
fabbisogno petrolifero dalla regione del Golfo (nel 1973 il 37%). Sussiste il
timore che le fonti dell’Arabia Saudita e degli altri stati del Golfo si
esauriscano in qualche decennio. Anche alla luce di ciò va intesa la campagna
contro l’Afghanistan con la penetrazione USA nell’Asia centrale. Ma è per
gli USA essenziale, anche per battere la concorrenza dell’Europa, della Cina e
della Russia, avere il massimo controllo alle migliori condizioni di profitto
sul petrolio del Medio Oriente. E’ chiaro che l’Iraq di Saddam Hussein, che
possiede le seconde riserve mondiali di petrolio dopo l’Arabia Saudita
(10-12%), costituisce un bersaglio imprescindibile per le compagnie americane e
per il loro uomo Bush e tutto il suo staff di personaggi legati alle compagnie:
costoro non si possono dimenticare che fino a qualche decennio fa disponevano
dei 2/3 della produzione irakena del petrolio! Un Iraq forte ed indipendente non
può essere tollerato dall’imperialismo americano e dal suo coadiuvante
britannico. Certo, non è del tutto chiaro perché nel 1991 l’offensiva
antirakena venne bloccata. Non può credersi che ciò sia avvenuto per
l’enormità giuridica - assolutamente evidente - che avrebbe comportato la
presa di Baghdad e il rovesciamento del presidente Saddam Hussein.
Probabilmente, prevalsero considerazioni sulla non maturazione di soluzioni
alternative, il timore che al sud dell’Iran avrebbe potuto profittare per la
presenza degli sciiti, mentre per il nord kurdo vi furono, come vi sono ancora,
le preoccupazioni della Turchia: pur se le due no-flying zones possono essere
considerate anche come presidio di un possibile smembramento dell’Iraq. Sta di
fatto che bombardamenti e uccisioni di civili, come detto, sono proseguiti, e
continua l’embargo genocida. Sul piano delle ispezioni non sono mancati
incidenti, ma, fino ad intollerabili situazioni, come la pretesa visita ai
palazzi presidenziali o la ricordata scoperta della presenza di spie
statunitensi e israeliane fra gli ispettori, l’opera di questi non si
interruppe: sino all’inevitabile rifiuto irakeno, al ritiro degli ispettori,
all’operazione “Volpe nel deserto” con violenti bombardamenti
anglo-americani (tre giorni) anche su Baghdad (1998) e a nuove trattative con le
Nazioni Unite che sfociarono nella risoluzione 1284 del C.d.s. del 17 novembre
1999. E’ con questa, che al posto dell’UNSCOM, venne stabilito un nuovo
organismo ispettivo, l’UNMOVIC (United Nations Monitoring, Verification and
Inspection Comission), che sempre insieme alla AIEA (controlli sul nucleare)
avrebbe dovuto riprendere, non senza qualche maggiore garanzia per l’Iraq,
ispezioni e controlli. Ciò non si realizzò immediatamente per difficoltà
varie. E arrivò l’11 settembre 2001: gli attentati aerei - costellati da
ombre e dubbi di ogni genere - a New York e Washington. Superfluo è qui
ripercorrere la reazione, da “belva impazzita”, della dirigenza USA che ha
lanciato, con il pretesto degli attentati, una strategia in elaborazione da
tempo, mirante ad assicurare libertà di azione a tutela di interessi americani
nel mondo intero, con scavalcamento completo delle Nazioni Unite. La
superpotenza unica tende ormai ad affermarsi come Impero mondiale, con funzioni
di gendarme universale e sulla base di alleanze a geometria variabile, secondo
le necessità e le convenienze del momento. Questo schema si è affermato senza
remore nell’aggressione contro l’Afghanistan. La guerra preventiva contro il
terrorismo - includendosi in questa nozione anche le lotte di liberazione
nazionale come quella sacrosanta dei palestinesi e persino ogni politica
indipendente di Stati che non si adeguano e che vengono ribattezzati “Stati
canaglia” o “fuorilegge” - rappresenta lo strumento per realizzare i
propri interessi strategici, commerciali, energetici in ogni regione del
pianeta. Già in questa direzione andava l’allargamento (illegale) degli
obiettivi della NATO deciso a Washington nell’aprile del 1999, durante
l’aggressione alla Jugoslavia, e ribadito e ampliato a Praga nel novembre
2002: dovendo essere chiaro che la NATO opererà come strumento ausiliario, e
sempre a geometria variabile, della politica USA, non come corpo collettivo di
decisione. Tutti gli Stati devono, secondo questa proclamata ideologia,
collaborare attivamente contro ciò che gli USA di volta in volta definiscono
terrorismo: se non lo fanno o se, nella loro sovranità, seguono politiche o si
dotano di strumenti militari che, secondo l’insindacabile valutazione USA
persino su supposte intenzioni, potrebbero anche in futuro giovare a gruppi
considerati terroristici, vanno combattuti pure con interventi militari,
bombardamenti e così via.
Nel
settembre 2002 è stato pubblicato dalla Casa Bianca un documento che delinea
per il XXI° secolo The National Security Strategy of
the United States of America: una linea che prevede l’imposizione a
tutti paesi del modello e dei “valori” americani o comunque occidentali e
che in realtà, prevedendo un uso della forza ovunque richiesto dagli interessi
americani e fuori da ogni regola, potrebbe essere definito il nuovo Mein Kampf
sotto veste missionaria e selettivamente umanitaria. E’ su questo terreno che
Bush e il suo staff di petrolieri hanno rilanciato l’offensiva contro
l’Iraq. Si comincia con l’affermare che, dopo la cessazione delle ispezioni
nel 1998, l’Iraq avrebbe ripreso a dotarsi dell’armamento “proibito”:
nessuna prova. Si sostiene poi che vi sarebbero legami dell’Iraq con gruppi
terroristici (Al-Qaeda): nessuna prova. Si rievocano presunti e ingigantiti
misfatti passati di Saddam Hussein, secondo la tecnica ormai sperimentata di
criminalizzare i dirigenti, cercare di dividerli dai loro popoli (con scarso
successo), influenzare l’opinione pubblica mondiale, anche le forze di
sinistra e comuniste (purtroppo, sinora anche con successo, vista l’imperante
ondata di buonismo, perbenismo, opportunismo a senso unico): senza ricordare i
sostegni e le complicità degli stessi Stati Uniti a quei comportamenti
criticabili o gli aiuti e incitamenti da essi forniti a forze interne irakene
contro il legittimo governo, che è quindi costretto, in una situazione di
assedio e guerra permanente, alla repressione. In un quadro del genere, gli USA
e la Gran Bretagna si arrogano il diritto di scatenare un attacco “totale”
contro l’Iraq, per pretese, non comprovate violazioni delle risoluzioni ONU
(di molte delle quali è bene ricordare ancora una volta, pur se resta notazione
“platonica”, l’illegittimità). Viene valutata persino l’asserita
intenzione e potenzialità di Saddam Hussein di munirsi, in futuro, degli
strumenti “vietati”! E si proclamano apertamente obiettivi illeciti:
sostituire la dirigenza irakena, stabilire un’occupazione e un protettorato
sull’Iraq, eventualmente smembrarlo. Tutto ciò rende palese che solo finalità
di dominio e innanzitutto di ripresa del controllo sulle fonti energetiche
irakene costituiscono la ragione dello scatenamento anglo-americano, che deve
esser visto anche nel legame con la repressione operata da Israele contro i
palestinesi. La pretesa imperiale si scontra però con interessi di altre
potenze che, per quanto in posizione di relativa minor forza, non intendono
soccombere e lasciare campo libero agli interessi anglo-americani e comunque ai
loro metodi di affermazione. E per fare ciò si servono anche, sia pure in modo
in parte distorto, dell’arrugginito arnese del diritto internazionale e delle
Nazioni Unite. Può discutersi se questo atteggiamento viene tenuto solo per
garantirsi alcune posizioni e interessi, nel caso l’aggressione totale contro
l’Iraq venga comunque lanciata: in ogni caso, le posizioni in modo diverso
sostenute da Francia, Germania, Russia, Cina dimostrano quanto meno che vi sono
ancora contraddizioni interimperialistiche o di diversi imperialismi tra loro e
con forze “extraimperialistiche”, con possibili convergenze contro
l’imperialismo più forte, quello anglo-americano. USA e Gran Bretagna hanno
presentato e imposto una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza, a rigore
non necessaria, e che si iscrive sempre, aggravandolo, nel quadro complessivo di
azioni illegali contro l’Iraq. Il crisma delle Nazioni Unite non può sanarle.
E’ la risoluzione 1441 dell’8 novembre 2002, adottata all’unanimità dopo
una laboriosa trattativa e un vero e proprio braccio di ferro. Essa contiene
ulteriori gravi lesioni di principi internazionali e della sovranità irakena.
Per farne qualche cenno: si prevede per gli ispettori l’utilizzo di una scorta
armata e poteri eccezionali per bloccare la circolazione in intere aree del
paese; gravissima è la clausola che consente agli ispettori di far fuoriuscire
dall’Iraq (anche con la forza? E i diritti umani?) persone da intervistare e
le loro famiglie: è prevedibile il tentativo di creare defezioni nel quadro
statale irakeno e di costruire con l’opera dei servizi disertori che possano
inventare qualunque menzogna (Domenico Gallo). Si pretende poi in tempi
rapidissimi un rapporto del governo irakeno sui propri armamenti “proibiti”,
ma si dice già che sarebbe considerata grave violazione la negazione del
possesso di simili armamenti: in altri termini, è l’Iraq che deve provare di
non averli, non sarebbero gli ispettori a dover dimostrare l’esistenza di tali
armi! Un’inversione dell’onere della prova che è quanto di più barbarico
possa immaginarsi e costituisce una vera “probatio diabolica”, una prova
diabolica e cioè impossibile ad essere fornita. Vi è poi il punto 8, per cui
“l’Iraq non compirà o minaccerà atti ostili diretti contro qualsiasi
rappresentante o personale delle Nazioni Unite o dell’AIEA o contro qualunque
Stato membro (delle N.U.) che operi per realizzare qualunque risoluzione del
Consiglio (di sicurezza)”: già gli Stati Uniti hanno tentato di affermare una
violazione irakena per le blande reazioni di contraerea opposte
all’assolutamente illegale sorvolo e bombardamento degli anglo-americani nelle
no-flying zones, e quindi di slegare quanto previsto dal punto 8 dallo stretto
quadro della risoluzione 1441: questa interpretazione è stata respinta dal
segretario generale e perfino dai britannici. Pare evidente che la risoluzione
è costellata di punti che potrebbero fornire pretesti e causus belli ai
malintenzionati. Che infatti proseguono imperterriti i preparativi di guerra e i
tentativi di alleanze a tal fine. Qualcuno ha parlato di una nuova Rambouillet.
Sotto un profilo strettamente giuridico, pur riconoscendo che questo conta poco
nella realtà, le cose forse non stanno così, anche se devono sempre censurarsi
le accresciute illegalità contenute nella risoluzione 1441. Forse si deve
partire dalla triste constatazione che - nella disperante situazione creata
anche dagli errori giuridici e illegalità precedenti - occorresse porre freni e
briglie alla “belva impazzita”. Riteniamo che i limiti giuridici, in quanto
tali ben flebili, vi siano. Nella risoluzione 1441, la dichiarazione iniziale,
secondo cui l’Iraq è in sostanziale violazione degli obblighi posti a suo
carico a partire dalla risoluzione 687, oltre a prescindere ovviamente
dall’illegittimità di gran parte di obblighi, è falsa e comunque non provata
in via di fatto, ma deve ritenersi superata dalla circostanza che tutti i
minuziosi e prevaricanti obblighi precisati successivamente rientrano, quanto
alla loro ipotizzata violazione da parte irakena, in un procedimento che,
essenzialmente su rapporto degli ispettori, prevede comunque un nuovo intervento
del Consiglio di sicurezza per verificare l’asserita violazione e stabilirne
le conseguenze. Letta sotto il profilo giuridico, nessuna reazione automatica di
singoli Stati (in concreto, USA e Gran Bretagna) può venire
ipotizzata per nessun caso di asserita violazione. Nonostante le
arroganti posizioni e dichiarazione soprattutto americane, interventi
unilaterali non sono ammessi dalla risoluzione: e ciò è confermato anzitutto
da tutte le dichiarazioni di voto di tutti i membri del Consiglio di sicurezza
sulla risoluzione 1441 e poi dalla nota interpretativa di Cina, Francia e Russia
dell’8 novembre 2002 e dalla nota irakena del 13 novembre 2002, con cui
l’Iraq, pur denunciando il carattere arbitrario della risoluzione 1441 e di
tante sue disposizioni, esprime in proposito, più che un’accettazione una
“dichiarazione di tolleranza”, come di fronte ad un atto di irresistibile
violenza. Del resto, in tutto l’insieme di tutte le risoluzioni consiliari
sulla vicenda irakena, pur nella loro complessiva logica perversa, nessuno Stato
singolo può ritenersi autorizzato ad intervenire in vista di asserite
violazioni irakene. La stessa dichiarazione di voto del delegato USA, Negroponte,
fu nel senso che “la risoluzione non conteneva meccanismi nascosti e
automatismi per l’uso della forza. La procedura da seguirsi era stabilita
nella risoluzione”. E questa è interpretazione giuridica. E’ vero che egli
aggiunse: “in un modo o nell’altro l’Iraq sarebbe stato disarmato. Se il
Consiglio di sicurezza avesse mancato ad operare in modo decisivo nel caso di
ulteriore violazione irakena, la risoluzione non avrebbe impedito a nessuno
Stato membro di operare per difendersi contro la minaccia posta da quel paese o
per attuare forzosamente le rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite e tutelare
la pace e la sicurezza mondiali”. Ma qui siamo fuori dal diritto. Il Consiglio
di sicurezza è legittimato ad assumere, secondo le procedure statutarie,
incluso il veto, qualunque posizione rispetto a eventuali rapporti degli
ispettori o altri fatti: ad esempio, che non vi sia violazione da parte irakena
o che questa non sia così grave da giustificare l’uso della forza. E la nota
pretesa americana, espressa anche da Negroponte, di estendere la legittima
difesa di uno Stato al di là della reazione contro un attacco in atto o
assolutamente incombente, è fuori dal diritto internazionale. Nei fatti,
l’aggressione contro l’Iraq potrà forse avvenire. Ma essa sarebbe in
violazione della stessa risoluzione 1441 e costituirebbe segno della barbarie
ormai fatta valere dall’imperialismo anglo-americano in spregio di ogni regola
di umana convivenza, in nome del dominio della forza illimitata: che costituisce
con ciò stesso giustificazione a ogni tipo di reazione da parte degli
“umiliati e degli offesi”, che dopo la caduta del socialismo reale europeo
si cerca di soggiogare sotto un rinnovato colonialismo.