Lettera dal carcere di Firenze:
SBARRE E TOSSICODIPENDENZE

di Noale Luca

a cura di Augusto Bruciamete

 

Negli ultimi tempi sembra che un’improvvisa illuminazione abbia investito alcuni membri del nostro Governo, come il ministro Giovanardi ed il Guardasigilli Castelli. Hanno scoperto, improvvisamente, l’assurdità di far scontare il carcere ai tossicodipendenti che abbiano commesso reati perché schiavi della droga. Peccato, però, che la soluzione che essi propongono sia quella di affidare alla Comunità di San Patrignano la gestione della Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia. Sulla pericolosità di tale scelta si è già espresso autorevolmente su “il manifesto” il dottor Alessandro Margara (28 dicembre 2001). Vorrei, invece qui, richiamare l’attenzione di lor signori su una esperienza che esiste da circa dodici anni ed è stata l’apripista per altre realtà dello stesso tipo: parlo della Casa Circondariale a custodia attenuata Mario Gozzini, più nota come Solliccianino, dove ho la “fortuna” di risiedere. Si tratta di un carcere che ha come fine il pieno reinserimento nella società di soggetti relativamente giovani (fino a quarant’anni) e con problemi legati alla dipendenza di sostanze. Se il fine può sembrare scontato, non lo sono i risultati raggiunti nel corso degli anni attuando una politica di “attenzione alla persona” in perfetta controtendenza con la spersonalizzazione e deresponsabilizzazione imperanti negli Istituti ordinari. Il piano terapeutico si articola attraverso colloqui costanti con gli operatori, recupero scolastico, corsi di crescita culturale e professionale, eventuale indirizzo presso la Comunità ritenuta più idonea oltre che sui normali percorsi di reinserimento penitenziario come l’articolo 21, la semilibertà e l’affidamento in prova. In pratica quello che dovrebbe essere, molto teoricamente purtroppo, il normale percorso di reinserimento nella vita sociale applicato in ogni penitenziario. Cioè la vera applicazione della legge Gozzini. Detta così non sembrerebbe niente di speciale ma, in realtà, si tratta di una delle poche eccezioni in cui si cerca di attuare seriamente una normativa illuminata. Quindi, tra le molteplici obiezioni che si possono avanzare ad un’iniziativa che, di fatto, aprirebbe la strada alla privatizzazione delle carceri, c’è anche quella che un progetto serio esiste già, basta prenderne atto e cercare di migliorarlo dove è possibile e di espanderlo perché possa essere fruito da un maggior numero di detenuti. Certo, ad alcuni potrà sembrare un eccessivo investimento di persone e mezzi (operatori, educatori, agenti…), benché esso corrisponda esattamente alle normative (un educatore ogni 25 detenuti), rispetto un carcere ordinario dove gli operatori sono carenti. Ma bisogna rendersi conto che questo è uno dei punti di forza del progetto, grazie al quale l’Istituto raggiunge percentuali impensabili di “non rientro”. Bisognerebbe, poi, riflettere su quanto “paga” un investimento del genere in termini di risparmio sui costi sociali e rendersi conto che la vera “sicurezza” si ottiene con due interventi: la prevenzione, agendo su fattori di discriminazione e di disagio che sono il terreno di “coltura” dei comportamenti cosiddetti “devianti” e sul concreto reinserimento della maggior parte di coloro che hanno commesso dei reati. Solo una struttura pubblica può raggiungere tali fini prevedendo anche una collaborazione di Enti del Volontariato o dell’associazionismo privato. Ipotesi come quella prospettata sono fuori dal principio della legalità e sono lesive della stessa professionalità bistrattando uno dei migliori ordinamenti penitenziari in Europa. Proporrei ai propugnatori di tali infelici proposte di venire ad incontrarci per parlare con chi è direttamente interessato alla questione come detenuto e come operatore. Una ingenua domanda: il Governo attuale è stato legittimato dal voto ma chi ha legittimato San Patrignano come unico rappresentante di tutte le molteplici e valide comunità presenti in Italia? Intanto Fini (e buona parte del Governo) lancia proclami a dir poco sconcertanti: auspica una reintroduzione del reato di consumo, confonde droghe leggere e pesanti, intende eliminare i SERT e teorizza l’obbligatorietà di sottoporsi ad un programma terapeutico (eliminando la volontarietà) e favorendo atti di costrizione e magari anche di violenza e il tutto in tranquilla controtendenza rispetto l’Europa. Chi non si adegua avrà il carcere a vita? Infine vi è anche il tentativo della Casa della Libertà di reintrodurre il reato penale anche per il consumatore inserendolo tra la criminalità vera e propria. Mi limito, intanto, a rispondere con uno slogan zapatista: “aqui estamos”.