MARXISMO
E BIOLOGIA SOCIALE
di
Carmelo R. Viola
In
tutte le pagine della storia umana troviamo accenti di dolore “politico” (sociopatia!) espressi da individui intellettualmente-eticamente
evoluti davanti alla scena opprimente e deprimente di masse mediocri e inerti
che fanno da supporto passivo (e non solo) ai furbi e ai prepotenti. La
sensazione di estraneità-ostilità deve avere fatto pronunciare a non importa
quale Cristo la “riserva” di non essere di questo mondo. Se la storia
semplicemente si ripetesse (come crede qualcuno), l’umanità sarebbe eterna
per il solo fatto di ripetersi. E invece no. La stessa cambia non solo perché
accumula sempre nuova esperienza ma anche perché si arricchisce di quella
strumentalità, sempre più avanzata, che si chiama tecnologia. La lamentela di
Socrate o di Epicuro non poteva essere la rabbia e lo sconforto di un
intellettuale dei nostri tempi e il giorno del “giudizio
universale” della letteratura biblica non ha certo niente a che vedere con
il ritorno “millenarista” del
cosiddetto Figlio di Dio ma predesigna senz’altro, intuitivamente, la
possibile “resa dei conti” di un impianto antroposociale che, caricandosi di
contraddizioni, non potrà non arrivare a un punto morto in cui, per saturazione
di autolesionismo, sarà costretto o a cambiare rotta o a lasciarsi rovinare su
sé stesso. “E’ in ballo – leggo sul periodico “Sicilia Libertaria” di Ragusa del febbraio 2001 – per
la prima volta nella storia dell’umanità, la sopravvivenza della specie”
a nome del “Coordinamento Azione contro
il crimine globale 2001”. E’ vero, purtroppo,
anche quanto dice la firma.
Il processo di globalizzazione, con la cui retorica padroni e
scagnozzi ci stanno rompendo i timpani, non è niente per sé stesso se non il
naturale fondersi di ingredienti contenuti in un recipiente che li agita. Se
gl’ingredienti sono la fame, l’avidità, il ladrocinio e la prepotenza,
dalla loro fusione vengono fuori il crimine e la reciproca distruzione. E’
questo - e solo questo – il contenuto della globalizzazione neoliberista. Ogni
eventuale beneficio (come quello dell’uso di una moneta comune) è solo un
effetto collaterale involontario. Giocare sulla sinonimia
globalizzazione-universalizzazione è esso stesso un crimine,
mirato a confondere le idee delle masse e a mettere in difficoltà coloro
che tale – e solo tale – globalizzazione intendono disperatamente bloccare
nell’interesse di tutti e della specie – che ci appartiene e a cui
apparteniamo. Ed è come dire per la conservazione della vita che sarebbe – ma
certamente è – il bene supremo comune.
La “questione sociale” esiste da sempre e non solo su come
gestire la convivenza un giorno dopo l’altro ma anche su come conservare la
specie senza il rischio del suicidio collettivo. Mentre ogni altra specie vive
senza preoccupazioni del genere, solo la nostra, biologicamente proiettata (autopredestinata)
alla pienezza della coscienza (ovvero dell’essere al mondo, alias
dell’esistere), corre questo rischio. Questa, infatti, può aggiungere agli
automatismi istintivi degli animali degli interventi mentali che aumentano
indefinitamente la capacità aggressiva, donde la necessità di ulteriori
interventi (di tipo morale ma con un meccanismo non meno biologico) per dirigere
questa capacità (che è poi la potenzialità-strumentalità tecnologica) nel
senso della conquista del benessere di tutti e di ciascuno e quindi della
conservazione della specie. Per di più, mentre nella giungla lo stesso impianto
biologico assegna ad alcune specie il ruolo di predatori e ad altre quello di
prede, in un’umanità primitivo-.adolescenziale (come questa in cui viviamo),
cioè caratterizzata basilarmente dalla “ragione tecnico-predatoria”, ogni
individuo diventa di fatto il predatore (oh come e quanto camuffato!) del suo
simile – che Tommaso Hobbes tradurrà nel famoso aforisma “homo
homini lupus”.
Il marxismo – inteso come filosofia dell’uomo e come prassi
rivoluzionaria (ovvero come umanesimo socio-costruttivo) – è la più
elaborata chiave di lettura della realtà umana ed anche il più grande progetto
(vale insistere su questo punto) di conservazione della specie dei tempi più
recenti. Come tale è attuale più che mai, anzi imperituro. Ma, come ogni
prodotto dell’esperienza (biosociale), non è nato perfetto e imperfettibile.
Sarebbe assurdo il contrario. Tre sono le sue probabili pecche formali originali
: il classismo, la dittatura del proletariato, la futura estinzione dello Stato.
A indicarcele è proprio la lettura biologica della realtà su cui si fonda
appunto la biologia (del) sociale o biosociologia.
1 - Il classimo. Vero
è che tutto procede dialetticamente ma in forza di fattori pertinenti ed
omogenei. Ora, la classe proletaria – in quanto economica - è un insieme di
casi simili non necessariamente autocoscienti e intersolidali. Non è una
categoria biologica (biosociale) e non può fungere (e, come tutti vediamo, non
funge) da antitesi dello status quo (società borghese-padronale). E’ vero che
ogni proletario, in quanto soggetto sfruttato e povero (e comunque svantaggiato
rispetto a chi sta molto meglio) ha interesse (anche se non sempre bisogno) di
migliorare la propria condizione economica ma dall’eventuale solidarietà
epidermica per un tornaconto immediato (vedi rivendicazioni sindacali)
all’impegno rivoluzionario c’è totale soluzione di continuità. L’impegno
rivoluzionario presuppone un livello di maturità- etico-sociale che nella
condizione proletaria può avere solo uno stimolo aggiuntivo occasionale (non
determinante). Il rivoluzionario vero lo è comunque e lo è per sempre. Al di
sotto di tale livello l’individuo è parte di masse inerti. L’intervento di
avanguardie intellettuali come forze catalizzatrici di quelle masse, nella veste
di “funzionari di partito”, prova totalmente quanto appena detto. Infatti,
qualunque massa inerte resta tale finché si muove “per induzione esterna”
anche se in maniera notevole e perfino eroica. Cessa di esserlo l’unità che
se ne distacca come individualità criticamente autonoma. Caduto il mastodontico
impianto URSS, il proletariato, che in teoria ne era l’anima, s’è disciolto
in mille rivoli omologandosi alle masse del mondo occidentale; sciolto il PCI,
il più grande partito comunista d’Europa, i suoi milioni di proletari
“strutturali”, ce li ritroviamo emuli dei padroni (nemici di classe di ieri)
e perfino tra le file della peggiore destra quasi per imitazione ipnotica di
“quadri” che fungevano da “avanguardie” e battistrada della rivoluzione
socialista. Questo triste ma ovvio fenomeno ha la sola spiegazione
psico-biologica e non può essere assunto, nella sua genericità, come corpo di
reato ed atto di accusa di chicchessia, meno che mai come argomento di
confutazione dell’essenza marxiana.
In teoria sono tre le possibili vie di crescita
della società verso il proprio “compimento” come specie cosciente,
responsabile ed “autocreatrice”, cioè capace di determinare e mantenere al
proprio interno una dinamica di reciproca complementarità fisiologica ottimale.
Tale dinamica è il socialismo propriamente detto o, più pienamente, il
comunismo (economia socio-perequativa secondo i diritti naturali). A questo
punto va denunciato il gravissimo dilagante abuso della parola socialismo con
significati, riduttivi o negativi, che nulla hanno a che vedere con quanto
diceva Marx. Per esempio, un Fassino non sa nemmeno cosa voglia dire con tale
termine nel momento in cui si erge (o si abbassa!) a volontario suddito mite e
riverente della superpotenza feudale-predatoria degli USA.
La prima di tali vie è quella della maturità
spontaneo-progressiva. Se la specie umana potesse “compiersi” per inerzia
(come un seme che si trasforma via-via in pianta adulta), basterebbe aspettare.
Invece, non c’è posto per nessun ottimismo fatalistico perché le forze
predatrici dell’umanità preadulta, che si formano sulla falsariga della
giungla e insieme grazie al progresso tecnologico, impediscono quella crescita.
I vari Marx, Engels, Lenin, Gramsci e così via si sono detti, e giustamente,
che occorreva intervenire contro la società esistente con azioni di forza.
2 - La dittatura del
proletariato. E’ la seconda via. E’ il progetto d’intervento di
promozione forzata di crescita della società, anzi il primo progetto della
fattispecie che si è detto “scientifico” perché non più prodotto da un
empirismo più o meno utopistico ma da una cognizione per l’appunto
scientifica (cfr. il materialismo storico e dialettico) della fenomenologia
della storia in genere e della società umana in specie, dovuto alla genialità
dei vari Marx. Ma scientifico – l’abbiamo già detto di fatto – non
significa necessariamente perfetto e imperfettibile. Tanto per cominciare, la
locuzione in causa è già inesatta per sé stessa (una forzatura verbale) perché
il potere viene esercitato solo da un gruppo emergente di “avanguardie”
anche se a nome di tutti i proletari del mondo. Nella realtà si manifestano una
serie di circostanze negative come queste: a) la discordia fra le stesse
avanguardie; b) la resistenza dei costumi dei “socializzandi”
(come è avvenuto soprattutto nella collettivizzazione forzata). La lettura
biosociale ci dice che il comportamento del singolo individuo risulta dalla
sintesi di due ordini di fattori: primo, le attitudini innate varianti
(risposte tendenziali native – alle pulsioni costanti e universali
dell’esistenza – come sedimentazioni ereditarie nel DNA); secondo,
l’influenza formativa (comunque psicodinamica) esercitata dall’immediato
ambiente soprattutto sulla cosiddetta età evolutiva. Senonché intervengono
altre circostanze determinanti (queste in senso negativo) come : c) il rischio
che il detentore di fatto del potere abusi di questo, trasformando la scuola da
educazione alla ragione critica e alla coscienza morale in manipolazione
ideologica (ovvero in catechesi alla stregua di quanto fanno le autorità
religiose) e l’esercizio della giustizia in strumento di punizione e
persecuzione degli avversari o soltanto eterodossi o dissidenti; d) la
resistenza del mondo circostante (la civiltà borghese-capitalista), la quale è
in grado di agire in modi molteplici e dall’esterno e perfino dall’interno
dell’area dell’esperimento socialista, attraverso le più varie forme
d’infiltrazione e di corruzione, quindi con le armi, con la propaganda di
menzogne e con le minacce, riuscendo intanto ad esasperare (quando non a
determinare) gli errori, gli abusi e le contraddizioni dell’esperimento
stesso.
L’esperimento-URSS (cui la storia è tributaria di cose
stupende) è fallito alfine non per inefficienza del socialcomunismo come tale
ma solo per la somma “produttiva” di tutto questo. Sarebbe potuto essere
emendato e reso autosufficiente ed etero-resistente, ma non è stato fatto e
l’esperimento della fattispecie, al punto in cui sono le cose,
resta improponibile.
Ma il nemico (di classe) del socialismo, oltre ad essere
criminofilo e crimogeno in quanto biosocialmente retrogrado (si direbbe in
misura direttamente proporzionale al progresso tecnologico), è anche
profondamente stupido. La sua incommensurabile stupidità si sta dimostrando
anche a) vantandosi di avere “liberato” la civiltà dalla
minaccia del comunismo tacciato di antinaturalezza, b) fingendo di credere di
potere passare alla universalizzazione (globalizzazione) del capitalismo, che
considera l’economia unica secondo natura (animale?!); c) non rendendosi conto
che sta soltanto pianificando il suicidio collettivo. La sua grande furbizia
maligna resta pur sempre un prodotto della sua infinita stupidità: infatti,
egli – il nemico del socialismo – sa di mentire a) quando identifica il
comunismo con gli errori e gli abusi commessi in nome di questo ed anche e
spesso per colpa del capitalismo; b) quando identifica la tecnologia con il
progresso civile (anzi, della specie) confondendo un “attributo strumentale”
con il soggetto-uomo come biologicamente “capitalistico”, rifiutandosi di
pensare (come suggerisce la biologia sociale ma anche la ragione) alla
“plasticità” del divenire biologico, per effetto della quale l’uomo reale
è solo quello che diventa. Un’affermazione diversa significa credere in una
natura predefinita (da chi?) e quindi non fare della scienza ma professare una
religione (per giunta di tipo primitivo).
I sintomi marasmatici
della globalizzazione di un’economia, che riproduce in sembianze antropomorfe
la dinamica animale della predazione, sono allarmanti. Per esempio, la crisi
attuale dell’Argentina è sintomatologia conclamata dell’estensione
planetaria del neoliberismo: si pensi alle sole potenti – e potentissime –
multinazionali, al diabolico Fondo Monetario Internazionale (funzionale al
business dei capitali) e agli investimenti parassitari dei cosiddetti
“risparmiatori” (che tali non sono). In un contesto globalizzato ogni sua
parte gode o soffre del benessere o del malessere del suo insieme secondo una
inflessibile correlazione matematica propria di ogni organismo vivente. Così, il
significato dei fatti dell’11 settembre 2001 è la caduta della possibile
illusione che per la sicurezza e la stabilità di un paese, per quanto grande,
possano bastare la potenza e la prepotenza. L’attuale “caccia ai
terroristi” è una delle più grandi imbecillità della classe dirigente
mondiale dei nostri giorni perché si dà il caso che proprio il terrorismo
(oltre che ignobile arma indotta di vittime e poveri) è anche
sistematica pratica elettiva
dei “cacciatori” in causa in un contesto a dinamica para-animale. Come vi è
un capitalismo paralegale (detto impropriamente “mafia”) così vi è un
militarismo paralegale che si risolve necessariamente in terrorismo, indotto per
l’appunto. Le due cose (anzi quattro) stanno uccidendo la civiltà e la specie
in uno con la comune criminalità economica (per fame o per vizio) e la
devastazione dell’impianto ecologico (v. effetto serra e così via).
Fallite le due possibile vie – della maturità
spontaneo-progressiva e della forzatura rivoluzionaria - resta la terza ed
ultima, la “via estrema della paura del peggio”. C’è da augurarsi che
questa paura sia la più efficace delle possibili (auto) terapie d’urto. Forse
quando criminali ed imbecilli di Stato si renderanno conto che l’unica
prospettiva certa di questo andazzo storico è l’annientamento dell’umanità,
cominceranno a farsi loro stessi promotori della socializzazione
(pianificazione) dell’economia.
Secondo me, il compito di noi comunisti non è quello di far
valere una formula presuntivamente ortodossa più o meno dogmatica in nome di
non si sa quale patristica-scolastica originale,
in forza della quale unirci in un’azione militarmente disciplinata, ma quello
di convergere, ciascuno con la propria esperienza, esistenziale ed
intellettuale, alla realizzazione (se ancora possibile) di
“esperimenti-salvataggio” di un consorzio umano in un contesto che sta
andando “globalmente”-letteralmente in rovina. “Noi
– scriveva Lenin – non guardiamo
affatto alla teoria di Marx come a qualcosa di perfetto e d’intoccabile, al
contrario, siamo sicuri che essa ha posto soltanto le pietre angolari di quella
scienza che i socialisti devono spingere avanti in tutte le direzioni se non
vogliono restare fuori della vita”. E’ quanto riteniamo di avere fatto
anche noi con l’elaborazione della biologia (del) sociale.
3 - L’estinzione dello
Stato. Marx è convissuto con forti movimenti di anarchici (si pensi per
esempio al grande Bakunin), i quali, come lo stesso, identificavano lo Stato con
il potere di parte della borghesia. Si è quindi sentito anarchico anche lui pur
proiettandosi, per ragione di gradualità “storico-dialettica”, a quando,
debellata la borghesia e con essa tutte le classi, non ci sarebbe stato più
bisogno nemmeno di uno Stato “proletario”
“di contrapposizione e transizione”. Ma lo Stato, alias il potere
pubblico, è l’altra faccia della vita (pubblica): esso non può essere
distrutto ma solo trasformato, con l’intervento di altro potere e, se
possibile, socializzato e questo è il comunismo o lo Stato-comunità o lo
“Stato di diritto” propriamente detto o, per chi tenga al fascino della
parola, l’anarchia. Se la società
è – come è - un organismo
vivente sui generis, la “società senza Stato” è un non senso biologico. Ma
se l’anarchismo è – come è sempre stato - anzitutto l’esercizio
individuale e morale dei diritti naturali, nessuno è più anarchico di un
comunista nel momento in cui contesta la globalizzazione della barbarie
neoliberista e si adopera per costruire il vero socialismo. La sola vera
rivoluzione possibile oggi è culturale e nonviolenta, coinvolge tutte le
categorie e permane nel tempo. Quello che possono fare i promotori volontari (le
ex avanguardie marxiste) è mettere i vincitori davanti alla loro stupidità
omi-suicida e i vinti (i proletari) davanti all’incongruenza dell’emulare
modelli umani, che stanno distruggendo il futuro dei loro figli. È possibile
che lo spauracchio della fine del mondo richiami la saggezza della sana ragione.
L’unica alternativa è altra distruzione…