LA QUESTIONE DEL DEBITO ESTERO
di Antonio Capuano

 

Cantanti e giullari, Governi (alcuni), ONG (non tutte), associazioni improvvisate per l'occasione, Chiesa e dintorni: in questi mesi sembrano davvero tanti coloro che intendono impegnarsi per l'eliminazione del debito estero dei cosiddetti Paesi del Terzo Mondo. La Guinea-Bissau spende il 47% delle entrate per pagare gli interessi e restituire il capitale, il Bangladesh ha un debito di circa ventottomila miliardi di lire, la Guyana spende il 45% e via elencando. Le condizioni imposte dalle istituzioni internazionali anche quando intendono affrontare il problema insistono in una politica che non guarda allo sviluppo, alla cooperazione e stritola popoli "ricattati" e "ricattabili": ecco, dunque, la strumentale idea di una cancellazione parziale del debito mentre permangono "paradisi salariali" e "fiscali", ingiustizie, oppressione, sfruttamento di uomini e donne, di minori e "furto" di ogni risorsa. 
I Paesi dell'America Latina, ad esempio, sono costretti a difendere le proprie monete da selvagge speculazioni (e non solo) e di conseguenza a subire continui blocchi alla propria economia, deficit commerciali in crescita, inflazione da aggiungere (in ogni parte del pianeta) a disastri ambientali, non naturali ma regalatici dalla logica imperialistica, quali inondazioni o siccità (effetto serra), conflitti armati, migrazioni incontrollate, regressione economica. I maggiori creditori, neanche a dirlo, sono gli USA, il Giappone, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, l'Italia e l'Olanda intenti, attraverso i loro piani, a far crescere sudditanza e sviluppo ineguale, disuguaglianze tra ricchi e poveri con conseguenze a dir poco drammatiche: sono oltre il miliardo le persone che non hanno né cibo a sufficienza, né acqua, né generi di sussistenza immediata, né assistenza sanitaria. In sostanza non vi è una giusta distribuzione della ricchezza e neppure un modello di sviluppo equo e compatibile. Togliere parte del debito si riduce a favorire vecchi e nuovi investitori e a non risolvere concretamente nessun problema degli Stati interessati. E' la politica del torturatore: violenta e sevizia ma non provoca la morte: il torturato deve parlare e, quindi, deve sopravvivere: per assassinarlo c'è tempo. E, infatti, ragionando su popoli interi non vi è nessuna politica di crescita ma liberalizzazione del mercato (mafie incluse e faccendieri senza scrupoli), privatizzazioni, scempi urbanistici e ambientali, restrizione delle libertà, conflitti interetnici, mancanza di strutture ed infrastrutture. Il carattere truffaldino dei potenti della Terra non ha limiti: difendere perennemente il privilegio per pochi e dare l'elemosina a chi si è condannato, espropriandolo di ricchezza e dignità, alla povertà. Il neocolonialismo appare meno crudele ma è altrettanto invadente e "dittatoriale" inventando che non ci sono "cose" possibili ma situazioni "non risolvibili" e, quindi, uno status quo immutabile: solo le lotte di tanta parte dell'umanità possono liberarci da dipendenza e sfruttamento e sono la vera cancellazione di ogni debito e, quindi,  la
riconquista cosciente della propria Liberazione.