8 marzo 2002
di Ines Venturi

 

Quella delle donne è, per semplificare, una vitaccia e non esiste nessuna logica di “quote per donne” (nella società o nelle istituzioni, nei partiti o mah e boh) che possa sostituire una necessaria lotta per una vera emancipazione e liberazione che, anch’essa, sarebbe inconsistente e non una mutazione di fondo senza un’alternativa allo stato di cose presente complessivamente. E, intanto, avanza una nuova barbarie che intende intaccare ogni conquista delle donne (dalla maternità libera e consapevole al fare e vivere la cultura, dal lavoro ai diritti in genere). Rimane per molte una disoccupazione cronica (soprattutto al Sud) nonostante l’alto tasso femminile di scolarizzazione e “specializzazione”, il doppio lavoro, carriere difficili, esclusione dai posti dirigenziali e rapporto tra sessi, di fatto ancora conflittuale. La donna, tuttavia, dopo il 1968 in particolare, è molto diversa e si è fatto largo tra le masse femminile un percorso consapevole del che fare e del proprio ruolo anche se questo non deve farci dimenticare che in Italia permangono grandi differenze ed opportunità diverse a seconda della propria condizione sociale, vivere in un grande metropoli o in piccolo centro, al sud o al nord e via elencando. 

Le donne, poi, sono maggiormente vittima di lavoro precario, casalingo, part-time, mal pagato, schiavizzato (particolarmente nelle nostre campagne dove permane un caporalato “giustificato” e protetto) e flessibile. Le condizioni di sfruttamento di donne presso studi medici, legali, commerciali, notarili ecc. è al limite della sopportabilità. Senza contare i non rari ricatti e violenze quotidiane. Nei Governi, nel Parlamento, nelle amministrazioni locali, nella carriera prefettizia, dentro la magistratura (e non ce ne frega niente nell’esercito) e nei luoghi dove si decide le donne non arrivano mai oltre il 10% di presenza rispetto gli uomini. La stessa cosa accade nella Pubblica Amministrazione, nel servizio sanitario nazionale, enti di ricerca, ministeri, università. Accade nei mass media dove le direttrici oscillano tra il 3 e il 5% e nelle imprese dove il “capo” è maschio. Qualcuno ha pensato che, forse, con una politica delle “quote” i problemi si possano risolvere (lo pensano a destra e lo pensano a sinistra: è un cavallo di battaglia della Mussolini e lo è per molte “pasionarie” in buonafede). I rapporti sono impari ma, indubbiamente, ciò di cui abbiamo necessità è una lotta per la pari dignità, pari opportunità e, al tempo stesso, per il rinnovamento delle nostre società, per una nuova qualità della vita e un reale riscatto (rivoluzione culturale e morale, dell’Umanità) che se tarda a venire è penalizzato irrimediabilmente non un sesso o l’altro ma l’intero genere umano. In Europa (e guai a dimenticare le condizioni drammatiche di vita in questo pianeta ad egemonia imperiale e capitalistica per milioni di donne ridotte a semplice merce, violentate, suddite, schiave e altre nefandezze: il caso di Sayfa che rischia di essere lapidata dopo essere stata violentata e abbandonata sta lì a ricordarcelo ma è solo un esempio e neppure il peggiore) riguardo l’occupazione femminile l’Italia è quasi all’ultimo posto e lontana dalla media europea appunto mentre lavorano molte più ore riguardo gli uomini. L’8 marzo era una giornata di lotta mentre oggi si tende a renderlo una festa per il consumo, le cene goliardiche e una mimosa sempre più inquinata e scolorita. L’8 marzo deve tornare ad essere una giornata di lotta e di riflessione. Meravigliosa l’idea della Polisportiva Roma 6 Villa Gordiani insieme al Comitato Nazionale Silvia Baraldini, l’AIASP (Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli) e una miriade si società sportive ed associazioni di organizzare (e siamo alla XVII edizione) a Roma una “Corsa della Donna” per i diritti, dedicandola a tutte coloro (in Turchia o in qualsiasi altra parte del mondo e nel nostro stesso cortile di casa) che subiscono ingiustizie, oppressione, violenza. Appuntamento il 10 marzo sotto la bandiera che recita “esisto anch’io” ai giardini di viale Irpinia alle ore 9. E, intanto, il Governo dei barbari parla di prostitute (e tra queste tante sono laureate e diplomate) e di case chiuse e non di testi HIV e contro l’aids, tutela legale e amministrativa, cure mediche garantite, metodi anticoncezionali, educazione al sesso, igiene intima, nuovi consultori, lavoro e servizi, lotta alle mafie e al controllo delle vie della prostituzione e delle umiliazioni e frustrazioni di donne, provenienti ormai da ogni dove, ricattate da un capitalismo illegale che ne domina i corpi come strumento per realizzare un profitto alto e parassitario di iene voraci e lerce come tanti generali d’industria. L’8 marzo auguriamoci ci siano tante donne in marcia per un nuovo mondo in costruzione, per un ruolo da protagoniste non “regalato” né “concesso” ma duraturo e conquistato e inteso come elemento insostituibile di una società “altra”.