Quale sinistra
Ho sempre pensato che il male storico dal
quale era afflitta la mia epoca fosse la mancanza di un partito e la
parcellizzazione. In effetti mi rendo conto, ora, che i problemi sono ben
diversi. Questi due temi rimangono come costanti con le quali convivere.
"Siamo soli" canta Vasco Rossi, leader spirituale e mito musicale per
molti giovani, e "si stava meglio quando si stava peggio". Sono queste
le frasi più frequenti che mi sento ripetere da ogni dove. Eppure io non credo
che le cose stiano proprio così. Sì, a volte siamo effettivamente soli, perché
non consideriamo mai la possibilità che altri la possono pensare come noi o, se
non proprio come noi, che altri possano, almeno, avere idee e valori con noi
condivisibili. Unione significa condivisione. Condivisione di idee e valori, in
primis, e poi anche di esperienze, di vita. Condivisione di parole e di sogni,
di mete e di obiettivi. Condivisione della vergogna di una sinistra che non
esiste più e che non riesce ad opporsi ad una destra becera che urla e che
violenta le libertà e i diritti. Libertà e diritti che sono sempre troppo
giovani, pur essendo, alcuni, vecchi come la storia, per non essere deboli. Ma i
valori umani, le libertà umane saranno sempre troppo deboli fino a che non ci
metteremo in testa che anche ciò che ormai viene considerato come ovvio, come
tradizione, in effetti è sempre in pericolo. Una destra che in ambito interno
governo con lo stato di polizia e con la propaganda mediatica, che crea tanti
sudditi eterodiretti e consumatori, e che sul piano esterno appoggia guerre
inutili e sanguinose contro il buon senso e contro i civili, è una destra
contro la quale occorre opporsi con forza. La politica, però, deve essere
qualcosa di attivo e non di passivo, o, almeno, non solo. Occorre votare per
qualcosa e non solo contro qualcosa. Altrimenti si finisce per non votare più,
proprio come succede nella più avanzata democrazia occidentale, in America,
dove i sudditi consumatori hanno smesso di votare, perché tanto non serve più.
Dunque ben venga la resistenza, ben venga l’opposizione, ben venga la
protesta, ben vengano le manifestazioni di piazza, ben vengano le bandiere rosse
che ricominciano a sventolare in simbolo di protesta, ben venga la voglia di
controinformazione, ben venga la rivoluzione, ma alla fine occorre fare politica
per qualcosa. Non necessariamente per il potere. Perché io credo che politica e
potere non siano due concetti correlabili, anche se le testimonianze della
storia dicono il contrario. Il vero problema allora, non è tanto, o, almeno,
non solo la mancanza del mezzo, del partito, bensì la mancanza del fine, il
socialismo, o, meglio, lo stato sociale. Il punto di debolezza dei Social Forum
è la mancanza di un fine univoco attorno al quale riunire tutte le forze, le
idee e i sogni, attorno al quale riunire tutte le persone che puntualmente si
ritrovano con la voglia di dialogare assieme e di costruire, assieme, un mondo
migliore nel quale vivere. Un mondo diverso deve essere possibile. Su questo io
non ho dubbi. Perché non credo che un mondo inquinato e governato dalle destre
sia l’optimo paretiano. Non credo che violenza e imposizioni fisiche e morali
siano il bene nel quale credo con tutta me stessa. Non credo che il dio
consumismo possa avere ancora lunga vita. Credo che esista altro. Il benessere
non è rappresentato solo dai beni materiali. Non solo dal personal computer in
stanza da letto, dalla tv sempre accesa in una qualsiasi stanza della casa, dal
cellulare all’ultima moda , dalla macchina nuova e dalla vacanza di natale
prenotata un anno prima nel villaggio turistico uguale a qualunque altro
villaggio turistico in giro per il mondo. Credo che esista anche la vita, con le
sue sbavature e i suoi nei, con le sue debolezze, le sue perversioni, e le sue
magnifiche e grandiose piccole gioie quotidiane. Vedo che il mondo si sta
risvegliando pian piano. Se ci accorgeremo tutti quanti che esiste la possibilità
di riprendere le redini del gioco e che è possibile fare realmente qualcosa
della propria vita e della vita altrui, allora, forse avremo vinto la partita
con la storia. Diversamente continueremo ad ubbidire e a non capire la
differenza che c’è fra un serial televisivo e un bambino di cinque anni che
salta su una mina antiuomo costruita vicino a casa nostra. Non so quale sinistra
possa uscire dalla situazione magmatica attuale. La ragione è pessimista, ma la
volontà rimane ottimista e tesa verso la socialità e la voglia di costruire
assieme agli altri qualcosa di magnifico e di grandioso. Un luogo dove prevalga
la voglia di essere insieme, e di dialogo, un luogo dove prevalgano le libertà
di ognuno e le condizioni minimali per vivere assieme con coerenza e armonia.
Forse uso parole che risultano stonate, ma è solo perché l'unica parola che
vorrei usare è spesso abusa e, a volte, perfino corrotta. Quale sinistra verrà
fuori dal lavoro materiale e culturale che tutti noi sapremo, ognuno col suo
piccolo apporto, tirare fuori e costruire giorno dopo giorno? Di certo dovrà
essere una sinistra capace di parlare il linguaggio del comunismo senza troppe
mediazioni. Dovrà essere una sinistra radicale, che crede in valori e idee
inalienabili e che non si lasci piegare da un riformismo che ne mina la
fondamenta e i contorni. I temi di cui dibattere non mancano, dalla politica
nazionale al palcoscenico internazionale, dalle nuove tecnologie, ai problemi
ambientali, dalle eterne questioni sociali, alla nascita di un nuovo partito nel
quale possano confluire tutti coloro che credono nel comunismo. Ci sono sempre
due tendenze che si accendono e che ci seducono dall’interno e poi anche
dall’esterno e sono il nichilismo e il dogmatismo. Con ognuna di queste due
tendenze dobbiamo fare quotidianamente i conti, oscillando fra la cieca
convinzione in un dogma o in una religione, cattolica o laica che essa sia, o
nell’altrettanto cieca convinzione che alla fine il nulla seppellirà tutte le
nostre belle parole e tutte le idee. E se nel breve periodo è il pessimo a
prevalere, nel lungo periodo non può che vincere il pensiero positivo. A questo
punto mi piacerebbe poter parlare liberamente di una terza strada, la strada del
socialismo, che è un’opzione possibile e percorribile fra il rischio del
vuoto e il rischio della religione, una strada che va a vantaggio di tutti e che
indica una direzione positiva e di bene comune. Una strada che coincide con la
socialità e la pace, con la democrazia (quella vera) e la libertà. Proverei a
parlare a questo punto del marxismo come di un'ancora di salvezza, se non
proprio come di un fine (ma forse essendo la teoria prassi si tratta in effetti
di un mezzo) e, parafrasando Lukacs, direi che esso non è solo un
"abbellimento", ma anzi è una "ontologia storica", una
nuova etica sociale, una tendenza planetaria, internazionale, umana.