Fasti e nefasti del feudalismo neoliberista

LA CONFINDUSTRIA PER LA “GIUNGLA UMANITARIA”  
di Carmelo R. Viola

 

Più che democratico il comportamento dei nuovi padroni è “umanitario”. I 79 giorni di massacro globale (è la parola) di uomini, cose e natura della Serbia e soprattutto del “proteggendo” Kosovo, sono stati espressione di una “guerra umanitaria”. È per motivi di umanità che l’embargo della NATO (alias USA), con la compiaciuta complicità servile della “patria del diritto”, detta Italia, continua a torturare l’infanzia dell’Iraq. E non è troppo se si pensa che per diciassette secoli si è ucciso, seviziato e bruciato vivi una quantità imprecisata di innocenti in nome del Cristo e dell’amore del prossimo. Con il trionfo del neoliberismo si profila una “giungla umanitaria”. Certo la parola la si tace ma si usano locuzioni, equivalenti nella sostanza, come “economia di mercato globale” o “liberalizzazione del mercato del lavoro” o soltanto “libertà aziendale”. Una volta si pretendeva che il socialismo – umanitario per se stesso – avesse un volto umano. Ora che si è posto il socialismo in soffitta – come una cosa, di cui non si sarebbe nemmeno voluto parlare – si pretende di tramutare il consorzio umano in una vera e propria foresta, possibilmente in eleganti abiti informatici.Un movimento emergente è tutto proteso verso l’integrazione biologica della società: sarebbe strano se non lo fosse un soggetto emblematico di un’imprenditorialità capital-affaristica che si nutre del classico-volgare anticomunismo viscerale e frenetico quanto oggettivamente interessato. Con la vittoria elettorale della “casa (o supervilla) delle libertà” (ogni richiamo alla trilogia aurea del 1789 è puramente casuale e incompatibile) le condizioni burocratico-politiche di progressione (o – il che è lo stesso – di regressione) nel senso detto sono più favorevoli. La clericocrazia romana si è affrettata a tirare un pubblico sospiro di sollievo considerato come per l’Italia si profili finalmente (sic!) un periodo di stabilità e il Presidente della Repubblica (soggetto super partes) ha elogiato un popolo democraticamente maturo. Non so perché la memoria vola alle folle oceaniche di Piazza Venezia plaudenti alle proclamazioni paranoiche del Duce. È la volta della confindustria, la corporazione dei padroni, che presenta il conto da pagare al consocio vincitore. Delle pretese di tutto rispetto, per esempio: agevolazioni aziendali, maggiore libertà aziendale di assunzione e soprattutto di licenziamento, adeguamento del sistema pensionistico e di quant’altro utile alla “new ecomomy” (che più vecchia non si può) ovvero alla neo-società “impresocentrica”, perché questa funzioni nel migliore dei modi per la maggiore convenienza, tranquillità e gaudenzia padronale, anche, ove necessario, con iniziative impopolari. La parola “anche” è riduttiva ed ipocrita perché quanto richiesto è impopolare, anzi antipopolare. E a conferma del “destinatario” non si fa attendere, “faremo quanto è necessario, anche se impopolare” si dice in sostanza. E si ribadisce: “il popolo scoprirà che anche le misure impopolari saranno state prese nel suo interesse”. Come dire: “azzannatevi come bestie, lo farete per il vostro bene”. Parole di chi ha il solo imbarazzo di gestire una ricchezza che forse non sa nemmeno quantificare. Ma la cosa più grave è appunto quella di contrapporre all’ignoranza sociologica del popolo (che è vera) scientificamente sfruttata durante un’accesissima campagna elettorale, dall’una e dall’altra parte, una scienza sociale (il sacrificio di oggi come condizione di un vantaggio di domani) che, in tutta la proiezione neoliberista (e non solo nei provvedimenti in questione) semplicemente non esiste. Quando si dice scienza sociale non si dice necessariamente socialismo e meno che mai marxismo. La scienza sociale ci dice che cos’è una società, quali sono i diritti vitali di coloro che la costituiscono e quali i rapporti sociali migliori perché questi diritti vengano soddisfatti per il maggiore benessere delle persone e la migliore stabilità della società stessa. Era naturale che inizialmente la risposta a tali diritti scaturisse da iniziative individuali e di gruppo in continua reciproca competizione (più o meno feroce e sanguinaria). Analogamente a quanto avviene nel regno animale, da cui è nata la stessa specie umana. Il capitalismo è scientificamente – non ideologicamente – parlando, la proiezione umana dei meccanismi predatori della giungla. 
Comunque “regolato” o, peggio, “deregolato” (vedi la deregulation), esso non è in grado di realizzare in maniera universale, equa e non conflittuale, la risposta ai diritti naturali. Anzi, più cresce il potenziale tecnologico più diventa distruttivo (della civiltà come tale, della natura e della specie). E’ una verità elementare, oggettiva, dimostrabile. Ne consegue che oggi (e da almeno un secolo) i termini dei problemi sociali non sono quelli che ci sentiamo ripetere oziosamente 24 ore su 24 fino alla nausea. Fingere di volerli risolvere, in maniera empirica – cioè capitalistica – sapendo che è impossibile (anzi, che in tal modo si vada in senso contrario) non significa solo mentire: è delinquere. I “signori”, che di tali problemi si occupano (con la solita rara aurea eccezione), ignorano o disattendono totalmente ogni scienza sociale. La quale, ben inteso, non va confusa con nessuna delle “competenze settoriali” all’interno del sistema capitalistico, per esempio: come aumentare il PIL, come contenere l’inflazione, come ingrassare le casse del fisco, come favorire i conti con l’estero ecc. La scienza sociale vera comincia dal concetto di diritto e fa tutt’uno con la certezza del diritto stesso. Diritto certo universale significa anzitutto e semplicemente che ogni nato ha la certezza giuridica potenziale che non sarà mai o senza lavoro o privo di un equo potere di acquisto. Discutere per anni, per decenni, praticamente per sempre, sulla riducibilità della piaga della disoccupazione, ma anche del lavoro precario, è recitare buffonerie circensi perché dietro ad ogni disoccupato o lavoratore senza futuro c’è il dramma di un uomo e di una famiglia, c’è in potenza l’istigazione a delinquere, c’è un crimine (legale) del pubblico potere, che non fa il proprio dovere di garante del diritto e che solo per questo non può essere uno “Stato di diritto”. Il quale non può più essere considerato solo il risultato di uno Stato assoluto che sia dotato di una costituzione. Oggi può valere solo nel senso di “Stato di diritto” ovvero di organismo giuridico atto a garantire l’esercizio di tutti i diritti naturali a tutti i cittadini, nessuno escluso. Altrimenti, anche uno Stato nazista, per il solo fatto di darsi delle leggi (compresa quella dell’olocausto), sarebbe di “diritto”. E “di diritto”, infatti, non è il nostro Stato al cui interno c’è chi affoga nella ricchezza parassitaria e chi vive in grave disagio o di espedienti (anche criminali) quando non si suicida. Non sta scritto in nessun libro sacro che i problemi debbano essere risolti da un’accozzaglia di “cacciatori di profitti privati l’uno contro l’altro armato”. In un contesto impari la concorrenza o competitività è solo la vittoria dei più forti (non dei più giusti)… Ve la immaginate la “libera concertazione tra monetosauri e spicciolini”? Tra il bisogno (inerme) e il potere (armato) con alle spalle uno Stato, ridotto a simulacro di se stesso? Non si ha più nemmeno il pudore di minimizzare le idiozie offensive del buon senso spacciate per scienza. La scienza ci dice che in una società moderna il lavoro è organizzato in maniera scientifica ed etica e che in essa ogni individuo può e deve essere accompagnato – dalla nascita alla morte – da un potere di acquisto che si chiama via-via assegno, salario, pensione, in misura sufficiente ed equa e senza soluzione di continuità. Ci dice chiaramente che quel potere è un credito che la collettività deve al singolo in cambio di un debito-servizio di lavoro da parte dei soli abili, e che l’uno e l’altro sono complementari nella sostanza biologica della società. Ora, non solo lor signori vogliono perpetuare l’economia empirica, detto capitalismo, che ha fatto (e bene) il suo tempo, ma la vogliono perfino “perfezionare” nei termini di una “giungla umanitaria”, cioè in nome degli interessi vitali del popolo (è per questo che, tra l’altro, è stata abolita la scala mobile) nel momento stesso in cui, con agghiacciante disinvoltura,  costruiscono una vera e propria criminocrazia. Una criminocrazia moderna, scientifica e globale. Globalità significa che tutti possono possedere tutto e in qualsiasi parte del mondo, ma solo in teoria perché in realtà i poteri reali sono quelli del più forte e perciò stesso anche i più occulti. Sono quelli che hanno impedito allo Stato italiano di far passare il referendum contro i pesticidi o, recentemente, di razionalizzare le questioni delle droghe leggere o del fumo proposte da Veronesi… il socialismo, in tutte le sue articolazioni, non è la scienza sociale come tale ma progettualità politica per risolvere i problemi della civiltà non più sulla falsariga della giungla ma secondo un piano ragionato alla luce della conoscenza sperimentale della realtà e delle stesse varie teorie sociologiche…  Errori e perfino crimini sono stati commessi anche in nome del socialismo ma ciò non mette in discussione la sua crescente attualità ed urgenza perché la sua sostanza è appunto quella di uno “Stato di diritto”, la cui assenza, oggi, equivale ad un suicidio progressivo della civiltà. Infatti, solo in questo il benessere della collettività non può dipendere dalla fortuna dei cacciatori o predatori di profitti e il diritto di vita o di morte (per fame) del singolo non può dipendere dalle oscillazioni del mercato, dei profitti stessi, come pretendono i principi dello strisciante feudalesimo neoliberista, trasgressori irresponsabili di ogni vera scienza sociale. Secondo la Confindustria, che tali principi italiani raggruppa e rappresenta egregiamente, una poco più che discreta attenzione, sindacale o meno, ai diritti dei lavoratori (sottinteso in contrasto con gli interessi dei padroni) è già un vieto tornare al passato (sottinteso: prossimo), di quando, per meglio intenderci, esisteva ancora  la cosiddetta “minaccia comunista”. Al contrario, costoro hanno la capacità di proiettare la barbarie del passato remoto del capitalismo come possibili gloriose conquiste del futuro immediato, anzi del presente.