CENNI DI BIOLOGIA
DELLA STORIA

di
Carmelo R. Viola

1 - PREMESSA - Una delle gioie più grandi della mia lontana non felice gioventù era la lettura. Leggendo il pensiero altrui ho imparato a scoprire il mio ma anche il libro dei libri, che non è la Bibbia ma la Natura. Così ho costruito, durante decenni di elaborazione empirico-intuitiva, la mia chiave di lettura del mondo reale, a cui ho dato la denominazione di biologia (del) sociale. Se è vero che non esistono verità assolute – meno questa appena formulata – ciò vuol dire che ogni valutazione, per essere per lo meno attendibile, deve avere dei punti di riferimento certi. L’oggetto della mia giovanile “fame di sapere” si formulava – e si formula – in domande come queste: che cos’è l’uomo? perché si comporta in un modo o in un altro? perché fa la guerra? cos’è la storia? Ma anche: da che viene questa fame di sapere? E così via.

La necessità di contenere questo intervento m’induce ad essere sintetico, il che può sembrare”lacunoso”. Perciò, dico senz’altro che i miei punti di riferimento sono le pulsioni che costituiscono la vita stessa come bisogno spontaneo di essere al mondo, di compiersi e di non morire. Non vorrei sembrare anche oscuro: essere al mondo significa “esistere”, cioè – secondo l’etimologia latina – emergere in modo organico dal magma della vita potenziale e inorganica che certamente  è immanente a quanto ci circonda, altrimenti non potremmo emergere dal nulla. Questo bisogno spontaneo (che Bergson, con locuzione felice, definì slancio vitale) è certamente unico ma io lo distinguo (per comodità di comprensione e di studio) in alcune pulsioni complementari che sono certamente costanti e universali, ovvero nel bisogno, strumentale, di mangiare, espresso dal sintomo fame, nel bisogno di rassicuranza affettiva, nel bisogno di autoproiettarsi (in valori e nel futuro), nel bisogno di autoidentificarsi trasversalmente con il proprio corpo, con gli affetti e con i valori (che sono anche la memoria e nella memoria). Una pulsione, non costante e alquanto variegata, è la sessualità che esprime, nella sua centralità fisiologica, la “fame della specie” ed ha il potere di stravolgere l’esistenza in termini di poesia e di misticismo ma anche di depressione e di crimini per la imperiosità dell’istinto, la con-fusione affettiva e il richiamo potenziale della morte e dell’eterno. Il bisogno di rassicuranza affettiva, molto evidente in qualunque bambino, che si nutre anche dell’affetto materno, è quello stesso che fonda la religiosità primitiva, che si tradurrà in amicizia e si fonderà con la sessualità e culminerà nel senso morale, nella sintesi bioaffettiva, cioè nel sentire gli altri come parte di noi stessi e l’universo vivente come rassicurante perché amato: una grande madre da amare. Si noti, non a caso, che materia significa madre!

Così, l’esistente (alias emergente) o soggetto vivente “si compie” come uomo propriamente detto. Le pulsioni costanti compaiono via-via lungo l’iter bioevoluzionale, che va dal microrganismo elementare, già dotato di bisogno trofico o fagico (detto altrimenti fame), passa attraverso il mondo vegetale e animale fino a toccare il tetto dell’umano (quasi il fondo del cielo).

            La risposta ai bisogni, “esperita” ai vari livelli esistenziali, lascia traccia nel DNA, che si combinano con altre al momento del concepimento, forse si modificano durante la gestazione, si configurano in ogni nuovo nato come “attitudini innate”. Al livello post-animale l’influenza esterna (poi educazione volontaria) sulla cosiddetta età evolutiva può esercitare un’azione selettiva, rimozionale ed esaltativa. La sintesi della dinamica comportamentale viene completata dall’azione dell’ambiente inteso nella sua globalità ovvero dalla vita vissuta attraverso cui il soggetto esperisce varie modalità di risposta alle pulsioni costanti “mediate” anche dall’esperienza attuale. Ogni modalità di risposta fa parte di una gamma indefinibile di possibili “varianti” che spiegano l’infinita diversità dei comportamenti e la mutabilità della storia.

Da ciò si deduce che l’esistenza è uno scorrere e rimescolarsi di modalità varianti di risposta alle pulsioni costanti, che l’uomo-individuo reale è ciò che diventa e che la storia è il regno della possibilità in senso positivo e/o negativo.

 

2 - NASCITA DELL’UOMO – Se l’uomo-individuo è ciò che diventa, non diciamo nulla di originale se aggiungiamo che come specie nasce animale. L’originale sta forse nel raccomandare che tale origine non vada mai dimenticata assieme, ovviamente, alle costanti che sono, come si dice in medicina, i principi attivi e, caso per caso, agli eccipienti che, sempre con termine farmacologico, ne costituiscono le modalità di manifestazione e di soddisfazione. Infatti, da ciò si possono dedurre altre manifestazioni-verità:

1 - che l’uomo primitivo risponde alla fame alla stessa maniera animale cioè ancora attraverso la predazione (di soggetti viventi) e la rapina (della natura),

2 - che tali modalità perdurano ancora in veste antropologica sempre più sofisticata,

3 - che gli individui viventi (non solo umani) non nascono tabula rasa ma diversi – al livello antropologico si direbbe unici – nella loro globalità attitudinale;

4 - che l’animalità nell’uomo (antropomorfa) – come  modalità animale di risposta al bisogno della fame – dura un tempo indeterminato;

5 - che l’uomo, come specie propriamente detta, non nasce compiuto come le singole specie animali ma è un prodotto della storia.

 

3 - L’ETÀ ANTROPOZOICA – L’uomo è stato definito “animale ragionevole”. Questa definizione esprime, paradossalmente, la parte negativa dell’uomo inteso come “animale che ragiona” e non come uomo nella sua compiutezza. E’ quindi riferibile all’uomo-specie primitivo, il quale più che ragionevole è un animale con un’intelligenza certamente superiore rispetto al livello medio delle specie animali superiori. L’intelligenza è il “rapporto mentale” (quindi percettivo-estetico-conoscitivo) che il soggetto esperisce con l’ambiente circostante. Quella umana è la sola suscettibile di diventare anche razionale (la ragione è il filo conduttore dell’intelligenza), donde la suddetta definizione per diventare via via alfine se possibile anche etica cioè capace di “sintonia bioaffettiva” (alias morale).

Il periodo indefinibile, che scorre dalla nascita (intelligenza para-animale) fino alla maturità dell’intelligenza bioaffettiva, è l’infanzia-adolescenza della specie che possiamo chiamare “età antropozoica” in cui il soggetto non è più animale senza essere ancora umano: è appunto un antropozoo (un uomo-animale o animale antropomorfo).

Naturalmente, noi parliamo di specie – ovvero del soggetto medio rappresentativo: va tenuto presente che, per il gioco (non molto dissimile dalle combinazioni delle formule numeriche vincenti) attitudini-ambiente, ogni soggetto ha un proprio tempo di crescita specifico e quindi la possibilità “statistica” di “svettare” come dimostra tutta la storia in cui individui eccezionalmente evoluti (precoci) si trovano come stranieri in patria, come “alieni” tali da far dire a qualche “Cristo” di non essere di questo mondo!

Durante l’adolescenza antropozoica – vero medioevo della specie – il soggetto, che possiamo chiamare uomo solo per comodità semantica, ma che è in realtà ancora solo un antropozoo, grazie al crescere dell’intelligenza e della ragione, arricchisce illimitatamente (oggi con ritmi esponenziali), come è ovvio, la propria dinamica di predazione-rapina (che è, come abbiamo visto, la risposta primordiale alla fame) di scienza, soprattutto di quella applicata alla detta tecnologia e quindi, quanto più resta lontano dalla possibile meta dell’intelligenza etica, tanto più è pericoloso al suo simile, alla collettività e alla stessa natura come “antropozoo potente e amorale”. A lungo andare, in assenza, appunto, di un’autodeterminazione etica (l’unico attributo-prodotto dell’esperienza bioesistenziale che fa uomo l’antropozoo), la scienza-tecnologia della predazione-rapina si può risolvere in un suicidio collettivo.

Queste annotazioni frettolose sono “confortate” (se così si può dire con termine oggi perfino ironico) dalla storia della specie dai primordi fino ai nostri giorni. Ecco altre deduzioni-verità tratte dal confronto con il regno animale:

1 - ogni specie animale nasce compiuta nella sua “imperfezione” (rispetto all’ideale punto di arrivo dell’uomo compiuto come soggetto consapevole, morale e quindi responsabile anche del bene altrui);

2 - la specie-uomo, considerata nel suo possibile apice, è il prodotto di un “processo di gestazione storica”,

3 - come tutte le gestazioni, anche quella storica della specie umana, può risolversi in un aborto ovvero, come già detto, in un suicidio collettivo per salutazione di interdistruzione in assenza dell’intelligenza etica;

4 - nel regno animale vige il darwinismo, il che significa che la lotta per l’esistenza porta al sacrificio dei soggetti biogeneticamente meno dotati a favore della specie;

5 - nell’età antropozoica può avvenire un darwinismo alla rovescia nel senso che la specie può essere sacrificata all’azione prevaricatrice di individui anche biogeneticamente tarati (pensate ad un antropozoo “psicoleso” che può ordinare e provocare la morte di numerosi soggetti biologicamente sani!);

6 - solo in un contesto umano propriamente inteso ogni soggetto è ritenuto un valore unico da curare e conservare il più possibile nel rispetto della collettività e della specie;

7 - mentre nel regno animale – come bene sanno gli etologi – vige un istinto di autocontenimento che impedisce che un conflitto intraspecifico (diverso da quello predatorio, interspecifico) si risolva con la morte di uno dei contendenti, in quello antropozoico le cose sono ben diverse: la predazione è quasi sempre intraspecifica (uomo contro uomo: dal cannibalismo primitivo all’antropofagia di emergenza fino a quella camuffata, surrettizia e per questo infinitamente distruttiva del capitalismo – vedi più avanti), e il conflitto, anche questo il più spesso intraspecifico, già a rischio di omicidio negli eventi quotidiani, in quello bellico è apertamente finalizzato alla morte degli altri, di propri simili, considerati diversi, quindi incompatibili quindi da distruggere: il nemico è la riduzione dell’altro non ad  “altro sé” ma alla negazione del “sé”. La primitiva spontanea “etero-fobia” si fa  “eteroclastia” scientifica: vero e proprio genocidio, che è poi un autolesionismo della specie. Ne consegue che la distruzione “fagica” (alimentare) del regno animale è “compensata” mentre quella (non solo alimentare) dell’età antropozoica tende – sempre in assenza dell’estremo sentimento nobile della specie -  ad uno scompenso che si risolve in disfacimento della specie.

 

4 - L’ECONOMIA – Vivere significa rispondere alle pulsioni costanti. L’animale risponde alla fame e all’istinto procreativo e, molto rudimentalmente, a quello autoidentificativo: lo fa predando e rapinando, difendendo il proprio habitat e battendosi per il partner procreativo secondo un’autocompulsione istintiva irresistibile. Solo nelle specie superiori si notano cenni di selettività, frutto di una maggiore intelligenza. L’uomo primitivo si confonde con l’animale. Per millenni l’uomo ha elaborato le modalità della predazione-rapina conservandone intatta la quintessenza, anzi vieppiù esaltandola. Infatti, se l’approccio fagico (soddisfazione della fame) dell’animale si esaurisce nell’immediata soddisfazione della fame stessa con eventuali appendici di poco conto (come la conservazione della preda o di parte di essa), nell’uomo si combina in maniera impropria con le altre costanti (come il bisogno di essere rassicurati anche contro la fame futura!) e si trasforma in accumulo illimitato di cibo (ricchezza) come autorassicuranza nel tempo avvenire, come valore-condizione di potenza, come autoproiezione nel futuro e così via.

Il capitalismo, divenuto anche costume, modo di pensare e modo di rapportarsi con gli altri anche nelle relazioni più personali ed intime, è la proiezione-trasposizione antropomorfa della predazione-rapina della giungla praticata dall’uomo primitivo (proto-antropozoo) come unico modo possibile di sopravvivenza. Pare che pochi vogliano accorgersi che ciò che è cambiato, dalla preistoria ad oggi, è solo la modalità non la sostanza della dinamica animale di sopravvivenza, mentre i più identificano in questa “eredità animale” una natura umana predeterminata (non si sa da chi) per giustificare ed eternare lo stesso capitalismo.

La vera scienza sociale comincia nel momento in cui si ha la capacità di distinguere nettamente l’animale giunto fino a noi in sembianze umane da ciò che può e dovrebbe essere il vero soggetto-uomo. L’economia comincia certamente dal rispondere ai bisogni, delegati, come la fame, a rispondere alle costanti, ma non si esaurisce in questo. Infatti, anche gli animali rispondono ai loro bisogni ma non fanno economia. Come scienza l’economia può essere solo umana e, come tale, è risolutiva cioè capace di dare una risposta piena e universale. Se non è risolutiva, non è scienza ma solo teoria. Di teorie economiche ne abbiamo tante. Di scienza economica ce ne può essere solo una.  Dietro ad ogni teoria economica c’è l’iniquità cioè il “richiamo della foresta”.

            L’antropozoismo ha una possibile definizione: è la finzione e l’ingenuità di volere ottenere risultati umani (cioè pieni e universali) rivestendo di modalità antropomorfe l’animalità dell’uomo primitivo. Oggi questo inganno o abbaglio non ha più ragion d’essere disponendo di scienza sufficiente per dare risposte autenticamente scientifiche cioè umane. Sia bene inteso che scientifico non sta per perfetto. L’economia è la gestione del bene comune attraverso la produzione e la distribuzione di beni e di servizi senza sfruttare o escludere nessuno. Se dà a tutti di che vivere in equità è scientifica ma non necessariamente perfetta bensì scientificamente perfettibile.