editorial
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QUESTI FOGLI
di Antonio Gramsci

1 maggio 1919 

Questi fogli escono per rispondere a un bisogno profondamente diffuso di una palestra di discussioni, studi e ricerche attorno ai problemi della vita nazionale ed internazionale. Vogliono diventare uno strumento utile e magari indispensabile per tutti coloro che cercano, pur nella lotta senza tregua che loro impone la vita pratica, di raccogliere le forze per organizzare la propria coscienza e comunicare con quelle sempre più numerose coscienze di socialisti che, in ogni parte d’Italia, in ogni nazione del mondo, sentono che sta arrivando l’ora decisiva per la prova della validità della loro ideologia, della attuabilità dei loro programmi, della resistenza delle loro costruzioni. (…) Perché l’azione socialista riprenda, come certo riprenderà, tutta la sua efficacia, bisogna che non sia più lecito ad alcuno, per ignoranza o per speculazione, spezzare l’unità del fine e dei mezzi in cui consiste la vitalità dell’idea. E noi vorremmo, fuori e dentro l’organizzazione, esplicare opera educativa che porti a un controllo continuo dei mezzi di lotta alla ragione dei fini generali che il socialismo si propone. Che ogni mezzo partecipi della natura del fine; ma anche che il fine non sia un’astrazione, una formula vuota, generica, un fantasma; che esso viva di vita spontanea ed immediata nei mezzi. Occorre alla propaganda parolaia, che ripete stancamente, con sfiducia malcelata dalla sonorità e dall’audacia tutta esteriore delle frasi, sostituire la propaganda del programma socialista, di quel complesso cioè di soluzioni ai grandi problemi sociali che solo possono conciliarsi e vivificarsi in un tutto armonico e compatto nell’ideologia socialista. Vogliamo che in tutta la propaganda socialista cioè si faccia seguire sempre la critica alla società capitalistica, del falso ordine borghese coll’ordine nuovo comunistico. La guerra ha generato e genera, coll’enorme distruzione di ricchezze, col crollo degli ideali e degli organismi sociali, un profondo turbamento dal quale è stolto pensare si possa uscire in breve tempo e facilmente… Il male ha intaccato oggi più profondamente di prima la struttura stessa della società, e perciò non può esservi rimedio semplice né improvvisato… Nel presente momento storico più che mai nessuna saggezza diplomatica, nessun tecnicismo di gabinetto, nessuna abilità di legislatore può fare il miracolo di ridare all’umanità quanto ha perduto e quanto di cui ha bisogno per una era nuova. 

La borghesia e con essa l’organismo sociale rassodatosi dopo la rivoluzione francese sono esausti, nell’impossibilità di trovare in sé sia i materiali che le capacità direttive della ricostruzione. La miniera è stata troppo sfruttata e non vale certo più la pena di tentarne le viscere. Occorre lavorare su un terreno nuovo, vergine, i cui germi dell’avvenire trovino l’humus propizio, in cui l’umanità possa rinnovarsi e risorgere… è necessario uno scatenamento di energie morali che torni a potenziare i popoli, a ridare loro il vigore e la giovinezza adeguate all’immane compito. Risuonano nell’animo nostro le parole di un socialista russo condannato a morte nel 1878 “il primo problema da risolvere non è quello di provocare o creare la rivoluzione ma di garantirne il successo”… (…) Gli intimi dissidi e gli insanabili antagonismi, immanenti nella struttura economica della società capitalistica, sono clamorosamente affiorati alla superficie della storia, dopo aver posto in movimento anche gli strati più profondi e bui della massa umana. Si può dire che, in questo periodo della vita del mondo, non esista più alcun individuo che non sia turbato da una preoccupazione politica, che non comprenda e non senta, cioè, come il destino di ogni singolo uomo sia connesso alla forma dello stato nazionale e alla forma dell’equilibrio internazionale in cui gli stati si coordinano e si subordinano. Questo fenomeno è capitale nel processo di sviluppo storico della civiltà; esso segna le colonne di Ercole delle possibilità storiche della classe capitalista che ha esaurito il suo compito e dovrebbe sparire: tutto il bene e tutto il male che essa poteva compiere è stato espresso: la somma dei mali supera smisuratamente, nel periodo attuale, qualsiasi catalogo di beni che lo spirito storico più imparziale possa elencare per un elogio postumo di questa energia sociale, la più dinamica ed efficace che sia mai apparsa attraverso i lenti e scoloriti millenni di storia del genere umano. Il quadro della vita internazionale, quale si è venuta configurando in questi ultimi mesi, da l’impressione di una spaventosa bufera in un paesaggio di rovine. Un mondo è crollato, e la metafora è tanto poco enfatica in quanto il crollo è stato simultaneo in tutto il mondo… Gli stati liberali metropolitani si disfano all’interno, nello stesso tempo in cui il sistema delle colonie e delle sfere di influenza vive un proprio sgretolarsi; questo processo di decomposizione è ritmato da una fulminea rapidità che minaccia la compagine umana nelle sue più profonde radici vitali: la fame e le epidemie hanno esteso un manto sepolcrale sulla stirpe degli uomini. La produzione dei beni materiali è stagnante, lacerata dalle guerre la fitta rete di traffici tra i grandi mercati di produzione e di consumo, è stata spezzata la molla dell’attività industriale ed agricola. I rapporti di produzione, cioè, con tutti i rapporti sociali, di classi, di nazioni, di continenti, che ne conseguono sono radicalmente sconvolti. Se ne è determinato uno scatenamento di forze demoniache incontrollabili da parte delle classi dirigenti… l’indisciplina e il disordine, la barbarie corrodono tutte le istituzioni della società capitalistica, dallo stato alla famiglia, possono essere fermate solo da una nuova classe dirigente… che costruisca un ordine nuovo internazionale che unifichi la coscienza universale del mondo e armonizzi in una fraterna e feconda opera costruttrice ogni aspetto della vita e la stessa produzione dei beni materiali. (…) Registriamo il decomporsi degli stati liberali, che per difendersi, si suicidano rinnegando il principio di libertà da cui erano nati e per il quale si erano sviluppati…

 

SOFFOCATI DALLA RETORICA, 
CERCANDO DI REAGIRE ...ORGANIZZANDOCI
di Tiziano Tussi
 

La retorica è un’arte di vecchia data. La capacità di parlare, senza affondare nel senso delle cose che si dicono, cercando di colpire chi ascolta con la bellezza degli incastri linguistici è una costante di molti momenti storici. Un tormentone che è iniziato almeno dall’anno scorso è quello legato agli slogan che accompagnano il movimento dei no-global. Mi riferisco particolarmente a quello che dice “Un altro mondo è possibile”. Questo retoricissimo slogan si incastra suadente al livello indifferenziato che la retorica necessita. Quando si dice che è possibile un altro mondo che cosa in effetti si dice? In questa dichiarazione non vi è nessuna scoperta, né logica né concettuale. Sempre è possibile un altro mondo, un’altra vita, un altro amore. I problemi insorgono quando si passa alla pratica della costruzione di ciò che si vuole essere altro. Ma su questo terreno il cosiddetto “popolo di Seattle” non ha fatto molti passi in avanti. L’unica proposta che viene continuamente ripetuta è una quasi insignificante tassazione sui movimenti mondiali del capitale di inutile e impossibile applicazione. Altro non viene detto, di significativo. La critica alla globalizzazione capitalistica imperante viene messa di fronte alla globalizzazione delle coscienze, dell’umanità, dei diritti. Ad una realissima situazione di fatto, attuale, si contrappone la “pappa del cuore” delle “anime belle”, dello spirito, che oltre che ad essere lontana da qualsiasi analisi comunista è anche lontana da un seppur modesto livello di sano realismo.

I comunisti possono anche stare nel movimento ma solo per cercare di portare al suo interno un po’ di chiarezza sforzandosi di fare intendere al movimento stesso quello che la storia ha insegnato in situazioni simili. Molte delle sue diverse sfaccettature, quelle religiose ad esempio, non accetteranno mai analisi materialistiche, e questo lo si deve sapere. L’azione che si può intraprendere in questa magmatica, quanto informale corrente sociale, non deve farci confondere. La grande sommatoria di sigle, a centinaia, gruppi informali, intellettuali, è solo una potenzialità per l’azione politica in esso, non già una certezza. Molti compagni si sono ubriacati del numero, della eterogeneità considerando queste condizioni una forza dello stesso movimento. Infatti se tutti accettano questo slogan dell'altro mondo possibile appena si introducono elementi di analisi materialisti, con conseguente proposta di azione politica allo stesso livello, ogni formale unitarietà viene rotta, stravolta per cercare di riportare il movimento stesso al livello ideale che tanto piace a tutti. Ma dobbiamo chiederci: è questa una strada veramente percorribile, se appena si cerca di chiarire ci si divide e si discute profondamente. Una risposta non potrà tardare a venire, a meno di non trasformare l’incontro di Porto Alegre in una specie di Festival annuale di Sanremo, che  notoriamente non riesce neppure a spostare, il più delle volte, nemmeno la classifica dei dischi più venduti in Italia. Ma che a livello di evento mediatico ha sempre il suo fascino, anche se un po’ decadente.