Le ragioni biologiche della sinistra
di Marcello Ottolenghi

 

Per quanto ci riguarda e ne sappiamo, la nostra origine come specie animale (perché prima di tutto siamo incontestabilmente degli animali) risale a non più di un milione di anni fa; anzi, se vogliamo sottilizzare, la specie homo sapiens-sapiens ha, in realtà, origini molto più recenti.

L’importante è comunque ricordarsi che siamo stati tra gli ultimi a comparire su questo pianeta; se restringiamo ad un solo anno solare la storia della vita sulla Terra, iniziata quindi il primo gennaio con i batteri primordiali, i nostri progenitori sono entrati in scena solo la sera del 31 dicembre (e fino alle 23.59' e 30" il Tevere scorreva tranquillo in mezzo alla campagna, là dove poi sorgerà Roma, senza ancora traccia alcuna di insediamenti abitativi stabili).

A meno che non si voglia credere ad Adamo ed Eva… la nostra specie non è comparsa improvvisamente sulla Terra, ma è stata il frutto di un lento e complesso processo evolutivo che, a partire dai primi mammiferi, alcune decine di milioni di anni fa, e passando poi per i primati e per gli ominidi, ha portato infine alla selezione della nostra specie; è stato un processo graduale, tant’è vero che la maggior parte del nostro patrimonio genetico è comune con quello di altri mammiferi, massimamente con quello di alcuni primati che sono considerati per questo i nostri antichi progenitori.

Perché questo ampio preambolo? Perché è bene ricordare che il “progetto” uomo è vecchio di milioni di anni, è scritto nelle nostre cellule e, che ci piaccia o no, questa è una  determinante fondamentale dei nostri comportamenti.

A proposito di comportamenti, però, apriamo una finestra sui meccanismi evolutivi che presiedono a questa funzione fondamentale.

Sappiamo che la specie pone in atto tutti i tentativi validi per garantire al massimo la propria sopravvivenza: in particolare porrà in atto le strategie più sicure che tendano ad ottenere vuoi la sua massima espressione possibile nel presente, vuoi la sua massima proiezione possibile nel futuro. 

In realtà scopo prioritario della specie è la sua massima espansione e diffusione sul pianeta; quando la diffusione di altre specie competitive o condizioni climatico-ambientali ostacolano però questa espressione nel presente, alla specie conviene ridimensionare le proprie mire e difendere invece al meglio le sue  possibilità future di espressione (spore, semi, letargo, ecc…, selezione !).

La specie prevede infatti, per i propri appartenenti, comportamenti differenziati a seconda della situazione ambientale presente; in particolare attiva un comportamento di tipo competitivo tra i suoi individui in situazioni di scarsità di risorse, mentre garantisce il massimo di sopravvivenza per tutti in situazioni di abbondanza.

Per essere più chiari, tra i mammiferi, per esempio, è di facile osservazione il fatto che, in una situazione di scarsa disponibilità di cibo, si scatena tra gli individui della stessa specie una aggressività notevole finalizzata a sostenere la feroce competizione per la sopravvivenza che poi porterà alla selezione appunto dei più forti, dei più furbi e dei più "attrezzati" che saranno i soli che potranno continuare a nutrirsi e che così garantiranno la massima probabilità di proiezione nel futuro alla specie.

Al contrario, in una situazione di larga disponibilità di alimenti, i comportamenti di aggressività e di competizione per il cibo tra gli individui non vengono attivati perché questa situazione non corrisponderebbe alla strategia "economicamente" più efficace per la specie e porterebbe solo ad una inutile dispersione di risorse ed energie.

In verità anche in situazioni di abbondanza, ma maggiormente per quelle specie il cui comportamento è frutto soprattutto di processi di apprendimento, individui che hanno già vissuto direttamente situazioni di carestia potranno manifestare comunque aggressività in quanto hanno memoria di comportamenti a suo tempo efficaci che hanno garantito loro la sopravvivenza.

I nuovi individui però, sempre che non abbiano appreso modelli comportamentali di competizione e di aggressività dai genitori, disponendo della risorsa cibo a volontà e non avendo mai vissuto direttamente i morsi della fame, non manifesteranno atteggiamenti ostili nei confronti dei propri simili, almeno limitatamente alla situazione cibo.

Peraltro nel mondo animale le situazioni in cui osserviamo "fenomeni di accumulo" (lo spesso strato di grasso dell'orso prima del letargo, anziché i magazzini alimentari delle formiche) sono fenomeni strettamente "di ciclo" e prevedono un utilizzo di queste risorse entro il tempo del ciclo stesso e solo per superare situazioni ambientali e climatiche che, altrimenti, non consentirebbero la sopravvivenza dei singoli e della specie stessa.

Anche il nostro organismo prevede delle fasi di accumulo attraverso l'introduzione di calorie con gli alimenti, cui però dovrà necessariamente seguire la fase del consumo, con la vita di relazione, di queste stesse calorie; se il bilancio tra calorie introdotte e calorie consumate fosse positivo, inevitabilmente ingrasseremmo e finiremmo con l'ammalarci.

Veniamo al problema che ci riguarda da vicino ed enunciamo subito la tesi: " La specie umana si è ammalata ed ha perso la capacità di modulare risposte comportamentali adeguate in relazione alle diverse situazioni ambientali (abbondanza e carestia) ed ha adottato un unico atteggiamento perenne e immodificabile di feroce competizione tra individui ".

Abbiamo già discusso (vedi n° zero DP) di come l'uomo, animale prevalentemente culturale, basi il proprio comportamento essenzialmente su processi di apprendimento; ebbene i comportamenti aggressivi di competizione, utili probabilmente 5.000 anni fa in precarie condizioni di scarsa disponibilità di risorse, sono stati trasmessi come insegnamenti fondamentali in quasi tutte le culture di cui abbiamo attualmente conoscenza. Probabilmente le molte culture "sane" e con principi di tipo matriarcale, basati appunto sulle cure parentali, sulla tolleranza e sulla solidarietà, sono state spazzate via da popoli aggressivi e guerrieri che, patologicamente, hanno mantenuto nella loro tradizione culturale i valori legati alla competizione.

La civiltà etrusca, assai evoluta e con riferimenti culturali di tipo matriarcale, improntati alla fecondità e alla pacifica convivenza, fu facilmente annientata da quella rozza e guerriera dei romani.

Questi valori, ormai obsoleti e inadeguati alle nuove condizioni, non sono stati sostituiti da quelli che la logica di specie naturalmente proponeva ma sono stati tramandati alle nuove generazioni le quali, fortemente condizionate dalla cultura dei padri, non sono state libere e capaci di disfarsene bensì, a loro volta, li hanno adottati e imposti trasmettendoli alle generazioni successive.

In altri termini noi continuiamo a subire oggi la pressione culturale che ci è stata tramandata da individui "malati", ormai patologicamente insensibili alle modifiche ambientali favorevoli; questa malattia, soprattutto attraverso la "scatola luminosa", ci contagia da piccoli e ci propone percorsi patologici obbligati.

In una società “ricca”, come è la nostra, se potessimo crescere sani ed evolverci naturalmente senza essere strangolati da una cultura perversa e malata, ci sentiremmo soddisfatti e pienamente realizzati nel perseguire il bene e la prosperità della collettività ed attiveremmo più facilmente i nostri centri cerebrali della gratificazione attraverso azioni rivolte ad ottenere la tutela e la salute degli altri piuttosto che la soddisfazione del nostro narcisismo cieco ed egoista.

E' invece la corsa "all'accumulo" personale di risorse che non saremo mai in grado di consumare e che invece sarebbero necessarie a tanti che sono purtroppo destinati a morire perché queste risorse sono state dissennatamente "sequestrate" da pochi individui malati, incapaci di vivere serenamente e pacificamente insieme agli altri.      

I valori di riferimento che la nostra cultura occidentale ci propone mille volte al giorno li conosciamo bene e sono quei valori di competizione, di aggressività, di individualismo e di esaltazione del potere e del denaro (che ne è l'indicatore sociale) che sono tipici della destra ma che, purtroppo, oggi spesso troviamo anche in ambienti che di destra non sono ma che, perdonatemi, non mi sento davvero di chiamare di sinistra.

Perché la sinistra, quella vera compagni, si distingue facilmente: è quella che promuove sempre e prima di tutto i valori universali di solidarietà, è quella che si preoccupa di tutelare le minoranze e i più deboli, è quella che rifiuta con forza le logiche di mercato, è quella alla quale possono appartenere solo quelli che rifiutano, e senza tentennamenti, tutti i percorsi verso il potere e l'arricchimento.

C'è di che riflettere, compagni; riflettiamo dunque, e proviamo a confrontare una figura come quella di Che Guevara, così altruista e così straordinariamente lontano dalla tentazione del potere e dei vantaggi personali, con le tante, troppe, altre figure (o figurine!) dei nostri " illustri e beneamati" leader politici, sinistra, ahimè, compresa.