LA PACE SENZA SE E SENZA MA
di Letizia Magnani

 

Questi sono giorni di lutto. Centinaia di bombe vengono lanciate sull’Iraq e c’è da credere che per quanto siano intelligenti non risparmieranno tanti innocenti. La guerra di cui tanto si è parlato e contro la quale tanto si è fatto, alla fine è arrivata. La guerra in realtà era già iniziata da tempo. Si trattava di una guerra fatta con gli strumenti affilati della propaganda e della comunicazione. Non una guerra nuova nei modi e nei mezzi, perché in tutte le guerre moderne la guerra psicologica ha preceduto e accompagnato la guerra delle armi, ma sicuramente una guerra nuova per quanto riguarda il clima che è riuscita a creare. Siamo in uno stato di guerra perenne. Anche se la guerra non viene mai dichiarata veramente, anche se la guerra, quella di cui parlano i manuali, non la vediamo mai, se non nelle immagini patinate dei giornali e in quelle in movimento col commento sonoro della tv e di internet. Ma si tratta sempre di immagini lontane, che non ci riguardano, che quasi non ci toccano, anche se ci sfiorano. Adesso invece la guerra è arrivata davvero. E ci saranno nuovi bombardamenti e nuove vittime innocenti. Proprio come in ogni guerra. Proprio come sempre. E l’angoscia e l’orrore sono sentimenti molto comuni in queste ore. L’angoscia per le persone che non conosciamo e delle quali non vedremo mai i volti, l’orrore per i bambini innocenti, prime vittime di questo nuovo conflitto, come di tutti i conflitti degli ultimi anni. L’angoscia per un popolo che ha già tanto sofferto e le cui pene non finiranno certo ora. Ma oltre a tutto questo, oltre alla sofferenza per i lutti e per le distruzioni, oltre alla paura per le violenze e per le atrocità, le lacrime scendono oggi anche per un'altra violenza, forse più grande (ma questo è vero solo per noi che dentro la guerra non ci siamo) di quelle che stanno accadendo in questi minuti nel Golfo. Il lutto al braccio lo dovremo portare non solo per le vittime innocenti, ma anche per la democrazia. La prima vittima in tutte le guerre è la verità. In questo caso la prima vera vittima, oltre alle vittime in carne e ossa, oltre alla verità, è la democrazia, assassinata subito dopo le tre del mattino del 20 marzo. In un editoriale apparso su il manifesto Pintor giustamente scriveva “non comincia la guerra contro un paese e la sua popolazione, ma una guerra contro il mondo che non la vuole, contro lo spirito pubblico, contro la ragione, contro la comunità e la convivenza internazionali”. Questa guerra nessuno la vuole. Può la minoranza del mondo decidere le sorti dell’intero pianeta? Evidentemente sì è la risposta che si può dare a questa domanda. E non stupiranno più di tanto queste parole. Allora la democrazia è morta. Eravamo in tanti nelle piazze contro la guerra, contro questa  guerra. Nelle piazze di tutto il mondo. Sono tante le bandiere della pace appese nel paese. Per la prima volta il fronte contro la guerra è veramente traversale e internazionale. Eppure la guerra si fa lo stesso. L’hanno deciso in pochi. E l’hanno deciso per tutti noi, anche se noi non siamo d’accordo. “Ma se il vostro paese è per la guerra allora, perché ovunque ci sono le bandiere della pace?” mi chiede un’amica francese commentando il fenomeno solo italiano della pace da tutti i balconi. Inutile tentare di spiegarle che il paese non vuole la guerra, ma che il governo forse sì. Inutile continuare a ripetere che i governi non sono le nazioni, che i  governi non sono i popoli. Ma se fossimo ancora in democrazia questa sfasatura non dovrebbe esserci. Le nostre democrazie sono rappresentative. Eppure questi governi non ci rappresentano. Credo sia giunto il momento di licenziare questi governi e di riprendere in mano la gestione della politica. A meno che non accettiamo, come invece sta avvenendo, che poche persone che non ci rappresentano decidano per tutti. Con questo non intendo dire che le manifestazioni e le parole spese in questi giorni e in quelli che verranno non siano servite o non servono. Credo che prendere posizione ed essere partigiani in questo momento sia fondamentale. Credo che rimarcare in ogni istante da che parto stiamo e perché sia utile per non arrenderci. Occorre resistere. Ma occorre anche che l’indignazione di questo momento diventi anche azioni pratiche contro questi governi autoritari. Se no possiamo dire addio alla legalità, alla libertà e alla democrazia. Anzi penso proprio che le possiamo già salutare perché la decisione di fare questa guerra è la decisione di poche persone. E questa non é democrazia. Se le parole non avessero il peso che hanno direi che si tratta di una scelta totalitaria. Ma la storia non mi dà ragione. E allora non uso il termine totalitario. Ma se non si tratta di regimi totalitari, comunque si tratta di regimi non democratici. L’imperatore e la sua ristretta corte prendono le decisioni. A noi, sudditi e vassalli, resta solo la possibilità di divertirci e di non pensare acquistando beni e guardando le partite di calcio. Il che non è poi molto dissimile dalla politica imperiale di Roma del “panem et circenses”. Ho creduto fino al primo attacco che nessuno potesse essere così spregiudicato da fregarsene completamente del volere del mondo. E ora mi sento sdegnata e avvilita. Abbiamo perso. E a nulla, se non a sentirci vivi e umani, serviranno le molteplici iniziative di queste ore. O meglio serviranno. Ma serviranno a noi. Per ricordarci quello che pensiamo e quello che siamo. Per ricordarci i valori in cui crediamo, primo fra tutti quello della pace.  Ma non serviranno a governare. Perché questa funzione è stata rapita. Non dobbiamo fermarci solo a manifestare. Dobbiamo però continuare a farlo. No, non dobbiamo solo manifestare, dobbiamo anche riprendere il controllo del governo della politica.  La nostra Costituzione parla chiaro. La politica è una cosa di tutti. E tutti hanno il diritto e il dovere di parteciparvi attivamente e passivamente. Tutti, senza distinzione alcuna, possono manifestare, e tutti devono avere l’onere di decidere le sorti del proprio paese e del mondo. La nostra Costituzione parla chiaro: “l’Italia ripudia la guerra” (Art. 11). Le parole hanno un peso, hanno un significato, hanno un ruolo preciso. E le parole della Costituzione italiana, tutte, non fanno differenza. Ognuna delle singole parole che compongono la Carta fondamentale del paese hanno un preciso ed inequivocabile significato. La nostra Costituzione è compromissoria, certo, ma è anche molto precisa e molto lungimirante. Ha queste caratteristiche perché è nata dalla volontà di mettere al bando la barbarie, le violenze, le dittature. Ha queste caratteristiche perché nasce dal dialogo fra diversi. Si parla di democrazia e di libertà. Si parla di diritti personali, sociali e comunitari. Si parla di “principi fondamentali”, di diritti originali. Le parole hanno un significato e un peso. Le parole hanno una storia e un contenuto. E così la parola pace e la parola guerra hanno storie e contenuti diversi. La parola tolleranza e la parola odio hanno un segno diverso. L’Italia che scriveva quel “ripudia” era un paese distrutto, senza più strade, né case, era un paese che contava molti più morti fra i civili che non fra i militari, era un paese ferito a povero. Occorre ricreare uno scenario del genere per poter assaporare di nuovo quella parola “ripudia”? Servono nuovi morti? Nuove atrocità? Non ci sono bastate quelle già viste? Oppure le abbiamo dimenticate? La primavera, simbolo di rinascita, arriva quest’anno portando con sé molte vittime. Quelle innocenti che moriranno sotto i bombardamenti americani. La democrazia, uccisa. Le istituzioni sovranazionali, prima fra tutte l’Europa e poi anche l’Onu. Non lasciamo che l’indignazione di queste ore si spenga. Dobbiamo continuare ora più di prima a marciare e a lottare. In gioco c’è molto di più di quello che pensiamo. In gioco c’è la differenza fra essere uomini e donne o essere solo oggetti parlanti. Non siamo schiavi e non vogliamo diventarlo. Per questo occorre riscoprire la differenza fra la legalità e l’illegalità e occorre rimarcare in ogni momento il nostro desiderio di libertà e di democrazia.