La
truffa del segreto di Stato
I
servizi segreti e le stragi
di
Falco Accame
Falco
Accame (ex presidente della Commissione Difesa della Camera), in qualità di
Presidente della “Associazione Nazionale Assistenza Vittime arruolate nelle
Forze Armate e Famiglie dei Caduti”ANA-VALAF, ha inviato il 24 aprile 1997 una
“lettera aperta” sulla materia indicata (segreto di Stato, Servizi Segreti e
stragi) alle massime autorità istituzionali nazionali - dal Presidente della
Repubblica, a quelli di Camera, Senato e Costituzionale, dai Presidenti delle
Commissioni bicamerali competenti (Stragi, Servizi Segreti) ai Procuratori
interessati (Corte di Cassazione,Corte di Appello, CSM),
dai Ministri responsabili fino al Presidente della Camera penale di Roma. Questa
lettera aperta - sintetizzata qui per ragioni editoriali - non ha finora avuto
risposta, nonostante la gravità e la fondatezza degli elementi documentati
nella lettera. Nulla è cambiato nel frattempo (aprile 2003). Governi
e responsabili cambiano, ma non il silenzio e la censura, sempre”globali e
duraturi”.
Le vicende
tragiche cui la lettera si riferisce sono molte. Per ricordarne solo
alcune: l’eccidio di Peteano, la caduta dell’aereo Argo 16 (con la morte
dell’intero equipaggio), la vicenda del DC9 Itavia a Ustica, le morti di una
serie di militari in servizio (mai chiarite). Altre vicende riguardano GLADIO e
le “deviazioni” dei servizi segreti italiani. In ognuno di questi casi si fa
uso strumentale del “segreto di Stato” per ostacolare ogni processo di verità:
si tratti di stragi, di traffico d’armi, di azioni illegali o di attentati. Nel nostro Paese non
esiste una legge che regoli il “segreto
di Stato”. La legge 801/77 (articoli 1 e 2) ne introduceva l’esigenza, ma
essa è rimasta finora “lettera morta”.
Hanno così fatto
testo le norme del Regio decreto 1161 del 1941 (Mussolini e Vittorio Emanuele
Terzo) - largamente anticostituzionali - cui si sono aggiunte le
“disposizioni” di Enti pure disciolti (SIFAR e SID) e quelle più recenti
del SISMI, sotto “l’insegna apparente della Presidenza del Consiglio”. Queste norme hanno inglobato “senza alcuna ratifica del Parlamento
italiano o del Governo” quelle di provenienza USA e NATO, con la introduzione
di un Organo ANS (Autorità Nazionale
di Sicurezza), extra-Istituzionale ed in contrasto con i principi di sovranità
nazionale e le prerogative dei Paesi NATO, in materia di difesa e sicurezza
interna. In
violazione della legge 801/77, il Capo della ANS è stato anche Capo del
“servizio segreto militare” prima, e del CESIS
poi. L’ANS opera come “dominus insindacabile”: i suoi compiti NATO sono
stati estesi arbitrariamente all’Italia. Altra invenzione - priva di controllo
- l’USPA (Ufficio Sicurezza Patto Atlantico), diventato prima USI
e poi, con Cossiga, UCSI (Ufficio
Centrale di Sicurezza).
Sigle a parte, si
tratta di una illegittima amministrazione del segreto infiltrata nella Pubblica
Amministrazione, nella società, nelle Forze Armate, nei Servizi Segreti e nel
mondo industriale.
All’UCSI veniva
affidato il compito (inventato) di rilasciare i “certificati di sicurezza o
nullaosta” (NOS): cittadini,
imprese, militari per ottenerlo devono essere “affidabili e sicuri”. Una
specie di attestato di “fedeltà atlantica” che produce pesanti
discriminazioni anticostituzionali (discrezionali
e selettive). IL NOS ha consentito la schedatura anticostituzionale di
centinaia di migliaia di cittadini (308.000
presso l’UCSI). Peraltro tante sigle costose non hanno
evitato “scoperti gli autori” di tante Stragi di Stato che esse
rimanessero tuttora impunite. I
documenti “sensibili” vengono classificati a vari livelli di segretezza:
l’accesso ad un documento “riservato”
può comportare l’arresto per il detentore. Con il passare del tempo la
classifica di “riservato” è stata estesa perfino alle biblioteche ed agli
elenchi telefonici del Ministero Difesa. Quindi normative
interne dello Stato maggiore diventano
leggi penali “ in bianco” dello
Stato! Gli articoli 261 e
262 del Codice Penale vigente, relativi alla violazione del “segreto”, non
distinguono neppure tra reato lieve e pesante: per cui un cittadino che ha un
elenco telefonico “riservato” può avere da 3 a 24 anni di carcere: una pena
smisurata nei limiti, pari a quella di chi rivela segreti atomici di peso
nazionale.
In casi del genere
funziona un meccanismo di “scatole cinesi”: il giudice investito si
“chiama fuori” e rinvia alla Pubblica Amministrazione; questa si rifà al
parere dell’UCSI (ufficio extra e contra-legem, come detto). Una arbitraria illegalità
determinata dalla inesistenza di una legge sul “segreto”e dalla non
abrogazione delle leggi fasciste del 1941. Perciò un miscuglio di “segreti”
di ogni tipo, gestiti dai Servizi Segreti (appunto), in modo “segreto”.
Invece la legge 801/77 - già citata - prevede solo il “segreto di Stato”
per atti lesivi della difesa dello Stato democratico:
non conosce dizioni come
“riservato” o “divulgazione vietata”. La
legge del 1941 nasceva poi in tempo
di guerra e per atti di sabotaggio gravi contro il segreto “militare”. Secondo
l’articolo 262 C.P. responsabile della materia del segreto (di Stato) è il
Presidente del Consiglio. Ma nel tempo questa responsabilità è “scesa per li
rami” fino a semplici addetti della Pubblica Amministrazione.
Inoltre da noi -
Paese unico al mondo - la
segretazione vale per l’eternità (in realtà la legge sulla
“trasparenza” numero 241/90 ha delegato ai singoli Ministeri di definire la
durata massima. Nel caso dei Servizi Segreti il decreto D’Alema ha fissato il
limite a 50 anni. Stesso limite per il Ministero della Difesa ). Paradossalmente le norme dei “Servizi Segreti” prevedono anche che i
documenti “non ritenuti oggettivamente segretabili” possano essere distrutti
per sempre (un bel colpo di spugna finale !). Vi è poi un’altra
“anomalia italica” in tutta questa materia: il Presidente del Consiglio
deve esercitare il controllo sui “servizi segreti”, ma una “delega
amministrativa non prevista” sposta questo controllo sul Capo dell’ANS (già
citato), perciò sul capo dei “Servizi stessi” (spesso coincidenti anche
nella persona). Perciò ANS e
“Servizi Segreti” controllano “sé stessi”.
Capi dell’ANS sono stati i generali , come Miceli e Santovito, con le
“deviazioni” devastanti che sappiamo. Lo stesso ufficio UCSI è stato retto
dal Capo della GLADIO (1987-89). Nel
1995 il
“ Comitato per i
servizi di informazione e sicurezza e sul segreto di Stato” ha inviato al Parlamento
un rapporto sulle “perversioni istituzionali” dei “Servizi”: ma esso non
è stato mai discusso in Parlamento. Tutto continua come prima - schedature,
depistaggi, stragi, reati e ricatti. Un
solo esempio recente: la faccenda dei fondi neri del SISDE. Inoltre
la “giurisprudenza domestica “ dei “Servizi” con migliaia di documenti,
è classificata di “vietata divulgazione” (quindi segreta),
per cui non potrà essere mai portata in un giudizio penale! Tutto ciò fa a calci con la nostra Costituzione, con uno Stato di
diritto, con la legge 241/90 (trasparenza) e con quella sulla privacy: ma
nessuno sembra preoccuparsene. Insomma
l’unica legge esistente - la 801/77- non definisce cosa sia il segreto, né
CHI e COME decida che un atto sia segreto, né quali pene debbano essere
applicate. Non è quindi la pericolosità
oggettiva di una notizia - ai fini della sicurezza o difesa dello Stato -
che viene valutata: è la determinazione di un Organo “extra e contra legem”
che decide della sua “segretezza” e quindi della pena da assegnare
all’imputato. Un esempio di questa “situazione” scandalosa si è avuta in
occasione di un processo celebrato presso la seconda Corte di Assise di Roma:
alcuni cittadini sono stati condannati alla reclusione per il possesso di
documenti “riservati”, sulla base di un parere emesso dall’UCSI. Ma
questa logica può essere rovesciata a
bellaposta se serve agli “affossatori”, come nel caso della GLADIO. Qui -
pur essendo emersi fatti eversivi dell’ordine costituzionale - si è invocato
per ben 170 volte il “segreto di Stato” ed un falso “segreto NATO”:
trattando Gladio come parte della NATO. Per
“GLADIO” vi è stato un iter giudiziario lunghissimo (Padova e poi
Roma), con un esito finale “sconvolgente”. I documenti relativi
all’attività di questa struttura eversiva ed anticostituzionale - ai sensi
dell’articolo 12 della legge 801/77 - non potevano essere coperti da segreto,
perché “eversivi”. Così nel 1992 il Presidente del Consiglio “desecretò” tutto il
materiale di GLADIO, esponendo a rischio di condanna gli imputati. Ma il rischio
fu “aggirato” subito dal SISMI ed ANS/UCSI con un trucco: si usò la sigla
di “vietata divulgazione” per vietare l’accesso del giudice ai documenti
“significativi”.
L’Avvocatura di
Stato - adita per competenza - sostenne l’operato di ANS ed UCSI, sconfessando
perfino il “Comitato bicamerale di controllo”, le cui opposte decisioni sono state ignorate anche dalla Corte di
Assise. Infine, per Ustica, ha
funzionato il ricorso al segreto “sostanziale” - fatto di silenzi ,
omissioni e depistaggi della Autorità implicate - nonché di ricatti di
punibilità per ogni aviere (in forza dell’art.262 C.P). E’
il segreto “sostanziale” storico che ben funziona in Italia da molti
decenni, come sappiamo. Tutta
questa storia mostra che la stessa legge 241/90 - sulla trasparenza
amministrativa - può ben essere vanificata da chi ne ha il potere. Infatti i
documenti di pubblica conoscenza - necessari in giudizio -
possono acquisire all’improvviso la qualifica di “segreto”: il
malcapitato (vittima) che - in nome della giustizia - ha ritenuto di produrli
ingenuamente, rischia così di finire in carcere, per 3 o 24 anni (si vedrà). Coloro
che reclamizzano il nostro , come Stato “democratico”
e di “Diritto”farebbero bene a riflettere su questa
“incredibile”situazione, che viene da lontano
e rischia di perpetuarsi, aggravandosi.