UN
PROGETTO EVERSIVO DEL CAPITALE
di Massimo Ugolini
La
sussidiarietà come concetto giuridico nasce nell'800 e viene esplicitata da un
lato negli scritti di Proudhon ("la capacità politica della classe
operaia") e dall'altro nella dottrina sociale della Chiesa, al cui interno
riceve una sua sistemazione teorica divenendo uno degli assi portanti
dall'azione sociale della chiesa cattolica tesa a valorizzare il ruolo delle
società intermedie quali la famiglia e le confessioni religiose rispetto allo
stato, liberale e laico. Tale principio oggi, è divenuto di estrema attualità,
poiché il prevalere del mercato globale nell'economia mondiale ha imposto un
ridimensionamento dei poteri degli Stati nazionali e ha stimolato la crescita a
livello istituzionale del ruolo e delle funzioni di quelle entità
politiche-territoriali minori, quali gli Enti Locali., che, per i loro ambiti
d'azione, la loro competenza, il radicamento nel territorio, presentano per il
capitale finanziario il vantaggio di offrire minore resistenza alle leggi di
mercato e di fronte all'immaginario collettivo appaiono più adatti ad
assicurare la tutela degli interessi dei cittadini ed una più efficace ed
efficiente gestione delle risorse. Al tempo stesso l'incapacità delle forze
politiche a livello nazionale di contrastare i processi di mondializzazione ha
fatto crescere il ruolo delle formazioni sociali intermedie per cui all'interno
di queste aree agiscono formazioni politiche, sociali, religiose, gruppi di
interesse che tendono ad assumere una funzione egemone all'interno dell'area
istituzionalmente definita (regione, macroregione, stato all'interno di un più
ampio stato federale, provincia autonoma, territorio a statuto speciale)
LA
SUSSIDIARIETA' A LIVELLO ISTITUZIONALE
Il
principio di sussidiarietà può promanare dal basso verso l'alto e consiste nel
fare svolgere all'ente gerarchicamente inferiore tutte le funzioni e i compiti
di cui esso è capace, lasciando all'ente sovraordinato la possibilità di
intervenire per surrogarne l'attività, laddove le risorse e le capacità
dell'ente sottordinato non consentano di raggiungere pienamente e con efficacia
ed efficienza la soddisfazione di un interesse o l'effettuazione di un servizio.
E' questo il caso del rapporto che può intercorrere tra comuni, province,
regioni e Stato nazionale ad esempio in un ordinamento federale ed è il tipo di
sussidiarietà che caratterizza la legge Bassanini e quella che riforma gli
ordinamenti locali. Ma il principio di sussidiarietà viene applicato anche
quando si verifica la supplenza dello Stato sovranazionale, (esempio Unione
Europea) ovvero l'intervento di un organismo più importante che agisce in caso
di carenza di quello a più diretto contatto con la comunità quale lo Stato
nazionale o le regioni, per supplire alla sua debolezza di quello inferiore. Lo
stesso rapporto si crea ovviamente tra Stato e regioni o tra stato nazionale e
stati di uno stato federale. In questo caso si parlerà di sussidiarietà
istituzionale di tipo verticale che promana dall'alto verso il basso.
In questo caso le competenze sono attribuite alle entità politiche più
grandi nella misura in cui, sia per dimensione di azione che per mezzi
disponibili, queste potranno meglio soddisfare gli interessi dei consociati.
Alle entità politiche e istituzionali più piccole rimarranno competenze e
materie che esse possono svolgere efficacemente in rapporto alle loro
dimensioni, al radicamento sul territorio, ai mezzi posseduti. La sussidiarietà
che caratterizza l'ordinamento della comunità europea è di questo secondo
tipo. Infatti la comunità agisce nei limiti delle funzioni conferite e dei fini
assegnati dall'art. 3 B del Trattato di Maastricht e nelle materie in cui non ha
la competenza esclusiva interviene, conformemente al principio di sussidiarietà,
soltanto se e nella misura in cui le finalità dell'azione prevista non possono
essere realizzate sufficientemente dagli Stati membri, ma possono essere meglio
realizzate a livello comunitario a causa delle dimensioni dell'organismo che
agisce e dei mezzi di cui esso dispone. Come si vede è richiesta una duplice
condizione per l'esercizio dell'azione comunitaria: occorre dimostrare non solo
che l'intervento comunitario realizza meglio le finalità perseguite, ma anche
che gli Stati membri non sono in grado di operare al loro livello. Il caso
tipico è costituito dalla legislazione e dalle competenze in materia di tutela
dell'ambiente. Se correttamente intesa la sussidiarietà opera come criterio di
distribuzione dell'esercizio di determinate competenze tra i vari livelli
istituzionali in relazione alle esigenze concrete che si pongono con riferimento
alla specifica azione o al singolo aspetto da disciplinare: non trasferisce alla
Comunità europea la titolarità formale della competenza nella materia
interessata, ma legittima i suoi specifici interventi, nell'ambito della materia
ove ricorrano precisi presupposti. Come abbiamo detto la sussidiarietà
verticale che caratterizza l'ordinamento comunitario promana dall'alto verso il
basso con il rischio di lasciare alla competenza dell'organo inferiore le
attività residuali. Tuttavia il permanere delle competenze statali e gli ambiti
di intervento dello Stato frenano questo processo. Succede così che lo Stato e
il suo apparato amministrativo agiscono rispetto agli organismi comunitari come
strumento di una più complessa organizzazione amministrativa. Pertanto si può
affermare che l'attività amministrativa statale svolge nell'ambito
dell'organizzazione amministrativa una attività sussidiaria rispetto a quella
comunitaria . L’ordinamento dell'Unione europea europeo ha in genere
competenze esclusive e concorrenti. Le prime si dividono in assolute (come la
politica monetaria) e in competenze che richiedono gli interventi correttivi
degli Stati. Le competenze concorrenti sono quelle che si esercitano in materia
di politica sociale, cultura, protezione dei consumatori, ricerca e sviluppo,
cooperazione allo sviluppo. Il principio di sussidiarietà come strumento
legislativo pone un limite alla legislazione dei singoli Stati e, al tempo
stesso, agisce a livello giudiziario perché consente alla Corte di giustizia di
intervenire in sede interpretativa e giurisdizionale. Il principio di
sussidiarietà è applicabile solo per le competenze concorrenti, tra comunità
e Stati, e solo nei casi in cui i due livelli di governo hanno eguali possibilità
di intervento, poiché il presupposto che consente al principio di sussidiarietà
di entrare in gioco è che i poteri siano competenti in misura eguale. Bisogna
distinguere la sussidiarietà dal decentramento e tenere conto che essa si
colloca invece nell’ambito del potenziamento dell’autonomia dei diversi
soggetti istituzionali. In questo senso essa supera la distinzione di interessi
fra locali e nazionali, ricomprendendoli all’interno di esigenze unitarie,
prova ne sia che la Corte Costituzionale ha individuato tali esigenze come
quelle insuscettibili di frazionamento.
Nella Costituzione italiana il
solo riferimento esplicito al principio di sussidiarietà è contenuto
nell’art. 8, laddove si stabiliscono i rapporti tra formazioni sociali
naturali (le confessioni religiose) e i poteri pubblici. Il
principio di sussidiarietà non è esplicitamente menzionato nella nostra
Costituzione ma, come si è detto, penetra nel nostro ordinamento attraverso il
Diritto Comunitario. Bisogna ricordare, anzi, che tale applicazione va
attentamente ponderata, poiché tra le materie non suscettibili di revisione
costituzionale, in quanto principi Supremi dell'ordinamento, vi sono l’unità
e l’indivisibilità della Repubblica, l’assetto repubblicano dello Stato,
che si concretizza tra l'altro nella distribuzione delle competenze fra comuni e
province per come delineati dalla Costituzione. Possiamo dire che l’art. 5
Costituzione contiene in embrione il principio di sussidiarietà; certo è che
la Costituzione vigente fa riferimento ad un decentramento funzionale dei
compiti dello Stato e dell’attribuzione di questi a comuni, province, regioni.
SUSSIDIARIETA'
E DECENTRAMENTO
La sussidiarietà non è da
confondersi col decentramento, poiché la prima opera all’interno del secondo.
L’ordinamento italiano si basa su criteri diversi di riparto delle competenze,
distinguendo fra separazione, ripartizione e concorso delle competenze. Nel
primo caso si tratta di una ipotesi che ritroviamo utilizzata nel caso delle
particolari competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale. La
ripartizione di competenze è, invece, la caratteristica dell’attuale assetto
costituzionale in quanto l’art. 117 enumera appunto quelle materie di
esclusiva competenza regionale lasciando tuttavia allo Stato un potere di
coordinamento e di indirizzo. L'art. 118 della Costituzione consente da una
parte alle regioni di attribuire con leggi regionali alle Province e ai Comuni o
ad altri enti locali le funzioni amministrative nelle materie esclusivamente
locali (I° comma), dall'altro allo Stato di delegare alla regione l'esercizio
di "altre funzioni amministrative". Le funzioni amministrative delle
Regioni sono di norma delegate agli enti sottordinati.
Abbiamo poi dei casi in cui viene stabilito un
concorso di competenze. In questo caso le leggi regionali devono rispettare i
principi fondamentali poste da quelle statali, ma non hanno un contenuto di tipo
sostanzialmente regolamentare. Ha invece natura regolamentare la legislazione
regionale a carattere attuativo-integrativo quando viene emanata relativamente a
materie delegate dallo Stato alle Regioni ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione. Questo quadro istituzionale
apparentemente chiaro è oggi sconvolto dalla scelta politica di realizzare una
riforma istituzionale a Costituzione invariata.
La scelta sembrerebbe di per sè assurda e
impraticabile ma in realtà viene praticata attraverso una strategia articolata
di disarticolazione della Costituzione. Si da una interpretazione nuova delle
norme di fatto eversiva che viene supportata da due tipi di intervento:
*
la forza della legislazione emanata dall'Unione Europea e l'adeguamento
dell'ordinamento italiano ad essa, anche stravolgendo le norme costituzionali;
*
la tecnica della legislazione a cascata: gli stessi principi vengono
ripetutamente sanciti da norme diverse in modo da sfuggire a qualsiasi censura
costituzionale e allo stesso potere di controllo parlamentare;
*
l'accrescimento dei poteri degli organi esecutivi rispetto a quelli
assembleari e l'introduzione di personale politico non elettivo negli esecutivi;
*
la scomparsa dei controlli amministrativi sugli atti dell'esecutivo.
LA
SUSSIDIARIETA' ORIZZONTALE
Un ulteriore strumento
eversivo dell'attuale ordinamento è costituito dalla sussidiarietà orizzontale
che si ha quando attività proprie dei pubblici poteri vengono svolte da
soggetti privati o comunque esterni all'organizzazione della P.A. su suo
mandato. Si
stipula spesso in questo caso, un rapporto di tipo convenzionale che regola le
relazioni tra il soggetto privato che eroga il servizio o l’attività, e la
P.A.. Il caso tipico di questa accezione di sussidiarietà è costituito
dall'affidamento a privati di attività nel campo dell'assistenza sanitaria o
dell'istruzione. Di recente anche questo
aspetto del principio di sussidiarietà è stato assunto tra i criteri
ispiratori della L. 59/97 e del successivo D. Lgs. 112/98 che ha attuato un
amplissimo riordino del sistema amministrativo, dismettendo ciò che può essere
assicurato dal privato, delegificando le fonti normative, semplificando le
procedure, trasferendo al sistema regionale tutto ciò che in una visione
federalista dello Stato e nel progetto di realizzare forti ordinamenti
territoriali non necessita di gestione centrale. Si è così realizzato un
sistema amministrativo fortemente decentrato operando di fatto una riforma
istituzionale a Costituzione invariata. Un ulteriore passo in questa direzione
è costituito dalla L. 265/99 che amplia enormemente la possibilità di far
svolgere compiti e funzioni pubbliche a soggetti privati in regime di appalto o
convenzione.
Con le leggi citate si è dunque provveduto
all'eliminazione e soppressione delle funzioni e dei compiti ritenuti superflui
o trasferibili all'autonomia privata, adottando un modello di sussidiarietà
orizzontale nella gestione di tali servizi. Dal punto di vista della
sussidiarietà verticale il trasferimento di funzione e competenze in modo
uniforme a comuni e province appare in contraddizione con il rispetto di tale
principio in quanto l'applicazione della sussidiarietà a livello verticale
porta con sè la differenziazione dei poteri in relazione all'ampiezza del
territorio, alle necessità dell'ente, alle esigenze della popolazione, ma di
tale contraddizione poco ci si è preoccupati.