GUERRA IN IRAQ: 
STATO DI NATURA, SOCIETA’ CIVILE
di Tiziano Tussi

Diversi filosofi hanno indicato nel passaggio di paura dallo stato di natura alla società civile un momento importante per l’uomo. Hobbes, inglese del 1600, afferma che la paura di venire ucciso, nello stato di natura, ucciso dal più forte, ha fatto sì che gli umani abbiano firmato un contratto di assicurazione per la propria vita, inventandosi uno stato, una società civile. Meno potere ma più sicurezza, nei patti. Anche Locke, altro inglese, attivo nel periodo della seconda rivoluzione inglese del 1600, alla fine degli anni ’80, indica nella voglia dell’uomo di fondare una società coordinata l’uscita dallo stato di natura, che per Locke era in ogni caso già un momento positivo.  Le differenze tra i due, visione negativa per il primo - homo homini lupus, bellum omnium contra omnes - positiva per il secondo - gli uomini già si aiutano anche nello stato di natura -, richiedono in ogni modo il loro superamento. Tra gli uomini “selvaggi” chi vince è solo il più forte. In assoluto. Questi però non sa mai se in giro non ci possa essere un altro più forte di lui. La violenza brutale ha la meglio, sempre. Chi è più forte ha la meglio. Questa società è da superare se si vuole rimanere in vita, se si vuole vivere per “fare”. Solo nella società civile si può parlare di diritti innati. Solo in essa è possibile pensare al diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà privata - proprio da Locke individuata come diritto innato, al pari degli altri - ed alla felicità: presente nella dichiarazione di indipendenza delle colonie americane di contro le continue pretese colonialiste inglesi. E’ soltanto nella certezza della sicurezza della propria vita e dei suoi contorni che si può pensare al futuro, al domani. Bush sta riportando il mondo verso lo stato di natura hobbesiano. Lui è il più forte; il suo esercito non ha rivali e perciò fa quello che vuole. Nessuno può opporsi. Al mondo nessun’altra potenza riesce a porsi in modo antitetico al presidente yankee, eletto di una parte minoritaria degli elettori degli Stati Unti d’America, una parte minoritaria ma bastante in termine di forza. La potenza USA si esprime spessissimo attraverso la forza, la violenza. Qui si capisce che la lezione di Machiavelli sullo stato come stato-persona, sullo stato come espressione del potere del “principe” è sempre alla base della conduzione del potere, quello crudo, quello crudele, quello che decide. Si vede anche che la presenza mondiale di organizzazioni che si basano da troppo tempo sulla mediazione, l’ONU in pratica, non ha nessuna probabilità di portare a termine un’azione diplomatica, militare o di controllo politico in grande stile. Se l’ONU non ha forza figurarsi le nostre manifestazioni, le bandierine colorate, le petizioni, le raccolta di firme, le veglie, i digiuni. Certo tutto altamente morale, ma che rischia di essere inutile. Certo noi facciamo queste ed altre cose ma dobbiamo anche sapere che non bastano. Servono alle nostre coscienze, ma sono  per più di un aspetto ininfluenti per la questione in atto, per la guerra che vogliamo fermare, con le catene umane, con le preghiere, con il richiamo ai sani principi, all’articolo 11 della nostra Costituzione, alla carta ONU. Infatti occorrerebbero contrapposizioni a livello di forza. Dopo la distruzione del campo comunista, che faceva perno sull’URSS, possiamo già inanellare alcune guerre e ricorrenti: Golfo, inizio degli anni ’90, Somalia, Kosovo, Afghanistan, ora ritorno in Iraq. Immaginiamo che con la presenza mondiale di una dialettica di forza, quale quella che fu USA-URSS, le guerre degli USA sarebbero (state) molto più limitate ed attente agli equilibri mondiali. La forza si delimita con la forza. La dialettica della potenza produce equilibri meno malati di quello attuale che si sta rivelando come un tentativo al limite della riuscita perfetta, da parte di una sola superpotenza. La volontà del più forte sul più debole, deciso per l’occasione, riporta a situazioni che si vorrebbero superate. La storia travolge chi si vuole lasciare trasportare solo dal sentimento. Da Machiavelli in poi, la divisione tra etica personale e quella dello stato, che deve esistere in primis, su ogni altra considerazione, necessita, quando occorre, di un alto livello di forza. Perché lasciare l’esclusiva al solo presidente degli Stati Uniti d’America? perché non cercare di analizzare le situazioni secondo ottiche di reale rapporti tra stati (di forza)? cercando di chiarire quali siano le ragioni per noi migliori, come Stato? L’uomo ha sempre diritto al bene, alla bontà ed alla felicità. Lo Stato è un’altra cosa. Quanto detto senza avere preso in considerazione una lettura marxista dei rapporti storici tra Stati. Ma già così sarebbe un bel passo in avanti, dalla “pappa del cuore” di hegeliana memoria. Il movimento contro la guerra è  (stato) molto bello, intenso ma non bisogna renderlo inutile inutile, al fine. Ci vuole altro. E lo si sta vedendo proprio in queste settimane.