LA MENZOGNA DEL BIPOLARISMO
di Carmelo R. Viola
“L’Italia è una Repubblica democratica…” Inizia
così il testo della nostra Costituzione, nata in contrapposizione alla
dittatura fascista. Democrazia era una specie di parola d’ordine scaramantica
per richiamare tutto ciò che era ridiventato formalmente legittimo dopo il
regime littorio. “Ora siamo in
democrazia e posso gridarlo a voce alta”: così dicevano più o meno
quanti contavano di rivalersi di privazioni e ingiustizie sopportate per anni.
Anch’io, adolescente, che vivevo a Tripoli, ero affascinato dalla parola,
benché cresciuto in ambiente socialisteggiante e filosovietico. Rientrato in
patria, nel 1949, non ebbi il tempo di salvare una qualche eventuale vaga
illusione adolescenziale sulla realizzabilità della vera democrazia in un
contesto piccolo-borghese tanto erano il deserto sociale e il clamore clericale
del primo dopoguerra che scoraggiavano un giovane in cerca di prima occupazione.
La democrazia è sì “governo di popolo” ma non può essere
esercitata direttamente. Lo si ripeteva per giustificare la “democrazia
indiretta” confortata, appunto per questo, da una rappresentatività
proporzionale delle scelte elettorali come il massimo possibile di garanzia,
sebbene sin da allora esistesse la possibilità di saltare da una posizione ad
un’altra senza dovere rendere alcun conto agli elettori. Si parlò, e a
ragione di “legge-truffa” quando si tentò d’introdurre i cosiddetti “premi
di maggioranza”. Va detto subito che la democrazia come la possibilità di essere
rappresentati nominalmente in parlamento non è niente se non è
contemporaneamente la possibilità concreta di soddisfare i bisogni vitali (dal
potere di acquisto alla sicurezza). La società capitalista può dare la
sensazione illusoria della prima, cioè realizzare una democrazia-forma
ma ignora necessariamente la democrazia-sostanza.
Alla prima apparteneva l’opposizione di un partito comunista come possibile
alternativa al governo della maggioranza. Tale possibilità non si sarebbe mai
potuta realizzare nell’ambito di uno Stato nato dal ricatto anticomunista del
Piano Marshal (opera pia del mite De Gasperi) meno che mai con il sorgere di una
Nato in funzione anti-Urss. La democrazia capitalista è una contraddizione in termini per sé stessa
perché l’equità economica universale (condizione di una soddisfazione
effettiva della volontà del popolo) e la corsa a chi arraffa più potere (modo
di essere del capitalismo) si escludono a vicenda. Marx ha intuito perfettamente
quella che è ormai una verità scientifica: che il valore reale di un sistema
sociale è dato dalle strutture economiche cioè dai processi di produzione,
rispetto alle quali il modo di mandare i delegati del popolo al parlamento e di
legittimarne l’operato è una sovrastruttura “dipendente”. Ma è interesse dei “padroni” del capitale sostituire alla scienza
(corruttrice!) la suggestione della cronaca e delle apparenze per potere
affermare, senza coprirsi di ridicolo, che viga la democrazia in quella Russia
già indenne, tra l’altro, della piaga della disoccupazione, dove circa il 50%
dell’attività finanziaria è già nelle mani del capitalismo paralegale
armato (detto impropriamente “mafia”) e centinaia di migliaia di bambini
vagano abbandonati come cani randagi.
Tuttavia, la cosiddetta “Prima
Repubblica”, pur con tutti i suoi difetti e i suoi brogli, per effetto
della sola esistenza del polo sovietico e della presenza del più grande partito
comunista d’Europa, era ancora uno Stato con un notevole potere d’intervento
nell’economia. Si poteva parlare, e con ragione, di “Stato sociale”, anche
se ancora di dimensioni minuscole, e il progetto della socialdemocrazia potere
avere in esso un pretesto di autoconferma, ma quello Stato economicamente
“ibrido” era un peso sullo stomaco del capitalismo internazionale. Infatti,
questo, fatto crollare l’impianto sovietico, si è tolta l’ultima maschera
ripristinando il proprio ordine naturale.
Donde il corso post-perestrojka
(o post-Muro di Berlino), detto neoliberismo o new
economy (in cui l’attributo nuovo sta per vecchio decrepito) con la
demolizione del piccolo Stato sociale, tacciato (nientedimenoché) di
“assistenzialismo”, quasi criminalizzato; donde la nascita della “Seconda
Repubblica”, tomba di ogni seme di socialismo ma celebrata come progresso
civile; donde il processo di privatizzazione ovvero di “devoluzione
al privato” dei servizi pubblici trasformati in altrettante imprese
affaristiche, con la condanna del posto fisso e la flessibilità e “feudalizzazione”
del lavoro precario del dipendente fino alla globalizzazione mondiale
dell’economia sotto il predominio dei più forti, cioè degli USA, in
ottemperanza alla legge di una giungla “antropomorfa”.
Dalla nuova struttura economica, infine, la sovrastruttura politica del
bipolarismo sul piano parlamentare e governativo. I conti tornano
matematicamente.
L’intellighenzia vetero-borghese, da sempre adusa alla menzogna, ha
presentato la prevaricazione della propria ideologia come la “fine
delle ideologie” e il disastro dell’impianto sovietico (non dovuto ai
principi del vero socialismo) come la prova della morte del comunismo (per altro
mai realizzato) e della innaturalità e quindi irrealizzabilità del socialismo.
Stando così le cose (ma così non stanno!), la rappresentatività proporzionale
perde ogni ragion d’essere come l’opposizione di una possibile alternativa
comunista: le postazioni destra e sinistra
vengono trasferite all’interno di uno schieramento unico, quello appunto del
capitalismo “neoliberista”, i cui “poli” segnano l’ “alternanza”
di uno stesso partito che va succedendo a sé stesso, come nelle
pseudodemocrazie inglese e statunitense. Con il bipolarismo la democrazia perde definitivamente ogni significato
etimologico per essere ridotta alla sola pratica burocratica – e carnevalesca
– di legittimazione elettorale dei “gestori
pro tempore” di una dittatura di fatto del capitale internazionale a
favore del quale lavorano i poteri legislativo ed esecutivo dei vari paesi come
è stato ampiamente dimostrato anche nella recente tristissima vicenda
dell’aggressione gangsteristica al Kosovo, in cui uno Stato come il nostro,
sedicente “patria del diritto”, ha
calpestato orgogliosamente l’art. 11 della propria Costituzione per servire i
padroni di fatto. Questo e nient’altro è la menzogna del bipolarismo. Pertanto, le
prossime competizioni elettorali non hanno altro fine che quello di sostituire
uomini di destra con altri uomini di destra anche se provenienti da poli
contrapposti. L’unico possibile antidoto è quello di un voto capace di fare
riscoprire l’alternativa del vero comunismo contro la dilagante aberrazione
neoliberista e la disonestà di chi ha la faccia tosta di spacciare questa
perfino nei termini di non si sa quale sinistra e di non si sa quale socialismo.