LA GUERRA CIVILE AMERICANA
Intervista a menene
a cura di Ines Venturi

Menene è uno scrittore, un poeta, un artista, un lavoratore quando è possibile, un combattente pratico. Menene è uno dei tanti senza nome e cognome, senza volto… confuso tra il popolo degli uomini e delle donne che hanno scelto di realizzare un sogno di Liberazione al plurale.

  D : Cosa ne pensi di questa guerra “globale e infinita” degli Stati Uniti?

R : Prima di rispondere sul programma degli statunitensi per la  gestione della propria crisi (che poi è in generale la crisi strutturale del sistema capitalistico) attraverso l’economia di guerra e l’imposizione del fondamentalismo di mercato è bene capire la guerra civile in corso negli stessi Stati Uniti.  E’ incredibile, poi, denominare con la parola “infinito” qualsiasi cosa appartenga a questo pianeta essendo lo stesso, come il sole, “finito”: farlo è come autodefinirsi onnipotenti: leggi Dio. Ma andiamo avanti. Il sogno americano non esiste e il popolo americano, come ormai molti altri popoli, vive in un incubo. Gli Stati Uniti (impropriamente chiamati America come a mortificare gli Stati del Sud del grande continente espropriato ai suoi storici abitanti tra uno sterminio e l’altro operato da nazioni civili che per sentirsi tali non hanno lesinato a rendere poveri chi possedeva e possiede non poche ricchezze, risorse e braccia: storia antica e recente) sono un gigante dai piedi d’argilla e il corpo molle. La stessa travolgente espansione tecnologica si è risolta in un boomerang che ha generato storture, nuova disoccupazione ed emarginazione rendendo ancora più drammatici fenomeni già imponenti negli USA come la criminalità organizzata e in genere, lo strapotere di corporazioni e del parassitismo, della finanza e del capitalismo soprattutto illegale collegato al riciclaggio di denaro sporco, narcotraffico, terrorismo internazionale privo di valori ideologici, mercato di armi e manipolazione di ambiente, vite, alimentazione. Le ristrette elites nordamericane hanno mortificato, prima che verso altri continenti, negli stessi USA il ruolo degli Stati imponendo una vera e propria tirannia che in tempi di neoliberismo “mondializzato”  si presenta nelle forme che conosciamo e con l’acutizzarsi di conflitti armati, divario tra popoli, nuova miseria, decomposizione di ogni valore, massacro di diritti e stato sociale e via elencando. Il benessere negli USA, come la salvaguardia della democrazia,  sono un’invenzione per accontentare qualche giullare sparso per il globo o un trasmissione televisiva deviante. Oltre 40 milioni di cittadini statunitensi vivono al di sotto della soglia di povertà e i poverissimi sono non meno di 30 milioni con un incremento annuale da far rabbrividire qualsiasi serio “cronista” del presente. Il lavoratore medio dell’industria americana, in un continente dove la gran parte dei sindacati sono o corrotti o consociativi o puramente corporativi, guadagna poco più della metà di un suo collega tedesco e meno di un italiano lavorando mediamente più ore e con meno diritti e pressato dalla concorrenza spietata del lavoro flessibile, a tempo, sottopagato, part-time.

 

D : Quindi ci stai dicendo che la locomotiva USA è in panne e che forse anche questo è uno dei motivi delle aggressioni imperialistiche degli ultimi anni?

R . Le aggressioni? Gli USA (come altri Imperi) non hanno mai smesso di praticarle: prima al loro interno, poi nel loro cortile di casa e ancora oggi, e ripetutamente, verso altri popoli, con ogni mezzo, e sempre in nome del profitto e degli interessi di elites (Vietnam, Corea, Nicaragua, nascondendosi dietro golpe infami in Cile, Argentina, Brasile e intervenendo ovunque gli interessi di pochi dominanti potessero essere soddisfatti come nei Balcani, in Somalia, in Iraq, nella porta per il passaggio di materie prime che si chiama Afghanistan, in terra curda e a sostegno della Turchia in nome di una presunta civiltà occidentale che non ha senso e che confonde il più perfetto dei mappamondi). E intanto è sempre proseguita una guerra interna che ha avuto bisogno di assassinare ogni opposizione (comunista o degli afro-americani), ogni voce non totalmente manipolabile (da Malcom X a Luther King agli stessi Kennedy), ogni “antagonista” oltre confine e in ogni continente. E, infatti, il reddito pro-capite non vede gli USA al primo posto e la recessione è una realtà non più celabile. Già nel 1981 la Banca Mondiale, che insieme alle strutture di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale ecc., è una sorta di manu militari, come l’informazione in genere, degli USA, documentava che gli Stati Uniti erano al 6° posto dopo Kuwait, Svizzera, Germania Federale, Belgio e Norvegia. La patria del fordismo e del taylorismo diventava vittima (come è tuttora) di un’industria spietata con una struttura gerarchica e cinica incapace, se non tramite la violenza, d’imporre criteri economici post-fordisti evitando traumi difficilmente sanabili dentro le stesse regole del mondo produttivo mentre in altre parti del mondo capitalistico le borghesie si facevano e si fanno mangiare le loro foglie come carciofi o non si sono mai completamente sviluppate o proseguono uno scontro tra industria stazionaria e industria “emergente”, tra grande industria e media e piccola industria, tra poteri (finanza, apparati repressivi, commercio, informazione ecc.). Altrettanto enorme è il debito pubblico che ammonta a centinaia di miliardi con incontrollabili spese militari.

 

D : A tuo avviso, il Paese del liberismo reganiano prima e da ultimo con Bush è il simbolo di un decadimento non solo economico che rischia di travolgerci tutti?

R : Questo sta già avvenendo. C’è chi ha sempre pensato che gli USA fossero una specie di avanguardia politico-sociale ed economica. Niente di più folle. Certo: è da scellerati pensare un crollo dell’impero come se fosse un castello di sabbia e non comprendere la capacità che esso ha di perpetuare se stesso nonostante grandi e irreversibili contraddizioni (ecco perché appare in tutta la sua drammaticità la crisi del movimento dei lavoratori, delle sue rappresentanze di classe e il ripiegamento a forme di lotta che più che determinare una mutazione di fondo sembrano chiedere al capitalismo una cosa che non potrà mai fare: riformarsi). La gran parte dei nordamericani sono dei frustrati e il vero potere negli USA è nelle mani di una minoranza non superiore allo 0,5% che condiziona la vita di una popolazione oltre i 250 milioni di abitanti. Nelle mani (o tra gli artigli) di questi pochi VIP si concentra quasi il 40% di tutti i titoli azionari e obbligazioni e circa il 60% del capitale industriale. I managers e i capitani di sviluppo tecnologico e informatica non sono che uno striminzito 4% mentre la sfera burocratica di alto e medio livello comprende un 20% dell’intera popolazione attiva. Sintetizzando potremmo azzardare a dichiarare che un 20% circa di statunitensi gestisce una ricchezza pari a quanto possiede il restante 80% e globalmente poco più di 4.000 individui gestiscono una ricchezza pari a quanto possiede il resto dell’umanità. Naturalmente il tutto poggia sulla necessità, per quanto pazzesca, di praticare distruzioni di ogni risorsa, saccheggio di materie prime, aumento dei morti per fame, mancanza di acqua e cure e condizioni di vita per miliardi di esseri viventi al limite della sopportabilità. Se non abbatti l’albero alla radice e non pianti nuovi semi c’è poco da stare allegri e stupirsi per poi indignarsi e poi contestare genericamente dentro proposte più morali che utili. Nelle stesse terre dove governano i “capi” della civiltà occidentale l’opulenza è dunque più predicata che reale nonostante popoli interi siano costretti all’oblio. E, intanto, si sta lavorando per privatizzare oltre il privatizzabile ogni servizio, per avere pensioni e sanità affidandosi a compagnie assicurative, uno stato sociale per miserabili come negli USA, conflitti d’interessi come negli USA, una scuola selettiva e meritocratica come negli USA e il caos come negli USA appunto. E proprio negli USA i fondi pensioni (spesso finalizzati all’informatica e all’automazione) sono una grande occasione finanziaria che prevede per i lavoratori un ruolo inesistente e marginale oltre a creare nuova disoccupazione. Sono milioni i disoccupati statunitensi nonostante le cifre false che si fanno circolare e sono milioni i part-time e sottoccupati: in realtà la loro somma si aggira attorno al 16% della popolazione pur trascurando i milioni di senza documenti e pendolari sempre in viaggio o dispersi tra mille mestieri improvvisati. L’America del Nord è in guerra con se stessa e, quindi, la sua elite ha bisogno di generare guerre oltreconfine che tuttavia devono avere una giustificazione per non far crollare tutta la falsa e ipocrita impalcatura che vuole sempre gli USA paladini della libertà: fucile e Bibbia insieme come nel vecchio Far West e ancora oggi. Non è un caso né deve sconvolgere un Hussein Saddam amico degli USA e poi un Saddam Hussein nemico degli stessi e lo stesso vale per Bin Laden, golpisti, integralisti sparsi per il globo, squadroni della morte tranquillamente preparati da esperti USA e servizi segreti “occidentali” ecc. Il fine: il trionfo del fondamentalismo di mercato condito dall’avanzare del pensiero unico sotto le ali dello zio Sam (il quale non ha solo mortificato l’ONU e le varie strutture internazionali, Carte, Convenzioni ma, incredibilmente la stessa NATO ed ogni “alleato” rendendoli tra l’altro intercambiabili secondo obiettivi ed esigenze). Uscirne quanto analizzare è estremamente complesso e sempre meno  sono gli strumenti che abbiamo a disposizione grazie al cedimento di tanta sinistra non solo in Italia. Il bipolarismo è un fenomeno mondiale che deve prevedere ovunque due forze in competizione tra di loro in rappresentanza di uno stesso sistema che si indica come unico e possibile: quello capitalista. Anche questo è un progetto USA. L’Italia sta facendo con serietà, in questa direzione, la sua parte.  

D : In sostanza è il trionfo della politica dell’alternanza che nega ogni alternativa…
Non siamo, ci sembra di capire davanti ad un bivio ma sull’orlo di un precipizio senza ritorno?

R : Facciamo fantapolitica: un gioco. Inventiamo che in Italia  si celebrino le elezioni e che le classi dominanti abbiano l’esigenza di veder trionfare una destra impietosa e senza scrupoli anche se asservita e controllata. La sinistra servile non farebbe in quel caso molto per vincere la competizione mentre aspetterebbe indicazioni chiare per protestare e dare la sensazione che necessita un cambiamento (anche controllare la protesta è un’esigenza di chi domina) dopo averle perse. Ecco che tecnici e rappresentanti delle classi dominanti presi dalla burocrazia, banche, imprenditoria, “baroni” vari, diventano protagonisti in un governo di sinistra quanto lo erano per quello di destra ed ecco finalmente che sindacati (fino a quel momento tranquilli qualsiasi nefandezza si sia compiuta contro popolo, lavoratori e diritti) e affini iniziano ad alzare la voce. Dico queste cose perché la fantasia non ha limiti ma a volte la realtà la supera: credetemi. Solo un porsi “fuori e contro il bipolarismo”, avere leggi elettorali democratiche e un’informazione plurale, una direzione consapevole alla testa di grandi “rivolte popolari”, una capacità di rendere protagonisti soprattutto i lavoratori nelle lotte, creare coscienza e consapevolezza e realizzare iniziative anche piccole che non siano scollegate da un fine altrettanto chiaro, saper indagare nella struttura quanto nella sovrastruttura ed unire ad un progetto di trasformazione anche un’essenziale rivoluzione dell’uomo possono essere condizioni per sperare in un rinnovamento democratico e socialista delle società che si proponga come realtà inedita collegata alla propria storia e peculiarità nazionali e ad un nuovo internazionalismo. Il futuro se non è l’emancipazione delle masse ma la loro continua rappresentanza non è futuro. Davanti al precipizio hai il dovere di saltarlo e compiere dieci, cento, mille atti di libertà.

  D : che ne pensi della proposta di confondersi nel popolo di Seattle o di ritorni a Marx?

R : Credo, intanto, paradossale qualsiasi ritorno a Marx che escluda Engels. Ma non mi sembra che possa esistere a sinistra una persona disponibile a dire idiozie simili. Anche se accadesse per pura demagogia o non so quale altro fine l’affermazione non starebbe né in cielo né in terra tanto è assurda. Il marxismo è anche la storia dei più marxismi e l’obbligatorietà a vivere criticamente la sua stessa esperienza realizzata o auspicata. Del resto non c’è un marxismo occidentale e menti fecondi, in qualsiasi continente, hanno continuamente, rapportandosi alla realtà e al progetto, modificato non pochi punti di partenza. Il marxismo, da Marx e oltre Marx, rimane la bussola per orientarci in questo presente, per viaggiare verso il futuro ma senza il socialismo reale (tra successi e nefandezze, conquiste ed errori), senza Lenin e Gramsci, senza Mariategui e Ho Chi Min, senza Guevara e Luxemburg, senza Mao e Sankara, senza Lumumba e Sandino e mille altri ed altre ci perderemmo, avremmo una bussola senza lancetta, senza punti cardinali. A molti di costoro non hanno permesso di dimostrare la validità delle loro teorie e anche questo è un fatto e a noi spetta il compito di superare ogni dogmatismo senza cadere nella trappola di ritenerci “moderni” perché si rinuncia alla fatica di studiare, di capire, di “rivoluzionare” continuamente. Alcuni infatti ritengono superate le grandi lezioni di oltre un secolo di marxismo-leninismo e si ritengono innovatori ma in realtà “ritornano a Roosvelt”, altri invece “ritornano a Proudhon”, altri, ancora, “ritornano a Keynes”, altri al materialismo volgare o a Bernestein e via aggiungendo. Poi ci sono quelli che ritornano a Zapata (fatto eccezionale in alcune realtà dell’America del Sud ma indubbiamente una forzatura ideologica in altri continenti e Stati) e coloro che sono ancora vittime o del luddismo o del pacifismo estremo che farebbe rabbrividire anche il Cristo della cacciata dei mercanti dal Tempio. Abbiamo un grande bisogno di percorrere strade inesplorate, di realizzare un nuovo “Rinascimento ideologico”, di essere veri conoscitori del presente e del passato e altrettanto capaci di predisporre mezzi adeguati per cambiare il mondo non genericamente e questo rende un dovere non cercare scorciatoie populiste che si risolvono in immani quanto inutili fatiche di Sisifo. Il futuro o è socialista (in forme tutte da organizzare) o non è e a noi spetta il compito di esserne protagonisti, senza attenderlo, oggi, rendendone le masse consapevolmente partecipi, noi abbiamo il dovere di esserne gli artefici riconoscendo in ogni soggetto che si batte contro il capitalismo un tuo compagno di strada e lavorando affinché altri movimenti si affianchino alla tua lotta. Un solo partito non può realizzare  grandi eventi ma neppure i soli movimenti: questa è la prima grande uguaglianza che si deve realizzare: l’incontro di tante diversità che nessun “sistema” dovrà mai soffocare. Forse non ne siamo capaci fino in fondo, vittime anche della pessima educazione che ci portiamo dentro, ma davvero l’unica battaglia persa è quella che non si fa.

D : vorremmo concludere dicendo continua…

R : Hasta a la proxima.